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Gesu di Nazaret

 

La Speranza dell’Uomo



Sommario

 

 

 

Capitolo 1: “Dio con noi”
Capitolo 2: Il popolo eletto
Capitolo 3: “La pienezza dei tempi”
Capitolo 4: “V'è nato un Salvatore”
Capitolo 5: La consacrazione
Capitolo 6: “Abbiamo veduto la sua stella”
Capitolo 7: L'infanzia di Gesù
Capitolo 8: La visita di Pasqua
Capitolo 9: Tempi difficili
Capitolo 10: La voce nel deserto
Capitolo 11: Il battesimo
Capitolo 12: La tentazione
Capitolo 13: La vittoria
Capitolo 14: “Abbiamo trovato il Messia”
Capitolo 15: Le nozze di Cana
Capitolo 16: Nel suo tempio
Capitolo 17: Nicodemo
Capitolo 18: “Bisogna che egli cresca”
Capitolo 19: Al pozzo di Giacobbe
Capitolo 20: “Se non vedete segni e miracoli”
Capitolo 21: Betesda e il sinedrio
Capitolo 22: Prigionia e morte di Giovanni il battista
Capitolo 23: “Il regno di Dio è vicino”
Capitolo 24: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”
Capitolo 25: La chiamata dei discepoli
Capitolo: 26 A Capernaum
Capitolo 27: “Tu puoi mondarmi”
Capitolo 28: Levi Matteo
Capitolo 29: Il sabato
Capitolo 30: La scelta dei dodici
Capitolo 31: Il sermone sul monte
Capitolo 32: Il centurione
Capitolo 33: “Chi sono i miei fratelli?”
Capitolo 34: L'invito
Capitolo 35: La tempesta sedata
Capitolo 36: Il tocco della fede
Capitolo 37: I primi evangelisti
Capitolo 38: “Venite... e riposatevi un poco”
Capitolo 39: “Date loro da mangiare”
Capitolo 40: Una notte sul lago
Capitolo 41: La crisi in Galilea
Capitolo 42: La tradizione
Capitolo 43: Barriere infrante
Capitolo 44: Il vero segno
Capitolo 45: L'ombra della croce
Capitolo 46: La trafigurazione
Capitolo 47: Una missione da compiere
Capitolo 48: Chi è il più grande?
Capitolo 49: Alla festa delle capanne
Capitolo 50: Insidie e difficoltà
Capitolo 51: “La luce della vita”
Capitolo 52: Il buon pastore
Capitolo 53: La partenza definitiva dalla Galilea
Capitolo 54: Il buon samaritano
Capitolo 55: Come verrà il regno di Dio
Capitolo 56: Gesù benedice i bambini
Capitolo 57: “Una cosa ti manca”
Capitolo 58: “Lazzaro, vieni fuori!”
Capitolo 59: Complotti dei sacerdoti
Capitolo 60: La legge del nuovo regno
Capitolo 61: Zaccheo
Capitolo 62: Il convito in casa di Simone
Capitolo 63: “Il tuo re viene”
Capitolo 64: La condanna di un popolo
Capitolo 65: La seconda purificazione del tempio
Capitolo 66: Contrasti
Capitolo 67: Gesù censura gli scribi e i farisei
Capitolo 68: Nel cortile esterno del tempio
Capitolo 69: Sul monte degli Ulivi
Capitolo 70: “Uno di questi miei minimi fratelli”
Capitolo 71: Gesù lava i piedi ai suoi discepoli
Capitolo 72: “Fate questo in memoria di me”
Capitolo 73: “Il vostro cuore non sia turbato”
Capitolo 74: Gesù nel Getsemani
Capitolo 75: Davanti ad Anna e Caiafa
Capitolo 76: Giuda
Capitolo 77: Davanti a Pilato
Capitolo 78: Calvario
Capitolo 79: “È compiuto!”
Capitolo 80: Nella tomba di Giuseppe
Capitolo 81: “Il Signore è risorto!”
Capitolo 82: “Perché piangi?”
Capitolo 83: Sulla via di Emmaus
Capitolo 84: “Pace a voi!”
Capitolo 85: Di nuovo sulle rive del lago
Capitolo 86: “Ammaestrate tutti i popoli”
Capitolo 87: “Al Padre mio e Padre vostro”

 

 

Capitolo 1: “Dio con noi”

“La vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele”, che tradotto vuol dire: “Dio con noi”. Matteo 1:23. “La luce della conoscenza della gloria di Dio” è vista “nel volto di Gesù Cristo”. 2 Corinzi 4:6. {GN 8.1}

Fin dall’antichità il Signore Gesù era uno con il Padre; era “l’immagine del Dio invisibile”, l’immagine della sua grandezza e maestà, “lo splendore della sua gloria”. Ebrei 1:3. Per manifestarla, egli venne in questo mondo; venne per rivelare a questa terra, immersa nelle tenebre del peccato, la luce dell’amore di Dio; per essere “Dio con noi”. Per questo la profezia aveva detto di lui: “Sarà chiamato Em-manuele”. {GN 8.2}

Venendo a vivere con noi, Gesù avrebbe rivelato Dio agli uomini e agli angeli. Egli era la Parola di Dio, il pensiero dell’essere supremo reso intelligibile. Nella preghiera per i discepoli, egli dirà: “Io ho manifestato il tuo nome agli uomini”. Giovanni 17:6. “Il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà”. Esodo 34:6. “E io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l’amore del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro”. Giovanni 17:26. Ma questa rivelazione non era diretta solo alle creature della terra. {GN 8.3}

Il nostro piccolo mondo è il libro di testo dell’universo. Il piano meraviglioso della grazia di Dio, il mistero dell’amore redentore sono il tema in cui “gli angeli bramano penetrare con i loro sguardi” (1 Pietro 1:12); esso sarà il loro soggetto di studio per tutta l’eternità. Gli esseri redenti, insieme con quelli che non hanno mai peccato, troveranno nella croce di Cristo il loro soggetto di studio e il loro motivo di gioia. Si vedrà che la gloria che brilla sul volto di Gesù è quella dell’amore che si sacrifica. Il Calvario insegna che l’amore, pronto alla rinuncia, è la legge di vita della terra e del cielo; che l’amore il quale “non cerca il proprio interesse” (1 Corinzi 13:5) ha la sua fonte nel cuore di Dio, e che il Maestro umile e mansueto manifesta il carattere di colui che vive nella luce e che nessun uomo può vedere. {GN 8.4}

Nel principio, tutte le cose create erano una rivelazione di Dio. Cristo ha disteso i cieli e ha posto le fondamenta della terra. La sua mano ha collocato i mondi nello spazio e ha formato i fiori dei campi. “Con il suo vigore egli rese saldi i monti”; “suo è il mare perch’egli l’ha fatto”. Salmi 65:6; 95:5. Grazie a Cristo la terra si è riempita di bellezza e il cielo di canti. Su tutte le cose, in terra e in cielo, egli ha scritto il messaggio dell’amore del Padre. {GN 8.5}

Sebbene il peccato abbia alterato l’opera perfetta di Dio, quel messaggio rimane vivo. Tuttora il creato proclama la gloria della sua magnificenza. Nulla, eccetto il cuore egoistico dell’uomo, vive solo per sé. Né l’uccello che fende l’aria, né l’animale che si muove sul terreno: tutti si rendono utili ad altre vite. Non vi è foglia della foresta o umile filo d’erba che non svolga il suo compito. Ogni albero, arbusto o foglia elabora e trasmette quegli elementi di vita senza i quali non potrebbero sussistere né uomini né animali. Questi, a loro volta, contribuiscono alla vita degli alberi, degli arbusti e delle foglie. I fiori emanano il loro profumo e offrono la loro bellezza in benedizione per il mondo. Il sole diffonde la sua luce e allieta i mondi; l’oceano, fonte di tutte le nostre sorgenti, riceve i corsi d’acqua da ogni terra; ma prende per dare. Il vapore acqueo ricade sotto forma di pioggia sulla terra per renderla fertile. {GN 9.1}

Gli angeli gloriosi provano gioia nel dare; offrono amore e instancabile servizio a uomini decaduti ed empi. Le creature del cielo fanno appello al cuore umano; portano in questo mondo oscuro la luce del cielo; con un servizio amorevole e paziente, operano per condurre uomini e donne alla comunione con Cristo, il quale è più vicino a loro di quanto non se ne rendano conto. {GN 9.2}

Ma oltre a queste manifestazioni minori, possiamo contemplare Dio nella persona di Gesù. Guardandolo, scorgiamo la gloria del Padre. Cristo ha detto: “Non faccio nulla da me”. “Il vivente Padre mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre”. “Io non cerco la mia gloria”, ma “la gloria di colui che l’ha mandato”. Giovanni 8:28; 6:57; 8:50; 7:18. In queste parole è espresso il grande principio che è la legge di vita dell’universo. Il Cristo ha ricevuto tutto da Dio; ma ha preso per dare. Come nel cielo, così è nel suo ministero verso tutte le creature. Tramite il diletto Figlio, la vita del Padre si riversa su tutti; sempre per mezzo suo, essa ritorna in un servizio traboccante di lode e di gioia, simile a una grande corrente d’amore, fino alla sorgente di tutte le cose. Così, attraverso Cristo, si completa il circolo del bene, manifestazione del carattere del grande Donatore, espressione della legge della vita. {GN 9.3}

Questa legge venne infranta nel cielo stesso. Il peccato è nato dall’egoismo. Lucifero, il cherubino protettore, desiderò essere il primo in cielo. Cercò di ottenere il controllo degli angeli, di allontanarli dal Creatore, di accaparrarsi la loro considerazione. Perciò calunniò Dio, addossandogli il desiderio dell’esaltazione di sé; cercò di attribuire all’amorevole Creatore le proprie caratteristiche malvagie. In questo modo ingannò gli angeli e poi gli uomini che indusse a dubitare della Parola di Dio e a diffidare della sua bontà. Siccome Dio è giusto e grande in maestà, Satana lo dipinse ai loro occhi come severo e spietato. Nello stesso modo trascinò gli uomini a unirsi a lui nella ribellione contro Dio, e una notte di dolore scese sul mondo. La terra era nelle tenebre perché non comprendeva Dio. Perché le cupe ombre fossero rischiarate e il mondo si riconciliasse con Dio, occorreva che la potenza ingannatrice di Satana fosse infranta. Ma ciò non poteva avvenire con la forza. L’uso della forza è contrario ai princìpi del governo di Dio, il quale accetta solo un servizio d’amore; e questo non può essere imposto; non può venir conquistato con la forza o con l’autorità. Solo l’amore suscita amore. Conoscere Dio significa amarlo. Si doveva manifestare il suo carattere che è l’opposto di quello di Satana: un solo essere in tutto l’universo avrebbe potuto farlo. Solo colui che conosceva la profondità e l’altezza dell’amore di Dio avrebbe potuto farlo conoscere. Allora sull’oscura notte del mondo sarebbe sorto il Sole di giustizia. “Ma per voi che avete timore del mio nome spunterà il sole della giustizia, la guarigione sarà nelle sue ali”. Malachia 4:2. {GN 9.4}

Il piano per la nostra redenzione non fu un ripiego, concepito dopo la caduta di Adamo. Esso è la rivelazione “del ministero che fu tenuto nascosto fin dai tempi più remoti” (Romani 16:25), la manifestazione dei princìpi che sono alla base del governo di Dio sin dall’eternità. Fin dal principio, il Padre e il Figlio sapevano che si sarebbe verificata l’apostasia di Satana e la caduta dell’uomo a causa delle sue tentazioni e dei suoi inganni. Dio non aveva voluto l’esistenza del peccato, ma in anticipo aveva previsto i mezzi per affrontare questa terribile situazione di emergenza. Era così grande il suo amore per il mondo, che egli offrì il suo unico Figlio, “affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”. Giovanni 3:16. {GN 10.1}

Lucifero aveva detto: “Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio... sarò simile all’Altissimo”. Isaia 14:13, 14. Invece Cristo “essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini”. Filippesi 2:6, 7. {GN 10.2}

Si trattò di un sacrificio volontario. Gesù sarebbe potuto rimanere con il Padre, conservando la gloria del cielo e l’omaggio degli ange li. Ma scelse di rimettere lo scettro nelle mani di Dio, di scendere dal trono dell’universo per diffondere la luce fra coloro che vivevano nelle tenebre e assicurare la vita a quelli che morivano. {GN 10.3}

Circa duemila anni fa si udì in cielo, dal trono di Dio, una dichiarazione dal contenuto misterioso: “Ecco, vengo”. “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo... Ecco, vengo (nel rotolo del libro è scritto di me) ‘per fare, o Dio, la tua volontà’”. Ebrei 10:5-7. In queste parole si annuncia l’adempimento del piano che era stato previsto fin dall’eternità. Cristo stava per venire nel nostro mondo, per incarnarsi. Egli dice: “Mi hai preparato un corpo”. Versetto 5. Se fosse apparso con la gloria che aveva prima dell’esistenza del mondo, non avremmo potuto sopportare la luce della sua presenza. La manifestazione della sua gloria fu velata, perché potessimo contemplarla senza esserne annientati. La sua divinità fu velata dall’umanità, la gloria invisibile nella forma umana visibile. {GN 11.1}

Questo grande piano era stato rivelato in parte mediante tipi e simboli. Il pruno ardente, nel quale Cristo apparve a Mosè, rivelava Dio. Come simbolo della divinità fu scelto un semplice arbusto privo di attrattive. Esso simboleggiava l’Infinito. Dio misericordioso manifestò la sua gloria con uno dei simboli più modesti affinché Mosè potesse guardarla e vivere. Dio comunicò con Israele, facendo conoscere la sua volontà e infondendo la sua grazia, con la nuvola di giorno e la colonna di fuoco la notte. La gloria di Dio fu attenuata e la sua maestà velata, affinché l’uomo potesse contemplarla. Così Cristo venne nel “corpo della nostra umiliazione”, “divenendo simile agli uomini”. Filippesi 3:21; 2:7. {GN 11.2}

Per il mondo non aveva attrattive tali da suscitare ammirazione; tuttavia era Dio incarnato, la luce del cielo sulla terra. La sua gloria fu velata, la sua grandezza e maestà nascoste, perché potesse avvicinarsi all’uomo tentato e infelice. {GN 11.3}

Dio ordinò agli israeliti: “Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro”. Esodo 25:8. Egli abitò nel santuario, in mezzo al suo popolo. Il simbolo della sua presenza fu sempre con i suoi, durante tutte le loro peregrinazioni nel deserto. Così Cristo vive in mezzo agli uomini. Pianta la sua tenda accanto alle nostre, per stare con noi e farci conoscere il suo carattere e la sua vita. {GN 11.4}

“E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre”. Giovanni 1:14. {GN 11.5}

Poiché Gesù è venuto a vivere con noi, noi sappiamo che Dio conosce le nostre lotte e simpatizza con i nostri dolori. Tutti, figli e figlie di Adamo, possono capire che il nostro Creatore è l’amico dei peccatori. In ogni insegnamento della grazia, in ogni promessa di felicità, in ogni atto di amore, in ogni aspetto della vita del Salvatore su questa terra possiamo infatti scorgere “Dio con noi”. {GN 11.6}

Satana presenta la legge d’amore di Dio come una legge di egoismo. Afferma che per noi è impossibile ubbidire ai suoi comandamenti. Attribuisce la caduta dei nostri progenitori, con tutte le sofferenze che ne sono scaturite, al Creatore e convince gli uomini a considerare Dio come l’autore del peccato, della sofferenza e della morte. Gesù doveva svelare quest’inganno; doveva dare, come uomo, un esempio di ubbidienza. Per questo assunse la nostra natura e passò attraverso le nostre esperienze. “Perciò, egli doveva diventare simile ai suoi fratelli in ogni cosa”. Ebrei 2:17. Se dovessimo sopportare qualche prova che Cristo non ha sopportato, allora Satana direbbe che su questo punto la potenza di Dio è insufficiente per noi. Ma Cristo “è stato tentato come noi in ogni cosa”. Ebrei 4:15. Egli sopportò tutte le prove alle quali noi siamo esposti. Non si servì di alcun potere che non sia stato liberamente concesso anche a noi. Fu tentato come uomo, e vinse con la forza ricevuta da Dio. Gesù afferma: “Dio mio, desidero fare la tua volontà, la tua legge è dentro il mio cuore”. Salmi 40:8. Quando andava da un villaggio a un altro facendo del bene, guarendo tutti quelli che erano tormentati da Satana, egli manifestò agli uomini la natura della legge di Dio e il tipo di servizio che stava compiendo. La sua vita attesta che anche per noi è possibile ubbidire alla legge divina. {GN 12.1}

Con la sua umanità Cristo si è unito agli uomini, mentre con la sua divinità siede sul trono di Dio. Come Figlio dell’uomo ci ha dato un esempio di ubbidienza; come Figlio di Dio ci rende capaci di ubbidire. Fu Cristo a parlare a Mosè dal roveto del monte Horeb e a dire: “Io sono colui che sono... Dirai così ai figli d’Israele: L’Io Sono m’ha mandato da voi”. Esodo 3:14. Questa era la garanzia della liberazione d’Israele. Così, quando egli venne “simile agli uomini”, si presentò come l’Io sono. Il bambino di Betlemme, il mansueto e umile Salvatore è Dio “manifestato in carne”. 1 Timoteo 3:16. A noi dice: “Io sono il buon pastore”. “Io sono il pane vivente”. “Io sono la via, la verità e la vita”. “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra”. Giovanni 10:11; 6:51; 14:6; Matteo 28:18. Io sono la certezza di ogni promessa. Non abbiate paura. Io sono. “Dio con noi” è la garanzia della nostra liberazione dal peccato, la certezza che possiamo ubbidire alla legge del cielo. {GN 12.2}

Abbassandosi per diventare uomo, Cristo ha manifestato un carattere opposto a quello di Satana. Ma egli scese ancora di più verso il sentiero dell’umiliazione. “Trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce”. Filippesi 2:8. Come il sommo sacerdote deponeva i suoi splendidi paramenti e officiava con la veste di lino bianco come un semplice sacerdote, così Cristo ha preso la forma di un servo e ha offerto un sacrificio in cui è sacerdote e vittima insieme. {GN 12.3}

“Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui”. Isaia 53:5. {GN 13.1}

Gesù è stato trattato come noi meritiamo, affinché possiamo ricevere il trattamento che egli merita. Egli è stato condannato per i nostri peccati, senza avervi partecipato, affinché potessimo ottenere la giustificazione in virtù della sua giustizia, senza avervi preso parte. Egli subì la morte che era nostra, affinché potessimo ricevere la vita che era sua. “Mediante le sue lividure noi siamo stati guariti”. Versetto 5. {GN 13.2}

Con la sua vita e con la sua morte, Cristo ha più che rimediato al danno prodotto dal peccato. L’obiettivo di Satana era creare una separazione eterna fra Dio e l’uomo; ma in Cristo noi possiamo unirci a Dio più intimamente di come avremmo potuto fare se non fossimo mai caduti. Prendendo la nostra natura, il Salvatore ha attratto a sé l’umanità con un legame che non potrà mai essere infranto. Per tutta l’eternità rimarrà unito a noi. “Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio”. Giovanni 3:16. Egli lo ha scelto non solo per portare i nostri peccati e per morire come nostro sacrificio, ma lo ha offerto alla stirpe umana decaduta. Dio ha dato il suo unigenito Figlio come prova della sua immutabile intenzione riconciliatrice, per farlo entrare nella famiglia umana e fargli conservare in eterno la natura umana. È questa la garanzia che Dio adempirà la sua Parola. “Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle”. Isaia 9:5. Dio ha adottato la natura umana nella persona del Figlio e l’ha portata in cielo. È il “Figlio dell’uomo” che condivide il trono dell’universo. È lui che sarà chiamato “Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace”. Versetto 5. L’Io sono, nell’atto in cui li riconcilia, è il mediatore fra Dio e l’umanità. Egli, che è “santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori”, non si vergogna di chiamarci fratelli. Ebrei 7:26; cfr. 2:11. In Cristo la famiglia della terra e quella del cielo si riuniscono. Cristo nella gloria è nostro fratello. Il cielo è compreso nell’umanità, e l’umanità è racchiusa nell’Amore infinito. {GN 13.3}

Del suo popolo Dio ha detto: “Poiché saranno come pietre d’un diadema, che rifulgeranno sulla sua terra. Poiché, come sarà buono, come sarà bello! Il grano farà crescere i giovani e il mosto le vergini”. Zaccaria 9:16, 17. L’elevazione dei redenti sarà una testimonianza eterna della misericordia di Dio. “Per mostrare nei tempi futuri l’immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù”. “Affinché i principati e le potenze nei luoghi celesti conoscano oggi, per mezzo della chiesa, la infinitamente varia sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che egli ha attuato mediante il nostro Signore, Cristo Gesù”. Efesini 2:7; 3:10, 11. {GN 13.4}

Il governo di Dio viene riconosciuto giusto grazie all’opera redentrice di Cristo. L’Onnipotente viene presentato come Dio d’amore. Le accuse di Satana sono confutate e il suo vero carattere viene svelato. La ribellione non scoppierà un’altra volta; il peccato non può riapparire nell’universo; in futuro non vi sarà più il pericolo dell’apostasia. Grazie al sacrificio dettato dall’amore, gli abitanti della terra e del cielo sono legati al loro Creatore con vincoli indissolubili. {GN 14.1}

L’opera della redenzione sarà completata. Dove il peccato è abbondato, la grazia di Dio sovrabbonderà. La terra stessa, che Satana pretende come sua, deve essere non solo riscattata, ma innalzata. Il nostro piccolo mondo contaminato dal peccato, unica macchia nella gloriosa creazione divina, sarà onorato in tutti gli altri mondi dell’universo. Quaggiù, dove il Figlio di Dio è diventato uomo, dove il Re della gloria è vissuto, ha sofferto ed è morto; quaggiù, quando egli renderà nuove tutte le cose, il tabernacolo di Dio sarà in mezzo agli uomini, “egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio”. Apocalisse 21:3. Per sempre, i redenti cammineranno nella luce del Signore lodandolo per il suo dono meraviglioso: Emmanuele, “Dio con noi”. {GN 14.2}

Capitolo 2: Il popolo eletto

Per più di mille anni gli israeliti avevano atteso la venuta del Salvatore, riponendo in quest’evento le loro più radiose speranze. Avevano espresso il nome del Redentore nel canto, nelle profezie, nei riti del tempio e nelle preghiere in famiglia. Eppure, alla sua venula, non lo riconobbero. Il Figlio di Dio era per loro “come una radice che esce da un arido suolo; non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci”. Isaia 53:2. “È venuto in casasua e i suoi non l’hanno ricevuto”. Giovanni 1:11. {GN 15.1}

Tuttavia, Dio aveva scelto Israele perché mantenesse tra gli uo mini la conoscenza della sua legge, dei simboli e delle profezie che annunciavano il Salvatore. Egli voleva che gli israeliti fossero per il mondo fonte di salvezza. II popolo ebraico aveva, fra gli altri popo li, il compito che Abramo aveva avuto nella terra delle sue peregri nazioni, Giuseppe in Egitto, Daniele alla corte di Babilonia: rivelare Dio agli uomini. {GN 15.2}

Nel chiamare Abramo, il Signore gli aveva detto: “Ti benedirò... e tu sarai fonte di benedizione... e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra”. Genesi 12:2, 3. Lo stesso insegnamento fu ripetuto tramite i profeti. Le promesse rimasero valide anche dopo che il territorio di Israele era stato devastato dalla guerra e il popolo deportato. “Il resto di Giacobbe sarà, in mezzo a m olti popoli, come una rugiada che vien dal Sigxore, come una pioggia sull’erba, che non aspettano ordine d’uomo e non dipendono dai figli degli uomini”. Michea 5:6. Del tempio di Gerusalemme, il Signore aveva dichiarato mediante Isaia: “La mia casa sarà chiamata una casa di preghiera per tutti i popoli”. Isaia 56:7. {GN 15.3}

Ma gli israeliti rivolsero le loro speranze verso la grandezza terrena. Sin dal tempo del loro ingresso nella terra di Canaan si erano allontanati dai comandamenti di Dio per seguire i costumi dei pagani. Furono inutili gli ammonimenti divini annunciati dai profeti. Invano essi subirono l’oppressione da parte dei popoli pagani. A ogni riforma seguì nuovamente Fapostasia. {GN 15.4}

Dio, se gli israeliti fossero stati fedeli, avrebbe adempiuto il suo piano grazie al loro spirito di consacrazione. Se avessero ubbidito, egli li avrebbe resi eccelsi “al di sopra di tutte le nazioni che ha fatte, quanto a gloria, rinomanza e splendore”. “Tutti i popoli della terra” dice Mosè “vedranno che tu porti il nome del Signore, e ti temeranno”. Le nazioni, “udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: ‘Questa grande nazione è il solo popolo savio e intelligente!’” Deuteronomio 26:19; 28:10; 4:6. Ma a causa della loro infedeltà, il piano di Dio veniva realizzato solo attraverso continue difficoltà e umiliazioni. {GN 15.5}

Gli israeliti furono deportati a Babilonia e dispersi fra i popoli pagani. Nel dolore, molti rinnovarono la loro fedeltà al patto di Dio. Mentre le loro arpe erano appese ai salici, mentre erano tristi per il tempio in rovina, la luce della verità brillò tramite loro e la conoscenza di Dio si diffuse tra le nazioni. Il sistema pagano dei sacrifici era una degenerazione di quello indicato da Dio; molti pagani sinceri impararono dagli ebrei il significato del servizio divinamente ispirato e con fede accolsero la promessa del Redentore. {GN 16.1}

Molti fra gli esiliati affrontarono la persecuzione. Non pochi persero la vita perché rifiutarono di trasgredire il sabato e osservare le festività pagane. Quando gli idolatri insorsero per soffocare la verità, il Signore condusse i suoi figli di fronte ai re e ai capi, perché insieme ai loro popoli beneficiassero della conoscenza di Dio. Ripetutamente i più grandi sovrani furono indotti a proclamare la superiorità di quel Dio che i loro prigionieri ebrei adoravano. {GN 16.2}

Durante la deportazione babilonese, gli israeliti guarirono completamente dal peccato dell’adorazione delle immagini. Poi, nei secoli successivi, soffrirono per l’oppressione da parte di nemici pagani, finché non si convinsero pienamente che la loro prosperità dipendeva dall’ubbidienza alla legge di Dio. Ma in molti l’ubbidienza non aveva come movente l’amore, bensì l’egocentrismo. Offrivano a Dio un servizio esteriore come strumento di una grandezza nazionale. Non divennero la luce del mondo, ma si separarono dal mondo per sfuggire alla tentazione dell’idolatria. Nelle sue istruzioni a Mosè, Dio aveva posto dei limiti ai contatti degli israeliti con gli idolatri; ma tutto ciò era stato frainteso. Il Signore voleva evitare che il suo popolo si conformasse alle consuetudini dei pagani. Queste indicazioni, invece, servirono per erigere un muro fra Israele e tutte le altre nazioni. I giudei consideravano Gerusalemme come una parte del regno dei cieli, e temevano che il Signore usasse misericordia verso i gentili. {GN 16.3}

Dopo il ritorno da Babilonia, approfondirono gli insegnamenti divini. In tutto il paese furono costruite sinagoghe dove i sacerdoti e gli scribi spiegavano la legge; vennero fondate scuole per insegnare, in sieme alle arti e alle scienze, anche i princìpi della giustizia. Ma tutte queste istituzioni persero la loro identità. Durante la deportazione molti avevano accolto idee e costumi pagani che vennero introdotti anche nel servizio religioso. In molti casi si conformarono alla condotta degli idolatri. {GN 16.4}

Allontanandosi da Dio, gli ebrei persero di vista gran parte degli insegnamenti del servizio religioso stabilito da Cristo stesso, che in ogni sua parte era il simbolo della sua missione ed era ricco di vitalità e di bellezza spirituali. Ma gli ebrei trascurarono il significato spirituale delle cerimonie e si interessarono solo alle forme. Riposero la loro fiducia nei sacrifici e nelle prescrizioni, invece di rivolgersi a colui che vi veniva presentato. Per compensare ciò che avevano perso, i sacerdoti e i rabbini moltiplicarono le richieste della legge, che più diventavano rigide, meno manifestavano l’amore di Dio. Misurarono la loro santità in base al numero delle cerimonie, mentre i loro cuori traboccavano di orgoglio e ipocrisia. {GN 17.1}

Con le minute e gravose imposizioni di questi capi religiosi, osservare la legge diventava impossibile. Coloro che desideravano servire Dio, e cercavano di osservare i precetti dei rabbini, si addossavano un carico pesante. Non riuscivano a trovare pace dalle accuse di una coscienza turbata. Satana agiva così perché il popolo si scoraggiasse, la sua concezione del carattere di Dio si impoverisse e la fede d’Israele venisse disprezzata. In questo modo egli sperava di dimostrare che l’accusa pronunciata quando si ribellò nel cielo, secondo la quale le richieste di Dio erano ingiuste ed era impossibile osservarle, era corretta. Perfino Israele, affermava, non aveva osservato la legge. {GN 17.2}

Gli ebrei desideravano la venuta del Messia, ma non si erano fatti un’idea esatta della sua missione. Essi non cercavano la redenzione dal peccato, ma la liberazione dai romani. Speravano in un Messia liberatore, capace di infrangere la potenza degli oppressori e conferire a Israele un dominio universale. In questo modo si preparavano a respingere il Salvatore. {GN 17.3}

Al tempo della nascita di Cristo, la nazione era oppressa da dominatori stranieri e tormentata da lotte interne. Agli ebrei era stato permesso di conservare la forma di un governo autonomo, ma niente poteva nascondere la realtà del giogo romano o poteva conciliarli con questo regime. I romani rivendicavano il diritto di nomina e destituzione del sommo sacerdote. Quel posto era spesso acquisito con la frode, la corruzione e anche il crimine. Così il sacerdozio divenne sempre più corrotto. I sacerdoti conservavano ancora una gran de autorità, ma la usavano per fini egoistici e venali. Il popolo doveva sottostare alle loro esose richieste come pure alle pesanti tasse dei romani. Per questa situazione il malcontento era generale. Le sollevazioni popolari si ripetevano. Rivolte e violenza, sospetto e apatia spirituale stavano minando il cuore della nazione. {GN 17.4}

L’odio verso i romani, l’orgoglio nazionale e religioso condussero ancora gli ebrei ad aderire rigorosamente alle loro forme di adorazione. I sacerdoti cercarono di conservare una reputazione di santità con la cura scrupolosa nelle cerimonie religiose. Il popolo, oppresso e privo di conoscenza, e i capi assetati di potere aspettavano la venuta di colui che avrebbe sconfitto i loro nemici e restituito il regno a Israele. Essi avevano studiato le profezie ma non avevano una vera visione spirituale. Avevano trascurato quelle che parlano dell’umiliazione di Cristo nella prima venuta e frainteso quelle della gloria del suo ritorno. Era l’orgoglio che ispirava questa loro visione. Interpretarono le profezie secondo i loro desideri egoistici. {GN 18.1}

Capitolo 3: “La pienezza dei tempi”

“Ma quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio. per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione”. Galati 4:4, 5. {GN 19.1}

La venuta del Salvatore fu preannunciata nell’Eden ad Adamo ed Eva che, appena udirono la promessa, sperarono in un suo immediato adempimento. Con gioia accolsero il loro primogenito, sperando che fosse già il liberatore. Ma l’adempimento tardava. Coloro che per primi avevano ricevuto la promessa morirono senza vederne l’adempimento. Sin dai tempi di Enoc, essa venne però ripetuta ai patriarchi e ai profeti e mantenne viva la speranza nella venuta del Liberatore, però non giunse. La profezia di Daniele rivelava, è vero, il tempo della sua venuta, ma non tutti la interpretarono correttamente. I secoli passarono e la voce dei profeti tacque. La mano degli oppressori pesava su Israele e molti erano pronti a esclamare: “Passano i giorni e ogni visione si è dimostrata vana”. Ezechiele 12:22. {GN 19.2}

Ma i piani di Dio non conoscono né fretta né ritardi, come le stelle nelle loro ampie orbite. Dio, mediante il simbolo della fornace fumante e della fiamma di fuoco, aveva rivelato ad Abramo che Israele sarebbe stato schiavo in Egitto e vi sarebbe rimasto quattrocento anni: “e, dopo questo,” aveva aggiunto “se ne partiranno con grandi ricchezze”. Genesi 15:14. Tutta la potenza dell’orgoglioso impero faraonico si era scatenata inutilmente per impedire l’adempimento di questa profezia. “Al termine dei quattrocentotrent’anni, proprio il giorno che finivano, tutte le schiere del Signore uscirono dal paese d’Egitto”. Esodo 12:41. Nello stesso modo, in cielo, era stata fissata l’ora della venuta di Cristo. Quando il grande orologio segnò quell’ora, Gesù nacque a Betlemme. {GN 19.3}

