Alessandro seduto in una sedia antica nella piccola area di attesa della sede del notaio, Guido Barillo. Di fronte a lui, come un cliente a lungo dimenticato, c'era una pianta in vaso, su un supporto antico alto, i suoi piedi appoggiati pazientemente sulle mattonelle rosse del pavimento. Il resto l'arredamento era in netto moderni, pareti bianche, scrivania nero, computer nero. Poteva sentire le voci soffocate.
"Si può andare in ora", ha detto la ragazza in un vestito elegante, che appare da una porta. Lei gli rivolse un sorriso grande come è tornata alla reception.
Barillo smise di cercare qualcosa in una scatola di scartoffie legali e lo guardò.
“Prego”, disse cortesemente “ si sieda.”
L’ avvocato si appoggiò indietro sulla sua sedia dietro una larga scrivania di legno, lo schienale rivestito di pelle rossa marocchina. Dietro il notaio, scaffali di mogano rosa sostenevano volumi rilegati di legge, lettere dorate sui dorsi neri a dichiarare il loro potere.
In queste circostanze quindi Alessandro scoprì, non solo che aveva ereditato l’antico titolo di conte e con esso alcune proprietà che dominavano il suo villaggio natale, ma, dal diario che il notaio gli porgeva, scoprì le circostanze di una simile fortuna.
Il diario ci porta indietro di vent’anni in una provincia della Toscana, dove, ai piedi degli Appennini, stava Castello D’Invogliato, piccolo ma solido, senza aver mai subito nessun attacco o nessuna invasione. Le sue basse mura sembravano unirsi con la nuda roccia che le sosteneva. I ginepri si incuneavano tra le crepe e il timo selvaggio cresceva sui cornicioni assorbendo il sole di Aprile. Più in alto, su una piccola terrazza ornata da merli, Flavia Bertini si muove sbattendo gli occhi nella luce del giorno.
Era stato un inverno difficile. C’erano stati neve e vento, poi grandine e infine pioggia. Il castello non era riscaldato, tranne che per i camini.
Lei aveva dormito nella cucina, vicino alla grande stufa. Dentro di essa bruciavano ceppi di alberi di castagno.
Un uomo del posto, Giacomo Valli, li aveva tagliati e accumulati presso la porta della cucina.
E ora, il sole. Si era chiesta se sarebbe tornato. Spinse i suoi lunghi capelli striati di grigio lontano dagli occhi. Guardò oltre le cime degli alberi in basso, i rami ancora spogli con un accenno di verde dove le nuove gemme spuntavano sugli alberi. Il canto degli uccelli riempiva l’aria: richiami, gorgeggi e trilli.
Un’upupa, quella crestata annunciatrice della primavera, chiamò dall’altra parte della vallata con il suo tipico sono flautato.
Flavia era sola nel castello, eccettuate le visite settimanali di Francesca.
La giovane donna del villaggio era la sua cameriera. Impediva alla polvere di prendere il sopravvento. Passava l’aspirapolvere, puliva, riordinava e spolverava. Apriva le finestre anche nell’inverno più gelido.
“Contessina Bertini, aria fresca” annunciava, “è ciò di cui avete bisogno, siete come un pipistrello in questo posto”.
Quando se ne andava, Flavia chiudeva di nuovo le finestre, una per una.
Per ordine del governo, la nobiltà aveva cessato di essere riconosciuta in Italia nel 1948.
Qualcuno nel villaggio ancora chiamava Flavia Contessa, Francesca la chiamava Contessina. Dopotutto, Flavia era nata nel 1947, era già una piccola contessa quando la legge era passata, quindi sicuramente la legge non poteva applicarsi, no?
Flavia non era cresciuta nel castello. Aveva vissuto a Milano, dove era andata a scuola e poi all’università. Il castello era diventato suo
Verlag: BookRix GmbH & Co. KG
Texte: alastair macleod
Bildmaterialien: alastair macleod
Lektorat: alastair macleod
Übersetzung: giorgia cannarelli
Tag der Veröffentlichung: 04.12.2012
ISBN: 978-3-7309-0081-9
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Ogni riferimento a personae e luoghi esistenti e afatti realmente accadui è da considerarsi puramente casuale.