“Ma quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio”. Il Signore aveva diretto la storia delle nazioni, il corso delle tendenze e degli influssi, finché il mondo non fu maturo per la venuta del Liberatore. I popoli erano uniti sotto un solo governo. Si parlava ampiamente una sola lingua, riconosciuta ovunque come lingua letteraria. {GN 19.4}

Da tutti i paesi della diaspora, gli ebrei si riunivano a Gerusalemme per le feste annuali. Tornando nei luoghi di residenza, potevano diffondere la notizia della venuta del Messia. Il paganesimo stava perdendo il suo influsso sul popolo. Gli uomini, stanchi di forme vuote e favole, desideravano una religione che potesse soddisfare le aspirazioni più profonde. Mentre sembrava che la luce della verità si allontanasse da loro, alcuni erano assetati di certezze e, immersi nell’angoscia e nel dolore, volevano conoscere il Dio vivente e avere la sicurezza di una vita futura. {GN 20.1}

Da quando gli ebrei si erano allontanati da Dio, la loro fede si era affievolita ed era svanita la speranza. Le parole dei profeti non erano più comprese. Per il popolo la morte era un mistero terribile; l’aldilà evocava incertezza e malinconia. Il profeta udì attraverso i secoli non solo il lamento delle madri di Betlemme, ma anche il grido del cuore dell’umanità, il grido udito in Rama, “un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di esser consolata, perché non sono più”. Matteo 2:18. “Nel paese dell’ombra della morte” gli uomini erano disperati. Aspettavano ansiosamente la venuta del Liberatore che avrebbe fugato i loro dubbi e svelato il mistero del futuro. {GN 20.2}

Al di fuori del popolo d’Israele, altri uomini avevano predetto la venuta di un Maestro divino. A questi ricercatori della verità fu concesso lo Spirito. Uno dopo l’altro erano sorti, come stelle nel cielo oscuro. I loro annunci profetici avevano acceso la speranza nel cuore di migliaia di gentili. {GN 20.3}

Già da molti anni le Scritture erano state tradotte in greco, lingua allora largamente conosciuta in tutto l’impero romano. Gli ebrei erano dispersi ovunque, e la loro attesa della venuta del Messia era in qualche modo condivisa anche dai pagani. Alcuni di quelli che gli ebrei chiamavano pagani comprendevano meglio di certi maestri d’Israele le profezie delle Scritture relative a questa venuta. Lo aspettavano come il Liberatore dal peccato. Alcuni filosofi studiarono l’organizzazione del culto ebraico, ma il fanatismo degli ebrei ostacolava il diffondersi della verità. Preoccupati di distinguersi dalle altre nazioni, non erano disposti a trasmettere le loro conoscenze del servizio simbolico. Il vero interprete doveva venire: egli avrebbe spiegato il significato di tutti quei tipi e simboli che si riferivano proprio a lui. {GN 20.4}

Dio aveva parlato al mondo mediante la natura, i tipi e i simboli, i patriarchi e i profeti. Gli uomini, infatti, vanno istruiti nel loro linguaggio. Colui che aveva stabilito il patto avrebbe parlato e la sua voce sarebbe stata udita nel suo tempio. Cristo avrebbe pronunciato parole chiare e pienamente comprensibili a tutti. Egli, autore del la verità, l’avrebbe separata dagli insegnamenti umani che l’avevano offuscata. I princìpi del governo di Dio e il piano della redenzione sarebbero stati enunciati chiaramente e le lezioni dell’Antico Testamento presentate integralmente all’attenzione degli uomini. {GN 20.5}

Fra gli ebrei, però, alcuni erano sinceri e discendevano da quella progenie santa che aveva conservato la conoscenza di Dio. Essi speravano ancora nella promessa fatta ai padri e rafforzavano la loro fede con le parole di Mosè: “Il Signore Dio vi susciterà in mezzo ai vostri fratelli un profeta come me; ascoltatelo in tutte le cose che vi dirà”. Atti 3:22. {GN 21.1}

Sapevano che il Signore avrebbe unto un suo servitore “per recare una buona notizia agli umili... per proclamare l’anno di grazia del Signore”. Isaia 61:1, 2. Conoscevano anche le profezie che annunciavano lo stabilirsi della giustizia sulla terra, che parlavano delle popolazioni lontane che avrebbero atteso la sua legge, e delle nazioni e dei re che avrebbero camminato verso la sua luce, attratti dalla sua splendida aurora. Cfr. Isaia 42:4; Isaia 60:3. {GN 21.2}

Le parole pronunciate da Giacobbe in punto di morte aprivano il loro cuore alla speranza: “Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né sarà allontanato il bastone del comando dai suoi piedi, finché venga colui al quale esso appartiene e a cui ubbidiranno i popoli”. Genesi 49:10. Il declino politico d’Israele indicava che la venuta del Messia era vicina. La profezia di Daniele descriveva la gloria del suo regno, che doveva succedere a tutti i regni terreni. “Esso” dice il profeta “durerà per sempre”. Daniele 2:44. Pochi compresero la vera natura della missione di Cristo, mentre i più aspettavano un principe potente che avrebbe stabilito il suo trono in Israele e che sarebbe venuto come un liberatore dei popoli. {GN 21.3}

La “pienezza dei tempi” era giunta. L’umanità, corrotta da secoli di peccato, attendeva la venuta del Redentore. Satana era all’opera per rendere il distacco fra terra e cielo profondo e insanabile. Con le sue falsità aveva incitato gli uomini al peccato e si proponeva di sminuire la pazienza e l’amore di Dio, affinché il mondo fosse abbandonato al suo dominio. {GN 21.4}

Egli voleva che la conoscenza di Dio fosse preclusa agli uomini, la loro attenzione distolta dal tempio dell’Eterno, in modo da stabilire il suo regno. La sua lotta per la supremazia sembrava avviata a un pieno successo. Ma Dio, in ogni generazione, ha sempre avuto i suoi fedeli rappresentanti. Anche fra i pagani vi sono stati uomini mediante i quali Cristo ha operato per sollevare la gente dall’oppressione del peccato e dalla degradazione. Ma questi suoi rappresen tanti furono disprezzati e odiati, e molti subirono una morte violenta. L’ombra oscura che Satana aveva gettato sul mondo si allargava sempre di più. {GN 21.5}

Attraverso il paganesimo, Satana aveva allontanato per secoli gli uomini da Dio; ma il suo più grande trionfo lo ottenne pervertendo la fede d’Israele. I pagani, la cui religione era frutto di pura inventiva, si erano allontanati dalla vera conoscenza di Dio per immergersi nella corruzione. Lo stesso era accaduto a Israele. Alla base di ogni religione pagana c’è il principio secondo cui l’uomo può salvarsi con le proprie opere, ed era condiviso anche dalla religione ebraica. Era Satana l’autore di questa concezione. Una volta accettata, per l’uomo non c’è difesa contro il peccato. {GN 22.1}

Il messaggio della salvezza viene trasmesso all’umanità mediante altri uomini. Ma gli ebrei avevano cercato di monopolizzare la verità attraverso la quale si ha la vita eterna. Essi avevano accumulato la manna vivente, che si era corrotta. La religione che cercavano di tenere per sé era divenuta un insulto. Privavano Dio della sua gloria e defraudavano il mondo con un v angelo contraffatto. Si erano rifiutati di consacrarsi a Dio per la salvezza dell’umanità, diventando così agenti di Satana per la sua distruzione. {GN 22.2}

Il popolo, che il Signore aveva chiamato a essere colonna e sostegno della verità, era diventato il rappresentante di Satana. Stava compiendo l’opera di Dio travisandone il carattere e inducendo gli uomini a considerarlo come un tiranno. I sacerdoti avevano perso di vista il significato del servizio che svolgevano nel tempio: la loro attenzione si limitava solo alle forme. Nel presentare i sacrifici, erano come attori sul palcoscenico. Le leggi affidate loro da Dio si ridussero a mezzi per accecare le menti e indurire i cuori. L’Eterno non poteva più operare attraverso questi strumenti; tutto il sistema andava abolito. {GN 22.3}

L’inganno del peccato era giunto al suo culmine. Tutti i mezzi erano stati utilizzati per avvilire lo spirito degli uomini. Con dolore e sgomento il Figlio di Dio guardò questo mondo; con compassione osservò gli uomini ormai vittime della crudeltà di Satana. Ebbe pietà di questi esseri corrotti, depravati e perduti. Si erano scelti un capo che li trascinava incatenati al suo carro. In preda allo smarrimento e agli inganni si muovevano in processione malinconica verso la rovina eterna, la morte senza speranza, la notte senza mattino. Gli agenti di Satana avevano preso possesso degli uomini; gli esseri umani, creati a immagine di Dio, erano diventati dimora dei demoni. I nervi, i sensi, i sentimenti e gli organi degli uomini erano guidati da agen ti soprannaturali all’indulgenza nei confronti delle più basse passioni. Nella loro fisionomia erano impressi i tratti dei demoni. I volti riflettevano le espressioni delle legioni di esseri malefici da cui erano posseduti. Ecco il quadro che si presentò agli occhi del nostro Redentore. Quale spettacolo per colui che è purezza infinita! {GN 22.4}

Il peccato era diventato una scienza e il vizio era entrato a far parte della religione. La rivolta aveva affondato le sue radici nel cuore e l’ostilità dell’uomo verso il cielo era diventata violentissima. Questa, per tutto l’universo, era la prova che l’umanità lontana da Dio non poteva elevarsi. Colui che aveva creato il mondo doveva infondervi nuovamente vita e potenza. {GN 23.1}

Gli esseri dell’universo si aspettavano che Dio si decidesse a distruggere gli abitanti della terra. Ma, se l’avesse fatto, Satana avrebbe cercato di realizzare il suo piano per legare a sé gli altri esseri celesti. Egli aveva dichiarato infatti che i princìpi su cui si basa il regno di Dio rendono impossibile il perdono. Se il mondo fosse stato distrutto, avrebbe affermato che le sue accuse contro Dio erano vere. Era pronto a criticare Dio e a diffondere negli altri mondi il suo spirito di ribellione. Ma Dio, invece di distruggere la terra, inviò suo Figlio a salvarla. Così veniva provveduta una salvezza per questo mondo ribelle. Nell’ora più difficile della crisi, quando sembrava che Satana stesse per trionfare, il Figlio di Dio venne come ambasciatore della grazia del cielo. L’amore di Dio si era sempre manifestato nei confronti del genere umano perduto, durante tutte le età, in ogni momento; nonostante la corruzione degli uomini, la sua misericordia si era continuamente rivelata. E quando venne “la pienezza dei tempi”, la divinità fu glorificata con l’effusione, nel mondo, di un’abbondante grazia che non conoscerà né ostacoli né interruzioni Ano a quando il piano della salvezza non sarà interamente compiuto. {GN 23.2}

Satana esultava perché era riuscito a cancellare nell’umanità l’immagine del creatore. Allora venne Gesù per ripristinare nell’uomo l’immagine del suo Creatore. Nessuno, al di fuori di Cristo, avrebbe potuto ristabilire il carattere corrotto dal peccato. Egli venne per cacciare i demoni che avevano preso possesso della volontà dell’uomo. Venne per sollevarci dalla polvere, per rimodellare, secondo il suo esempio, il nostro carattere ormai deformato dal peccato e per elevarlo con la sua gloria. {GN 23.3}

Capitolo 4: “V’è nato un Salvatore”

Il Re di gloria si umiliò profondamente diventando un uomo e vivendo in un ambiente spesso rozzo e ripugnante. Egli velò la sua gloria perché la maestà del suo aspetto non attirasse gli sguardi. Evitò ogni ostentazione. Le ricchezze, gli onori terreni e la grandezza umana non possono salvare un’anima dalla morte, e Gesù volle che gli uomini lo seguissero non per delle attrattive terrene, ma spinti dalla bellezza della verità. Da secoli la profezia aveva descritto il carattere del Messia ed egli voleva essere accettato per la testimonianza della Parola di Dio. {GN 24.1}

Gli angeli, ammirati per il glorioso piano della salvezza, desideravano intensamente vedere in che modo il popolo di Dio avrebbe accolto suo Figlio, rivestito di umanità. Alcuni si diressero verso il paese del popolo eletto. Gli altri popoli credevano nelle favole e adoravano falsi dèi. Questi angeli giunsero invisibili a Gerusalemme e si fermarono accanto ai sacerdoti di Dio, a coloro che stavano spiegando i sacri oracoli. Al sacerdote Zaccaria, che offriva il profumo davanti all’altare, era già stata annunciata l’imminenza della nascita del Messia. Era già nato il precursore, preannunciato dalla profezia e confermato dai miracoli. La notizia della sua nascita e il significato straordinario della sua missione erano ormai noti, ma Gerusalemme non si preparava ad accogliere il suo Redentore. {GN 24.2}

I messaggeri divini rimasero amaramente stupiti quando videro l’indifferenza del popolo che Dio aveva chiamato per comunicare al mondo la conoscenza della verità. La nazione ebraica era stata preservata perché il Messia doveva nascere dalla stirpe di Abramo e dalla discendenza di Davide; ma il popolo eletto non si rendeva conto che la sua venuta era ormai imminente. Il sacrificio del mattino e della sera annunciava l’Agnello di Dio, ma nel tempio stesso non ci si preparava a riceverlo. I sacerdoti e i dottori della legge non si accorgevano che stava per compiersi il più grande evento della storia. Ripetevano le loro preghiere inutili e celebravano i loro riti per essere ammirati dagli uomini ma, a causa della brama di ricchezze e onori, non erano pronti ad accogliere il Messia. La stessa indifferenza era diffusa in tutto Israele. Una maggioranza di uomini dal cuore egoista e corrotto non partecipavano alla gioia di tutto il cielo. Solo alcuni desideravano beneficiare della grazia di Dio, e gli angeli proprio a questi si rivolsero. {GN 24.3}

Giuseppe e Maria, nel viaggio dalla loro casa di Nazaret fino alla città di Davide, ebbero come compagni degli angeli. Il decreto con il quale la Roma dei Cesari ordinava il censimento di tutti i suoi sudditi era giunto fino alle colline della Galilea. Come nei tempi antichi Ciro era stato chiamato a dominare il mondo per liberare gli israeliti dalla prigionia, così in quel momento Cesare Augusto attuava il piano divino di condurre a Betlemme la madre di Gesù. Ella appartiene alla stirpe di Davide, e nella città di Davide deve nascere il suo discendente. Da Betlemme, aveva annunciato il profeta, sarebbe uscito il “dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni”. Michea 5:1. Ma Giuseppe e Maria non sono riconosciuti né onorati nella città reale. Stanchi e senza alloggio, percorrono la via stretta e lunga dalla porta della città fino alla sua estremità orientale, cercando invano un posto in cui passare la notte. Nell’albergo affollato non c’è posto per loro; finalmente trovano rifugio in una rozza costruzione che serviva da riparo agli animali. Là nasce il Redentore del mondo. {GN 25.1}

Gli uomini non sanno nulla, ma questa notizia riempie di gioia i cieli, che provano per la terra l’interesse più affettuoso e profondo. Nasce colui la cui presenza illumina l’universo intero. Una schiera di angeli si era radunata sulle colline di Betlemme per proclamare questa notizia. Se i capi d’Israele fossero stati fedeli al loro mandato, anch’essi avrebbero avuto il privilegio di partecipare all’annuncio della nascita del Messia, invece, per la loro insensibilità, vengono messi da parte. {GN 25.2}

Dio dice: “Io infatti spanderò le acque sul suolo assetato e i ruscelli sull’arida terra”. Isaia 44:3. “La luce spunta nelle tenebre per gli onesti”. Salmi 112:4. Fulgidi raggi di gloria, provenienti dal trono di Dio, risplendono su coloro che ricercano la verità e sono disposti ad accoglierla. {GN 25.3}

Nei campi in cui il giovane Davide aveva fatto pascolare le sue greggi, vegliavano dei pastori. Nel silenzio della notte, parlavano del Salvatore promesso e pregavano perché il Re salisse sul trono di Davide: “E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e furono presi da gran timore. L’angelo disse loro: ‘Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore’”. Luca 2:9-11. {GN 25.4}

Queste parole riempirono di visioni di gloria le menti dei pastori stupiti. Era giunto il Liberatore d’Israele! Potenza, grandezza e trionfo si associavano alla sua venuta. Ma l’angelo li prepara a riconoscere il loro Salvatore nell’umiliazione e nella povertà. “E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia”. Versetto 12. {GN 26.1}

Il messaggero divino aveva dissipato il timore dei pastori. Aveva anche detto loro come avrebbero trovato Gesù e, in considerazione della debolezza umana, aveva dato loro il tempo di abituarsi allo splendore divino. Ma la gioia e la gloria non potevano restare nascoste più a lungo, e tutta la pianura risplendeva dello scintillio delle schiere del Signore. La terra tacque e il cielo si raccolse per ascoltare il canto: “Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch’egli gradisce”. Versetto 14. {GN 26.2}

Oh, se gli uomini di oggi sapessero riconoscere quel canto! Quell’annuncio e la melodia che lo accompagnava aumentarono d’intensità fino alle estremità della terra. E quando “spunterà il sole della giustizia, la guarigione sarà nelle sue ali” (Malachia 4:2), una grande folla intonerà ancora questo canto con una voce simile al suono di molte acque e dirà: “Alleluia! Perché il Signore, nostro Dio, l’Onnipotente, ha stabilito il suo regno”. Apocalisse 19:6. {GN 26.3}

Scomparsi gli angeli, la luce lentamente si dileguò e le ombre della notte avvolsero le colline di Betlemme. Ma nella memoria dei pastori rimase impressa l’immagine della più luminosa visione che occhio umano abbia mai potuto contemplare: “Quando gli angeli se ne furono andati verso il cielo, i pastori dicevano tra di loro: Andiamo fino a Betlemme e vediamo ciò che è avvenuto, e che il Signore ci ha fatto sapere”. Luca 2:15. {GN 26.4}

Pieni di gioia, i pastori raccontarono ciò che avevano visto e udito. “E tutti quelli che li udirono si meravigliarono delle cose dette loro dai pastori. Maria serbava in sé tutte queste cose, meditandole in cuor suo. E i pastori tornarono indietro, glorificando e lodando Dio”. Versetti 18-20. {GN 26.5}

Il cielo e la terra non sono oggi più lontani di quanto lo fossero quando i pastori udirono il canto degli angeli. Ancora oggi l’umanità è oggetto delle cure del cielo, come lo era quando uomini di umile condizione avevano il privilegio di incontrarsi con gli angeli a mezzogiorno e conversavano con loro nei campi o nelle vigne. Il cielo può esserci molto vicino anche nelle comuni vicende della vita. Dal cielo, gli angeli accompagnano coloro che ubbidiscono agli ordini di Dio. {GN 26.6}

La storia di Betlemme è un soggetto inesauribile di meditazione. Essa racchiude la “profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio”. Romani 11:33. Il sacrificio del Salvatore, che lascia il trono celeste per una mangiatoia, e la compagnia degli angeli per quella degli animali di una stalla, ci lascia attoniti. Questo sacrificio condanna l’orgoglio e la presunzione umani. Ma era solo all’inizio della sua missione. Prendere la natura umana, anche quella di Adamo che viveva nell’Eden in uno stato di innocenza, rappresentava per il Figlio di Dio l’estrema umiliazione. Eppure Gesù l’accettò, indebolita da quattromila anni di peccato. Come ogni discendente di Adamo egli accettò le conseguenze dell’ereditarietà, che possiamo scorgere nella vita dei suoi antenati terrestri. Così egli venne a condividere i nostri dolori e le nostre tentazioni e a darci l’esempio di una vita immune dal peccato. {GN 27.1}

Satana, quando era in cielo, aveva odiato il Figlio di Dio, geloso della posizione che occupava. Lo aveva odiato quando era stato vinto e cacciato dal cielo. Lo aveva odiato quando si era offerto per la redenzione degli uomini. Dio permise a suo Figlio di venire in un mondo in cui Satana si proclamava Signore, e di venirci come un fanciullo inerme, soggetto a tutte le debolezze. Gli permise di affrontare i pericoli della vita come tutti gli altri uomini, di lottare come avrebbe dovuto fare ogni figlio di Adamo, a rischio di un insuccesso e della perdizione eterna. {GN 27.2}

Il cuore di un padre terreno si commuove per il suo bambino, e contemplandone il visetto trema al pensiero dei pericoli che la vita gli riserva. Ogni padre desidera difendere il suo piccolo dalla potenza di Satana, preservarlo dalle tentazioni e dalle lotte. {GN 27.3}

Dio ha acconsentito a dare il suo Unigenito per un conflitto ben più tremendo e per un rischio molto più grande. Lo ha fatto per assicurare ai nostri piccoli il sentiero della vita. “In questo è l’amore”. Giovanni 4:10. Ammirate, o cieli! E stupisci, o terra! {GN 27.4}

Capitolo 5: La consacrazione

Una quarantina di giorni dopo la nascita di Gesù, Giuseppe e Maria salirono a Gerusalemme per consacrare al Signore il loro Aglio e offrire un sacrificio, secondo una prescrizione della legge. Infatti Cristo, come sostituto dell’uomo, doveva osservare tutta la legge. Alcuni giorni dopo la nascita era stato circonciso. {GN 28.1}

La legge stabiliva che la madre offrisse un agnello di un anno in olocausto e un colombo o una tortora in sacrificio per il peccato. I genitori troppo poveri per offrire un agnello potevano sostituirlo con due colombi: uno in olocausto e l’altro in sacrificio per il peccato. {GN 28.2}

Gli animali da offrire al Signore dovevano essere senza difetti. Essi rappresentavano Cristo che, infatti, fu esente da ogni deformità fisica. Era l’ “agnello senza difetto né macchia”. 1 Pietro 1:19. Non aveva alcun difetto fisico. Il suo corpo era sano e robusto, risultato di una vita conforme ai princìpi della natura. Nel corpo e nello spirito, Cristo attuò l’ideale che Dio aveva stabilito per l’uomo. {GN 28.3}

La consacrazione del primogenito risaliva ai tempi antichi. Dio aveva promesso di dare il Primogenito del cielo per la salvezza dei peccatori e questo dono era riconosciuto da ogni famiglia mediante la consacrazione del primo nato che veniva consacrato al sacerdozio, come rappresentante di Cristo. {GN 28.4}

L’ordine di consacrare i primogeniti fu ripetuto quando Israele uscì dall’Egitto. Mentre i figli d’Israele soffrivano per la schiavitù, Dio inviò Mosè dal faraone per dirgli: “Così dice il Signore: Israele è mio figlio, il mio primogenito, e io ti dico: Lascia andare mio figlio, perché mi serva; se tu rifiuti di lasciarlo andare, ecco, io ucciderò tuo figlio, il tuo primogenito”. Esodo 4:22, 23. {GN 28.5}

L’orgoglioso sovrano rispose a Mosè con queste parole: “Chi è il Signore che io debba ubbidire alla sua voce e lasciare andare Israele”. Esodo 5:2. Dio allora fece segni e prodigi in favore del suo popolo, e colpì il faraone con castighi tremendi. Infine, l’angelo della morte sterminò i primogeniti d’Egitto, sia degli uomini sia degli animali. Per aver salva la vita, gli israeliti dovevano aspergere gli stipiti delle porte di ogni casa con il sangue di un agnello immolato. Vedendo il sangue, l’angelo della morte sarebbe passato oltre. Dopo aver colpito l’Egitto, il Signore disse a Mosè: “Consacrami ogni primogenito. sia tra gli uomini, sia tra gli animali: esso appartiene a me”. Esodo 13:1, 2. “Poiché ogni primogenito è mio; il giorno in cui colpii tutti i primogeniti nel paese d’Egitto, io mi consacrai tutti i primi parti in Israele, tanto degli uomini quanto degli animali; saranno miei: io sono il Signore”. Numeri 3:13. Stabilito il servizio del tabernacolo, il Signore scelse la tribù di Levi perché officiasse al posto dei primogeniti di tutto Israele. Ma si continuò a considerare tutti i primogeniti proprietà del Signore e per loro si doveva pagare un riscatto. {GN 28.6}

La presentazione dei primogeniti ricordava così il modo meraviglioso in cui Dio aveva liberato Israele e nello stesso tempo preannunciava la liberazione più grande che doveva essere compiuta dall’Unigenito Figlio di Dio. Come il sangue dell’agnello pasquale aveva salvato i primogeniti d’Israele, così il sangue di Cristo può salvare il mondo. {GN 29.1}

La presentazione di Gesù al tempio aveva dunque un significato profondo, ma il sacerdote non riuscì a scorgerlo. Ogni giorno venivano presentati nel tempio dei fanciulli. Ogni giorno il celebrante riceveva il prezzo del riscatto. Ogni giorno compiva gli atti richiesti dalla legge, senza fare troppa attenzione ai genitori o al bambino, a meno che non fossero ricchi o di alto rango. Ma Giuseppe e Maria erano poveri. Quando si presentarono al tempio con il bambino, i sacerdoti non videro altro che un uomo e una donna di modeste condizioni, vestiti alla foggia galilea. Nell’aspetto non avevano nulla che attirasse l’attenzione e la loro offerta era quella dei poveri. {GN 29.2}

Il sacerdote, terminati i riti, prese il bambino e lo sollevò davanti all’altare. Poi, dopo averlo restituito alla madre, scrisse il suo nome nel rotolo dei primogeniti: Gesù. Era ben lontano dal pensare di aver tenuto fra le braccia la Maestà del cielo, il Re di gloria, colui di cui Mosè aveva detto: “Il Signore Dio vi susciterà in mezzo ai vostri fratelli un profeta come me; ascoltatelo in tutte le cose che vi dirà”. Atti 3:22. {GN 29.3}

Non pensava certamente di aver tenuto in braccio uno più grande di Mosè, la cui gloria Mosè stesso aveva desiderato contemplare. E quando registrò il nome del bambino, non fece altro che registrare il nome di colui che era il fondamento dell’economia ebraica. Questo nome significava il compimento di tale economia, perché il sistema dei sacrifici e delle offerte stava per tramontare: il tipo si era quasi incontrato con l’antitipo, l’ombra con la realtà. {GN 29.4}

La “Shekinah” cioè la gloria di Dio, aveva abbandonato il santua rio, ma nel bambino di Betlemme vi era la gloria davanti alla quale si prostrano gli stessi angeli. Questo fanciullo era la posterità promessa, annunciata sul primo altare all’uscita dall’Eden, colui che avrebbe portato la pace, colui che parlando con Mosè si era definito l’“Io sono”, che aveva guidato Israele nel deserto con la colonna di nuvole e fuoco, colui che i profeti avevano annunciato da tanto tempo: il Desiderato delle genti, la radice e il rampollo di Davide, la stella lucente del mattino. {GN 29.5}

Il nome di quel bambino indifeso, scritto nel registro d’Israele come uno dei nostri fratelli, era la speranza dell’umanità caduta. Il bambino per il quale era stato pagato il prezzo del riscatto era colui che avrebbe pagato il riscatto per i peccatori di tutto il mondo. Egli era il vero “grande sacerdote sopra la casa di Dio”, il capo di “un sacerdozio che non si trasmette”, l’intercessore che siede “alla destra della Maestà nei luoghi altissimi”. Ebrei 10:21; 7:24; 1:3. {GN 30.1}

Le cose spirituali si comprendono solo attraverso lo Spirito. Mentre nel tempio il Figlio di Dio veniva consacrato per la missione che doveva compiere, il sacerdote non vide in lui che un fanciullo come tutti gli altri. Ma, benché non vedesse né sentisse niente di eccezionale, pure l’atto con il quale Dio aveva dato suo Figlio al mondo non mancò di un riconoscimento. Quest’occasione non passò inosservata. “Vi era in Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest’uomo era giusto e timorato di Dio, e aspettava la consolazione d’Israele; lo Spirito Santo era sopra di lui; e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore”. Luca 2:25, 26. {GN 30.2}

Entrando nel tempio, Simeone scorge una famiglia povera. Avverte però, grazie allo Spirito, che quel primogenito è la “consolazione d’Israele”, che egli ha desiderato tanto vedere. Al sacerdote stupito, il vegliardo appare come rapito in estasi. Simeone prende il bimbo fra le braccia, e tutto pervaso da una gioia mai provata lo presenta a Dio. Alzando verso il cielo il bambino, esclama: “Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”. Versetti 29-32. {GN 30.3}

Quell’uomo era animato dallo Spirito di profezia, e mentre Maria e Giuseppe meditavano sulle sue parole, pronunciò su loro una benedizione e disse alla madre: “Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione (e a te stessa una spada trafiggerà l’anima), affinché i pensieri di molti cuori siano svelati”. Versetti 34, 35. Anche Anna, una profetessa, confermò la testimonianza di Simeone. Mentre egli parlava, il viso della donna risplendeva della gloria divina e le labbra esprimevano la gratitudine del cuore per aver potuto contemplare Cristo, il Signore. {GN 30.4}

Questi umili adoratori non avevano studiato invano le profezie; i capi e i sacerdoti invece non camminavano nelle vie di Dio — sebbene le profezie divine fossero anche per loro — e i loro occhi non potevano contemplare la luce della vita. {GN 31.1}

Lo stesso accade ai nostri giorni. Le autorità religiose e coloro che adorano nella casa di Dio non si accorgono di eventi sui quali si concentra l’attenzione di tutto il cielo. Gli uomini rendono omaggio a Cristo storico, ma si ritraggono da quello vivente. Cristo non è accettato nel suo insegnamento che invita alla rinuncia; non è accettato nei poveri e nei sofferenti che implorano soccorso; non è accettato in una causa giusta che può comportare povertà e rimproveri; non è accettato oggi più prontamente di quanto non lo fosse alla sua nascita a Betlemme. {GN 31.2}

Maria meditava sulle parole profetiche di Simeone. Guardando il piccolo chino sul suo petto, si ricordava delle parole dei pastori di Betlemme e il suo cuore traboccava di gioia, riconoscenza e speranza. Le parole di Simeone le fecero tornare alla mente le profezie di Isaia: “Poi un ramo uscirà dal tronco d’Isai, e un rampollo spunterà dalle sue radici. Lo Spirito del Signore riposerà su di lui: Spirito di saggezza e d’intelligenza, Spirito di consiglio e di forza, Spirito di conoscenza e di timore del Signore... La giustizia sarà la cintura delle sue reni, e la fedeltà la cintura dei suoi fianchi”. “Il popolo che camminava nelle tenebre, vede una gran luce; su quelli che abitavano il paese dell’ombra della morte, la luce risplende. Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace”. Isaia 11:1-5; 9:1, 5. {GN 31.3}

Ma Maria non comprendeva completamente quale sarebbe stata la futura missione di Gesù. Simeone lo aveva chiamato “luce dei gentili” e “gloria d’Israele”; gli angeli avevano annunciato che la nascita del Messia sarebbe stata un motivo di gioia per tutte le nazioni. Dio cercava di correggere le grette concezioni ebraiche sull’opera di Cristo; voleva che gli uomini vedessero in lui non semplicemente il Liberatore d’Israele, ma il Redentore del mondo. Ma dovevano passare ancora molti anni prima che la madre di Gesù potesse veramente comprendere la missione del Figlio. {GN 31.4}

Maria pensava al regno del Messia sul trono di Davide, senza scorgere il battesimo di sofferenza che lo avrebbe preceduto. Le parole di Simeone indicavano invece che il Messia non avrebbe percorso una strada facile. “E a te stessa una spada trafiggerà l’anima”. Dio, nella sua sollecita misericordia, voleva annunciare a Maria l’angoscia che aveva già iniziato a sopportare per amore del Figlio. {GN 31.5}

“Ecco” aveva detto Simeone “egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione”. Luca 2:34. Ovviamente ci si rialza se prima si è caduti. Noi dobbiamo prima cadere sulla Roccia e infrangerci per potere poi essere innalzati in Cristo. Bisogna spodestare l’io e abbassare l’orgoglio se si vuole partecipare alla gloria del regno spirituale. Gli ebrei, invece, non intendevano accettare gli onori che si acquistano a prezzo di umiliazioni. Non vollero accettare il Redentore: Gesù fu per loro un segno di contraddizione. {GN 32.1}

“Affinché i pensieri di molti cuori sieno svelati”. Luca 2:35. Alla luce della vita del Salvatore si rivelano tutti i cuori: da quello del Creatore a quello del principe delle tenebre. Lo scopo di Satana è far credere agli uomini che Dio è un tiranno, che esige tutto senza concedere nulla, che richiede l’ubbidienza dalle sue creature unicamente per la sua gloria, senza curarsi affatto del loro bene. Ma il dono di Cristo fa conoscere i veri sentimenti del Padre. Dio ha nei nostri riguardi “pensieri di pace e non di male”. Geremia 29:11. Se il suo odio per il peccato è forte come la morte, l’amore per il peccatore è più forte della morte stessa. Dopo aver iniziato l’opera della redenzione, egli sarà pronto a donare tutto quanto ha di più caro per portarla a compimento. Dio ci fa conoscere ogni verità essenziale alla salvezza; elargisce ogni grazia e usa ogni mezzo. Le grazie e i doni si moltiplicano e tutti i tesori del cielo vengono riversati sui redenti. Dopo aver radunato tutte le ricchezze del cielo e impiegato tutti i mezzi della sua potenza infinita, Dio rimette ogni dono nelle mani di Cristo perché li trasmetta all’uomo per convincerlo che non esiste un amore più grande del suo e che soltanto contraccambiando questo amore si può trovare la vera felicità. {GN 32.2}

Alla croce del Calvario l’amore e l’egoismo si incontrano nella loro manifestazione culminante. Cristo venne su questa terra solo per confortare e benedire; Satana, facendolo uccidere, manifestò tutto l’odio che lo animava e il vero movente del suo agire: spodestare Dio e distruggere colui in cui si manifesta l’amore di Dio stesso. {GN 32.3}

La vita e la morte di Cristo mettono in luce anche l’intimo degli uomini. Dalla mangiatoia fino alla croce, la vita di Gesù è stata per questi un invito a rinunciare a se stessi e a seguirlo nella sofferen za. Cristo annunciò la verità del cielo, e tutti coloro che ascoltarono la voce dello Spirito Santo si sentirono attratti verso di lui, mentre gli adoratori dell’io entrarono a far parte del regno di Satana. Così ognuno, nell’atteggiamento che assume nei confronti di Cristo, mostra da che parte si schiera e assume la propria responsabilità. {GN 32.4}

Nel giorno del giudizio ogni uomo perduto comprenderà che cosa significhi non aver accettato la verità. La croce verrà presentata e ogni mente, prima accecata dalla trasgressione, ne comprenderà il valore. Davanti alla visione del Calvario e al mistero della redenzione, i peccatori saranno condannati, ogni scusa apparirà priva di valore e sarà manifestata la vera natura dell’apostasia. Gli uomini comprenderanno il significato della loro scelta e ogni dubbio sorto durante il conflitto fra il bene e il male sarà chiarito. Nel giudizio dell’universo sarà evidente per tutti che Dio non ha avuto nessuna responsabilità per l’esistenza e la diffusione del male e che i decreti divini non hanno in nessun modo favorito il peccato. Il governo di Dio era esente da difetti e non poteva esservi alcun motivo valido di malcontento. Quando saranno svelati i pensieri di tutti i cuori, i fedeli e i ribelli uniranno le loro voci per dichiarare: “Grandi e meravigliose sono le tue opere, o Signore, Dio onnipotente; giuste e veritiere sono le tue vie, o Re delle nazioni. Chi non temerà, o Signore, e chi non glorificherà il tuo nome? Poiché... i tuoi giudizi sono stati manifestati”. Apocalisse 15:3, 4. {GN 33.1}

Capitolo 6: “Abbiamo veduto la sua stella”

Quando Gesù nacque a Betlemme di Giudea, all’epoca di Erode, vennero a Gerusalemme tre “magi d’Oriente... dicendo: Dov’è il re dei g iudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo”. Matteo 2:1, 2. {GN 34.1}

Questi uomini erano dei filosofi. Appartenevano a una classe numerosa e influente, composta in buon numero di nobili, di ricchi e di sapienti. Fra loro, molti abusavano della credulità del popolo, mentre altri erano onesti e studiavano le manifestazioni di Dio nella natura e venivano rispettati per la loro sapienza e correttezza. I magi che si recarono da Gesù appartenevano a questo secondo gruppo. {GN 34.2}

La luce divina ha sempre brillato fra le tenebre del paganesimo. Questi savi, scrutando attentamente il cielo per scoprirvi i misteri nascosti nelle sue vie luminose, scorsero la gloria del Creatore. Desiderando una conoscenza più completa, si rivolsero agli scritti ebraici. Nel loro paese si conservavano gelosamente gli scritti profetici che annunciavano la venuta di un Maestro divino. Balaam era nel numero dei magi, benché fosse stato, a un certo momento, profeta dell’Eterno. Sotto l’influsso dello Spirito Santo, aveva predetto la prosperità d’Israele e l’apparizione del Messia, e le sue profezie si erano tramandate di secolo in secolo. La venuta di un Salvatore era però rivelata con più chiarezza nell’Antico Testamento. I magi appresero con gioia che essa era imminente e che il mondo intero avrebbe conosciuto la gloria del Signore. {GN 34.3}

La notte in cui la gloria di Dio aveva inondato le colline di Betlemme, i magi avevano scorto nel cielo una luce misteriosa. Essa aveva poi lasciato posto a una stella luminosa che si spostava lentamente nel cielo. Non era una stella fissa né un pianeta e questo fenomeno provocò in loro la più viva curiosità. Quei savi non sapevano che quella stella era formata da una schiera di angeli risplendenti, però avvertirono che essa aveva per loro una grande importanza. Consultarono sacerdoti e filosofi ed esaminando le antiche pergamene trovarono che Balaam aveva dichiarato: “Un astro sorge da Giacobbe, e uno scettro si eleva da Israele”. Numeri 24:17. Forse quella strana stella era stata mandata per annunciare loro la venuta di colui che era stato promesso? Questi savi avevano salutato con gioia la luce della verità celeste che ora risplendeva su di loro, e si sentirono spinti dai sogni avuti a ricercare il Principe appena nato. {GN 34.4}

Come Abramo era partito alla chiamata del Signore “senza sapere dove andava” (Ebrei 11:8), come Israele aveva seguito per fede la colonna di nuvole che doveva condurlo alla terra promessa, così questi pagani si misero alla ricerca del Salvatore annunciato. Partirono dal ricco Oriente portando con sé dei doni. Si usava portare dei regali ai principi e ai personaggi di alto rango, così i magi presero con sé i prodotti preziosi del paese per offrirli a colui nel quale tutte le famiglie della terra sarebbero state benedette. Camminando di notte per poter seguire la stella, i viaggiatori ricordavano nel lungo cammino i detti tramandati e le profezie riguardanti colui che stavano cercando. A ogni tappa, nelle ore di riposo, ristudiavano le profezie e si convincevano di essere guidati da Dio. La stella serviva come segno visibile, mentre la testimonianza dello Spirito Santo agiva efficacemente nell’intimo del loro cuore, infondendovi speranza. Così il viaggio, benché lungo, trascorse felicemente. {GN 35.1}

Giunti nel paese d’Israele scendono dal monte degli Ulivi e Gerusalemme è davanti a loro. La stella che li ha guidati si ferma sopra il tempio, poi scompare. Proseguono impazienti il cammino, convinti che nella città tutti parlino della venuta del Salvatore; ma le ricerche sono infruttuose. Entrano nella città santa, si recano nel tempio, ma con stupore non trovano nessuno che sappia qualcosa sulla nascita del Re. Le loro domande non suscitano gioia, ma sorpresa e timore misti a disprezzo. {GN 35.2}

I sacerdoti, occupati dalle loro tradizioni, si vantano della loro religione e della loro fedeltà, e accusano i greci e i romani di essere i peggiori peccatori. I magi non sono certo degli idolatri; agli occhi di Dio valgono più di questi suoi pretesi adoratori, ma gli ebrei li considerano come pagani. Le loro domande ansiose non fanno vibrare alcuna corda di simpatia nell’animo dei depositari degli scritti sacri. {GN 35.3}

La notizia dell’arrivo inaspettato dei magi si sparse rapidamente per tutta Gerusalemme, provocando tra il popolo una grande agitazione, la cui eco giunse fino al palazzo di Erode. L’idea che stesse sorgendo un rivale risvegliò allora i timori dell’astuto sovrano edomita, la cui ascesa al trono era avvenuta a prezzo di tanti delitti. Essendo straniero, era odiato dal popolo. La sua sola salvaguardia era il favore di Roma. Ma il nuovo Principe aveva aspirazioni più alte: era nato per regnare. {GN 35.4}

Erode sospettava che i sacerdoti complottassero con gli stranieri per fomentare dei disordini popolari e cacciarlo dal trono. Deciso a sventare i loro piani con l’astuzia, dissimulò i suoi sospetti, convocò i principali sacerdoti e gli scribi e chiese loro dove, secondo le Scritture, sarebbe nato il Messia. L’orgoglio dei dottori ebrei fu lusingato dalla richiesta di quell’usurpatore. Ma la negligenza con cui consultarono i rotoli suscitò l’indignazione del tiranno. Temendo che cercassero di tenergli nascosta la cosa, con autorità imperiosa comandò loro di fare delle ricerche accurate, per informarlo poi del luogo dove il Re tanto atteso sarebbe nato. “In Betlemme di Giudea; poiché così è stato scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele”. Matteo 2:5, 6. {GN 36.1}

Ma Erode voleva vedere in privato quei magi. Benché il suo cuore traboccasse di collera e di timore, rimase calmo e accolse affabilmente gli stranieri. Si informò sul momento in cui era apparsa la stella e simulò gioia all’annuncio della nascita del Messia. Disse infine ai suoi interlocutori: “Andate e chiedete informazioni precise sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, affinché anch’io vada ad adorarlo”. Versetto 8. Così li congedò perché proseguissero il loro cammino verso Betlemme. {GN 36.2}

I sacerdoti e gli anziani non erano poi così all’oscuro sulla nascita del Messia come volevano far credere. A Gerusalemme era corsa voce della visita degli angeli ai pastori, ma i rabbini non avevano ritenuto questa notizia degna di fede. Avrebbero potuto trovare Gesù e condurre al suo luogo di nascita i magi; invece furono questi ad attirare l’attenzione dei rabbini sulla nascita del Messia. “Dov’è il re dei giudei, che è nato?”, essi chiesero. “Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo”. Matteo 2:2. {GN 36.3}

L’orgoglio e l’invidia impedirono alla luce di brillare. I sacerdoti e i rabbini pensavano che, prestando fede alle notizie portate dai pastori e dai magi, si sarebbero messi in una posizione difficile e il popolo non li avrebbe più considerati i soli interpreti della verità divina. Per loro sarebbe stata un’umiliazione troppo grande lasciarsi istruire da coloro che definivano pagani. Non poteva accadere, dicevano, che Dio li trascurasse per rivelare i suoi piani a dei pastori ignoranti e a dei gentili incirconcisi. Assunsero un atteggiamento sprezzante verso le notizie che avevano messo in subbuglio la corte, il re e tutta Gerusalemme. Non vollero neppure recarsi a Betlemme per verificare l’esattezza del racconto e tacciarono di fanatismo l’interesse suscitato dalla nascita di Gesù. I sacerdoti e i rabbini cominciarono così a respingere il Messia e il loro orgoglio e la loro ostinazione crescente finirono per trasformarsi in odio verso il Salvatore. Mentre Dio offriva ai gentili la salvezza, gli ebrei la respingevano. {GN 36.4}

I magi partirono soli da Gerusalemme. Le ombre della notte scendevano mentre essi uscivano dalle porte della città; con gioia rividero la stella e si diressero verso Betlemme. Al contrario dei pastori, non era stato loro parlato dell’umile condizione di Gesù. Dopo il lungo viaggio erano rimasti delusi per l’indifferenza dei capi d’Israele e avevano lasciato Gerusalemme meno fiduciosi di quando vi erano giunti. Si stupirono di non vedere a Betlemme né una guardia reale, né personaggi ragguardevoli per proteggere il Re. Gesù giaceva in una mangiatoia e i suoi unici custodi erano i genitori e dei semplici pastori. Questo fanciullo poteva essere veramente colui del quale era stato detto che doveva “rialzare le tribù di Giacobbe e... ricondurre gli scampati d’Israele”, ed essere “luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra?” Isaia 49:6. {GN 37.1}

“Entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre; prostratisi, lo adorarono”. Matteo 2:11. Al di là del suo umile aspetto, riconobbero in Gesù la presenza della divinità. Dettero il cuore a quel fanciullino che era il loro Salvatore, e gli offrirono inoltre “oro, incenso e mirra”. Quale fede! Si potrebbe dire di questi savi ciò che più tardi sarà detto del centurione romano: “Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande”. Matteo 8:10. {GN 37.2}

I magi, non avendo compreso le segrete macchinazioni di Erode, si accingevano a tornare a Gerusalemme per informarlo del felice esito delle loro ricerche, ma furono avvertiti in sogno di non farlo. Allora, senza passare dalla capitale, tornarono in patria seguendo un altro itinerario. {GN 37.3}

Anche Giuseppe fu avvertito in sogno da un angelo di fuggire in Egitto con Maria e il bambino. L’angelo gli disse: “Restacifinché io non te lo dico; perché Erode sta per cercare il bambino per farlo morire”. Matteo 2:13. Giuseppe ubbidì subito e per maggior sicurezza partì di notte. {GN 37.4}

Per mezzo dei magi Dio aveva richiamato l’attenzione del popolo eletto sulla nascita di suo Figlio. Le loro ricerche in Gerusalemme, l’interesse suscitato nel popolo e anche l’invidia di Erode avevano obbligato sacerdoti e rabbini a riflettere e a investigare le Scritture, e avevano attirato la loro attenzione sulle profezie messianiche in riferimento agli eventi appena accaduti. {GN 37.5}

Satana, sempre deciso a impedire alla luce divina di brillare nel mondo, ricorse a tutta la sua astuzia per eliminare il Salvatore. Ma colui “che non sonnecchia e non dorme” vegliava sul suo amato Fi glio. Colui che per Israele aveva fatto piovere la manna dal cielo e che in tempo di carestia aveva nutrito Elia, provvide ora a Maria e al bambino un rifugio in terra pagana. E mediante i doni dei magi, portati da un paese pagano, assicurò i mezzi per il viaggio e per il soggiorno. {GN 37.6}

I magi erano stati i primi a dare il benvenuto al Salvatore. Per primi avevano deposto un dono ai suoi piedi. Quale privilegio! Dio accoglie con gioia e benedice l’offerta di un cuore traboccante d’amore e ne trae un gran profitto per il suo servizio. Se abbiamo affidato il nostro cuore a Gesù, gli recheremo anche i nostri doni. A colui che ci ha amati per primo e che ha dato se stesso per noi, consacreremo generosamente l’oro e l’argento, i nostri beni terreni più preziosi e le nostre più alte capacità mentali e spirituali. {GN 38.1}

Nel frattempo, a Gerusalemme, Erode attendeva impaziente il ritorno dei magi. A mano a mano che il tempo passava, i suoi sospetti si confermavano. Questi sospetti erano già sorti in lui di fronte alla riluttanza dei rabbini nell’indicargli il luogo di nascita del Messia. Pensava che i magi avessero indovinato i suoi piani e che di proposito avessero evitato di ripassare da Gerusalemme. Questo sospetto lo rese furibondo. Dove l’astuzia aveva fallito, sarebbe riuscita la forza. La sorte che riservava al Re fanciullo avrebbe mostrato a questi ebrei orgogliosi come avrebbe represso in avvenire tutti i loro tentativi di mettere sul trono un altro re. {GN 38.2}

Immediatamente mandò a Betlemme dei soldati con l’ordine di uccidere tutti i fanciulli di età inferiore ai due anni. Le case tranquille della città di Davide furono teatro di scene di orrore, già descritte sei secoli prima da un profeta. “Un grido è stato udito in Rama; un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non son più”. Versetto 18. {GN 38.3}

I responsabili di questa strage erano anche gli ebrei. Se avessero camminato con fedeltà e umiltà nelle vie di Dio, egli avrebbe reso inoffensiva la collera del re nei loro confronti. Invece si erano separati da Dio a causa dei loro peccati e avevano respinto lo Spirito Santo, unica salvaguardia. Non avevano studiato le Scritture con il desiderio di conformarsi alla volontà di Dio; si erano soffermati solo su quelle profezie che, interpretate a modo loro, potevano esaltare il loro orgoglio nazionale e mostrare quanto Dio disprezzasse gli altri popoli. Pretendevano che il Messia sarebbe venuto, come Re, per vincere i suoi nemici e calpestare nella sua collera tutti i pagani. {GN 38.4}

Con queste idee avevano finito per attirarsi l’odio di chi li governava. Satana, servendosi di questa falsa concezione messianica, si proponeva di provocare la morte del Salvatore. Ma il male, invece, ricadde su coloro che lo avevano macchinato. {GN 38.5}

Questo atto di crudeltà fu una delle ultime macchie del regno di Erode. Poco dopo la strage degli innocenti, anch’egli dovette piegarsi a quel destino a cui nessuno può sfuggire, e morì di una morte atroce. {GN 39.1}

Giuseppe, che si trovava ancora in Egitto, fu invitato da un angelo a tornare in Israele. Egli avrebbe voluto stabilirsi a Betlemme, perché sapeva che Gesù era l’erede del trono di Davide; ma avendo appreso che in Giudea al posto di Erode regnava Archelao, temette che le macchinazioni del padre contro Gesù venissero attuate dal nuovo re, che era il più malvagio dei suoi figli. La stessa sua ascesa al trono era avvenuta con un tumulto e con il massacro di migliaia di ebrei da parte dei soldati romani. {GN 39.2}

Giuseppe allora tornò a Nazaret, sua città di residenza, dove Gesù visse per circa trent’anni. “Affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti, che egli sarebbe stato chiamato Nazareno”. Matteo 2:23. Anche la Galilea era governata da uno dei figli di Erode; ma siccome gli stranieri erano più numerosi che in Giudea, le questioni relative agli ebrei suscitavano un interesse minore e i diritti che Gesù poteva rivendicare avrebbero provocato meno sospetti da parte delle autorità. {GN 39.3}

La terra accolse il suo Salvatore con ostilità. Nessun luogo era sicuro per il Redentore. Dio non poteva affidare agli uomini suo Figlio, inviato per compiere un’opera di salvezza in loro favore. Allora affidò agli angeli l’incarico di assistere Gesù e proteggerlo fino al compimento della sua missione, quando sarebbe stato ucciso da quegli stessi uomini che era venuto a salvare. {GN 39.4}

Capitolo 7: L’infanzia di Gesù

Gesù trascorse l’infanzia e la gioventù in un villaggio di montagna. Ogni luogo della terra sarebbe stato onorato dalla sua presenza. Anche per i palazzi reali sarebbe stato un grande privilegio accoglierlo come ospite. Ma lasciando da parte le case dei ricchi, i palazzi principeschi e i famosi centri di cultura, preferì fissare la sua dimora nell’oscuro e disprezzato villaggio di Nazaret. {GN 40.1}

Sono brevi, ma ricchi di significato, i pochi cenni che abbiamo intorno ai suoi primi anni di vita. “E il bambino cresceva e si fortificava, essendo ripieno di sapienza; e la grazia di Dio era su di lui”. Nello splendore della presenza del Padre “Gesù cresceva in sapienza e in statura, e in grazia davanti a Dio e agli uomini”. Luca 2:40, 52. Aveva una mente attiva e acuta, una saggezza e una capacità di riflessione superiori alla sua età. Il suo carattere era equilibrato e le capacità fisiche e intellettuali si sviluppavano regolarmente in rapporto con l’età. {GN 40.2}

Gesù era un fanciullo molto gentile e sempre pronto ad aiutare il prossimo. Nulla poteva farlo spazientire e la sua sincerità era incorruttibile. Saldo come una roccia nei suoi princìpi, mostrava nel comportamento la grazia di una cortesia disinteressata. {GN 40.3}

La madre vegliava con il più grande amore sullo sviluppo di Gesù e ammirava la perfezione del suo carattere. Era lieta di incoraggiare quel bambino vivace e intelligente e riceveva dallo Spirito la saggezza necessaria per collaborare con gli angeli all’educazione di questo bimbo che poteva rivolgersi a Dio come al Padre. {GN 40.4}

Fin dai tempi più antichi gli israeliti avevano dedicato molta cura all’educazione dei giovani. Il Signore aveva ordinato che ai bambini, fin dalla più tenera età, si parlasse della sua bontà e grandezza, così come sono rivelate nella sua legge e illustrate nella storia d’Israele. Il canto, la preghiera e l’insegnamento delle Scritture dovevano essere adattati alle menti dei fanciulli. I padri e le madri dovevano insegnare ai loro bambini che la legge di Dio è l’espressione del suo carattere e che, ricevendone nel cuore i princìpi, si riproduceva in loro l’imma gine di Dio. L’insegnamento era trasmesso oralmente; ma i bambini imparavano anche a leggere l’ebraico e i rotoli dei libri sacri erano a loro disposizione. {GN 40.5}

Ai tempi di Cristo si riteneva che non offrire ai giovani un’istruzione religiosa, significasse essere colpiti da maledizione divina. Tuttavia l’insegnamento era diventato formale e la tradizione aveva preso in gran parte il posto delle Scritture. Una vera educazione si propone sempre di condurre i giovani a cercare Dio, “se mai giungano a trovarlo, come a tastoni”. Atti 17:27. Gli insegnanti ebrei, invece, si occupavano soprattutto delle cerimonie. La mente degli studenti si ingombrava di nozioni inutili, prive di valore reale. In questo sistema di educazione non si teneva conto dell’esperienza che si compie quando si accetta la Parola di Dio. Gli studenti, presi dall’ingranaggio delle forme esteriori, non trovavano il tempo e la tranquillità necessari per la comunione con Dio e non udivano la sua voce nel loro cuore. La loro ricerca del sapere li aveva fatti allontanare dalla fonte della sapienza. Gli elementi essenziali del servizio di Dio erano stati trascurati e i princìpi della legge si erano offuscati. La cosiddetta istruzione superiore era in realtà l’ostacolo maggiore per giungere alla sapienza. L’insegnamento dei rabbini frenava lo sviluppo delle capacità dei giovani. {GN 41.1}

Gesù non fu istruito nelle scuole della sinagoga. Sua madre fu il suo primo insegnante. Dalle sue labbra e dai rotoli dei profeti iniziò a conoscere i princìpi divini. Sulle sue ginocchia apprese gli insegnamenti che egli stesso aveva dato a Israele per mezzo di Mosè. Più tardi non frequentò le scuole dei rabbini; l’istruzione che avrebbe potuto ricevere non era necessaria: Dio era il suo maestro. {GN 41.2}

La domanda che si posero i rabbini durante il suo ministero: “Come mai conosce così bene le Scritture senza aver fatto studi?” (Giovanni 7:15), non deve far pensare che Gesù non sapesse leggere, ma significa semplicemente che non aveva frequentato le loro scuole. Acquisì le sue conoscenze come possiamo farlo noi; così la sua grande familiarità con le Scritture mostra la diligenza con cui le aveva studiate sin dai primi anni. Gesù inoltre aveva a sua disposizione il gran libro della natura. Egli, che tutto aveva creato, studiava ora le lezioni contenute nella terra, nel mare e nel cielo. Lontano dalle distorte teorie umane, ricavava dalla natura un tesoro di cognizioni. Studiava la vita delle piante, degli animali e dell’uomo. Fin dai suoi primi anni fu animato da un solo desiderio: vivere per il bene degli altri. A tale scopo si servì dei mezzi che la natura gli offriva. La vita delle piante e quella degli animali gli suggerivano nuove idee sul metodo da seguire. Gesù cercava nei fatti e nella realtà che lo circondava illustrazioni adatte a far capire meglio le verità di Dio. Le parabole, mediante le quali insegnava lezioni di verità durante il suo ministero, mostrano fino a qual punto il suo spirito era aperto all’influsso della natura e quante lezioni spirituali aveva ricavato dall’ambiente della sua giovinezza. {GN 41.3}

Così mentre osservava la realtà quotidiana, la Parola e le opere di Dio acquistavano per lui un significato più profondo. Gli angeli lo assistevano, e soltanto pensieri santi occupavano la sua mente. Sin dal primo svilupparsi della sua intelligenza, crebbe continuamente nella grazia e nella conoscenza della verità. {GN 42.1}

Ogni bambino può formarsi come ha fatto Gesù. Quando cerchiamo di conoscere il nostro Padre attraverso la sua Parola, allora gli angeli si accostano a noi, le nostre capacità mentali si ampliano e il carattere si eleva e si nobilita. Diveniamo simili al Salvatore. Contemplando la bellezza e la grandezza della natura, i nostri affetti si rivolgono a Dio; nell’animo penetra un timore salvifico e lo spirito si rafforza nella comunione con Dio attraverso le sue opere. Questa comunione, tramite la preghiera, sviluppa le facoltà mentali e morali; la meditazione sulle cose dello spirito accresce le energie spirituali. {GN 42.2}

Gesù visse in armonia con Dio. Nella sua infanzia ragionò e parlò come un bambino, ma senza che il peccato deformasse in lui l’immagine divina. Eppure anch’egli conobbe la tentazione. Gli abitanti di Nazaret erano famosi per la loro malvagità. La domanda di Natanaele: “Può forse venir qualcosa di buono da Nazaret?” (Giovanni 1:46) mostra di che fama godessero generalmente. Gesù visse in un ambiente che ne mise a dura prova il carattere. Fu costretto a vigilare sempre per preservare la sua purezza e fu sottoposto alle nostre stesse lotte per esserci sempre d’esempio: nell’infanzia, nella gioventù, nella maturità. {GN 42.3}

Satana cercò costantemente di far peccare quel bambino di Nazaret. Gesù, la cui vita fu una lotta continua contro le potenze delle tenebre, fin dai primi anni fu assistito dagli angeli. Una vita esente dal peccato era motivo d’inquietudine e di esasperazione per il principe delle tenebre che non lasciò nulla di intentato per far cadere Gesù. Nessun bambino sarà mai chiamato, come lui, a vivere una vita santa in mezzo a tentazioni così grandi. {GN 42.4}

I genitori di Gesù erano poveri e dipendevano dal loro lavoro quotidiano. Egli conosceva, quindi, la povertà, la rinuncia e le privazioni. Questa esperienza lo aiutò contro la tentazione. Nella sua vita non vi era posto per l’ozio. Non aveva ore vuote che favorissero compagnie pericolose. Non offriva occasioni al tentatore. Non c’era nulla che lo inducesse a commettere una cattiva azione: né un piacere, né un vantaggio, né una lode o un rimprovero. Aveva la sapienza per discernere il male e la forza per resistervi. Cristo è il solo essere umano che sia vissuto sulla terra senza peccare. Eppure trascorse trent’anni fra i malvagi abitanti di Nazaret. Questo dimostra l’errore di quanti sostengono che una vita irreprensibile non si possa vivere se non in condizioni favorevoli di luogo, di fortuna e di prosperità. La tentazione, la povertà e le difficoltà sono, invece, la disciplina necessaria per la formazione di un carattere puro e saldo. {GN 42.5}

Gesù visse in una casa semplice e assolse fedelmente e volentieri le sue responsabilità nella famiglia. Egli, che era stato il Re del cielo e alla cui volontà gli angeli ubbidivano con gioia, si dimostrava ora un servitore sollecito, un figlio affettuoso e ubbidiente. Imparò un mestiere e lavorò insieme a Giuseppe, nella bottega di falegname. Vestito da operaio, percorreva le strade del villaggio. Non usò mai il potere divino di cui disponeva per alleviare le sue difficoltà e per diminuire la fatica. {GN 43.1}

Durante l’infanzia e la gioventù di Gesù, il lavoro contribuì a sviluppargli il corpo e lo spirito. Egli non sprecava le sue forze fisiche, ma le usava in modo tale da mantenersi sano e compiere sempre il suo dovere nel modo migliore. Voleva fare tutto con diligenza, anche saper maneggiare gli utensili; la perfezione del suo carattere si manifestava nel suo modo di lavorare. Con il suo esempio volle insegnarci l’impegno, la fedeltà nel compimento del dovere e la nobiltà di questo modo di agire. Nell’educazione, l’attività manuale che rende abile la mano e porta ad assumersi la propria parte di responsabilità dell’esistenza, sviluppa le energie fisiche e tutte le facoltà. Ognuno dovrebbe svolgere un’occupazione utile per sé e per gli altri. Iddio ha voluto che il lavoro fosse una benedizione, e solo chi lavora diligentemente scoprirà la gioia di vivere e la vera gloria. Dio approva i bambini e i giovani che si assumono fedelmente le loro responsabilità familiari aiutando i genitori. Questi giovani, usciti dalla famiglia, saranno utili a tutta la società. {GN 43.2}

Durante la sua vita, Cristo fu un lavoratore diligente e costante. Egli era pronto a tutto, perciò fu molto attivo. Una volta, dopo l’inizio del suo ministero, disse: “Bisogna che io compia le opere di colui che mi ha mandato mentre è giorno; la notte viene in cui nessuno può operare”. Giovanni 9:4. Gesù non scansava responsabilità e preoccupazioni, come fanno molti che si professano suoi discepoli. Alcuni sono deboli e incapaci proprio perché non seguono questa disciplina. Possono farsi amare e apprezzare per certe loro doti, ma di fronte alle difficol tà e agli ostacoli si rivelano deboli e inetti. Mediante la stessa disciplina a cui fu sottoposto Cristo, anche in noi si possono sviluppare il senso della realtà, l’energia, la solidità e la forza di carattere, doti che Gesù ha posseduto. La grazia che ha ricevuto è anche per noi. {GN 43.3}

Il Salvatore ha condiviso su questa terra la sorte dei poveri. Egli conosceva per esperienza le loro preoccupazioni e le loro difficoltà, così poteva confortare e incoraggiare ogni umile lavoratore. Coloro che hanno ben compreso i suoi insegnamenti, non faranno mai distinzioni di classi e non penseranno mai che i ricchi debbano essere più onorati dei poveri. {GN 44.1}

Nello svolgimento del suo lavoro, Gesù era amabile e pieno di tatto. Occorrono molta pazienza e spiritualità per introdurre la religione nella vita domestica e nella professione, per svolgere i propri affari e lasciare pertanto il primo posto alla gloria di Dio. Anche in questo Gesù ci ha aiutati. Egli non era mai così preso dalle preoccupazioni terrene da non avere il tempo di pensare alle realtà divine. Spesso esprimeva la sua gioia con il canto di salmi o di inni sacri. Gli abitanti di Nazaret lo udivano mentre innalzava a Dio espressioni di lode e di ringraziamento. Mediante il canto restava in comunione con il cielo e quando i suoi compagni si lamentavano per la stanchezza del lavoro li confortava intonando dolci melodie. Sembrava che i suoi canti allontanassero i demoni e riempissero di profumo il luogo in cui si trovava. La mente degli uditori era trasportata da questo esilio terreno fino alla loro patria in cielo. {GN 44.2}

Gesù fu per il mondo una fonte di misericordia, e durante gli anni in cui visse a Nazaret diffuse intorno a sé simpatia e tenerezza. La sua presenza rendeva tutti più felici: gli anziani, gli afflitti, coloro che si sentivano oppressi dal peso del peccato, i bambini intenti a giocare. Colui la cui parola potente sosteneva i mondi, si chinava per raccogliere un uccello ferito. Nulla gli sembrava indegno della sua attenzione e del suo aiuto. {GN 44.3}

Così, mentre cresceva in sapienza e in statura, cresceva anche in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini. Provando simpatia per tutti, si conquistava la simpatia di tutti. Per la speranza e il coraggio che sapeva infondere, era una fonte di benedizione per ogni famiglia. Spesso nella sinagoga, in giorno di sabato, era invitato a leggere un brano dei profeti e una luce nuova scaturiva dalle note parole del testo sacro, facendo trasalire il cuore degli uditori. {GN 44.4}

Ma Gesù evitava ogni esibizionismo. Durante gli anni che trascorse a Nazaret, non fece mai sfoggio del suo potere di operare miracoli, non ricercò alcun posto importante, non rivendicò nessun titolo. La sua esistenza umile e tranquilla e il silenzio delle Scritture sulla sua infanzia ci insegnano una lezione importante. Più la vita del bambino è esente da eccitamenti artificiali, più è tranquilla, semplice e in armonia con la natura, più diventa ricettiva all’educazione fisica e allo sviluppo della mente e dello spirito. {GN 44.5}

Gesù è il nostro esempio. Molti considerano con interesse il suo ministero pubblico, ma trascurano gli insegnamenti dei suoi primi anni. Ma egli è il modello per tutti i bambini e tutti i giovani proprio nella sua vita quotidiana. Il Salvatore acconsentì a vivere come un povero, per mostrarci che è possibile camminare con Dio anche se si è di umile condizione. Egli si impegnò di essere gradito al Padre, per onorarlo e glorificarlo nelle attività ordinarie della vita. Cristo onorò l’umile lavoro che permette di guadagnarsi il pane quotidiano e si sentì al servizio di Dio sia al banco della falegnameria sia dopo, tra la folla, operando miracoli in suo favore. Ogni giovane che segue l’esempio di Cristo, esempio di fedeltà e ubbidienza nella sua famiglia, può attribuirsi le parole che il Padre, mediante lo Spirito, disse di lui: “Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio”. Isaia 42:1. {GN 45.1}

Capitolo 8: La visita di Pasqua

Il dodicesimo anno di età segnava per gli israeliti il passaggio dalla fanciullezza alla gioventù. A questa età un adolescente era chiamato figlio della legge e figlio di Dio. Riceveva un’istruzione religiosa a livello superiore ed era ammesso alle feste sacre e ai riti. In ottemperanza a questa consuetudine Gesù andò per la Pasqua a Gerusalemme. Come ogni pio israelita, Giuseppe e Maria si recavano ogni anno ad assistere alla Pasqua; e quando Gesù ebbe raggiunto l’età stabilita, i suoi genitori lo portarono con loro. {GN 46.1}

Tre volte l’anno, in occasione della Pasqua, della Pentecoste e della festa dei Tabernacoli, tutti gli israeliti dovevano presentarsi davanti al Signore a Gerusalemme. La festa a cui assisteva il maggior numero di persone era quella di Pasqua. Molti venivano da tutti i paesi nei quali gli israeliti erano dispersi. Grandissima era l’affluenza da tutta la Palestina. Erano necessari parecchi giorni per recarsi dalla Galilea a Gerusalemme e i pellegrini, per stare in compagnia e per difendersi in caso di necessità, viaggiavano in gruppi numerosi. Le donne e i vecchi cavalcavano buoi o asini su strade ripide e rocciose, mentre gli uomini forti e i giovani andavano a piedi. Dato che la festa di Pasqua cadeva fra gli ultimi giorni di marzo e i primi di aprile, tutto il paesaggio era allietato dai fiori e dal canto degli uccelli. Lungo il cammino, i luoghi memorabili della storia d’Israele offrivano ai genitori l’occasione di raccontare i prodigi operati da Dio in favore del suo popolo. Il canto e la musica alleviavano le fatiche del viaggio, e quando apparivano all’orizzonte le torri di Gerusalemme tutte le voci si univano in un inno di trionfo: “I nostri passi si son fermati entro le tue porte, o Gerusalemme... Pace sia entro i tuoi bastioni, e tranquillità nei tuoi palazzi!” Salmi 122:2, 7. {GN 46.2}

La Pasqua era stata istituita al nascere della nazione ebraica. L’ultima notte della schiavitù in Egitto, quando non s’intravvedeva alcuna possibilità di liberazione, Dio aveva ordinato al suo popolo di prepararsi per una partenza immediata. Egli aveva avvertito il faraone del castigo finale che avrebbe colpito gli egiziani e ordinato agli ebrei di riunire le famiglie nelle loro case. Essi, dopo aver spruzzato gli stipiti delle porte con il sangue di un agnello, dovevano mangiarne la carne arrostita con pane non lievitato ed erbe amare. “Mangiatelo in questa maniera: con i vostri fianchi cinti, con i vostri calzari ai piedi e con il vostro bastone in mano; e mangiatelo in fretta: è la Pasqua del Signore”. Esodo 12:11. A mezzanotte tutti i primogeniti degli egiziani erano stati colpiti. Allora il faraone aveva rivolto a Israele questo messaggio: “Alzatevi, partite di mezzo al mio popolo, voi e i figli d’Israele. Andate a servire il Signore, come avete detto” (Versetto 31), e gli ebrei avevano lasciato l’Egitto come un popolo libero. Il Signore aveva ordinato che la Pasqua venisse celebrata ogni anno. “Quando i vostri figli vi diranno: Che significa per voi questo rito? risponderete: Questo è il sacrificio della Pasqua in onore del Signore, il quale passò oltre le case dei figli d’Israele in Egitto, quando colpì gli egiziani e salvò le nostre case”. Versetti 26, 27. Così la storia di quella liberazione meravigliosa veniva ripetuta di generazione in generazione. {GN 46.3}

La Pasqua era seguita dalla festa dei pani azzimi, che durava sette giorni. Il secondo giorno si presentava al Signore, come primizia della messe, un covone d’orzo. Tutte le cerimonie di questa festa erano simboli dell’opera di Cristo. La liberazione d’Israele dall’Egitto era un’immagine tangibile della redenzione che la Pasqua ricordava ogni anno. L’agnello immolato, il pane senza lievito, il covone delle primizie, rappresentavano il Signore. {GN 47.1}

Per la maggior parte dei contemporanei di Cristo, l’osservanza di questa festa era degenerata nel formalismo; ma per il Figlio di Dio essa aveva un grande significato. {GN 47.2}

Per la prima volta Gesù vide il tempio. Scorse i sacerdoti vestiti di bianco, nell’atto di adempiere il loro solenne ufficio e vide sull’altare dei sacrifici le vittime sanguinanti. Si inchinò per pregare con gli altri fedeli mentre la nube d’incenso saliva verso Dio e partecipò ai riti solenni del servizio pasquale. Con il passare dei giorni, ne comprendeva sempre più il significato. Ogni atto sembrava collegato con la sua vita. Nuove visioni si schiudevano davanti a lui. Silenzioso e assorto aveva l’aria di riflettere su un grave problema. Al Salvatore si svelava il mistero della sua missione. {GN 47.3}

Contemplando queste scene si allontanò dai genitori per restare solo. Terminate le cerimonie pasquali, si attardò nei cortili del tempio e, quando i pellegrini partirono, rimase indietro. {GN 47.4}

Portandolo a Gerusalemme, i genitori volevano fargli conoscere i grandi maestri d’Israele. Sebbene ubbidisse fedelmente alla Parola di Dio, non si conformava alle prescrizioni e agli usi dei rabbini. {GN 47.5}

Giuseppe e Maria speravano che egli sarebbe stato indotto a riverire di più i dotti rabbini e a prestare più attenzione ai loro insegnamenti. Ma nel tempio Gesù era stato istruito da Dio. E cominciò a divulgare ciò che aveva ricevuto. {GN 48.1}

Secondo l’uso delle scuole dei profeti, un locale attiguo al tempio era adibito a scuola. Là i principali rabbini si incontravano con i loro studenti. Gesù entrò in quell’aula, si sedette ai piedi di quei dotti e ascoltò il loro insegnamento. Come un discepolo in cerca d’istruzioni, li interrogò sulle profezie e sugli eventi relativi alla venuta del Messia. {GN 48.2}

Gesù appariva assetato della conoscenza di Dio. Le sue domande svelavano verità profonde, da lungo tempo trascurate, ma d’importanza vitale per la salvezza. Ognuna di esse metteva in luce la grettezza e la superficialità del sapere di quei maestri e contemporaneamente faceva scorgere un nuovo aspetto della verità. I rabbini parlavano della grandezza straordinaria a cui il Messia avrebbe condotto la nazione ebraica; ma Gesù ricordava loro le profezie di Isaia e chiedeva il significato dei passi che annunciavano la sofferenza e la morte dell’Agnello di Dio. {GN 48.3}

I dottori, a loro volta, lo interrogavano e restavano stupiti per le sue risposte. Egli ripeteva con la semplicità di un bambino i passi delle Scritture, svelandone una profondità di significato che questi dotti non avevano concepito. Se le verità su cui egli richiamava la loro attenzione fossero state seguite, ci sarebbe stata una riforma nella vita religiosa, sarebbe sorto un grande interesse per le realtà spirituali e molti avrebbero accettato Gesù fin dall’inizio del suo ministero. {GN 48.4}

I rabbini sapevano che Gesù non aveva frequentato le loro scuole. Ma egli conosceva le profezie molto meglio di loro. Sembrò ai dottori che quel ragazzo galileo così riflessivo fosse una grande promessa. Desideravano averlo come discepolo per farne un dottore d’Israele. Volevano assumersi il compito della sua istruzione, ritenendo che una mente così capace dovesse formarsi alla loro scuola. {GN 48.5}

Quei capi si commossero alle parole di Gesù, come non era mai accaduto prima. Dio voleva illuminarli e si serviva del solo mezzo efficace. Erano uomini orgogliosi che non volevano ammettere di poter essere istruiti da chicchessia. Se Gesù si fosse presentato loro in veste di Maestro, si sarebbero sdegnosamente rifiutati di ascoltarlo. Ma di fronte a quel bambino ritenevano di essere loro stessi dei maestri e di poterne valutare la conoscenza delle Scritture. I loro pregiudizi erano annullati dalla modestia e dalla grazia giovanile di Gesù. Senza che se ne rendessero conto, le loro menti si aprivano alla Parola di Dio e lo Spirito Santo parlava al loro cuore. {GN 48.6}

Non potevano fare a meno di riconoscere che la loro attesa del Messia non era conforme alle profezie, ma non si decidevano a rinunciare alle idee che tanto lusingavano le loro ambizioni. Non volevano ammettere di aver frainteso le Scritture che pretendevano di insegnare. Si chiedevano l’un l’altro: “Da dove viene la sapienza di questo ragazzo, privo di istruzione?” Cfr. Luca 2:47. La luce brillava nelle tenebre, ma “le tenebre non l’hanno sopraffatta”. Giovanni 1:5. {GN 49.1}

Nel frattempo, Giuseppe e Maria erano preoccupati. Nel lasciare Gerusalemme avevano perso di vista Gesù: non sapevano che era rimasto indietro. Poiché alla popolazione del paese, allora piuttosto numerosa, si aggiungevano molte persone delle comitive provenienti dalla Galilea, c’era tanta confusione quando lasciarono la città. Lungo la strada, poi, il piacere di trovarsi con amici e conoscenti assorbì la loro attenzione, e solo la sera si accorsero dell’assenza di Gesù. Fermatisi per una sosta, sentirono la mancanza del loro figlio premuroso. Pensando che si trovasse con il resto della comitiva, lì per lì non si preoccuparono. Avevano fiducia in lui, anche se era ancora un fanciullo, e sapevano che al momento del bisogno sarebbe stato pronto ad aiutarli, prevenendo i loro desideri, come aveva sempre fatto. Ma, non vedendolo, cominciarono a essere in apprensione. Fecero ricerche in tutta la comitiva, ma invano. Si ricordarono con terrore di ciò che Erode aveva tramato per ucciderlo, mentre era ancora in fasce. Il loro cuore fu invaso da cupi presentimenti e rivolsero a se stessi amari rimproveri. {GN 49.2}

Tornati a Gerusalemme, proseguirono le ricerche. Il giorno dopo, mentre erano nel tempio tra i fedeli, una voce ben nota colpì le loro orecchie. Non c’erano dubbi. Nessun’altra voce assomigliava alla sua, così seria, calda e armoniosa. {GN 49.3}

Trovarono Gesù nella scuola dei rabbini. Per quanto felici, non poterono dimenticare i timori e le ansietà provate. Quando egli li raggiunse, la madre con tono di dolce rimprovero gli chiese: “‘Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena. Perché mi cercavate?’ Rispose Gesù: ‘Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio’”. Luca 2:48, 49. Mentre sembrava che non comprendessero le sue parole, egli alzò verso il cielo il volto, sul quale si riflesse la luce della divinità. I genitori avevano assistito nel tempio al suo colloquio con i rabbini ed erano rimasti stupiti per le sue domande e le sue risposte. Le sue parole produssero in loro un’impressione incancellabile. {GN 49.4}

La domanda che Gesù rivolse ai genitori conteneva una lezione. {GN 49.5}

“Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?” Egli era impegnato nella sua opera per il mondo, ma Giuseppe e Maria avevano trascurato la loro. Dio li aveva onorati affidando loro suo Figlio. Gli angeli avevano guidato Giuseppe nella via da seguire per preservare la vita di Gesù. Ma per un giorno intero avevano perso di vista colui che non avrebbero dovuto dimenticare neppure per un momento. E una volta cessata la loro preoccupazione, invece di rimproverare loro stessi avevano rimproverato il figlio. {GN 50.1}

Per Giuseppe e Maria era naturale considerare Gesù come figlio. Egli era sempre con loro e assomigliava per molti aspetti agli altri fanciulli. Era quindi difficile per i genitori riconoscere in lui il Figlio di Dio, ma così rischiavano di non apprezzare il beneficio della presenza del Salvatore del mondo. Il dolore della separazione momentanea e il tenero rimprovero contenuto nelle parole di Gesù, li avevano resi maggiormente consapevoli del valore sacro del loro compito. {GN 50.2}

Nella sua risposta alla madre, Gesù mostrò per la prima volta di aver compreso la natura della sua relazione con Dio. Prima che le nascesse il figlio, l’angelo aveva detto a Maria: “Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre. Egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine”. Luca 1:32, 33. Maria aveva meditato su queste parole. Ma, pur credendo che quel fanciullo fosse il Messia d’Israele, non ne comprendeva la missione. In quel momento non capì le sue parole, ma si rese conto che dichiarandosi Figlio di Dio aveva negato la sua parentela con Giuseppe. {GN 50.3}

Gesù, però, non trascurava il suo legame con i genitori terreni. Tornò a casa con loro e li aiutò nel lavoro. Nascose nel cuore il mistero della sua missione, aspettando con sottomissione il momento stabilito per l’inizio del suo ministero. Per diciotto anni, dopo aver dichiarato di essere il Figlio di Dio, mantenne i suoi vincoli con la casa di Nazaret e compì i suoi doveri di figlio, di fratello, di amico e di cittadino. {GN 50.4}

Dopo aver compreso nel tempio la sua missione, Gesù si allontanò dalla folla. Desiderò tornare a vivere tranquillamente con coloro che conoscevano il segreto della sua vita. Con il servizio di Pasqua, Dio voleva allontanare il suo popolo dalle preoccupazioni terrene e richiamare la sua attenzione sull’opera meravigliosa da lui compiuta nel liberare Israele dall’Egitto. Voleva che in quest’opera scorgessero una promessa di liberazione dal peccato. {GN 50.5}

Come il sangue dell’agnello ucciso aveva difeso le case degli israeliti, così il sangue di Cristo avrebbe salvato la loro vita. Ma po tevano essere salvati in Cristo solo se accettavano per fede la sua vita. Il servizio simbolico era efficace soltanto se volgeva l’animo dei fedeli verso Cristo come personale Salvatore. Dio desiderava che studiassero e meditassero con spirito di preghiera la missione di Cristo. Ma quando le comitive lasciavano Gerusalemme, l’eccitazione del viaggio e la compagnia degli amici troppo spesso assorbivano la loro attenzione e il servizio veniva completamente dimenticato. Il Salvatore non era attratto dalla loro compagnia. {GN 50.6}

Mentre Giuseppe e Maria tornavano da Gerusalemme, soli con Gesù, egli sperava di riuscire a farli riflettere sulle profezie del Messia sofferente. Sul Calvario egli cercherà di alleviare la sofferenza della madre. Già in quel momento pensava a lei. Maria sarebbe stata testimone della sua ultima agonia e Gesù desiderava che comprendesse la sua missione: doveva fortificarsi per sopportare la spada che le avrebbe trafitto l’anima. Come Gesù era stato diviso da lei che lo aveva cercato con dolore per tre giorni così, al momento del suo sacrificio per i peccati del mondo, sarebbe stato separato dalla madre per lo stesso periodo di tre giorni. Ma all’uscita dalla tomba il dolore di Maria si sarebbe tramutato in gioia. Avrebbe sopportato meglio l’angoscia della sua morte se avesse compreso le Scritture, verso le quali egli cercava di volgere la sua attenzione! {GN 51.1}

Se Giuseppe e Maria fossero rimasti in intima comunione con Dio, mediante la preghiera e la meditazione, avrebbero compreso meglio il carattere sacro del loro compito e non avrebbero perso di vista Gesù. Per la negligenza di un giorno, persero il Salvatore; ma ci vollero tre giorni di ansiose ricerche per poterlo ritrovare. Anche per noi è così. Possiamo perdere in un sol giorno la presenza del Salvatore, con le conversazioni inutili, con la maldicenza, trascurando la preghiera; ma possono occorrere molti giorni di penose ricerche prima di ritrovarlo e riacquistare la pace perduta. {GN 51.2}

Nella nostra esperienza quotidiana con gli altri, dovremmo fare attenzione a non dimenticare Gesù, senza neppure accorgerci che egli non è più con noi. Questa separazione da Cristo e dagli angeli si verifica quando ci lasciamo assorbire dalle realtà terrene a tal punto da non pensare più a lui in cui si accentra la nostra speranza di vita eterna. Gli angeli non possono rimanere dove la presenza del Salvatore non è desiderata né la sua assenza notata. Per questo motivo molto spesso coloro che si professano discepoli di Cristo si scoraggiano. {GN 51.3}

Molti partecipano ai servizi religiosi, si sentono rinvigoriti e confortati dalla Parola di Dio; ma, trascurando la meditazione, la vigilanza e la preghiera, perdono la benedizione ottenuta e si ritrovano spiritualmente più poveri di prima. Spesso ritengono che Dio li abbia trattati con durezza. Non si rendono conto che è colpa loro! Essendosi separati da Gesù, non possono più godere i benefici della sua presenza. {GN 51.4}

Per noi sarebbe bene dedicare un’ora al giorno alla meditazione e alla contemplazione della vita di Cristo. Dovremmo esaminarne ogni particolare, immaginando tutte le scene, soprattutto quelle finali. E, mentre ci soffermeremo così sul grande sacrificio compiuto da Gesù per noi, la nostra fiducia diverrà più stabile, il nostro amore più forte e il suo Spirito penetrerà maggiormente in noi. Se vogliamo la salvezza, dobbiamo imparare la lezione del pentimento e dell’umiliazione ai piedi della croce. {GN 52.1}

Nell’unirci agli altri possiamo diventare una benedizione reciproca. Se apparteniamo a Cristo, il nostro maggior desiderio sarà pensare a lui. Ci farà piacere parlare di lui e del suo amore, e un influsso divino penetrerà nei nostri cuori. Contemplando la bellezza del suo carattere, noi “siamo trasformati nella sua stessa immagine di lui, di gloria in gloria”. 2 Corinzi 3:18. {GN 52.2}

Capitolo 9: Tempi difficili

Fin dai primi anni i bambini in Israele dovevano seguire tutte le prescrizioni dei rabbini. Ogni azione era rigidamente regolamentata nei minimi particolari. I maestri della sinagoga insegnavano ai giovani numerose regole che un israelita ortodosso doveva osservare. Ma Gesù non si interessò di queste cose. Fin dalla fanciullezza agì indipendentemente dalle leggi dei rabbini. Studiava in modo costante le Scritture dell’Antico Testamento e sulle sue labbra ricorrevano sempre le parole: “Così dice il Signore”. {GN 53.1}

Conoscendo sempre meglio le condizioni del popolo, Gesù si rese conto che le esigenze della società e quelle di Dio erano in continuo contrasto. Gli uomini si allontanavano dalla Parola di Dio e promuovevano le loro filosofie. Osservavano riti e tradizioni privi di valore. Il loro servizio si riduceva a un insieme di cerimonie che, invece di indicare le verità, le nascondevano ai fedeli. Egli si rese conto che con i loro servizi privi di fede non potevano trovare la pace. Non conoscevano la libertà dello spirito alla quale si perviene servendo Dio nella verità. Gesù era venuto per insegnare agli uomini la vera adorazione di Dio e non poteva approvare la mescolanza dei precetti umani con i comandamenti di Dio. Non polemizzò con i precetti o con le pratiche di vita dei dotti maestri, ma quando venne rimproverato per le sue abitudini semplici, presentò la Parola di Dio come giustificazione della sua condotta. {GN 53.2}

Gesù cercava di assecondare, con gentilezza e sottomissione, coloro con cui entrava in contatto. Gli scribi e gli anziani interpretarono gentilezza e modestia come segni di un carattere su cui avrebbero potuto facilmente influire con il loro insegnamento. Lo esortarono ad accettare le massime e le tradizioni ricevute dai rabbini del passato, ma Gesù chiedeva che la loro autorità si fondasse sulle Scritture. Era disposto ad ascoltare ogni parola pronunciata da Dio, ma non poteva ubbidire ai precetti degli uomini. Gesù dimostrava di conoscere tutte le Scritture e le presentava nella loro vera importanza. Il fatto di essere istruiti da un bambino, metteva i rabbini a disagio. Essi riaffermarono che spettava a loro spiegare le Scritture e Gesù doveva accettare la loro interpretazione. Erano indignati per la sua opposizione ai loro insegnamenti. {GN 53.3}

Si resero conto che le loro tradizioni non si basavano su alcuna autorità delle Scritture. Videro che nella comprensione spirituale delle cose, Gesù li precedeva. Tuttavia si irritarono perché egli non ubbidiva alle loro ingiunzioni. Non riuscendo a convincerlo, si rivolsero a Giuseppe e a Maria lamentandosi per la mancata condiscendenza del Aglio. Così Gesù fu rimproverato più volte. {GN 54.1}

Fin dalla più tenera infanzia, Gesù aveva iniziato ad agire spontaneamente per la formazione del suo carattere, e neppure il rispetto e l’amore per i genitori potevano distoglierlo dall’ubbidienza alla Parola di Dio. La dichiarazione “È scritto” motivava ogni azione che si differenziava dalle abitudini della famiglia. Ma l’influsso dei rabbini rese amara la sua vita. Fin dalla sua giovinezza dovette imparare la difficile lezione del silenzio e della paziente sopportazione. {GN 54.2}

I suoi fratelli (termine con cui si indicavano i Agli di Giuseppe), parteggiavano per i rabbini. Sostenevano che bisognava rispettare le tradizioni, come se fossero comandamenti di Dio. Stimavano addirittura i precetti degli uomini al di sopra della Parola di Dio; erano molto imbarazzati per le precise dichiarazioni di Gesù che distingueva tra il vero e il falso e definivano caparbietà la sua rigorosa ubbidienza alla legge di Dio. Erano sorpresi per la conoscenza e la saggezza che manifestava nelle sue risposte ai rabbini. Sapevano che non era stato alla scuola dei dotti, ma non potevano non riconoscerlo come un maestro. Riconoscevano che la sua educazione era superiore alla loro, ma non si rendevano conto che egli aveva accesso all’albero della vita, una fonte di conoscenza da loro ignorata. {GN 54.3}

Cristo non faceva distinzione tra gli uomini. Da questo punto di vista si era allontanato dalle rigide regole dei farisei. Aveva constatato che il campo che riguardava la religione era circondato da barriere impenetrabili che lo isolavano, come se fosse un terreno troppo sacro per la vita di tutti i giorni. Egli abbatté quelle separazioni. Nei suoi rapporti con gli uomini non chiese quale fosse la loro fede o il gruppo cui appartenevano. Impegnò le sue capacità in favore di tutti coloro che ne avevano bisogno. Per mostrare la sua natura divina non si isolò in una cella da eremita, ma agì in favore dell’umanità. Insegnò che la religione della Bibbia non consiste nella mortificazione del corpo o nel consacrare del tempo solo per occasioni speciali: sempre e ovunque manifestò un interesse affettuoso per gli uomini diffondendo intorno a lui il calore del vero amore. {GN 54.4}

Questo atteggiamento era un rimprovero per i farisei. Dimostra va che la religione non è fatta di egoismo e che il loro attaccamento agli interessi personali era molto lontano dalla vera devozione. Tutto ciò suscitò la loro ostilità e fecero di tutto per indurlo a conformarsi alle loro regole. {GN 54.5}

Gesù cercò di alleviare ogni sofferenza. Possedeva poco denaro, ma spesso rinunciò al cibo per soccorrere coloro che avevano maggiore bisogno di lui. I suoi fratelli sentivano che il suo influsso era superiore al loro. Aveva un tatto che nessuno di loro aveva, né desiderava possedere. Quando parlavano duramente ai poveri o agli infelici, Gesù andava a cercarli e rivolgeva loro parole di incoraggiamento. Era pronto a offrire un bicchiere d’acqua fresca e il proprio cibo a chi ne aveva bisogno. Alleviando le sofferenze, le verità che insegnava, associate ai suoi atti di misericordia, si fissavano nella memoria. {GN 55.1}

Tutto questo dispiaceva ai suoi fratelli. Essendo maggiori di età, ritenevano che avrebbe dovuto sottostare alla loro autorità. I fratelli dicevano che si sentiva superiore a loro e lo biasimavano perché si metteva al di sopra dei loro maestri, dei sacerdoti e dei capi del popolo. Spesso lo minacciavano e cercavano di intimidirlo, ma non se ne curava. La sua guida erano le Scritture. {GN 55.2}

Gesù amava i suoi fratelli e li trattava con molta gentilezza, ma essi erano gelosi di lui e manifestavano nei suoi confronti incredulità e disprezzo. Non riuscivano a capire il suo comportamento. Scorgevano nella sua vita grandi contraddizioni. Egli era il divino Aglio di Dio e nello stesso tempo un bambino bisognoso di aiuto. Era il Creatore del mondo; la terra era sua e tuttavia la povertà lo accompagnava in ogni momento della vita. Aveva una dignità e una personalità del tutto distinte dall’orgoglio e dalla presunzione. Non aspirava alla grandezza terrena e si accontentava anche della posizione più umile. Tutto ciò provocava la collera dei fratelli, che non riuscivano a spiegarsi la sua costante serenità nelle prove e nelle privazioni. Non sapevano che si era fatto povero per amor nostro affinché potessimo diventare ricchi attraverso la sua povertà. Cfr. 2 Corinzi 8:9. Non potevano capire il mistero della sua missione così come gli amici di Giobbe non riuscivano a comprenderne l’umiliazione e le sofferenze. {GN 55.3}

Gesù non fu accettato dai suoi fratelli perché non era come loro: il suo ideale era diverso. Per seguire gli uomini essi si erano allontanati da Dio, e la sua potenza non si manifestava più nella loro vita. Il tipo di religione che professavano non poteva trasformare il loro carattere. Essi pagavano “la decima della menta e dell’aneto e del comi-no”, ma trascuravano “le cose più importanti della legge: il giudizio, la misericordia, e la fede”. Matteo 23:23. L’esempio di Gesù era per loro un motivo costante di irritazione. Egli odiava una sola cosa nel mondo: il peccato. Non poteva trovarsi di fronte a nessun errore senza provare una sofferenza che non riusciva a dissimulare. Vi era un contrasto evidente tra i formalisti, la cui apparente santità nascondeva l’amore per il peccato, e un carattere in cui predominava sempre la preoccupazione per la gloria di Dio. {GN 55.4}

Poiché la vita di Gesù rappresentava una condanna del male, egli incontrò opposizione sia in casa sia fuori. La sua generosità e integrità erano criticate con un sorriso di beffa. La sua pazienza e gentilezza erano definite viltà. {GN 56.1}

Gesù assaporò tutta l’amarezza che sperimenta la maggior parte degli uomini. Alcuni cercarono di disprezzarlo per la sua nascita. Anche nell’infanzia vide sguardi sprezzanti e sentì mormorii maligni. Se avesse risposto con una parola o con uno sguardo impazienti, se avesse reagito contro i suoi fratelli con una sola azione sbagliata, non sarebbe stato più un esempio perfetto. Non avrebbe più potuto realizzare il piano della nostra redenzione. Agendo così, avrebbe ammesso che vi poteva essere qualche scusa per il peccato. Satana avrebbe trionfato e gli uomini avrebbero perso ogni possibilità di salvarsi. Per questa ragione il tentatore si impegnò per rendere la vita di Gesù più penosa possibile, perché potesse cadere nel peccato. {GN 56.2}

Ma a ogni tentazione Gesù rispondeva: “Sta scritto”. Raramente rimproverava i fratelli per i loro errori, ma sempre aveva per loro una parola da parte di Dio. Spesso fu accusato di codardia per il suo rifiuto di unirsi ad alcuni loro atti peccaminosi, ma la sua risposta era: “E disse all’uomo: Ecco, temere il Signore, questa è saggezza, fuggire il male è intelligenza”. Giobbe 28:28. {GN 56.3}

Alcuni cercavano la sua compagnia perché la sua presenza portava la pace, ma molti la evitavano perché si sentivano a disagio per la sua vita irreprensibile. I coetanei lo invitavano a imitarli. Erano lieti della sua presenza e accettavano i suoi consigli opportuni, ma non potevano sopportare i suoi timori di fare qualcosa che non fosse giusto e lo consideravano ristretto d’idee e pieno di scrupoli. Gesù rispondeva: “Sta scritto: Come potrà il giovane render pura la sua via? Badando a essa mediante la tua parola. Ho conservato la tua parola nel mio cuore per non peccare contro di te”. Salmi 119:9, 11. {GN 56.4}

Spesso gli chiedevano perché fosse così particolare e diverso da tutti. Rispondeva citando la Parola di Dio. “Beati quelli che sono integri nelle loro vie, che camminano secondo la legge del Signore. Beati quelli che osservano i suoi insegnamenti, che lo cercano con tutto il cuore e non commettono il male, ma camminano nelle sue vie”. Versetti 1-3. {GN 56.5}

Quando gli domandavano perché non partecipasse agli scherzi dei giovani di Nazaret, rispondeva citando la Parola di Dio: “Gioisco seguendo le tue testimonianze, come se possedessi tutte le ricchezze. Io mediterò sui tuoi precetti e considererò i tuoi sentieri. Mi diletterò nei tuoi statuti e non dimenticherò la tua parola”. Salmi 119:14-16. {GN 57.1}

Gesù non si accaniva per difendere i propri diritti. Spesso il suo lavoro era più difficile perché era conciliante e non si lamentava. Tuttavia non si lasciò andare né alla noncuranza né allo scoraggiamento. Visse al di sopra di queste difficoltà, come se fosse in presenza di Dio. Se trattato duramente, non reagiva, ma sopportava con pazienza gli insulti. {GN 57.2}

Spesso gli veniva chiesto perché accettasse questo trattamento persino dai fratelli. La sua risposta era sempre tratta dalla Parola di Dio: “Figlio mio, non dimenticare il mio insegnamento, e il tuo cuore osservi i miei comandamenti, perché ti procureranno lunghi giorni, anni di vita e di prosperità. Bontà e verità non ti abbandonino; legatele al collo, scrivile sulla tavola del tuo cuore; troverai così grazia e buon senso agli occhi di Dio e degli uomini”. Proverbi 3:1-4. {GN 57.3}

Fin dal tempo in cui i genitori lo ritrovarono nel tempio, la condotta di Gesù apparve loro un vero mistero. Non polemizzava con loro, ma il suo esempio era una lezione continua. Sembrava vivesse in un’altra dimensione. Le sue ore di felicità le viveva solo con la natura e con Dio. Quando gli era possibile godere di questo privilegio, lasciava il lavoro, andava nei campi e meditava nelle verdi vallate; stava in comunione con Dio sui pendii dei monti o fra gli alberi del bosco. Nelle prime ore del mattino spesso lo si poteva trovare in un luogo appartato, a meditare, a studiare le Scritture o a pregare. {GN 57.4}

Dopo queste ore tranquille, tornava a casa per assolvere i suoi doveri e offrire un esempio di pazienza nel lavoro. Gesù aveva rispetto e amore per sua madre. Maria credeva fermamente che quel bambino, nato da lei, fosse il Messia promesso da tanto tempo, tuttavia non osava esprimere la sua fede. Durante tutta la vita del Figlio, partecipò alle sue sofferenze. Assistette con dolore alle prove che egli dovette affrontare nell’infanzia e nella gioventù. Poiché difendeva ciò che riconosceva giusto nella condotta del Figlio, venne spesso a trovarsi in situazioni difficili. Considerava d’importanza vitale per la formazione del carattere la piena unità della famiglia e l’amorevole vigilanza della madre. I figli e le figlie di Giuseppe sapevano tutto ciò e, facendo appello a questa sua preoccupazione, cercavano di modificare la condotta di Gesù secondo il loro punto di vista. {GN 57.5}

Maria spesso esortava Gesù a conformarsi agli usi dei rabbini. {GN 57.6}

Ma egli non poteva rinunciare a contemplare le opere di Dio e ad alleviare le sofferenze degli uomini e degli animali. Quando i sacerdoti e i maestri chiesero l’aiuto di Maria per controllare meglio Gesù, ella rimase turbata, ma le tornò la pace nel cuore quando il Figlio le presentò le dichiarazioni delle Scritture a sostegno della sua condotta. {GN 58.1}

Ogni tanto esitava tra le posizioni di Gesù e dei suoi fratelli che non credevano che egli fosse l’inviato di Dio. Ma era chiaro che Gesù possedeva un carattere divino. La madre lo vedeva sacrificarsi per il bene degli altri. La sua presenza creava un’atmosfera di santità in casa e la sua vita rappresentava per la società un esempio di trasformazione. Sereno e senza peccato camminava tra gli uomini sconsiderati, tra quelli dai modi rudi o sgarbati, tra i pubblicani ingiusti, gli scialacquatori, i samaritani, i soldati pagani, i contadini rozzi e la gente di ogni tipo. Rivolgeva parole di simpatia agli uomini stanchi, costretti a portare pesanti fardelli. Condivideva i loro pesi e ripeteva le lezioni che aveva imparato dalla natura sull’amore, la benevolenza e la bontà di Dio. {GN 58.2}

Insegnava a tutti che dovevano considerarsi dotati di talenti preziosi, che, se impiegati diligentemente, avrebbero assicurato loro le ricchezze eterne. Eliminava dalla vita ogni cosa inutile. Insegnava con l’esempio che ogni istante è ricco di risultati eterni, che dev’essere considerato prezioso come un tesoro e usato per scopi santi. Non pensava che esistessero uomini privi di valore, ma offriva a ognuno il rimedio adeguato. A ciascuno presentava una lezione adatta al tempo e alle circostanze. Cercava di infondere speranza nelle persone più rozze e incapaci, convincendole che potevano diventare giuste e irreprensibili acquisendo un carattere che avrebbe manifestato le loro qualità di figli di Dio. Spesso incontrava uomini che erano caduti sotto il dominio di Satana e non erano capaci di liberarsene. A questi uomini scoraggiati, ammalati, tentati e caduti, Gesù rivolgeva parole di affetto, parole di cui avevano bisogno e che potevano capire. Ne incontrava altri impegnati in una lotta corpo a corpo con l’avversario. Li incoraggiava a perseverare, assicurando loro che avrebbero vinto, che gli angeli erano al loro fianco e avrebbero assicurato loro la vittoria. Tutti coloro che aiutava si convincevano che c’era qualcuno in cui potevano confidare completamente. Egli non avrebbe tradito i segreti che essi, fiduciosi, gli rivelavano. {GN 58.3}

Gesù guariva il corpo e lo spirito. Si interessava a ogni tipo di sofferenza con cui veniva a contatto e a ogni sofferente portava sollievo. Le sue parole gentili erano come un balsamo. Nessuno poteva dire che egli avesse compiuto un miracolo; ma la potenza guaritrice dell’amore si trasmetteva da lui a chi era ammalato o scoraggiato. In questa maniera discreta operò per il popolo fin dalla sua infanzia. Per questa ragione, quando iniziò il suo ministero pubblico, molti lo ascoltarono volentieri. {GN 58.4}

Tuttavia, durante l’infanzia, la gioventù e la maturità, Gesù camminò da solo. Puro e fedele affrontò da solo e senza aiuto le difficoltà. Portò il terribile peso della responsabilità della salvezza degli uomini. Sapeva che, senza un radicale cambiamento dei princìpi e degli ideali dell’umanità, si sarebbero persi. In questo consisteva il peso che gravava su di lui, e nessuno poteva comprendere il carico che portava. Con profonda convinzione realizzò nella sua vita l’obiettivo di essere la luce degli uomini. {GN 59.1}

Capitolo 10: La voce nel deserto

Il precursore di Cristo proveniva dai quei fedeli israeliti che avevano atteso a lungo la venuta del Messia. Il vecchio sacerdote Zaccaria e sua moglie Elisabetta “erano entrambi giusti davanti a Dio”. Luca 1:6. La luce della fede brillava nella loro vita serena e santa, come una stella in mezzo alle tenebre di quei tempi malvagi. A questa coppia devota venne fatta la promessa di un figlio che sarebbe venuto per andare davanti alla faccia del Signore per preparar le sue vie. Cfr. versetto 17. {GN 60.1}

Zaccaria abitava nella regione montuosa della Giudea, ma era andato a Gerusalemme a servire nel tempio per una settimana, un servizio che veniva richiesto due volte l’anno ai sacerdoti di ogni classe. “Mentre Zaccaria esercitava il sacerdozio davanti a Dio nell’ordine del suo turno, secondo la consuetudine del sacerdozio, gli toccò in sorte di entrare nel tempio del Signore per offrirvi il profumo”. Versetto 8, 9. {GN 60.2}

Egli stava in piedi davanti all’altare nel luogo santo. La nuvola di incenso con le preghiere d’Israele saliva verso Dio. All’improvviso si rese conto della presenza di un angelo che stava “in piedi alla destra dell’altare dei profumi”. Versetto 11. Questa posizione dell’angelo indicava intenzioni favorevoli, ma Zaccaria non vi dette importanza. Da molti anni pregava per la venuta del Redentore; ora il Signore gli mandava un messaggero per annunciargli che le sue preghiere stavano per essere esaudite: stentava a credere alla manifestazione di una così grande misericordia divina. Si sentì invaso da timore e dal senso della propria indegnità. {GN 60.3}

Ma l’angelo gli rivolse parole d’incoraggiamento: “‘Non temere, Zaccaria, perché la tua preghiera è stata esaudita; tua moglie Elisabetta ti partorirà un figlio, e gli porrai nome Giovanni. Tu ne avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno per la sua nascita. Perché sarà grande davanti al Signore. Non berrà né vino né bevande alcoliche, e sarà pieno di Spirito Santo fin dal grembo di sua madre; convertirà molti dei figli d’Israele al Signore, loro Dio; andrà davanti a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per volgere i cuori dei padri ai figli e i ribelli alla saggezza dei giusti, per preparare al Signore un popolo ben disposto’. E Zaccaria disse all’angelo: ‘Da che cosa conoscerò questo? Perché i0 sono vecchio e mia moglie è in età avanzata’”. Luca 1:13-18. {GN 60.4}

Zaccaria sapeva che ad Abramo era stato accordato un figlio nella sua vecchiaia, perché il patriarca credeva nella fedeltà di chi aveva fatto la promessa. Ma per un momento l’anziano sacerdote provò tutta la debolezza dell’umanità. Dimenticò che Dio è potente per adempiere ciò che ha promesso. Quale contrasto con la dolce e spontanea fede di Maria, la ragazza di Nazaret, la cui risposta al meraviglioso annuncio dell’angelo era stata: “Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola”. Versetto 38. {GN 61.1}

La nascita del figlio di Zaccaria, come quella del figlio di Abramo e del figlio di Maria, ci insegnano una grande verità: siamo lenti a imparare e pronti a dimenticare. Da soli non siamo in grado di fare il bene; se invece manifestiamo umiltà e fede, la potenza di Dio realizzerà in noi tutto ciò che non sappiamo fare. Il figlio della promessa fu accordato per fede, e sempre per fede si sviluppa la vita spirituale e si compiono opere giuste. {GN 61.2}

Alla domanda di Zaccaria l’angelo rispose: “Io son Gabriele che sto davanti a Dio; e sono stato mandato a parlarti e annunziarti queste liete notizie”. Versetto 19. Cinquecento anni prima quest’angelo aveva fatto conoscere a Daniele il periodo profetico che si sarebbe concluso alla venuta di Cristo. Sapendo che la fine di questo periodo era vicina, Zaccaria aveva pregato per la venuta del Messia. E proprio quel messaggero, mediante il quale la profezia era stata comunicata, era venuto per annunciarne il compimento. {GN 61.3}

Le parole dell’angelo: “Io son Gabriele, che sto davanti a Dio”, indicano il suo ruolo importante in cielo. Quando era venuto con un messaggio per Daniele, aveva detto: “E non c’è nessuno che mi sostenga contro quelli, tranne Michele vostro capo”. Daniele 10:21. Di Gabriele, il Salvatore parla nell’Apocalisse dicendo: “Egli ha fatto conoscere mandando il suo angelo al suo servo Giovanni”. Apocalisse 1:1. E a Giovanni l’angelo dirà in seguito: “Io sono un servo come te e come i tuoi fratelli, i profeti”. Apocalisse 22:9. È bello sapere che è l’angelo che viene subito dopo il Figlio di Dio come rango, a essere stato scelto per rivelare i piani divini agli uomini peccatori. {GN 61.4}

Alle parole dell’angelo Zaccaria aveva manifestato dei dubbi. Perciò sarebbe stato muto fino al loro compimento. “Ecco” disse l’angelo “tu sarai muto, e non potrai parlare fino al giorno che queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole che si adempiranno a loro tempo”. Luca 1:20. Il sacerdote che officiava questo servizio doveva pregare per il perdono del popolo e per la venuta del Messia; ma quando Zaccaria cercò di farlo, non poté pronunciare una sola parola. Uscendo per benedire gli astanti “non poteva parlare loro”. I fedeli lo avevano aspettato a lungo e avevano cominciato a temere che il sacerdote fosse stato colpito dal giudizio di Dio. Invece, quando uscì dal luogo santo, il suo volto splendeva della gloria di Dio, ed essi “capirono che aveva avuto una visione nel tempio”. Zaccaria cercò di far conoscere loro ciò che aveva visto e udito. “Quando furono compiuti i giorni del suo servizio, egli se ne andò a casa sua”. Versetti 21-23. {GN 61.5}

Subito dopo la nascita del bambino promesso, il padre riacquistò la parola. “Ed egli parlava, benedicendo Dio. E tutti i loro vicini furono presi da timore; e tutte queste cose si divulgavano per tutta la regione montuosa della Giudea. Tutti quelli che le udirono, le serbarono nel loro cuore e dicevano: Che sarà mai questo bambino?” Versetti 64-66. Tutto questo aveva lo scopo di richiamare l’attenzione sulla venuta del Messia, a cui Giovanni doveva preparare la via. {GN 62.1}

Lo Spirito Santo scese su Zaccaria e gli ispirò questa magnifica profezia sulla missione del figlio: “E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo, perché andrai davanti al Signore per preparare le sue vie, per dare al suo popolo conoscenza della salvezza mediante il perdono dei loro peccati, grazie ai sentimenti di misericordia del nostro Dio; per i quali l’Aurora dall’alto ci visiterà per risplendere su quelli che giacciono in tenebre e in ombra di morte, per guidare i nostri passi verso la via della pace. Or il bambino cresceva e si fortificava nello spirito; e stette nei deserti fino al giorno in cui doveva manifestarsi a Israele”. Versetti 76-80. L’angelo, annunciando la nascita di Giovanni, aveva detto: “Perché sarà grande davanti al Signore. Non berrà né vino né bevande alcoliche, e sarà pieno di Spirito Santo”. Dio aveva chiamato il figlio di Zaccaria a un’importante missione, la più importante che sia mai stata affidata a un essere umano. Per compierla, gli era necessario l’aiuto del Signore. Lo Spirito di Dio sarebbe stato con lui se le istruzioni dell’angelo fossero state seguite. {GN 62.2}

Giovanni doveva essere il portavoce di Dio per trasmettere agli uomini i suoi messaggi e dare un nuovo orientamento ai loro pensieri. Doveva mostrare la santità delle richieste divine e la necessità che essi avevano della perfetta giustizia. Un tale messaggero doveva vivere una vita santa, doveva essere un tempio in cui avrebbe abitato lo Spirito di Dio. Per una simile missione occorrevano un fisico sano e una grande energia mentale e spirituale. Bisognava quindi che sapesse dominare le sue passioni, che non si lasciasse trascinare dagli eventi e restasse fermo come le rocce e le montagne del deserto. {GN 62.3}

Al tempo di Giovanni il battista, l’avidità, la passione per i divertimenti, il lusso e l’ostentazione erano molto diffuse. I piaceri sensuali e i banchetti erano causa di malattie e degenerazione morale, affievolivano la sensibilità spirituale e riducevano la capacità di riconoscere il peccato. Giovanni doveva essere un riformatore. Con la sua vita austera e i suoi abiti rozzi avrebbe condannato gli eccessi del suo tempo. Perciò un angelo del cielo dette ai genitori di Giovanni istruzioni precise riguardanti la temperanza. {GN 62.4}

Il carattere è plasmabile, soprattutto nell’infanzia e nella giovinezza. È in questo periodo che si dovrebbe acquisire la capacità di autocontrollo. In famiglia si possono esercitare influssi profondi i cui risultati si estendono fino all’eternità. Le abitudini adottate nell’infanzia valgono più delle doti naturali ai fini della vittoria o della sconfitta nella battaglia della vita. La gioventù è l’età della semina. In essa si determina il tipo di raccolto che si avrà nella vita presente e in quella futura. {GN 63.1}

Come profeta, Giovanni avrebbe dovuto far “volgere i cuori dei padri ai figli e i ribelli alla saggezza dei giusti, per preparare al Signore un popolo ben disposto”. Versetto 17. Preparando la via al primo avvento di Cristo, Giovanni il battista raffigurava coloro che devono preparare un popolo per il ritorno del Signore. Il mondo, oggi, è rilassato moralmente. Errori e favole abbondano. Le astuzie di Satana per la distruzione degli uomini si moltiplicano. Quelli che vogliono acquisire una perfetta santità nel timore di Dio devono imparare la lezione della temperanza e dell’autocontrollo. Gli appetiti e le passioni devono essere sottomessi allo spirito. Questa autodisciplina è essenziale per ottenere l’acutezza di mente e la forza spirituale che rendono capaci di comprendere e mettere in pratica le sacre verità della Parola di Dio. Per questo motivo la temperanza ha un suo posto nell’opera di preparazione per il ritorno di Cristo. {GN 63.2}

Secondo le consuetudini, il figlio di Zaccaria avrebbe dovuto essere avviato al sacerdozio. Ma le scuole dei rabbini non potevano prepararlo per la sua opera. Dio non lo mandò dai maestri di teologia perché imparasse a interpretare correttamente le Scritture; lo inviò nel deserto affinché potesse conoscere la natura e il carattere di Dio. {GN 63.3}

Egli visse in una regione desolata, fra aride colline, burroni selvaggi e caverne rocciose. Rinunciò alle comodità e ai piaceri della vita per la severa disciplina del deserto. Quell’ambiente favoriva l’acquisizione di abitudini di semplicità e abnegazione. Non distratto dai clamori del mondo, poteva studiare le lezioni della natura, della rivelazione e della Provvidenza. I suoi genitori pii e fedeli gli avevano spesso ripetuto le parole che l’angelo aveva detto a Zaccaria. Egli si rese conto fin dall’infanzia della sua missione e accettò volentieri quel sacro compito. La solitudine del deserto fu una lieta evasione da una società dominata da diffidenza, incredulità e impurità. Egli non contava su di sé per vincere le tentazioni e non si lasciava sopraffare dalle passioni per non perdere la coscienza della sua tendenza a peccare. {GN 63.4}

Consacrato a Dio fin dalla nascita come nazireo, Giovanni mantenne quel voto per tutta la vita. Come gli antichi profeti, indossava una veste di pelo di cammello, legata ai fianchi da una cintura di cuoio. Si nutriva di locuste e miele selvatico e beveva l’acqua pura delle sorgenti. {GN 64.1}

Ma la vita di Giovanni non trascorreva nell’ozio, nella tristezza ascetica o nell’isolamento egoistico. Periodicamente egli partecipava alla vita comunitaria e osservava con molta attenzione quello che accadeva nel mondo. Dal suo quieto ritiro seguiva il susseguirsi degli eventi. Illuminato dallo Spirito, studiava il carattere degli uomini per imparare a raggiungere il loro cuore con il messaggio divino. Sentiva la responsabilità della sua missione. Nella solitudine, si preparava con la meditazione e la preghiera per la missione che gli sarebbe stata affidata. {GN 64.2}

Pur trovandosi nel deserto, non fu esente dalla tentazione. Per quanto dipendeva da lui, impediva a Satana di agire, nonostante venisse a tentarlo. Ma la chiara visione delle realtà spirituali, il suo carattere fermo e deciso e l’aiuto dello Spirito Santo gli permisero di riconoscere i suoi attacchi e di respingerli. {GN 64.3}

Giovanni trovò nel deserto la sua scuola e il suo tempio. Come Mosè sulle montagne di Madian, beneficiò della presenza di Dio e vide le prove della sua potenza. Diversamente dal grande condottiero d’Israele, non sarebbe vissuto in mezzo alla solenne maestà delle montagne. Di fronte a lui, al di là del Giordano, vi erano le alture di Moab, e tutto testimoniava di colui che aveva creato le montagne e le aveva rivestite di forza. L’aspetto desolato e terribile della natura del deserto illustrava chiaramente la condizione d’Israele. La fertile vigna del Signore era diventata uno squallido deserto. Ma al di sopra i cieli si stendevano luminosi e belli. Le nuvole che si addensavano scure di tempesta erano attraversate dall’arcobaleno della promessa. Così, al di là della decadenza d’Israele, brillava la gloria del regno messianico. Le nuvole dell’ira erano attraversate dall’arcobaleno del patto della misericordia. {GN 64.4}

Solo, nel silenzio della notte, Giovanni leggeva la promessa fatta da Dio ad Abramo per una progenie numerosa come le stelle del cielo. La luce dell’alba che indorava le montagne di Moab gli ricordava colui che sarebbe stato “come la luce mattutina, quando il sole si alza in un mattino senza nuvole”. 2 Samuele 23:4. E nello sfolgorio del mezzogiorno ammirava lo splendore del suo manifestarsi, anticipazione di quando “la gloria del Signore sarà rivelata, e tutti, allo stesso tempo, la vedranno”. Isaia 40:5. {GN 64.5}

Con animo timoroso, ma nello stesso tempo esultante, ricercò nei profeti gli annunci della venuta del Messia, la progenie promessa che avrebbe schiacciato il capo del serpente, il Principe della pace che sarebbe apparso prima che il trono di Davide rimanesse vuoto. Ora il tempo era giunto. Un dominatore romano sedeva nel palazzo sul monte di Sion. In base alla Parola del Signore, Cristo era già nato. {GN 65.1}

Giorno e notte studiava nel libro di Isaia le profezie sulla gloria del Messia, il germoglio dalle radici di Isai, il Re di giustizia che avrebbe fatto ragione “con sentenze eque per gli umili del paese”, che sarebbe stato “un riparo dal vento” e “un rifugio contro l’uragano... come l’ombra di una gran roccia in una terra riarsa”. Grazie a lui, Sion non si sarebbe più chiamata l’“Abbandonata”, né la sua terra “Desolazione”, bensì “La mia delizia è in lei”, e la sua terra “Maritata”. Isaia 11:4; 32:2; 62:4. Quel deserto si riempiva di una visione gloriosa. {GN 65.2}

Contemplando il Re nella sua bellezza, si dimenticava di se stesso. Contemplando l’ideale di santità, si sentiva incapace e indegno. Era pronto a partire come messaggero del cielo, senza timore degli uomini, perché aveva meditato su Dio. Poteva affrontare senza timore i potenti della terra, perché si era prostrato davanti al Re dei re. {GN 65.3}

Giovanni non comprese interamente la natura del regno del Messia. Sperava che Israele sarebbe stato liberato dai suoi nemici politici, ma il grande oggetto della sua speranza era un Re di giustizia, che facesse d’Israele una nazione santa. Era così che secondo Giovanni si sarebbe adempiuta la profezia pronunciata alla sua nascita: “E si ricorda del suo santo patto. di concederci che, liberati dalla mano dei nostri nemici, lo serviamo senza paura, in santità e giustizia, alla sua presenza, tutti i giorni della nostra vita”. Luca 1:72-75. {GN 65.4}

Egli vide il popolo ingannato, pieno di sé e addormentato nei propri peccati. Desiderava che si destasse a una vita più santa. Il messaggio che Dio gli aveva dato doveva risvegliarlo dal letargo e farlo tremare per la sua grande malvagità. Prima di spargere il seme del Vangelo, bisognava toccare il cuore degli Israeliti. Prima di cercare la guarigione da Gesù, dovevano acquisire la consapevolezza della coscienza del peccato. {GN 65.5}

Dio non invia i suoi messaggeri per adulare il peccatore. Non dà messaggi di pace per cullare gli insoddisfatti in una sicurezza illuso ria. Egli pone gravi pesi sulla coscienza del malvagio e tocca l’animo con argomenti convincenti. Gli angeli presentano il terribile giudizio di Dio perché la coscienza si sensibilizzi e gridi: “Che debbo io fare per essere salvato?” Allora la stessa mano che l’ha umiliato fin nella polvere solleva il pentito. La voce che ha condannato il peccato, l’orgoglio e l’ambizione, domanda con tenera simpatia: “Che cosa vuoi che faccia per te?” {GN 65.6}

Quando Giovanni iniziò il suo ministero, il popolo era eccitato e scontento e si avviava verso la rivoluzione. Destituito Archelao, la Giudea era passata direttamente sotto il controllo di Roma. La tirannia e le estorsioni dei governatori romani, i loro tentativi di introdurre nel paese consuetudini e simboli pagani, avevano provocato una rivolta che era stata soffocata con il sangue di migliaia di coraggiosi israeliti. Tutto questo faceva crescere l’odio contro Roma e il desiderio di essere liberati da quel potere opprimente. {GN 66.1}

In mezzo alle discordie e alle lotte, si udì nel deserto una voce severa, ma piena di speranza: “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino!” Matteo 3:2. Questa voce motivò il popolo con una potenza nuova e straordinaria. I profeti avevano predetto la venuta del Messia come un avvenimento lontano, ma ora si annunciava che egli era là, alle porte. La singolare figura del Battista faceva pensare ai profeti antichi. Negli atteggiamenti e nell’abito assomigliava al profeta Elia. E Giovanni denunciava la corruzione del popolo e i maggiori peccati proprio nello spirito e nella potenza di Elia. Le sue parole erano chiare, dirette e convincenti. Molti credevano che fosse un profeta risuscitato dai morti. Tutto il popolo ne fu sconvolto. Le folle accorrevano nel deserto. {GN 66.2}

Giovanni annunciava la venuta del Messia invitando la gente al pentimento. Egli battezzava nelle acque del Giordano come simbolo della purificazione dai peccati. Con questa immagine significativa dichiarava che il popolo eletto di Dio era macchiato di peccato e che senza la purificazione del cuore e della vita non poteva partecipare al regno del Messia. {GN 66.3}

Principi, rabbini, soldati, pubblicani e agricoltori venivano ad ascoltare il profeta; essi per un certo tempo furono impressionati dal solenne avvertimento da parte di Dio. Molti si pentirono e vennero battezzati. Persone di tutte le classi sociali accettarono il messaggio del Battista, per partecipare al regno annunciato. {GN 66.4}

Anche molti scribi e farisei venivano a confessare i loro peccati e a chiedere il battesimo. Si erano innalzati al di sopra degli altri uomini, avevano indotto il popolo ad avere un alto concetto della loro religiosità e ora le loro colpe venivano svelate. Ma Giovanni avvertì, dietro ispirazione dello Spirito Santo, che molti di questi uomini non erano realmente convinti della loro condizione di peccatori. Erano degli opportunisti. Facendosi amici del profeta, speravano di incontrare il favore del Principe che stava per giungere. Ricevendo il battesimo dalle mani di quel popolare giovane maestro, pensavano di aumentare l’influsso che esercitavano sul popolo. {GN 66.5}

Giovanni rivolse loro questa dura domanda: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura? Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento. Non pensate di dire dentro di voi: Abbiamo per padre Abraamo; perché io vi dico che da queste pietre Dio può far sorgere dei figli ad Abraamo”. Versetti 7-9. {GN 67.1}

Gli ebrei avevano frainteso la promessa di grazia eterna fatta da Dio a Israele. “Così parla il Signore, che ha dato il sole come luce del giorno e le leggi alla luna e alle stelle perchésiano luce alla notte; che solleva il mare in modo che ne mugghiano le onde; colui che ha nome: il Signore degli eserciti. Se quelle leggi verranno a mancare davanti a me, dice il Signore, allora anche la discendenza d’Israele cesserà di essere per sempre una nazione in mia presenza. Così parla il Signore: Se i cieli di sopra possono essere misurati e le fondamenta della terra di sotto, scandagliate, allora anch’io rigetterò tutta la discendenza d’Israele per tutto quello che essi hanno fatto, dice il Signore”. Geremia 31:35-37. Gli ebrei pensavano che la loro discendenza naturale da Abramo conferisse loro il diritto di reclamare quella promessa. Ma essi trascuravano le condizioni stabilite da Dio. Prima di pronunciare la promessa in questione, egli aveva detto: “Io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo... Poiché io perdonerò la loro iniquità, e non mi ricorderò più del loro peccato”. Versetti 33, 34. {GN 67.2}

Il favore di Dio è assicurato a un popolo che ha la sua legge scritta nel cuore. Un tale popolo è unito a Dio. Gli ebrei, invece, si erano separati da lui. Soffrivano sotto i giudizi a motivo dei loro peccati. Era questa la causa per la quale erano oppressi da una nazione pagana. Il peccato aveva ottenebrato la loro mente, e siccome in passato il Signore aveva dimostrato nei loro confronti il suo favore, essi scusavano i propri peccati. Si illudevano di essere migliori degli altri e accampavano diritti sulle benedizioni divine. {GN 67.3}

“Ora, queste cose avvennero loro per servire da esempio e sono state scritte per ammonire noi, che ci troviamo nella fase conclusiva delle epoche”. 1 Corinzi 10:11. Spesso fraintendiamo le benedizioni di Dio e ci illudiamo che i nostri meriti ci assicurino il favore divino. In questi termini Dio non può fare quello che vorrebbe. I suoi doni vengono usati per accrescere il nostro orgoglio e indurire il cuore nell’incredulità e nel peccato. {GN 67.4}

Giovanni diceva ai maestri d’Israele che erano una generazione di vipere a causa del loro orgoglio, del loro egoismo e della loro crudeltà e che, invece di essere i discendenti del giusto e ubbidiente Abramo, rappresentavano una maledizione per il popolo. Per la luce che avevano ricevuto da Dio, erano persino peggiori dei pagani, ai quali si sentivano, invece, tanto superiori. Si erano dimenticati della roccia dalla quale erano stati tagliati, della cava da cui erano stati estratti. Dio non dipende dall’uomo per l’adempimento del suo piano. Come aveva chiamato Abramo perché uscisse da un popolo pagano, così poteva chiamare altri al suo servizio. Potevano sembrare cuori privi di vita come le pietre del deserto, ma il suo Spirito poteva indurli a fare la sua volontà, e così la promessa di Dio si sarebbe adempiuta per loro. {GN 68.1}

“Ormai” dice il profeta “la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero dunque che non fa buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco”. Luca 3:9. Il valore di un albero non dipende dal suo nome, ma dal frutto che porta. Se non ha valore, il nome non può salvare l’albero dalla distruzione. Giovanni diceva agli ebrei che la loro posizione davanti a Dio dipendeva dal loro carattere e dalla vita che conducevano. Una semplice professione di fede non aveva valore. Se la loro vita e il loro carattere non erano in armonia con la legge di Dio, non sarebbero stati considerati suo popolo. {GN 68.2}

Le sue parole accorate convinsero gli uditori. Essi gli chiesero: “Allora, che dobbiamo fare?” e Giovanni rispose: “Chi ha due tuniche, ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Versetti 10, 11. Ed esortava i pubblicani a non commettere ingiustizie e i soldati a non fare violenza. {GN 68.3}

Egli diceva che tutti i sudditi del regno di Cristo dovevano dimostrare nella vita pentimento e fede ed essere gentili e onesti. Dovevano soccorrere i bisognosi e portare le loro offerte a Dio, proteggere i deboli e manifestare misericordia e virtù. Così i discepoli di Cristo testimoniano della potenza trasformatrice dello Spirito Santo. La giustizia, la misericordia e l’amore di Dio si devono scorgere nella vita di tutti i giorni. In caso contrario, non sono che pula destinata al fuoco. {GN 68.4}

“Io vi battezzo con acqua”, diceva Giovanni, “in vista del ravvedimento; ma colui che viene dopo di me è più forte di me, e io non sono degno di portargli i calzari; egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e con il fuoco”. Matteo 3:11. Il profeta Isaia aveva detto che il Signore avrebbe purificato il suo popolo dal male: “con il soffio del giudizio e con il sof fio dello sterminio”. Ecco come si è espresso nei confronti d’Israele: “Ti rimetterò la mano addosso, ti purificherò delle tue scorie, come fa la potassa, e toglierò da te ogni particella di piombo”. Isaia 4:4; 1:25. Per il peccato, ovunque si trovi, “il nostro Dio è anche un fuoco consumante”. Ebrei 12:29. Lo Spirito di Dio consumerà il peccato in tutti coloro che si sottomettono alla sua potenza. Ma se l’uomo si lega al male finisce per identificarsi con esso. Allora la gloria di Dio, per poter distruggere il peccato, deve anche distruggere il peccatore. Giacobbe, dopo una notte di lotta con l’angelo, esclamò: “Ho visto Dio faccia a faccia e la mia vita è stata risparmiata”. Genesi 32:30. {GN 68.5}

Egli aveva commesso una gran colpa contro Esaù, ma poi si era pentito. La sua trasgressione era stata perdonata, perciò poté sostenere la manifestazione della presenza di Dio. Ma se l’uomo si presenta a Dio come peccatore volontario, allora sarà distrutto. Al ritorno di Cristo gli empi saranno consumati “con il soffio della sua bocca” e distrutti “con l’apparizione della sua venuta”. 2 Tessalonicesi 2:8. La luce della gloria di Dio, che dona la vita ai giusti, ucciderà gli empi. {GN 69.1}

Ai tempi di Giovanni il battista Cristo sarebbe apparso per rivelare il carattere di Dio. La sua sola presenza sarebbe bastata per evidenziare i peccati degli uomini. Ma solo quelli disposti a lasciarsi purificare sarebbero entrati in comunione con lui. Solo i puri di cuore avrebbero potuto resistere alla sua presenza. {GN 69.2}

Così il Battista predicò a Israele il messaggio divino. Molti ascoltarono i suoi insegnamenti. Molti sacrificarono tutto per metterli in pratica. Folle intere seguivano questo nuovo maestro da un luogo all’altro e non pochi nutrivano la speranza che fosse lui il Messia. Giovanni, però, vedendo la gente accorrere a lui, si serviva di ogni occasione per volgere la fede dei presenti verso colui che doveva venire. {GN 69.3}



Capitolo 11: Il battesimo

La fama del profeta del deserto e del suo messaggio straordinario si diffuse in tutta la Galilea. Questo messaggio giunse anche nei paesi più lontani sulle colline, ai pescatori lungo il mare, e trovò una sincera risonanza nei loro cuori semplici ed entusiasti. Arrivò anche a Nazaret, nella falegnameria che era stata di Giuseppe, e Gesù vi ravvisò la sua chiamata. Il suo tempo era giunto. Lasciò il lavoro quotidiano, salutò la madre e si unì ai suoi concittadini che si dirigevano verso il Giordano. {GN 70.1}

Gesù e Giovanni il battista, oltre a essere cugini, erano anche strettamente legati per le circostanze della nascita; tuttavia non si conoscevano. Gesù aveva trascorso la sua vita a Nazaret, in Galilea; Giovanni, invece, nel deserto della Giudea. Erano vissuti lontani, in situazioni diverse, e non avevano mai avuto alcun rapporto fra loro. Dio aveva stabilito così, per evitare qualsiasi sospetto di un loro complotto, per sostenersi reciprocamente nella diffusione del messaggio che annunciavano. {GN 70.2}

Giovanni era a conoscenza degli eventi che avevano caratterizzato la nascita di Gesù. Aveva sentito parlare della visita che Gesù aveva fatto, quand’era bambino, a Gerusalemme, e di quanto era accaduto alla scuola dei rabbini. Conosceva la sua vita santa e credeva che fosse il Messia; ma questo senza basarsi su nessuna testimonianza positiva. Il fatto che Gesù fosse rimasto per così tanti anni nell’ombra, senza manifestare in nessun modo la sua missione, insinuò in lui il dubbio che non fosse colui che era stato promesso. Il Battista, tuttavia, aspettava con fede, credendo che nel tempo stabilito da Dio tutto si sarebbe chiarito. Gli era stato rivelato che il Messia gli avrebbe chiesto il battesimo e che in quel momento sarebbe stato dato un segno. Così avrebbe potuto presentarlo al popolo. {GN 70.3}

Quando Gesù venne per essere battezzato, Giovanni riconobbe in lui una purezza di carattere che non aveva mai scorto in nessun uomo. La sua sola presenza creava un’atmosfera di santità e potenza. Dalla folla che si era riunita intorno a lui al Giordano, Giovanni aveva udito racconti di crimini, aveva incontrato uomini curvi sotto il peso di tanti peccati, ma non era mai entrato in contatto con un essere umano che emanava un simile influsso divino. {GN 70.4}

Tutto ciò era in armonia con quanto era stato rivelato al Battista intorno al Messia. Tuttavia Giovanni indugiò prima di accondiscendere alla richiesta di Gesù. Come poteva, proprio lui, un peccatore, battezzare chi era senza peccato? E come avrebbe potuto colui che non aveva bisogno di pentimento sottoporsi a un rito che era la confessione di un peccato da cui doveva essere purificato? {GN 71.1}

Quando Gesù chiese il battesimo, Giovanni si ritrasse ed esclamò: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?” Matteo 3:14. Con dolce e ferma autorità Gesù rispose: “Sia così ora, poiché conviene che noi adempiamo in questo modo ogni giustizia”. Versetto 15. E Giovanni, sottomettendosi, condusse il Salvatore nel Giordano e lo immerse nell’acqua. “Gesù, appena fu battezzato, salì fuori dall’acqua; ed ecco i cieli si aprirono ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui”. Versetto 16. {GN 71.2}

Il battesimo di Gesù non va inteso come la confessione dei suoi peccati. Egli si era identificato con i peccatori, aveva imboccato la strada che noi dobbiamo percorrere; aveva fatto l’opera che noi dobbiamo fare. La sua vita di sofferenza e sopportazione, dopo il battesimo, è un esempio anche per noi. {GN 71.3}

Uscito dall’acqua, Gesù si inginocchiò in preghiera sulla riva del fiume. Di fronte a lui si apriva un periodo nuovo e importante. Un grande conflitto iniziava nella sua vita. Sebbene fosse il Principe della pace, la sua venuta era paragonabile allo sguainarsi di una spada. Il regno che veniva a stabilire era l’opposto di quello che gli ebrei desideravano. Egli, il fondatore dell’economia rituale d’Israele, ne sarebbe stato considerato il nemico e il distruttore. {GN 71.4}

Egli, che aveva proclamato la legge dal Sinai, sarebbe stato condannato come il suo trasgressore. Egli, che era venuto per infrangere il potere di Satana, sarebbe stato denunciato come Belzebù. Nessuno sulla terra avrebbe capito la sua missione, e durante il suo ministero avrebbe camminato solo. Durante la sua vita né sua madre né i suoi fratelli compresero i suoi obiettivi. Neppure i suoi discepoli lo capirono. Egli era vissuto nella luce eterna, uno con Dio, ma la sua vita terrena doveva trascorrere nella solitudine. {GN 71.5}

Come uomo doveva portare il peso delle nostre colpe e dei nostri dolori. Colui che era senza colpa doveva sentire la vergogna del peccato. Colui che amava la pace doveva vivere in mezzo alla lotta; la verità doveva abitare con la falsità; la purezza con la viltà. Ogni peccato, ogni discordia, ogni forma di avidità, prodotti dalla trasgressio ne, dovevano tormentare il suo spirito. Da solo doveva percorrere il sentiero, da solo doveva portare il peso. La redenzione del mondo dipendeva da colui che aveva deposto la sua gloria e accettato la debolezza dell’umanità. {GN 71.6}

Egli vide e sentì tutto questo, ma la sua decisione rimase ferma. Da lui dipendeva la salvezza dell’umanità decaduta ed egli con la sua mano afferrò quella dell’Onnipotente. {GN 72.1}

Pareva che lo sguardo del Salvatore penetrasse attraverso il cielo, mentre il suo animo si apriva alla preghiera. Egli sapeva bene Ano a che punto il peccato avrebbe indurito il cuore degli uomini, e quanto sarebbe stato difficile per loro riconoscere la sua missione e accettare il dono della salvezza. Chiede al Padre la potenza per vincere la loro incredulità, per rompere i ceppi con i quali Satana li ha legati e per vincerlo, in loro favore. Chiede un segno che dimostri come Dio accetta l’umanità nella persona del Figlio. {GN 72.2}

È la prima volta che gli angeli ascoltano una preghiera simile. Essi sono ansiosi di portargli un messaggio di certezza e di conforto. Ma il Padre stesso risponderà alla richiesta del Figlio. Direttamente dal trono celeste escono i raggi della sua gloria. I cieli si aprono e sul capo del Salvatore discende una luce purissima in forma di colomba, simbolo di colui che è mansueto e umile. {GN 72.3}

Tra l’immensa folla presente al Giordano solo alcuni, insieme a Giovanni, scorsero la visione celeste. Tuttavia la solennità della presenza divina si diffuse ugualmente sulla folla. Il popolo rimase silenzioso a contemplare Cristo. La sua persona era inondata dalla luce che circonda il trono di Dio. Il suo volto, rivolto verso il cielo, rifletteva una gloria mai vista su un volto umano. Dai cieli aperti una voce disse: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto”. Versetto 17. {GN 72.4}

Queste parole furono pronunciate per ispirare fiducia in coloro che assistevano alla scena e per fortificare il Salvatore in vista della sua missione. Benché sul Cristo pesasse il peccato di un mondo malvagio e l’umiliazione dell’aver assunto una natura decaduta, quella voce dal cielo dichiarò che egli era il Figlio dell’Eterno. {GN 72.5}

Giovanni si era profondamente commosso nel vedere Gesù inginocchiato mentre invocava con le lacrime l’approvazione del Padre. Quando la gloria di Dio lo circondò, e si udì la voce dal cielo, Giovanni riconobbe il segno che il Signore aveva promesso. Si rese conto di aver battezzato il Redentore del mondo. Lo Spirito Santo scese su di lui ed egli, tendendo la mano verso Gesù, gridò: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” Giovanni 1:29. {GN 72.6}

Nessuno degli uditori, e neppure colui che aveva parlato, affer rarono interamente l’importanza di queste parole: “l’Agnello di Dio”. Sul monte Moria Abramo aveva udito la domanda del figlio: “Padre mio... dov’è l’agnello per l’olocausto?” e aveva risposto: “Figlio mio, Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto”. Genesi 22:7, 8. E nel montone, procurato da Dio al posto di Isacco, Abramo aveva visto un simbolo di colui che sarebbe morto per i peccati degli uomini. Per mezzo di Isaia lo Spirito Santo, riprendendo questa immagine, aveva profetizzato del Salvatore: “Come l’agnello condotto al mattatoio... ma il Signore ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti”. Isaia 53:7, 6. Ma gli israeliti non avevano compreso. Molti di loro consideravano i sacrifici offerti nello stesso modo in cui i pagani consideravano i loro, cioè come un dono con cui propiziarsi la divinità. Dio voleva insegnare loro che dal suo amore scaturisce il dono che li può riconciliare con lui. {GN 72.7}

Le parole dette a Gesù al Giordano: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto”, si riferiscono a tutta l’umanità. Dio ha parlato a Gesù come al nostro rappresentante. Nonostante i peccati e le debolezze, non siamo messi da parte come fossimo privi di valore. “A lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio”. Efesini 1:6. La gloria che riposava sul Cristo è un pegno dell’amore di Dio per noi. Essa testimonia la potenza della preghiera e dimostra come la voce umana possa arrivare fino a Dio ed essere ascoltata in cielo. A causa del peccato la terra è stata divisa dal cielo e separata dalla comunione con il Signore, ma Gesù l’ha ricollegata nuovamente con la sfera della gloria. Il suo amore ha abbracciato l’uomo e ha raggiunto i cieli altissimi. La luce divina che si è posata sul capo del nostro Salvatore si poserà anche su di noi quando chiederemo l’aiuto per resistere alla tentazione. La voce che parlò a Gesù dirà a ogni credente: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto”. {GN 73.1}

“Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand’egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com’egli è”. Giovanni 3:2. Il nostro Redentore ha aperto la strada affinché chi ha peccato di più, chi ha maggiore bisogno, chi è più oppresso e sprezzato, trovi accesso al Padre. Tutti possono trovare posto nella casa che Gesù sta preparando. “Queste cose dice il Santo, il Veritiero, colui che ha la chiave di Davide, colui che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre. Ecco, ti ho posto davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere”. Apocalisse 3:7, 8. {GN 73.2}



Capitolo 12: La tentazione

“Gesù, pieno di Spirito Santo, ritornò dal Giordano, e fu condotto dallo Spirito nel deserto”. Luca 4:1. Marco aggiunge altri particolari. “Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto; e nel deserto rimase per quaranta giorni, tentato da Satana. Stava tra le bestie selvatiche”. Marco 1:12, 13. “Durante quei giorni non mangiò nulla”. Luca 4:2. {GN 74.1}

Lo Spirito condusse Cristo nel deserto perché fosse tentato. Il Salvatore non cercava la tentazione, ma voleva essere solo per meditare sul suo futuro e prepararsi con il digiuno e la preghiera ad adempiere la sua dolorosa missione. Satana, sapendo che Gesù era nel deserto, pensò che quello fosse il momento più favorevole per avvi-cinarglisi. {GN 74.2}

Una gran posta era in gioco nel conflitto tra il Principe della luce e quello delle tenebre. Dopo aver indotto l’uomo a peccare, Satana aveva preteso la signoria della terra e si era definito principe di questo mondo. Avendo resi ubbidienti a sé i nostri progenitori, pensò di stabilire qui il suo regno. Affermava che gli uomini lo avevano designato come loro sovrano. Controllandoli, teneva il mondo sotto il suo dominio. Ma Cristo era venuto per confutare le sue pretese. Come fl-glio dell’uomo sarebbe rimasto fedele a Dio e avrebbe mostrato che Satana non aveva un potere assoluto sulla stirpe umana e che la sua pretesa di essere il sovrano della terra era falsa. Tutti coloro che desideravano sfuggire al potere di Satana sarebbero stati liberati. Si sarebbe ristabilito il dominio che Adamo aveva perso con il peccato. {GN 74.3}

Fin dall’annuncio dato nell’Eden al serpente: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei” (Genesi 3:15), Satana era venuto a sapere che il suo dominio sul mondo non era assoluto: fra gli uomini era già in azione un potere che gli si opponeva. Osservò attentamente Adamo e i suoi Agli mentre offrivano i sacrifl-ci e riconobbe un segno del ristabilimento dell’intima relazione spirituale fra la terra e il cielo. Si prefisse di interrompere questa relazione. Falsò il concetto di Dio e il significato dei riti che annunciavano il Salvatore. Gli uomini furono indotti ad avere paura di Dio, come se egli provasse piacere nel distruggerli. I sacrifici intesi a manifestare il suo amore divennero solo un mezzo per placarne la collera. Satana eccitò le più abiette passioni degli uomini per dominarli. Quando la Parola di Dio fu scritta, egli studiò le profezie sulla venuta del Salvatore e si impegnò a ingannare il popolo affinché il Messia fosse respinto alla sua venuta. {GN 74.4}

Quando Gesù nacque, Satana comprese che era venuto per contestargli il suo dominio. Tremò nell’udire il messaggio dell’angelo sull’autorità del Re appena nato. Conosceva molto bene la posizione che Cristo occupava in cielo, come prediletto del Padre. L’incarnazione del Figlio di Dio lo riempiva di stupore e sgomento. Non riusciva a comprendere il mistero di quel grande sacrificio. Il suo animo egoista non poteva concepire un così grande amore per l’umanità decaduta. Gli uomini possono avere soltanto una pallida idea della gloria, della pace del cielo e della gioia che deriva dalla comunione con Dio. Ma Lucifero, il cherubino protettore, sapeva ciò che aveva perduto, ed era deciso a vendicarsi, trascinando altre creature nella sua caduta. Per raggiungere i suoi fini, avrebbe indotto gli uomini a sottovalutare i beni divini e ad attaccarsi a quelli terreni. {GN 75.1}

Il Sovrano del cielo avrebbe dovuto lottare duramente per conquistare gli uomini per il suo regno. Fin da quando era un bambino, a Betlemme, fu contrastato dal suo avversario. Siccome in Cristo si rifletteva l’immagine di Dio, Satana era deciso a vincerlo. Finora nessun uomo era riuscito a sfuggire alla sua potenza. Le forze del male si coalizzarono per attaccare Gesù, e possibilmente per sopraffarlo. {GN 75.2}

Satana assistette al battesimo del Salvatore. Vide la gloria del Padre circondare il Figlio e udì la voce che ne attestava la divinità. Il peccato di Adamo aveva allontanato gli uomini da Dio, e i contatti con il cielo erano stati possibili unicamente attraverso Cristo. Ma ora che era venuto “in carne simile a carne di peccato” (Romani 8:3), il Padre stesso faceva udire la sua voce. In passato aveva comunicato con gli uomini mediante Cristo; ora comunicava in Cristo. Satana aveva sperato che l’orrore di Dio per il male producesse una separazione eterna fra il cielo e la terra. Ma ora appariva evidente la possibilità di una ripresa delle relazioni fra Dio e l’uomo. {GN 75.3}

Satana si rese conto che era necessario vincere o morire. Il conflitto era troppo importante perché ne lasciasse la cura ai suoi seguaci. Diresse personalmente la battaglia e tutte le forze dell’apostasia si coalizzarono contro il Figlio di Dio. Cristo divenne il bersaglio di tutti gli attacchi del male. {GN 75.4}

Molti ritengono che la lotta fra Cristo e Satana non influisca sulla loro vita, e la giudicano di scarso interesse. In realtà questa lotta si ripete in ogni cuore. Nessuno può abbandonare il male e servire Dio senza affrontare gli attacchi di Satana. Le prove contro cui Cristo resistette sono le stesse contro le quali noi oggi lottiamo con tanta dif-flcoltà; erano però maggiori delle nostre quanto lo è il suo carattere rispetto al nostro. Portando su di sé il terribile peso dei peccati del mondo, Cristo superò la prova dell’avidità, dell’amore del mondo e dell’orgoglio. Queste erano le tentazioni che avevano travolto Adamo ed Eva e che tanto facilmente travolgono anche noi. {GN 75.5}

Satana si era servito del peccato di Adamo per dimostrare che la legge di Dio è ingiusta e che non si può osservarla. Diventato uomo, Cristo doveva riscattare la colpa di Adamo. Ma Adamo, al momento della tentazione, non portava su di sé le conseguenze del peccato; aveva la forza di un’umanità perfetta e un completo sviluppo mentale e fisico. Circondato dagli splendori dell’Eden, comunicava ogni giorno con gli angeli. Ma queste non erano le condizioni in cui si trovava Gesù quando entrò nel deserto per affrontare Satana. Per quattromila anni le facoltà fisiche, mentali e morali dell’umanità si erano affle-volite. Cristo prese su di sé le debolezze di un’umanità degenerata. Solo così poteva riscattare l’uomo dalla sua profonda degradazione. {GN 76.1}

Molti pensano che Cristo non potesse cedere alla tentazione, ma in tal caso non avrebbe potuto prendere il posto di Adamo e vincere dove questi era caduto. Se dovessimo affrontare delle lotte più dure delle sue, allora non potrebbe esserci di aiuto. Ma il nostro Salvatore ha rivestito l’umanità con tutti i suoi limiti. È diventato uomo con il rischio di essere sopraffatto dalla tentazione. Noi non dobbiamo affrontare nulla che egli stesso non abbia affrontato. {GN 76.2}

Per Cristo, come per i nostri progenitori nell’Eden, la prima grande tentazione riguardò la gola; e la redenzione doveva cominciare proprio là dov’era iniziata la caduta. Adamo cadde cedendo all’appetito; Cristo vinse dominandolo. “E, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame”. Matteo 4:2. Quando il tentatore gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, ordina che queste pietre diventino pani”. Ma egli rispose: “Sta scritto: Non di pane soltanto vivrà l’uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio”. Versetti 3, 4. {GN 76.3}

Da Adamo fino a Gesù l’autocompiacimento aveva fatto crescere gli appetiti e le passioni in maniera smisurata. Gli uomini, degradati e ammalati, non erano in condizione di vincere da soli. Cristo vinse per loro, sottoponendosi alla prova più dura. Per amor loro esercitò su di sé un dominio più forte della fame e della morte. La sua prima vittoria ha reso possibili le altre in tutti i nostri conflitti con le potenze delle tenebre. {GN 76.4}

Quando Gesù entrò nel deserto fu circondato dalla gloria del Padre. Assorto nella comunione con Dio, fu innalzato al di sopra delle debolezze umane. Poi la gloria si allontanò e rimase solo contro la tentazione. La sua natura provava ripugnanza per il compito incombente. Per quaranta giorni digiunò e pregò. Debole e dimagrito, estenuato per l’angoscia, “tanto era disfatto il suo sembiante al punto da non sembrare più un uomo”. Isaia 52:14. Era giunta l’occasione che Satana attendeva. Ora avrebbe potuto riportare la vittoria sul Cristo. {GN 77.1}

Si presentò allora al Salvatore, come in risposta alle sue preghiere, un essere dall’aspetto di un angelo che gli annunciava di essere stato divinamente incaricato di dirgli che Dio aveva gradito la sua ubbidienza, che il suo digiuno era finito e che lo liberava, così come un altro angelo aveva impedito ad Abramo di immolare Isacco. Satana disse poi al Salvatore debole e affamato, mostrandogli le pietre disseminate nel deserto e che sembravano pani: “Se tu sei Figlio di Dio, ordina che queste pietre diventino pani”. Matteo 4:3. {GN 77.2}

Benché avesse l’aspetto di un angelo, queste parole rivelarono la sua natura. Nella frase: “Se tu sei Figliuol di Dio”, viene insinuato il dubbio. Se Cristo avesse fatto ciò che Satana gli diceva, avrebbe consentito a quel dubbio. Il tentatore cercò di far cadere Gesù servendosi degli stessi mezzi usati con successo con i nostri progenitori. Molto abilmente era entrato in contatto con Eva nell’Eden: “Come!Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?” Genesi 3:1. {GN 77.3}

Il tentatore citava la Parola di Dio, ma alterandola e pronunciandola con tono di disprezzo. La sincerità divina veniva messa in dubbio. Satana cercava di insinuare nella mente di Eva il pensiero che Dio non avrebbe fatto ciò che aveva detto e che, privandoli di un frutto così bello, non era coerente con i suoi princìpi di amore e compassione. Ugualmente Satana cercava di ispirare in Cristo i suoi stessi sentimenti. “Se tu sei Figlio di Dio”: queste parole tradiscono il livore del suo cuore, mentre il tono della voce esprime una piena incredulità. Avrebbe Dio inflitto a suo Figlio un simile trattamento? Lo avrebbe abbandonato nel deserto, solo, senza cibo, senza compagni, senza conforto, fra le bestie feroci? Dio non avrebbe mai lasciato il proprio Figlio in questa condizione. “Se tu sei Figlio di Dio” manifesta la tua potenza, sfamandoti con queste pietre trasformate in pani. {GN 77.4}

Le parole del Signore: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto” (Matteo 3:17), risuonavano ancora nelle orecchie di Satana. Ma egli spingeva Cristo a dubitare di questa testimonianza. Quelle parole davano a Gesù la certezza che la sua missione era divina. Era venuto fra gli uomini ma aveva una stretta relazione con il cielo. Satana induceva Cristo a dubitare di questa testimonianza. Se fosse riuscito a sminuire la fiducia che egli nutriva, quella grande lotta si sarebbe risolta in suo favore: avrebbe potuto avere il sopravvento su Gesù. Sperava che per lo scoraggiamento e la fame Cristo perdesse la fede nel Padre e compisse un miracolo in proprio favore. Se ciò fosse avvenuto, il piano della salvezza sarebbe fallito. {GN 77.5}

Quando Satana e il Figlio di Dio si affrontarono per la prima volta, Cristo era al comando delle schiere degli angeli; Satana, che aveva diretto la rivolta, fu scacciato dal cielo. Ora le parti sembravano invertite. Satana cercava di trarre il maggior profitto dal suo supposto vantaggio. Uno degli angeli più potenti, egli diceva, era stato cacciato dal cielo. Gesù rivelava con il suo aspetto di essere quest’angelo caduto, respinto da Dio e abbandonato dagli uomini. Un essere divino sarebbe stato capace di sostenere le sue pretese compiendo un miracolo. “Se tu sei Figliuol di Dio, di’ che queste pietre divengan pani”. Un atto di questo genere avrebbe costituito una prova decisiva di divinità e avrebbe posto fine al conflitto. {GN 78.1}

Gesù fece un grande sforzo per ascoltare in silenzio le parole del tentatore. Ma il Figlio di Dio non aveva bisogno di fornire a Satana le prove della sua divinità, né di spiegargli le cause della sua umiliazione. Cristo, se avesse seguito il suggerimento di quel ribelle, non sarebbe stato utile né all’uomo né alla gloria di Dio. Se avesse ceduto, Satana avrebbe potuto ancora chiedere: mostrami un segno, perché io possa credere che sei il Figlio di Dio. Ma nessun segno avrebbe potuto piegare il suo cuore ribelle. Inoltre, Cristo non doveva esercitare il suo potere divino a suo vantaggio personale. Egli era venuto ad affrontare la prova come noi, per darci un esempio di fede e di sottomissione. Non fece mai un miracolo in proprio favore, né in questa occasione né in altre. Tutte le sue opere potenti miravano al bene degli altri. Benché Gesù avesse subito riconosciuto il tentatore, non volle mettersi a discutere con lui. Pieno di fiducia nella testimonianza divina e nell’amore del Padre, non volle scendere a patti con la tentazione. {GN 78.2}

Gesù affrontò Satana con le Scritture: “È scritto”. In tutte le prove, la sua arma è stata la Parola di Dio. Satana chiedeva a Cristo un miracolo come segno della sua divinità. Ma ciò che era più grande di ogni miracolo, una piena fiducia nel “Così dice l’Eterno”, era un segno che non si poteva mettere in dubbio. Finché Cristo manteneva quella posizione, il tentatore non poteva trarne alcun vantaggio. {GN 78.3}

Proprio nel momento di maggior debolezza, Gesù fu assalito dalla tentazione più terribile. Satana sperava di vincere: quel metodo gli era riuscito in passato. Uomini che avevano combattuto a lungo e con successo per il bene, erano caduti quando le loro forze erano venute meno, la loro volontà si era indebolita e la fede non si era più appoggiata su Dio. Mosè, stanco per quarant’anni di peregrinazioni con Israele, aveva lasciato che la sua fede vacillasse. Egli era venuto meno proprio sulla soglia della terra promessa. Lo stesso era accaduto a Elia che non aveva vacillato di fronte al re Achab e aveva resistito al popolo intero guidato dai quattrocentocinquanta profeti di Baal. Ma dopo la prova vittoriosa del Carmelo, quando i falsi profeti erano stati uccisi e il popolo aveva giurato fedeltà a Dio, era fuggito di fronte alle minacce dell’idolatra Jezebel. {GN 78.4}

Satana ha sempre approfittato delle debolezze dell’umanità e ne approfitterà sempre. Quando il nostro orizzonte è oscuro, quando gli eventi ci rendono perplessi o la povertà e la prova ci affliggono, egli è pronto a tentarci e a contrariarci. Ci colpisce nei punti deboli e cerca di scuotere la nostra fiducia in Dio, accusandolo di non essere intervenuto per cambiare le cose. Allora la fiducia che abbiamo in Dio e nel suo amore vacilla. Spesso il tentatore, come fece con Cristo, sottolinea le nostre debolezze e le nostre infermità per scoraggiarci e per renderci più deboli. Allora è sicuro del successo. Ma resistendogli come fece Gesù eviteremo molte sconfitte. Discutere con il nemico significa concedergli un vantaggio. {GN 79.1}

Quando Cristo disse al tentatore: “Non di pane soltanto vivrà l’uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio”, ripeteva quanto aveva già detto a Israele più di quattordici secoli prima. “Ri-còrdati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant’anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provar la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore”. Deuteronomio 8:2, 3. {GN 79.2}

Nel deserto, quando era venuto a mancare ogni mezzo di sostentamento, Dio aveva fatto scendere dal cielo la manna, in misura suf-fidente e senza interruzione. Tutto ciò mostrava agli israeliti che Dio non li avrebbe abbandonati finché confidavano in lui e ubbidivano ai suoi princìpi. Ora il Salvatore metteva in pratica la lezione che aveva insegnato a Israele. L’esercito d’Israele era stato soccorso dalla parola di Dio e Gesù sarebbe stato soccorso dalla stessa Parola. Egli attese il momento fissato da Dio per la liberazione. {GN 79.3}

Si trovava nel deserto per ubbidirgli e non voleva procurarsi il cibo seguendo i consigli del tentatore. Davanti all’universo mostrò che sopportare qualsiasi cosa è un male minore dell’allontanarsi dalla volontà di Dio. {GN 79.4}

“Non di pane soltanto vivrà l’uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio”. Spesso il discepolo di Cristo si trova nell’impossibilità di conciliare la prosperità dei propri affari con il servizio di Dio. A volte sembra che l’osservanza di un comandamento provochi la perdita di ogni mezzo di sussistenza. Satana vorrebbe fargli credere che è necessario sacrificare le proprie convinzioni. Ma l’unica cosa al mondo in cui possiamo confidare è la Parola di Dio. “Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più”. Matteo 6:33. Anche nella gestione dei nostri affari non ci dobbiamo allontanare dal nostro Padre. Se conosciamo la potenza della sua Parola, non seguiremo i consigli di Satana per procurarci il cibo o per salvarci la vita. Dobbiamo porci un’unica domanda: “Che cosa ha ordinato Dio? Che cosa ha promesso?” Venuti a conoscenza di ciò, ubbidiremo all’ordine e confideremo nella promessa. {GN 80.1}

Nell’ultima grande fase del conflitto con Satana, quelli che rimarranno fedeli a Dio si troveranno esclusi da ogni mezzo di sostentamento. Per il rifiuto di infrangere la legge di Dio e di ubbidire ai potenti della terra, sarà proibito loro di comperare e di vendere; verranno poi condannati a morte. Cfr. Apocalisse 13:11-17. Ma a coloro che ubbidiscono viene rivolta questa promessa: “Il suo pane gli sarà dato, la sua acqua gli sarà assicurata”. Isaia 33:16. Per questa promessa i fl-gli di Dio vivranno. Quando la terra sarà desolata dalla carestia, essi avranno il nutrimento. “Non saranno confusi in tempo di sventura, ma saranno saziati in tempo di fame”. Salmi 37:19. Prevedendo questo periodo di ristrettezze, il profeta Habacuc espresse con queste parole la fede della chiesa: “Infatti il fico non fiorirà, non ci sarà più frutto nelle vigne; il prodotto dell’ulivo verrà meno, i campi non daranno più cibo, le greggi verranno a mancare negli ovili, e non ci saranno più buoi nelle stalle; ma io mi rallegrerò nel Signore, esulterò nel Dio della mia salvezza”. Abacuc 3:17, 18. {GN 80.2}

La lezione più importante che possiamo trarre dalla prima grande tentazione di Gesù è quella che riguarda il controllo degli appetiti e delle passioni. In ogni tempo le tentazioni rivolte alla natura fisica hanno avuto l’effetto più degradante e deleterio. Mediante l’intemperanza Satana cerca di distruggere le nobili facoltà mentali e morali di cui Dio ha dotato l’uomo. {GN 80.3}

Così gli uomini diventano incapaci di apprezzare i beni eterni. Satana, attraverso la sensualità, cancella ogni traccia di somiglianza con Dio. L’intemperanza, la malattia e la degradazione, presenti al tempo della prima venuta di Cristo, si intensificheranno al tempo del suo ritorno. Gesù dichiarò che le condizioni morali del mondo sarebbero state simili a quelle dei giorni che avevano preceduto il diluvio e la distruzione di Sodoma e di Gomorra. “Il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo”. Genesi 6:5. Noi viviamo alla vigilia di un’epoca terribile e dovremmo far tesoro della lezione che il digiuno del Salvatore ci insegna. L’angoscia indicibile provata da Cristo ci permette di valutare tutta la gravità del male che si compie quando ci si abbandona a una vita di piaceri. Il suo esempio ci indica che la nostra unica speranza di vita eterna risiede nella sottomissione degli appetiti e delle passioni alla volontà di Dio. {GN 80.4}

Con le nostre sole forze è impossibile resistere alle sollecitudini della nostra natura decaduta, attraverso le quali Satana ci tenta. Cristo sapeva che il nemico si sarebbe avvicinato a ogni uomo, approfittando delle debolezze ereditarie, per ingannare con le sue insinuazioni tutti coloro che non si confidano in Dio. Calcando il cammino che dobbiamo percorrere, il Signore ha preparato la strada per la nostra vittoria. Egli non ci vuole in posizione di svantaggio nella lotta contro Satana. Non vuole che ci scoraggiamo e ci intimidiamo per gli assalti del serpente, ma ci dice: “Fatevi coraggio, io ho vinto il mondo”. Giovanni 16:33. {GN 81.1}

Chi lotta contro i propri appetiti, pensi al Salvatore nel deserto, mentre agonizza sulla croce, mentre grida di aver sete. Egli ha sofferto tutto ciò che noi possiamo soffrire. La sua vittoria è anche la nostra. {GN 81.2}

Gesù ha confidato pienamente nella sapienza e nel sostegno spirituale del Padre. “Ma il Signore, DIO, mi ha soccorso; perciò non sono stato abbattuto... e so che non sarò svergognato... Il Signore, DIO, mi verrà in aiuto... Chi di voi teme il Signore?... Sebbene cammini nelle tenebre, privo di luce, confidi nel nome del Signore e si appoggi al suo Dio!” Isaia 50:7-10. {GN 81.3}

Gesù ha detto: “Perché viene il principe di questo mondo. Egli non può nulla contro di me”. Giovanni 14:30. Tutto in lui era estraneo ai sofismi di Satana. Egli non acconsentì al peccato, neanche con il pensiero. Anche noi dobbiamo farlo. L’umanità di Cristo era unita alla divinità. La presenza continua dello Spirito Santo gli permise di affrontare la lotta. Egli è venuto per farci partecipi della sua natura divina; se siamo uniti a lui per fede, il peccato non ci dominerà. Dio ci guida perché la nostra fede si appoggi saldamente sulla divinità di Cristo, affinché possiamo giungere alla perfezione del carattere. {GN 81.4}

Cristo ci ha mostrato come ciò possa avvenire. Egli ha riportato la vittoria contro Satana, servendosi della Parola di Dio. Solo con la Parola poté resistere alla tentazione. “È scritto”. Anche a noi “ci sono state elargite le sue preziose e grandissime promesse perché per mezzo di esse voi diventaste partecipi della natura divina dopo essere sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza”. 2 Pietro 1:4. Tutte le promesse della Parola di Dio sono per noi. Noi possiamo vivere “di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio”. Quando giunge la tentazione non si deve pensare alla propria debolezza ma alla potenza della Parola. Essa è a nostra disposizione. “Ho conservato la tua parola nel mio cuore per non peccare contro di te”. Salmi 119:11. “Per ubbidire alla parola delle tue labbra, mi son guardato dalle vie del violento”. Salmi 17:4. {GN 81.5}



Capitolo 13: La vittoria

“Allora il diavolo lo portò con sé nella città santa, lo pose sul pinnacolo del tempio, e gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; poiché sta scritto: Egli darà ordini ai suoi angeli a tuo riguardo, ed essi ti porteranno sulle loro mani, perché tu non urti con il piede contro una pietra”. Matteo 4:5, 6. {GN 83.1}

Ora Satana ritiene di essersi posto sullo stesso terreno di Gesù. L’astuto avversario cita anch’egli la Parola di Dio. Appare ancora come un “angelo di luce” e mostra di conoscere l’importanza delle Scritture. Ma, mentre Gesù si era servito della Parola di Dio per rafforzare la propria fede, il tentatore se ne serve per mascherare le sue seduzioni. Afferma di aver voluto solo mettere alla prova la fedeltà di Gesù e loda la sua fermezza. Siccome il Salvatore ha manifestato fiducia in Dio, ora Satana gli chiede una prova della sua fede. {GN 83.2}

Anche questa tentazione esprime un dubbio. “Se tu sei Figlio di Dio”. Il Cristo era tentato di rispondere al dubbio, ma si guardò dal concedere il minimo appiglio. Non voleva mettere in pericolo la sua vita per offrire una prova a Satana. {GN 83.3}

Il tentatore faceva leva sulla tendenza umana alla presunzione. Satana può tentare, ma non può costringere a peccare. Egli aveva invitato Gesù a gettarsi giù dal tempio, sapendo che non poteva farlo lui perché Dio lo avrebbe salvato. E non poteva neanche forzarlo a compiere quel gesto; poteva vincere solo se Gesù avesse ceduto alla tentazione. Nessuna potenza della terra e dell’inferno avrebbe potuto obbligare Gesù a discostarsi, sia pur minimamente, dalla volontà del Padre. {GN 83.4}

Il tentatore non può mai costringerci a fare il male. Non può dominare la nostra mente se non cediamo a lui. Satana può vincere solo con il nostro consenso e se la nostra fede non è più ancorata a Cristo. Ma ogni desiderio colpevole gli offre un punto di appoggio. Se non riusciamo a raggiungere l’ideale divino, gli apriamo una porta che gli permetterà di tentarci e distruggerci. E ogni nostra caduta o sconfitta gli offre l’occasione per gettare biasimo sul Cristo. {GN 83.5}

Quando Satana citò la promessa: “Egli comanderà ai suoi angeli”, omise le parole: “di proteggerti in tutte le tue vie”. Salmi 91:11. Ciò significa: in tutte le vie tracciate da Dio. Gesù si rifiutò di uscire dal sentiero dell’ubbidienza e, pur manifestando una piena fiducia nel Padre, non voleva mettersi di sua volontà in una posizione che avrebbe richiesto l’intervento di Dio per salvarlo dalla morte. Non voleva costringerlo a venire in suo aiuto perché così non avrebbe offerto agli uomini un esempio di fede e di ubbidienza. {GN 84.1}

Gesù rispose a Satana: “E altresì scritto: Non tentare il Signore Dio tuo”. Matteo 4:7. Queste parole erano state rivolte da Mosè agli israeliti, quando nel deserto, assetati, gli avevano chiesto l’acqua dicendo: “Signore è in mezzo a noi, sì o no?” Esodo 17:7. Dio avrebbe compiuto dei prodigi per loro, ma essi, nelle difficoltà, dubitarono e pretesero un segno della presenza di Dio. Nel dubbio, lo vollero mettere alla prova. Satana voleva indurre Cristo a fare lo stesso. Dio aveva già dichiarato solennemente che Gesù era suo Figlio, e chiedere una nuova conferma significava dubitare della Parola di Dio, tentare Dio stesso. Sarebbe stato come chiedere al Signore l’adempimento di ciò che non aveva promesso. Sarebbe come manifestare sfiducia in lui. Non dovremmo pregare Dio per vedere se adempirà la sua Parola, ma perché l’adempirà. Non dovremmo pregare per vedere se ci ama, ma perché sappiamo che ci ama. “Or senza fede è impossibile piacergli; poiché chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che ricompensa tutti quelli che lo cercano”. Ebrei 11:6. {GN 84.2}

La fede non sussiste quando c’è presunzione. Solo chi ha una vera fede non corre il rischio di cadere nella presunzione che non è altro che la contraffazione diabolica della fede. Chi crede afferra le promesse di Dio e produce frutti di ubbidienza. Anche la presunzione rivendica le promesse, ma se ne serve per scusare la trasgressione, come fece Satana. La fede avrebbe indotto i nostri progenitori a confidare nell’amore di Dio e a ubbidire ai suoi comandamenti. La presunzione, invece, li indusse a trasgredire la legge nell’illusione che il grande amore di Dio li avrebbe risparmiati dalle conseguenze del peccato. La fede non pretende il favore del Signore senza adempiere alle condizioni a cui è collegata la misericordia di Dio. La vera fede si basa sulle promesse e sulla potenza delle Scritture. {GN 84.3}

Satana, quando non riesce a indurci alla sfiducia, spesso ci fa cadere nella presunzione. Se riesce a condurci, senza necessità, sulla strada del dubbio, si assicura la vittoria. Dio protegge tutti coloro che camminano nel sentiero dell’ubbidienza; ma chi se ne allontana, si avventura sul terreno di Satana. Il Salvatore ci ha rivolto questa esortazione: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. Marco 14:38. La meditazione e la preghiera ci impediranno di avventurarci volontariamente sulla strada del pericolo, evitandoci così più di una sconfitta. Se siamo tentati non dobbiamo scoraggiarci. Spesso, in una situazione difficile, si dubita della guida dello Spirito di Dio. Ma è stato lo Spirito a sospingere Gesù nel deserto perché fosse tentato da Satana. Quando Dio ci mette alla prova, lo fa per il nostro bene. Gesù non si è esposto volontariamente alla tentazione, affidandosi alle promesse divine, e neppure si è abbandonato allo scoraggiamento, quando è sopraggiunto. Anche noi dovremmo comportarci nello stesso modo. “Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscirne, affinché la possiate sopportare”. 1 Corinzi 10:13. Le Scritture dicono ancora: “Come sacrificio offri a Dio il ringraziamento, e mantieni le promesse fatte al Signore; poi invocami nel giorno della sventura; io ti salverò, e tu mi glorificherai”. Salmi 50:14, 15. {GN 84.4}

Gesù superò anche la seconda tentazione. Allora Satana si manifestò pienamente, però non sotto l’aspetto di un mostro ripugnante, con il piede forcuto e le ali da pipistrello. Benché decaduto, è ancora un angelo potente, e si proclama capo della ribellione e principe di questo mondo. {GN 85.1}

Dalla cima di un alto monte Satana mostrò a Gesù i regni terreni e tutta la loro gloria. Il sole brillava sulle città dai templi magnifici, sui palazzi di marmo e sui campi fertili. I segni del male non erano visibili. Gli occhi di Gesù, che avevano contemplato nel deserto orrore e desolazione, scorgevano ora scene d’incomparabile bellezza e prosperità. Si udì nuovamente la voce del tentatore: “Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni; perché essa mi è stata data, e la do a chi voglio. Se dunque tu ti prostri ad adorarmi, sarà tutta tua”. Luca 4:6, 7. {GN 85.2}

La missione di Cristo si poteva compiere solo attraverso la sofferenza. Lo aspettava una vita di dolori, sofferenze e lotte, e alla fine una morte infamante. Doveva portare su di sé i peccati del mondo e sentirsi separato dal Padre. Ma il tentatore offre a Cristo il potere usurpato. Egli potrà sfuggire a un avvenire penoso riconoscendo la sovranità di Satana. Tutto ciò significa la rinuncia alla vittoria nella grande lotta. Satana in cielo aveva peccato cercando di innalzarsi al di sopra del Figlio di Dio. Una sua vittoria avrebbe significato il trionfo della ribellione. {GN 85.3}

Satana, quando dichiarava che la potenza e la gloria del mondo gli erano state date e che era libero di disporne a suo piacimento, diceva una mezza verità. Il dominio di Satana è quello che ha usurpato ad Adamo, che comunque non era un sovrano indipendente, ma un amministratore di Dio. La terra appartiene all’Eterno che ha affidato tutto a suo Figlio. Adamo governava alle dipendenze di Cristo. Quando l’uomo cedette a Satana il suo dominio, Cristo rimase il sovrano legittimo. Per questo Dio disse al re Nebucadnetsar che “l’Altissimo domina sul regno degli uomini e che egli lo dà a chi vuole”. Daniele 4:17. Satana può esercitare il potere usurpato solo nella misura in cui Dio glielo permette. {GN 85.4}

Il tentatore, offrendo a Cristo la potenza e la gloria di questo mondo, voleva che rinunciasse ai diritti sovrani che gli spettavano, per poi governare ai suoi ordini. Gli ebrei speravano in questo tipo di dominio. Desideravano regnare sul mondo. Se Cristo avesse promesso un regno simile, lo avrebbero certamente accolto con entusiasmo. Ma la maledizione del peccato, con tutte le sue dolorose conseguenze, sarebbe rimasta. Perciò Cristo disse al tentatore: “Vattene, Satana, poiché sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi il culto”. Matteo 4:10. {GN 86.1}

Colui che si era ribellato in cielo offriva a Cristo, in cambio di un omaggio ai princìpi del male, i regni di questo mondo. Ma Gesù non si lasciò sedurre. Era venuto per stabilire un regno di giustizia, e non rinunciò al suo obiettivo. Satana si avvicina agli uomini con la stessa tentazione, ma ottiene un risultato migliore. Offre loro la supremazia su questo mondo a condizione che riconoscano la sua sovranità. Chiede che sacrifichino l’onestà, calpestino la coscienza e si facciano trascinare dall’egoismo. Cristo li esorta a ricercare prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, mentre Satana sussurra al loro orecchio: “Per quanto la vita eterna abbia valore, per riuscire in questo mondo dovete ubbidirmi. Ho nelle mie mani la vostra felicità. Posso darvi ricchezze, piaceri, onori e benessere. Ascoltate i miei consigli. Non vi lasciate sedurre da idee fantastiche di onestà e rinuncia. Io vi darò il successo”. Folle intere vengono sedotte così. Acconsentono a vivere solo per se stesse, e Satana è soddisfatto. Ingannandoli con la speranza del dominio terreno, ottiene quello della loro anima. Ma offre ciò che non gli appartiene e che presto gli sarà tolto. In cambio, li priva del loro diritto all’eredità riservata ai figli di Dio. {GN 86.2}

Satana aveva messo in dubbio che Gesù fosse il Figlio di Dio. Ma il modo in cui respinse il tentatore dimostrò che lo era veramente. La divinità risplendeva attraverso le sofferenze dell’uomo. Satana non poté resistere all’ordine ricevuto e, umiliato e furente, fu costretto a ritirarsi dalla presenza del Redentore del mondo. La vittoria di Cristo era stata completa, come completa era stata la caduta di Adamo. {GN 86.3}

Anche noi possiamo resistere alla tentazione e obbligare Satana ad allontanarsi. Gesù ha vinto con la fede e l’ubbidienza a Dio, e ci dice mediante l’apostolo Giacomo: “Sottomettetevi dunque a Dio; ma resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi. Avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi”. Giacomo 4:7, 8. Da soli non possiamo liberarci dal tentatore. Egli ha vinto l’umanità e, se cerchiamo di vincere con le nostre forze, diventiamo preda dei suoi raggiri. Ma “il nome del Signore è una forte torre; il giusto vi corre, e vi trova un alto rifugio”. Proverbi 18:10. Satana trema e fugge anche davanti all’anima più debole, quando essa cerca rifugio in quel nome potente. {GN 87.1}

Quando Satana si allontanò, Gesù cadde a terra esausto. Gli angeli del cielo erano stati testimoni della lotta: avevano visto il loro capo sopportare sofferenze indicibili per assicurare la libertà agli uomini. Egli aveva affrontato una prova più grande di quelle che si possono presentare a noi. Gli angeli accorsero ad assistere il Figlio di Dio che era completamente sfinito. Lo ristorarono con del cibo e lo confortarono annunciandogli l’amore del Padre e assicurandolo che tutto il cielo partecipava al suo trionfo. Dopo che Gesù si fu ripreso, con il cuore pieno di simpatia per gli uomini si preparò a proseguire l’opera iniziata, fino alla vittoria sul nemico e al riscatto dell’umanità decaduta. {GN 87.2}

Il costo della nostra salvezza non sarà evidente finché i redenti non si troveranno con il Salvatore vicino al trono di Dio. Allora, davanti alle glorie del cielo, ricorderemo che Gesù ha lasciato tutto per noi, per rischiare una sconfitta e la perdita eterna. Allora getteremo le nostre corone ai suoi piedi e innalzeremo il canto: “Degno è l’Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la lode”. Apocalisse 5:12. {GN 87.3}



Capitolo 14: “Abbiamo trovato il Messia”

Giovanni il battista predicava e battezzava a Betania [o Betaba-ra, secondo alcuni manoscritti], al di là del Giordano, non lontano dal luogo in cui Dio aveva arrestato il corso del fiume per far passare il popolo d’Israele. A poca distanza sorgeva la fortezza di Gerico che era stata abbattuta dagli eserciti di Dio. Il ricordo di quegli avvenimenti conferiva al messaggio del Battista un interesse straordinario. Colui che nel passato aveva operato in modo così meraviglioso, non avrebbe potuto manifestare nuovamente la sua potenza per liberare Israele? A questo pensava la gente che, giorno dopo giorno, si riuniva sulle rive del Giordano. {GN 88.1}

La predicazione di Giovanni era penetrata così profondamente nell’animo del popolo da attirare l’attenzione delle autorità religiose. I romani temevano sempre che sorgessero delle insurrezioni, e per questo motivo consideravano con sospetto gli assembramenti popolari. Anche i capi del popolo erano inquieti di fronte alla prospettiva di una sommossa popolare. Giovanni, non chiedendo al sinedrio l’autorizzazione per compiere la sua opera, non ne aveva tenuto in considerazione l’autorità; anzi, aveva rimproverato allo stesso modo capi, popolo, farisei e sadducei. Ma il popolo lo seguiva con entusiasmo e l’interesse per la sua opera cresceva continuamente. Il sinedrio, sebbene Giovanni non l’avesse interpellato, riteneva che egli, insegnando in pubblico, fosse sotto la sua giurisdizione. {GN 88.2}

Il sinedrio, presieduto ordinariamente dal sommo sacerdote, era formato da membri scelti tra i sacerdoti, i principali anziani e dottori della nazione. Dovevano essere uomini maturi, ma non vecchi, esperti non solo nella religione e nella storia ebraica, ma con una buona cultura generale; dovevano essere esenti da difetti fisici, sposati con prole. Ciò costituiva una garanzia di umanità e di saggezza. {GN 88.3}

Le riunioni si svolgevano in un locale attiguo al tempio di Gerusalemme. Il sinedrio era il consiglio supremo della nazione, e in tempi d’indipendenza godeva di piena autorità civile e religiosa. Benché all’epoca di Gesù fosse subordinato ai governatori romani, aveva ancora un grande influsso sulla vita d’Israele sia nelle questioni civi li sia in quelle religiose. Il sinedrio non poteva più rimandare un’inchiesta sull’attività di Giovanni. Fra i suoi membri, alcuni ricordavano ancora la rivelazione concessa a Zaccaria nel tempio e la profezia del padre che indicava nel figlio il precursore del Messia. Questi fatti erano stati dimenticati durante i tumulti e i cambiamenti degli ultimi trent’anni, ma il ministero di Giovanni li richiamò alla mente. {GN 88.4}

Da molto tempo Israele non aveva avuto un profeta né aveva conosciuto una riforma simile a quella a cui assisteva. L’invito a confessare i peccati sembrava nuovo, e produceva un’impressione profonda. Molti capi non volevano ascoltare le esortazioni e i rimproveri di Giovanni per paura di essere indotti a svelare i segreti della loro vita. Il Battista annunciava con chiarezza la venuta del Messia. Le settanta settimane delle profezie di Daniele che si dovevano concludere con quell’avvenimento erano quasi trascorse, e ovunque si attendeva con impazienza di entrare in quell’era di gloria nazionale. L’entusiasmo popolare costringeva il sinedrio a prendere posizione: a sanzionare o a respingere l’opera di Giovanni. L’autorità di questo consiglio sul popolo era in continua diminuzione ed era difficile preservare quella che restava. Il sinedrio, prima di esprimere un giudizio, inviò al Giordano una delegazione di sacerdoti e di leviti perché interrogasse il nuovo maestro. {GN 89.1}

Mentre i delegati si avvicinavano, una grande folla stava ascoltando gli insegnamenti di Giovanni. Gli orgogliosi rabbini avanzavano con aria autorevole per impressionare la gente e suscitare rispetto nel profeta. La folla fece largo con timore. Quegli uomini potenti, riccamente vestiti, fieri della loro dignità, si presentarono al profeta del deserto. “Tu chi sei?” gli chiesero. Comprendendo le loro intenzioni, Giovanni rispose: “Io non sono il Cristo. Chi sei dunque? Sei Elia? Egli rispose: Non lo sono. Sei tu il profeta? Ed egli rispose: No. Chi sei? Affinché diamo una risposta a quelli che ci hanno mandato. Che dici di te stesso? Io sono la voce di uno che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come ha detto il profeta Isaia”. Giovanni 1:19-23. {GN 89.2}

Giovanni alludeva alla suggestiva profezia di Isaia: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamatele che il tempo della sua schiavitù è compiuto; che il debito della sua iniquità è pagato. La voce di uno grida: Preparate nel deserto la via del Signore, appianate nei luoghi aridi una strada per il nostro Dio! Ogni valle sia colmata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; i luoghi scoscesi siano livellati, i luoghi accidentati diventino pianeggianti. Allora la gloria del Signore sarà rivelata, e tutti, allo stesso tempo, la vedranno”. Isaia 40:1-5. {GN 89.3}

Nei tempi antichi, quando un re viaggiava con il suo seguito attraverso le regioni meno frequentate del suo dominio, era preceduto da incaricati che livellavano le asperità del terreno e colmavano le fosse affinché il sovrano potesse viaggiare sicuro e senza ostacoli. Il profeta si serve di questa usanza come di un’immagine per illustrare l’opera del Vangelo. “Ogni valle sia colmata, ogni monte e ogni colle siano abbassati”. Isaia 40:4. Quando lo Spirito di Dio opera in un’anima con la sua potenza rigeneratrice, l’orgoglio si abbassa e i piaceri, la posizione e la potenza perdono ogni valore. “I ragionamenti e tutto ciò che si eleva orgogliosamente contro la conoscenza di Dio, facendo ogni pensiero fino a renderlo ubbidiente a Cristo”. 2 Corinzi 10:4, 5. L’umiltà e l’amore, così poco apprezzati dagli uomini, vengono considerati come i veri valori. Questa è l’opera del Vangelo di cui il messaggio di Giovanni rappresentava una parte. {GN 90.1}

I farisei gli chiesero ancora: “Perché dunque battezzi, se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?” Giovanni 1:25. Con l’espressione “il profeta” alludevano a Mosè che gli ebrei credevano sarebbe stato risuscitato dai morti e portato in cielo. Non sapevano che questo era già accaduto. Quando il Battista iniziò il suo ministero, molti lo ritenevano il profeta Mosè risorto, perché dava l’impressione di conoscere a fondo le profezie e la storia d’Israele. {GN 90.2}

Si credeva pure che, prima della venuta del Messia, Elia sarebbe venuto personalmente. Ma Giovanni non corrispondeva a quest’attesa. Le sue parole avevano un significato più profondo. Gesù più tardi riferendosi a lui disse: “Se lo volete accettare, egli è l’Elia che doveva venire”. Matteo 11:14. Giovanni venne nello spirito e nella virtù d’Elia, per compiere un’opera simile a quella dell’antico profeta. Se gli ebrei lo avessero accettato, quell’opera sarebbe stata compiuta in loro favore; ma non ne accettarono il messaggio. Non considerandolo Elia, non poteva adempiere per loro quella missione. {GN 90.3}

Molti, fra quelli che erano radunati al Giordano, avevano assistito al battesimo di Gesù. Ma il segno dato allora era stato visibile solo a pochi. Durante i mesi precedenti, nonostante l’opera del Battista, molti si erano rifiutati di ascoltare l’invito al pentimento. Avevano indurito il cuore e chiuso le menti. Quando il cielo testimoniò al battesimo di Gesù, essi non se ne accorsero. Gli occhi che non si sono mai rivolti per fede verso colui che è invisibile, non possono contemplare la rivelazione della gloria di Dio; le orecchie che non hanno mai udito la sua voce, non odono le parole della sua testimonianza. {GN 90.4}

Lo stesso accade oggi. La presenza di Cristo e degli angeli si manifesta spesso nelle assemblee, ma molti non la vedono. Non sono in condizione di scorgere ciò che è fuori dell’ordinario. Ma ad alcuni la presenza del Salvatore si manifesta. La pace e la gioia riempiono i loro cuori; vengono consolati, ricevono coraggio e benedizioni. {GN 90.5}

I delegati di Gerusalemme avevano chiesto a Giovanni: “Perché dunque battezzi?”, e aspettavano una risposta. Ad un tratto, mentre il Battista scrutava la folla, il suo sguardo si accese, il viso gli si illuminò e tutto il suo essere fu scosso da un’emozione profonda. Con la mano protesa gridò: “Io battezzo in acqua; tra di voi è presente uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei calzari!” Giovanni 1:26, 27. {GN 91.1}

Era questo il messaggio chiaro e inequivocabile che doveva essere rivolto al sinedrio. Le parole di Giovanni non potevano che riferirsi a chi era stato promesso da tanto tempo. Il Messia era in mezzo a loro. Sacerdoti e anziani si guardarono intorno stupefatti, sperando di riuscire a vedere colui di cui aveva parlato Giovanni; ma non potevano riconoscerlo tra la folla. {GN 91.2}

Quando, al battesimo, Gesù fu definito da Giovanni come l’Agnello di Dio, una luce nuova si riversò sull’opera del Messia. Il profeta pensava alle parole di Isaia: “Come l’agnello condotto al mattatoio”. Isaia 53:7. Durante le settimane seguenti, Giovanni studiò con interesse rinnovato le profezie e il sistema dei sacrifici. Non arrivò a distinguere nettamente le due fasi dell’opera di Cristo — quella dell’umiliazione nel sacrificio e l’altra regale della conquista — ma vide che la sua venuta aveva un significato più profondo di quello indicato dai sacerdoti del popolo. Scorgendo Gesù in mezzo alla folla, di ritorno dal deserto, lo guardò con fiducia, in attesa che desse al popolo un segno del suo vero carattere. Con impazienza attendeva che il Salvatore facesse conoscere la sua missione, ma nessuna parola venne pronunciata, nessun segno venne dato. Gesù non rispose alla proclamazione del Battista e, mescolato tra i discepoli di Giovanni, non fece conoscere la sua missione speciale né fece nulla per mettersi in evidenza. {GN 91.3}

II giorno seguente Giovanni vide Gesù che si avvicinava. Il profeta, circondato dalla luce della gloria di Dio, protese le mani ed esclamò: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo! Questi è colui del quale dicevo: Dopo di me viene un uomo che mi ha preceduto, perché egli era prima di me. Io non lo conoscevo; ma appunto perché egli sia manifestato a Israele, io sono venuto a battezzare in acqua. Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e fermarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma colui che mi ha mandato a battezzare con acqua, mi ha detto: Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fer marsi, è quello che battezza con lo Spirito Santo. E io ho veduto e ho attestato che questi è il Figlio di Dio”. Giovanni 1:29-34. {GN 91.4}

Era questi il Messia? Il popolo considerava con timore e meraviglia colui che era stato appena designato come Figlio di Dio. Le parole di Giovanni avevano prodotto negli astanti un’emozione profonda. Egli aveva parlato in nome di Dio. Essi lo avevano ascoltato, giorno dopo giorno, mentre li riprendeva per i loro peccati, e si erano convinti sempre più che era un messaggero di Dio. Ma chi era colui definito da Giovanni il battista più grande di lui? Niente nel suo aspetto denotava la sua condizione eccezionale. Vestito come tutti, con gli stessi abiti modesti del popolo, aveva tutta l’apparenza di un uomo comune. {GN 92.1}

Alcuni fra i presenti al battesimo di Gesù avevano visto la gloria di Dio e ne avevano udito la voce. Ma da allora l’aspetto del Salvatore era molto mutato. Al battesimo era apparso trasfigurato dalla luce del cielo mentre ora, pallido, sfinito, dimagrito, non era stato riconosciuto che dal Battista. {GN 92.2}

Guardandolo meglio il popolo scorse un volto in cui la misericordia divina si univa con la consapevolezza della potenza. Ogni lampo degli occhi, ogni tratto del viso esprimevano un’umiltà e un amore indicibili. Dall’atteggiamento si sarebbe detto che esercitava intorno a sé un profondo influsso spirituale. Di modi amabili e senza pretese, dava l’impressione di una potenza nascosta, eppure visibile. Era veramente colui che Israele aveva atteso per tanto tempo? {GN 92.3}

Gesù venne in uno stato di povertà e di umiliazione, per essere il nostro esempio e il nostro Redentore. Se fosse apparso con pompa regale, come avrebbe potuto insegnare l’umiltà? Come avrebbe potuto presentare verità incisive come quelle contenute nel Sermone sul Monte? Quale sarebbe stata la speranza per gli umili se Gesù fosse venuto tra gli uomini come un re? {GN 92.4}

Al popolo, però, sembrava impossibile che la persona indicata da Giovanni rispondesse alle loro grandi attese. Così molti furono delusi e perplessi. {GN 92.5}

Le parole che i sacerdoti e i rabbini desideravano tanto ascoltare da Gesù, la certezza che avrebbe ristabilito il regno d’Israele, non erano state pronunciate. Essi attendevano un re: le loro speranze erano tutte riposte in lui ed erano pronti ad accoglierlo. Ma non avrebbero accettato chi voleva stabilire nel loro cuore un regno di giustizia e di pace. {GN 92.6}

Il giorno seguente Giovanni, che aveva accanto due discepoli, vide di nuovo Gesù tra la folla. Il volto del profeta si illuminò anco ra della gloria dell’Invisibile, mentre esclamava: “Ecco l’Agnello di Dio!” I discepoli non compresero bene quelle parole, ma il loro cuore trasalì. Giovanni non aveva spiegato che cosa significasse il nome “Agnello di Dio”. {GN 92.7}

Essi lasciarono Giovanni e seguirono Gesù. Uno era Andrea, fratello di Simone, l’altro Giovanni, l’evangelista. Furono i primi discepoli di Gesù. Spinti da una forza irresistibile lo seguirono, ansiosi d’intrattenersi con lui, e insieme pieni di rispetto, tutti presi dal pensiero che superava la loro capacità di comprensione: costui era veramente il Messia? {GN 93.1}

Gesù si accorse dei due uomini che lo seguivano. Erano le primizie del suo ministero, e gioì per quelle anime che rispondevano all’appello della sua grazia. Voltandosi, chiese loro soltanto: “Che cercate?” Versetto 38. Li lasciava liberi di tornare indietro o di esprimere il loro desiderio. {GN 93.2}

In quel momento essi non avevano che una meta. Una presenza occupava i loro pensieri, ed esclamarono: “Rabbì... dove abiti?” Un breve colloquio lungo la strada non poteva offrire loro ciò che desideravano. Volevano restare soli con Gesù, sedersi ai suoi piedi e ascoltare le sue parole. “Egli rispose loro: Venite e vedrete. Essi dunque andarono, videro dove abitava e stettero con lui quel giorno”. Versetto 39. {GN 93.3}

Se Giovanni e Andrea fossero stati increduli come i sacerdoti e gli anziani, non si sarebbero messi, come semplici discepoli, ai piedi di Gesù, ma lo avrebbero criticato e ne avrebbero giudicato le parole. Invece questi primi discepoli non agirono così: avevano risposto all’appello rivolto loro dallo Spirito mediante la predicazione di Giovanni Battista. Ora riconoscevano la voce del Maestro: trovavano le parole di Gesù piene di freschezza e di verità. Una luce divina illuminò gli insegnamenti dell’Antico Testamento. I diversi elementi della verità si presentavano sotto una nuova luce. {GN 93.4}

Il pentimento, la fede e l’amore permettono all’uomo di ricevere la sapienza divina. La fede che opera nella carità è la chiave della conoscenza; chiunque ama “conosce Dio”. Giovanni 4:7. {GN 93.5}

Il discepolo Giovanni era un uomo dall’affetto sincero e profondo, dallo spirito ardente e contemplativo. Aveva incominciato a intravedere la gloria di Cristo, non quella esteriore e la potenza mondana in cui gli avevano insegnato a sperare, bensì una “gloria come quella dell’Unigenito venuto da presso al Padre”, “piena di grazia e di verità”. Giovanni 1:14. Egli era completamente assorto nella meditazione di questo tema straordinario. {GN 93.6}

Andrea voleva trasmettere ad altri la gioia che gli riempiva il cuo re. Corse in cerca del fratello Simone e gli disse ad alta voce: “Abbiamo trovato il Messia”. Versetto 41. Simone non aspettò un secondo avviso; anche lui aveva udito la predicazione di Giovanni il battista e corse subito dal Salvatore. Lo sguardo di Cristo si posò su di lui, leggendone il carattere e la vita. Quando gli disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; tu sarai chiamato Cefa (che si traduce Pietro)” (Versetto 42), ne vide la natura impulsiva, il cuore buono e generoso, l’ambizione e la fiducia che aveva in se stesso, la caduta, il pentimento, le pene e il martirio. {GN 93.7}

“Il giorno seguente, Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo, e gli disse: Seguimi”. Versetto 43. Filippo ubbidì a quest’ordine e si mise immediatamente al servizio di Cristo. {GN 94.1}

Filippo chiamò Natanaele. Quest’ultimo si trovava tra la folla quando Giovanni il battista aveva indicato Gesù come l’Agnello di Dio. Ma, guardandolo, era rimasto deluso. Quell’uomo, che portava i segni del lavoro e della povertà, poteva mai essere il Messia? Nata-naele però non riusciva a respingere Gesù: il messaggio di Giovanni gli era penetrato nel cuore. {GN 94.2}

Quando Filippo lo chiamò, Natanaele era appartato in un luogo tranquillo e meditava sulle parole di Giovanni e sulle profezie messianiche. Egli pregava per sapere se colui che il Battista aveva indicato fosse veramente il liberatore. Lo Spirito Santo gli dette la certezza che Dio aveva visitato il suo popolo, suscitando un Salvatore. Filippo sapeva che il suo amico studiava le profezie e scoprì il suo rifugio: stava pregando sotto un albero di fico. Spesso, nascosti dal fogliame, avevano pregato insieme in quel luogo tranquillo. {GN 94.3}

Il messaggio: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti” (Versetto 45), sembrò a Natanaele la risposta alla sua preghiera. Ma la fede di Filippo era ancora incerta, ed egli aggiunse: “Gesù da Nazaret, figlio di Giuseppe”. A queste parole il pregiudizio si affacciò ancora alla mente di Natanaele, che disse: “Può forse venire qualcosa di buono da Nazaret?” {GN 94.4}

Ma Filippo, senza entrare in discussione, si limitò a dire: “Vieni a vedere”. Versetto 46. “Gesù vide Natanaele che gli veniva incontro, e disse di lui: Ecco un vero israelita in cui non c’è frode”. Sorpreso, “Natanaele gli chiese: Da che cosa mi conosci? Gesù gli rispose: Prima che Filippo ti chiamasse, quando eri sotto il fico, io ti ho visto”. Versetti 47, 48. {GN 94.5}

Questo bastò. Lo Spirito di Dio, che aveva reso testimonianza a Natanaele quando pregava sotto l’albero, ora gli si rivolgeva con le stesse parole di Gesù. Sebbene incerto e pieno di pregiudizi, Nata-naele era venuto da Cristo con il desiderio sincero di conoscere la verità, e questo desiderio veniva appagato. La sua fede andò oltre quella di colui che lo aveva condotto dal Maestro. La sua risposta fu perciò la seguente: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele”. Versetto 49. {GN 94.6}

Natanaele, se si fosse lasciato guidare dai rabbini, non avrebbe mai trovato Gesù, mentre, osservando e valutando personalmente, divenne un discepolo. Anche oggi i pregiudizi impediscono a molti di conoscere il bene; essi otterrebbero risultati molto diversi se andassero, di persona, a verificare. Finché confidano in un’autorità umana, non potranno mai giungere alla conoscenza della verità. Come Natanaele, anche noi dobbiamo studiare per conto nostro la Parola di Dio e pregare per ricevere la luce dello Spirito Santo. Colui che vide Natanaele sotto il fico, vedrà anche noi mentre preghiamo segretamente. Gli angeli sono vicini a coloro che cercano con umiltà la guida divina. {GN 95.1}

Con la chiamata di Giovanni, Andrea, Simone, Filippo e Nata-naele furono gettate le basi della chiesa cristiana. Giovanni indirizzò verso il Messia due suoi discepoli. Uno di questi, Andrea, condusse suo fratello al Salvatore. Poi venne Filippo, che andò alla ricerca di Natanaele. Questi esempi ci insegnano la grande importanza dell’impegno individuale per conquistare parenti, amici e vicini. Vi sono alcuni che si professano cristiani, ma che non cercano di condurre neppure una sola persona al Salvatore e lasciano questo compito al pastore. Egli, per quanto capace, non può svolgere da solo il compito che Dio ha affidato a tutti i membri di chiesa. {GN 95.2}

Molti hanno bisogno dell’assistenza di cristiani premurosi. Tante persone si sarebbero potute salvare se i loro vicini, uomini e donne comuni, li avessero aiutati. Altri ancora aspettano che qualcuno li guidi. Nella nostra famiglia, nel vicinato, nella città in cui abitiamo abbiamo un’opera da compiere come missionari. Se siamo cristiani, lo svolgimento di quest’opera sarà la nostra gioia. Quando qualcuno si converte, nasce subito in lui un desiderio: far conoscere agli altri quale amico prezioso ha trovato in Gesù. Non può tenere solo per sé la verità che salva e santifica. {GN 95.3}

Tutti quelli che si consacrano a Dio diventano suoi canali di comunicazione. Il Signore si serve di loro per far pervenire ad altri le ricchezze della sua grazia. La sua promessa è: “Farò in modo che esse e i luoghi attorno al mio colle saranno una benedizione; farò scendere la pioggia a suo tempo, e saranno piogge di benedizione”. Ezechiele 34:26. {GN 95.4}

Filippo disse a Natanaele: “Vieni a vedere”. Non gli chiese di accettare la testimonianza di un altro, ma di contemplare direttamente Cristo. Da quando Gesù è asceso al cielo, i discepoli sono i suoi rap presentanti fra gli uomini; e uno dei mezzi più efficaci per conquistare altri a Cristo consiste nel riprodurre il suo carattere nella nostra vita quotidiana. Il nostro influsso dipende più da quello che siamo che da quanto diciamo. Gli uomini possono confutare e distruggere la nostra logica, resistere ai nostri appelli; ma una vita ispirata a un amore disinteressato è un argomento irrefutabile. Una vita fedele, che ha come caratteristica principale la mansuetudine di Cristo, è una potenza nel mondo. {GN 95.5}

L’insegnamento di Gesù era l’espressione di una piena convinzione e di una’esperienza di vita, e coloro che imparano da lui diventano maestri come lui. La Parola di Dio, pronunciata da qualcuno che ne è stato santificato, ha la capacità di dare la vita, e diventa convincente per gli uditori. Colui che ha accolto nel suo cuore la verità, lo manifesta con il comportamento e con il tono della voce. Fa conoscere ciò che ha udito, toccato e visto della Parola di vita, affinché altri si uniscano a lui attraverso la conoscenza di Cristo. {GN 96.1}

La sua testimonianza, pronunciata da labbra pure, rappresenta la verità per il cuore ricettivo e opera la santificazione del carattere. {GN 96.2}

Colui che vuole trasmettere ad altri questo messaggio sarà egli stesso benedetto. “Chi è benefico sarà nell’abbondanza, e chi annaffia sarà egli pure annaffiato”. Proverbi 11:25. Dio avrebbe potuto salvare i peccatori senza la nostra partecipazione, ma ci chiama a collaborare con lui, affinché possiamo sviluppare un carattere simile a quello di Cristo. Per poter provare la sua gioia, la gioia di coloro che sono stati salvati dal suo sacrificio, dobbiamo collaborare alla sua opera di redenzione. {GN 96.3}

Natanaele espresse la sua fede con parole così ardenti e sincere che suonarono alle orecchie di Gesù come una dolce musica. “Gesù rispose e gli disse: Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, tu credi? Tu vedrai cose maggiori di queste”. Giovanni 1:50. Il Salvatore considerava con gioia l’opera da compiere: predicare la “buona novella” ai mansueti, lenire i cuori affranti e proclamare la liberazione ai prigionieri di Satana. Egli aggiunse, pensando alle preziose benedizioni che era venuto a portare agli uomini: “In verità, in verità vi dico che vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”. Versetto 51. {GN 96.4}

Cristo voleva dire: sulle rive del Giordano i cieli si sono aperti, e lo Spirito è disceso su di me in forma di colomba, per attestare che sono il Figlio di Dio. Se lo credete, la vostra fede si ravviverà. Vedrete i cieli aperti; e non saranno mai chiusi. Io li ho aperti per voi. Gli angeli di Dio salgono e innalzano verso il Padre le preghiere dei miseri e degli afflitti, e scendono per portare agli uomini benedizioni, speranza, coraggio, soccorso e vita. {GN 96.5}

Gli angeli di Dio vanno continuamente dalla terra al cielo. I miracoli di Cristo in favore degli afflitti e dei sofferenti furono compiuti dalla potenza di Dio attraverso l’assistenza degli angeli. Grazie a questa, riceviamo in Cristo ogni benedizione da parte di Dio. Diventando uomo, il nostro Salvatore unisce i Agli decaduti di Adamo con il trono di Dio. Così, tramite Cristo, si ristabilisce il legame degli uomini con Dio e quello di Dio con gli uomini. {GN 97.1}



Capitolo 15: Le nozze di Cana

Gesù non iniziò la sua opera compiendo qualcosa di straordinario a Gerusalemme, magari davanti al sinedrio. Manifestò invece la sua potenza in un piccolo villaggio della Galilea, per accrescere la gioia di una festa di nozze. Dimostrò la sua simpatia verso gli uomini e il suo desiderio di renderli felici. Nel deserto della tentazione aveva sperimentato la sofferenza; ora voleva trasmettere agli uomini le benedizioni divine, santiAcando con la sua presenza le relazioni della vita umana. {GN 98.1}

Dal Giordano Gesù era tornato in Galilea. Nella cittadina di Cana, non lontano da Nazaret, si celebrava un matrimonio tra i parenti di Giuseppe e di Maria, ed egli fu invitato alla festa insieme con i suoi discepoli. {GN 98.2}

Rivide così la madre dopo un periodo di assenza. Maria era stata informata di ciò che era avvenuto al Giordano, in occasione del battesimo del Aglio. Le notizie giunte a Nazaret avevano ravvivato in lei il ricordo di quei fatti che per tanti anni aveva serbato nel suo cuore. Come tutto Israele, era stata profondamente colpita dalla missione di Giovanni il battista e ricordava bene la profezia pronunciata alla sua nascita. Le relazioni tra Gesù e il Battista riaccendevano le sue speranze. Aveva anche saputo del misterioso soggiorno di Gesù nel deserto e nel suo cuore nascondeva tristi presentimenti. {GN 98.3}

Dal giorno in cui aveva ricevuto l’annuncio dall’angelo, nella sua casa di Nazaret, aveva custodito gelosamente ogni prova della messianicità di Gesù. La vita tranquilla e altruistica del Aglio, la confermava nella convinzione che fosse l’inviato di Dio. Ma an-ch’ella conosceva il dubbio e le delusioni e aspettava con ansia il momento della manifestazione della sua gloria. La morte le aveva tolto Giuseppe, che aveva condiviso con lei il segreto della nascita di Gesù. Non le restava nessuno a cui conAdare le sue speranze e i suoi timori. Gli ultimi due mesi erano stati molto penosi. Priva della presenza di Gesù, la cui tenerezza era il suo solo conforto, meditava sulle parole di Simeone: “A te stessa una spada trafiggerà l’anima”. Luca 2:35. Si ricordava anche dei tre giorni trascorsi nell’angoscia quando aveva temuto di aver perso Gesù per sempre e con ansia ne aspettava il ritorno. {GN 98.4}

Lo rivide al banchetto nuziale. Era sempre il figlio affettuoso e sottomesso, ma aveva qualcosa di diverso. Il suo viso recava le tracce della lotta nel deserto e una nuova espressione di dignità e potenza rivelava la sua missione divina. Era accompagnato da un gruppo di giovani rispettosi che lo chiamavano “Maestro”. Quei discepoli raccontarono a Maria ciò che avevano visto al battesimo e in altre occasioni, e conclusero con queste parole: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti”. Giovanni 1:45. {GN 99.1}

Mentre gli ospiti giungevano, molti sembravano preoccupati per questioni importanti. Si notava una certa agitazione: alcuni gruppi conversavano a bassa voce e occhiate curiose venivano lanciate verso il figlio di Maria. La testimonianza dei discepoli riempì di gioia l’animo della madre e la convinse che le speranze accarezzate a lungo non erano state vane. Come ogni creatura umana, provava una gioia mista a un naturale orgoglio materno. Vedendo che un così gran numero di persone si interessavano di Gesù, desiderava ardentemente che egli desse una prova della sua messianicità. Maria sperava che per lui si presentasse l’occasione di compiere un miracolo in loro presenza. {GN 99.2}

All’epoca i festeggiamenti per le nozze duravano parecchi giorni. In quell’occasione, prima che la festa terminasse, venne a mancare il vino. Il fatto provocò perplessità e dispiacere: non era pensabile fare a meno del vino nei giorni di festa, e la sua mancanza sarebbe stata considerata come un segno di scarsa ospitalità. Maria, come parente degli sposi, aveva partecipato all’organizzazione della festa, perciò si rivolse a Gesù e gli manifestò la sua preoccupazione: “Non hanno più vino”. Giovanni 2:3. Queste parole contenevano implicitamente un invito a provvedere. Ma Gesù rispose: “Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta”. Versetto 4. {GN 99.3}

Questa risposta ci può sembrare brusca, ma non esprimeva né freddezza né scortesia. Era un modo di parlare tipicamente orientale, che veniva usato con le persone verso cui si aveva il massimo rispetto. Tutta la vita di Gesù, del resto, è stata in armonia con il precetto che egli stesso aveva dato: “Onora tuo padre e tua madre”. Esodo 20:12. Sulla croce, compiendo l’ultimo gesto di tenerezza verso la madre, si rivolse a lei affidandola alle cure del suo discepolo prediletto. Alla festa nuziale, e più tardi sulla croce, l’affetto di Gesù si espresse con il tono della voce, con le espressioni del volto e con l’atteggiamento. {GN 99.4}

Da fanciullo, in occasione della visita al tempio, nel momento in cui capì il mistero della sua missione, Gesù aveva detto a Maria “Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?” Luca 2:49. Queste parole contenevano il programma della sua vita e del suo ministero. Tutto era subordinato all’opera di salvezza che era venuto a compiere nel mondo. Alle nozze di Cana si ripeteva la stessa situazione. Maria correva il rischio di pensare che, come madre di Gesù, godesse di certi privilegi su di lui e del diritto di guidarlo nella sua missione. Fino all’età di trent’anni era stato per lei un figlio affettuoso e ubbidiente e il suo amore era rimasto immutato; ma ora egli doveva “attendere alle cose del Padre” (Versetto 49, Diodati) suo. Nessun legame terreno doveva distogliere il Figlio di Dio dalla sua missione o influire sulla sua condotta. Doveva essere interamente libero di compiere la volontà di Dio. C’è qui un insegnamento anche per noi: i diritti di Dio sono superiori agli stessi legami del sangue; nessun vincolo terreno deve allontanarci dal sentiero su cui egli ci invita a camminare. {GN 99.5}

L’unica speranza di redenzione per la stirpe decaduta risiede in Cristo; Maria stessa poteva trovare la salvezza solo nell’Agnello di Dio. In sé ella non aveva alcun merito. La sua parentela con Gesù non la poneva in una relazione spirituale diversa da quella degli altri esseri umani. Questo voleva dire Gesù con le sue parole. Egli fece una distinzione precisa tra ciò che lo univa a lei come Aglio dell’uomo e ciò che lo differenziava come Figlio di Dio. Il legame che li univa non metteva certo Maria su un piano di uguaglianza rispetto a Gesù. {GN 100.1}

Le parole “la mia ora non è ancora venuta” indicano che ogni atto della vita di Cristo era l’attuazione di un piano predisposto in tutti i suoi aspetti fin dall’eternità. Nella vita Gesù era guidato, progressivamente, dalla volontà del Padre. Al momento stabilito non esitava ad agire, ma con uguale sottomissione attendeva finché non fosse giunto il tempo. {GN 100.2}

Dicendo a Maria che la sua ora non era ancora venuta, Gesù rispondeva al suo pensiero inespresso, alla speranza che ella cullava insieme al popolo. Sperava che si sarebbe manifestato come Messia e avrebbe preso possesso del trono d’Israele. Ma il tempo non era ancora venuto. Gesù avrebbe accettato la sorte dell’umanità, ma non come re, bensì come “uomo di dolore, familiare con la sofferenza”. Isaia 53:3. {GN 100.3}

Sebbene Maria non avesse una concezione esatta della missione di Cristo, aveva piena fiducia in lui. Gesù rispose a quella fede. Compì il suo primo miracolo per onorare la fiducia di Maria e per rendere più salda la fede dei suoi discepoli. I discepoli avrebbero incontrato molte e grandi tentazioni; erano convinti, attraverso le profezie, che Gesù fosse il Messia, e si aspettavano perciò che i capi religiosi lo ricevessero con una fiducia persino più grande della loro. Parlavano alla gente delle opere meravigliose di Cristo e facevano conoscere la loro fiducia nella sua missione; ma rimanevano stupiti e amaramente delusi per la sfiducia, l’irriducibilità dei pregiudizi e l’odio mostrato dai sacerdoti e dai rabbini. I primi miracoli del Salvatore resero i discepoli capaci di resistere ai contrasti futuri. {GN 100.4}

Per nulla sconcertata dalla risposta di Gesù, Maria disse a coloro che servivano a tavola: “Fate tutto quel che vi dirà”. Giovanni 2:5. Fece ciò che poteva per preparare la via all’opera di Cristo. {GN 101.1}

Vicino alla porta vi erano sei grandi vasi di pietra. Gesù ordinò ai servitori di riempirli d’acqua. Siccome c’era bisogno di vino, disse loro: “Adesso attingete e portatene al maestro di tavola”. Versetto 8. Invece dell’acqua che vi avevano versata, spillarono del vino. Né il maestro di casa, né la maggior parte degli ospiti si erano accorti che il vino era finito. Dopo averlo assaggiato, il maestro di casa lo trovò migliore di ogni altro vino, e assai diverso da quello servito all’inizio della festa. Rivolgendosi allo sposo, disse: “Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora”. Versetto 10. {GN 101.2}

Come gli uomini offrono prima il vino buono e poi il peggiore, così fa il mondo con i suoi doni. Ciò che offre la società può piacere agli occhi e ai sensi, ma non dà una piena soddisfazione. Il vino si trasforma in amarezza e la gioia in lutto. Ciò che era iniziato con canti e allegrezza, termina con stanchezza e disgusto. I doni di Gesù, invece, sono sempre freschi e nuovi. La festa che offre all’essere umano non è mai priva di gioia e di soddisfazione. Ogni nuovo dono accresce la capacità di apprezzare e godere le benedizioni del Signore. Egli concede grazia dopo grazia. Non ci può essere mancanza di beni. Se siete in contatto con lui, il fatto di ricevere un ricco dono oggi vi consente di riceverne uno più ricco domani. Le parole di Gesù a Natanaele esprimono il modo di procedere di Dio verso coloro che credono. Con amore dice a chi è disposto ad accettarlo: “Tu vedrai cose maggiori di queste”. Giovanni 1:50. {GN 101.3}

Il dono di Cristo al banchetto nuziale aveva un valore simbolico. L’acqua rappresentava il battesimo nella sua morte; il vino, l’effusione del suo sangue per i peccati del mondo. Furono gli uomini a portare l’acqua e a riempire i vasi, ma solo la parola di Cristo le poté comunicare una potenza di vita. Lo stesso accade per i riti che annunciano la morte del Salvatore: non possono nutrire lo spirito se non in virtù della potenza di Cristo operante per la fede. {GN 101.4}

La parola di Cristo provvide abbondantemente alle necessità della festa. La misura della sua grazia è tanto grande da cancellare i peccati dell’umanità e rinnovare e nutrire lo spirito. {GN 102.1}

Nella prima festa a cui partecipò con i discepoli, Gesù offrì la coppa, simbolo della salvezza in loro favore. In occasione dell’ultima cena, la offrì nuovamente, istituendo quel sacro rito per commemorare la sua morte fino al suo ritorno. Cfr. 1 Corinzi 11:26. Il dolore dei discepoli per la separazione da Cristo fu lenito dalla promessa di un nuovo incontro. “Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”. Matteo 26:29. {GN 102.2}

Il vino che Cristo provvide per la festa e quello che offrì più tardi ai discepoli, come simbolo del suo sangue, era puro succo d’uva. Ad esso allude il profeta Isaia quando parla del succo nel grappolo, e dice: “Non lo distruggere perché lì c’è una benedizione”. Isaia 65:8. {GN 102.3}

Cristo aveva dato a Israele il seguente ammonimento: “Il vino è schernitore, la bevanda alcolica è turbolenta, chiunque se ne lascia sopraffare non è saggio”. Proverbi 20:1. Quindi non poteva essere lui a offrire una simile bevanda. Satana tenta gli uomini spingendoli alla rilassatezza che offusca la ragione e affievolisce la sensibilità spirituale; ma Cristo ci insegna a dominare la nostra natura. Tutta la sua vita è stata un esempio di abnegazione. Per vincere la potenza delle passioni, sopportò per noi la prova più dura a cui l’umanità possa trovarsi esposta. Era stato Cristo a stabilire che Giovanni IL Battista non bevesse “né vino né cervogia”. Egli aveva ordinato una simile astinenza alla moglie di Manoah, e aveva maledetto l’uomo che avrebbe dato da bere al suo prossimo. Cristo non ha contraddetto i suoi insegnamenti. Il vino non fermentato, che aveva provveduto alla festa nuziale, era una bevanda sana e rinfrescante e mirava a soddisfare il gusto essendo insieme un alimento sano. {GN 102.4}

Mentre gli ospiti facevano notare la bontà di quel vino, vennero poste delle domande ai servitori e si seppe del miracolo. I convitati furono così stupiti da non pensare a colui che aveva compiuto quell’opera meravigliosa. Quando infine lo cercarono, si accorsero che si era allontanato senza farsi notare, neppure dai discepoli. {GN 102.5}

L’attenzione degli ospiti si volse allora verso di loro che per la prima volta ebbero l’occasione di testimoniare della loro fede in Gesù. Raccontarono ciò che avevano visto e udito al Giordano e così fecero nascere in molti cuori la speranza che Dio avesse fatto sorgere un liberatore per il suo popolo. La notizia del miracolo si diffuse in tutta la regione e giunse persino a Gerusalemme. Con rinnovato interesse i sacerdoti e gli anziani investigarono le profezie messianiche. Sorse un grande desiderio di conoscere meglio la missione di quel nuovo maestro che si mostrava al popolo in maniera così modesta. {GN 102.6}

Il ministero di Cristo era in netto contrasto con quello degli anziani del popolo d’Israele. La stima in cui tenevano la tradizione e il formalismo aveva distrutto ogni vera libertà di pensiero e azione. Vivevano nella paura continua della contaminazione. Per evitare il contatto con gli “impuri” stavano lontani non solo dai gentili, ma anche dalla maggior parte dei loro compatrioti, evitando di aiutarli e farseli amici. Pensando sempre a tali questioni, avevano limitato le loro menti e ristretto la visuale della loro vita. Il loro esempio favoriva la diffusione dell’egoismo e dell’intolleranza in tutto il popolo. {GN 103.1}

Gesù iniziò la sua opera di riforma accostandosi con simpatia agli uomini. Manifestò grande rispetto per la legge di Dio, ma respinse la pretesa pietà dei farisei e cercò di liberare il popolo da norme insensate. Si impegnò per abbattere le barriere che separavano le diverse classi sociali, affinché tutti gli uomini si sentissero membri della stessa famiglia. La sua partecipazione alla festa nuziale era un passo in questa direzione. {GN 103.2}

Dio aveva guidato Giovanni il battista nel deserto affinché fosse al riparo dall’influsso dei sacerdoti e dei rabbini e si preparasse per la sua missione. Ma l’austerità e l’isolamento della sua vita non erano un modello da proporre a tutti. Giovanni stesso non aveva indotto i suoi uditori a dimenticarsi dei loro doveri pratici. Aveva ordinato di manifestare il loro pentimento con la fedeltà a Dio là dove erano stati chiamati. {GN 103.3}

Gesù, pur avendo una natura socievole, condannò la rilassatezza in tutte le sue forme. Accettava l’ospitalità di tutti, entrava nelle case dei ricchi e dei poveri, dei sapienti e degli ignoranti e cercava di distogliere il loro pensiero dalle realtà quotidiane per rivolgerlo a ciò che era spirituale ed eterno. Non incoraggiava la soddisfazione dei piaceri e la sua condotta non fu macchiata da nessun tipo di leggerezza mondana; amava vedere gli uomini felici e santificava con la sua presenza quelle feste. Un matrimonio per gli ebrei era un avvenimento importante e la gioia che veniva manifestata non dispiaceva al Figlio dell’uomo. Assistendo a questa festa, Gesù ha onorato il matrimonio come istituzione divina. {GN 103.4}

Nell’Antico e nel Nuovo Testamento il matrimonio serve come simbolo dell’unione affettuosa e sacra che esiste fra Cristo e il suo popolo. La gioia di una festa nuziale evocava nella mente di Gesù la gioia del giorno in cui avrebbe introdotto la sua sposa nella casa del Padre e i riscattati si sarebbero seduti con lui alla cena nuziale dell’Agnello. Egli disse: “Come la sposa è la gioia dello sposo, così tu sarai la gioia del tuo Dio”. Isaia 62:5, 4. “Non sarai chiamata più Abbandonata... ma tu sarai chiamata La mia delizia è in lei... poiché il Signore si compiacerà in te”. “Egli si rallegrerà con gran gioia per causa tua... esulterà, per causa tua, con grida di gioia”. Sofonia 3:17. Quando l’apostolo Giovanni ebbe la visione del regno dei cieli, scrisse: “Poi udii come la voce di una gran folla e come il fragore di grandi acque e come il rombo di forti tuoni, che diceva: ‘Alleluia! Perché il Signore, nostro Dio, l’Onnipotente, ha stabilito il suo regno. Rallegriamoci ed esultiamo e diamo a lui la gloria, perché sono giunte le nozze dell’Agnello e la sua sposa si è preparata’”. “Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello”. Apocalisse 19:6, 7, 9. {GN 103.5}

Gesù vedeva in ognuno un candidato per il suo regno. Egli toccava il cuore delle persone perché voleva il loro bene. Le cercava nelle strade, nelle case, sulle barche, nella sinagoga, sulle rive del lago, alle feste nuziali. Le incontrava mentre svolgevano i loro lavori quotidiani e manifestava interesse per ciò che facevano. Portava i suoi insegnamenti nelle case e faceva sentire alle famiglie il suo influsso divino. Con la sua intensa partecipazione umana conquistava i cuori. Spesso si ritirava sui monti a pregare, ma sempre in vista di una vita attiva tra gli uomini. Andava poi in mezzo a loro per guarire gli ammalati, istruire gli ignoranti e spezzare le catene dei prigionieri di Satana. {GN 104.1}

Gesù preparò i discepoli vivendo con loro e associandoli al suo lavoro. A volte li istruiva sedendosi con loro ai piedi dei monti, sulle rive del lago o per la strada, e faceva loro conoscere i misteri del regno di Dio. Non pronunciava sermoni come fanno gli uomini oggi. Ovunque vedeva un cuore che si apriva per udire il messaggio divino, svelava le verità della salvezza. Anziché impartire ordini ai suoi discepoli, diceva soltanto: “Seguitemi”. Li portava con sé nei viaggi attraverso i paesi e le città, perché potessero vedere come istruiva il popolo. Unì i loro interessi ai suoi e i discepoli si unirono a lui nel lavoro. {GN 104.2}

Tutti coloro che hanno accettato il Vangelo della grazia dovrebbero seguire l’esempio di Cristo che associava i suoi interessi a quelli dell’umanità. Non dobbiamo rinunciare a vivere con gli altri, non dobbiamo isolarci. Dobbiamo noi stessi raggiungere gli uomini dove sono, perché molto difficilmente verranno a noi spontaneamente. Non è solo dal pulpito che la verità divina può toccare il cuore degli uomini. Un altro campo di attività più umile, ma pieno di promesse, è quello delle abitazioni del povero e dei palazzi dei ricchi; quello della casa ospitale e delle riunioni sociali che hanno come scopo un sano divertimento. {GN 104.3}

Come discepoli di Cristo non dobbiamo lasciarci trascinare dai piaceri e dalle follie del mondo. Se lo facessimo, ne deriverebbe solo del male. Non dovremmo mai sanzionare il peccato con le nostre parole o con le nostre azioni, con il nostro silenzio o con la nostra presenza. Ovunque ci rechiamo, dobbiamo portare Gesù con noi e rivelare agli altri il valore prezioso del nostro Salvatore. Quelli che pensano di preservare la propria religione chiudendola entro mura di pietra, perdono occasioni preziose di fare il bene. Mediante le relazioni sociali il cristianesimo entra in contatto con il mondo. Tutti coloro che sono entrati in contatto con Dio devono illuminare la strada di quanti non conoscono ancora la luce della vita. {GN 105.1}

Dobbiamo diventare tutti testimoni di Gesù. L’influsso sociale, santificato dalla grazia di Cristo, deve essere potenziato per conquistare gli altri a Cristo. Mostriamo al mondo che non siamo solo persone assorbite dagli interessi personali, ma che desideriamo vedere anche gli altri partecipare alle nostre benedizioni e ai nostri privilegi. Che essi vedano che la nostra religione non ci priva di simpatia e non ci rende intolleranti. Tutti coloro che professano di aver trovato Cristo operino come egli ha operato per il bene degli uomini. {GN 105.2}

Non dovremmo mai offrire al mondo la falsa impressione che i cristiani sono persone tristi e infelici. In Gesù vediamo un Redentore compassionevole che ci illumina mentre lo contempliamo. Dove regna il suo spirito, regna anche la pace. E vi sarà gioia perché in Dio vi è una fiducia santa e calma. {GN 105.3}

Cristo è contento quando i suoi discepoli, anche se uomini, manifestano la natura divina. Essi non sono statue, ma uomini e donne viventi. I loro cuori, rinfrescati dalla rugiada della grazia divina, si aprono al Sole di giustizia. La luce che brilla su loro si riflette sugli altri attraverso azioni che risplendono dell’amore di Cristo. {GN 105.4}



Capitolo 16: Nel suo tempio

“Dopo questo, scese a Capernaum egli con sua madre, con i suoi fratelli e i suoi discepoli, e rimasero là alcuni giorni. La Pasqua dei giudei era vicina e Gesù salì a Gerusalemme”. Giovanni 2:12, 13. {GN 106.1}

Per compiere questo viaggio, Gesù si unì a una delle affollate carovane che si recavano verso la capitale. Non avendo fatto conoscere pubblicamente la sua missione, poté mescolarsi inosservato tra la folla. In questo viaggio si parlò spesso della venuta del Messia, su cui la predicazione di Giovanni aveva attratto l’attenzione. Ci si soffermava sulle speranze di grandezza nazionale e gli animi si entusiasmavano. Gesù sapeva che queste speranze sarebbero state deluse, perché fondate su un’interpretazione errata delle Scritture. Si impegnava quindi a spiegare le profezie e indurre i suoi uditori a uno studio più attento della Parola di Dio. {GN 106.2}

I capi esortavano gli israeliti a recarsi a Gerusalemme per essere istruiti su come adorare Dio. Durante la settimana di Pasqua, nella capitale, erano in molti ad accorrere da ogni parte della Palestina e anche dai paesi più lontani. Una folla eterogenea occupava i cortili del tempio. Siccome la maggior parte delle persone non poteva portarsi dietro gli animali che dovevano essere immolati, per loro comodità si effettuava una vendita di animali nel cortile esterno del tempio. Qui tutti i fedeli, senza distinzione di classe, andavano a procurarsi le vittime e a cambiare ogni moneta straniera con quella del santuario. {GN 106.3}

Ciascun israelita doveva pagare ogni anno mezzo siclo per riscattare la sua persona. Cfr. Esodo 30:12-16. Il denaro così raccolto serviva per la manutenzione del tempio. Oltre a ciò, offerte volontarie di entità cospicua venivano portate nel tesoro del tempio. Ogni moneta straniera doveva essere cambiata con il siclo del santuario, unica moneta accettata nel servizio del tempio. Questo cambio, che offriva occasioni di inganni ed estorsioni, era per i sacerdoti una vergognosa fonte di guadagno. {GN 106.4}

I commercianti vendevano gli animali a prezzi esorbitanti e dividevano poi i loro guadagni con i sacerdoti e gli anziani che si arricchivano a spese del popolo. Si insegnava ai fedeli che, se non offrivano sacrifici, la benedizione divina non sarebbe scesa sui loro figli e sulle loro terre. Si alzavano i prezzi delle vittime, con la certezza che i fedeli, giunti da tanto lontano, non sarebbero tornati alle loro case senza aver compiuto gli atti di culto prescritti. {GN 106.5}

In occasione della Pasqua il numero dei sacrifici offerti era notevole e le vendite nel tempio aumentavano. La confusione faceva pensare a un mercato di bestiame più che al santo tempio di Dio. Si udivano il muggito dei buoi, il belare delle pecore, il tubare dei piccioni, mescolati con il tintinnio delle monete e le contrattazioni. La confusione disturbava i fedeli e sommergeva le preghiere. Gli israeliti erano orgogliosi del loro tempio e consideravano una bestemmia ogni parola pronunciata contro di esso. Erano scrupolosi nella celebrazione dei riti, ma per amore del denaro passavano sopra a questi scrupoli. Non si rendevano conto di quanto si fossero allontanati dall’obiettivo per cui Dio stesso aveva stabilito quel servizio. {GN 107.1}

Quando il Signore discese sul monte Sinai, consacrò con la sua presenza quel luogo. Mosè ricevette l’ordine di isolare il monte con delle barriere e di santificarlo. “Guardatevi dal salire sul monte o dal toccarne i fianchi. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte. Nessuna mano dovrà toccare il colpevole: questo sarà lapidato o trafitto con frecce; animale o uomo che sia, non dovrà vivere!” Esodo 19:12, 13. Dio insegnava che qualunque luogo dove si manifestava la sua presenza era santificato. I luoghi adiacenti al santuario avrebbero dovuto esser considerati sacri, ma l’amore del denaro aveva fatto perdere di vista tutto questo. {GN 107.2}

I sacerdoti e gli anziani, rappresentanti di Dio presso il popolo, avrebbero dovuto reprimere gli abusi commessi nel cortile del tempio e offrire al popolo esempi di onestà e misericordia. Anziché ricercare guadagni personali avrebbero dovuto pensare alle condizioni e ai bisogni dei fedeli e venire in aiuto di chi non aveva i mezzi per procurarsi gli animali richiesti per i sacrifici. Ma trascurarono il proprio dovere perché l’avidità aveva indurito il loro cuore. {GN 107.3}

Venivano alla festa anche i malati, i poveri, i ciechi, gli zoppi, i sordi. Alcuni erano portati sui loro giacigli. Molti erano troppo poveri per poter offrire al Signore anche l’offerta più modesta e perfino per procurarsi il cibo con cui placare la fame. Erano molto turbati per gli insegnamenti dei sacerdoti che si vantavano della loro generosità e si proclamavano custodi del popolo, ma erano privi di simpatia e compassione. I poveri, i malati, i morenti si rivolgevano a loro inutilmente. In quei cuori induriti non si risvegliava nessun sentimento di pietà. {GN 107.4}

Entrato nel tempio, Gesù colse con un solo sguardo tutta la scena. Vide la disonestà; vide l’angoscia dei poveri che temevano, non potendo portare dei sacrifici, di non avere il perdono dei peccati. Vide che il cortile esterno del tempio era stato trasformato in un luogo di traffici profani: sembrava un grande mercato. {GN 108.1}

Sentì che doveva fare qualcosa. Era stato ordinato al popolo di seguire tante cerimonie senza che gli fosse data un’adeguata istruzione per comprenderne il significato. I fedeli non capivano che i loro sacrifici erano i simboli del sacrificio unico e perfetto. In mezzo a loro, né riconosciuto né onorato, stava colui a cui tutti quei sacrifici si riferivano, colui che li aveva previsti. Egli ne conosceva il valore simbolico e si rendeva conto che erano stati travisati e venivano interpretati falsamente. L’adorazione spirituale stava scomparendo e nessun legame univa più Dio, sacerdoti e classe dirigente. Cristo era venuto per stabilire un tipo di adorazione completamente diverso. {GN 108.2}

Appena entrò nel tempio colse con uno sguardo penetrante la scena che gli si presentava. Con occhio profetico vide il futuro, e non solo anni, ma secoli e millenni. Vide che sacerdoti e capi si sarebbero rifiutati di far giustizia ai miseri e avrebbero impedito la predicazione del Vangelo ai poveri. Vide che l’amore di Dio sarebbe stato nascosto ai peccatori e la sua grazia sarebbe stata oggetto di un vero commercio. Guardando quella scena si indignò e sul suo viso si leggevano forza e autorità. L’attenzione del popolo si volse verso di lui. Gli occhi dei trafficanti si fissarono sul suo volto. Non riuscivano a sfuggire al suo sguardo. Sentivano che quell’uomo leggeva i loro pensieri più intimi e svelava i loro segreti moventi. Cercarono di voltarsi, temendo che quegli occhi scrutatori potessero leggere nei loro le cattive azioni compiute. Immaginiamo la scena. {GN 108.3}

Il frastuono cessa. S’interrompe il brusio dei traffici e delle contrattazioni e il silenzio si fa opprimente. L’assemblea è dominata da un senso di timore, come se si trovasse davanti al tribunale di Dio. La divinità rifulge in Cristo attraverso il velo dell’umanità. La Maestà del cielo si erge come nell’ultimo giorno, non rivestita della stessa gloria, ma capace di leggere nell’animo. Il suo sguardo spazia sulla folla e si sofferma su ognuno. Il suo volto risplende di luce divina. Egli parla, e la sua voce chiara e potente — la stessa che ha proclamato la legge dal Sinai e che ora i sacerdoti e gli anziani non vogliono ascoltare — echeggia sotto i porticati del tempio: “Portate via di qui queste cose; smettete di fare della casa del Padre mio una casa di mercato”. Giovanni 2:16. {GN 108.4}

Scendendo lentamente i gradini, con in mano una sferza di cordicelle, ordina ai mercanti di lasciare i cortili del tempio. Con uno zelo e una severità che non aveva ancora manifestati, rovescia le tavole dei cambiavalute. Le monete, cadendo sui pavimenti di marmo, mandano un suono squillante. Nessuno osa porre in dubbio la sua autorità, né raccoglie il denaro guadagnato illecitamente. Gesù non colpisce nessuno, ma quella semplice sferza sembra fra le sue mani come una spada fiammeggiante. Gli addetti al tempio, i sacerdoti affaristi, i compratori e i mercanti di bestiame, insieme con i loro buoi e le loro pecore, si precipitano fuori, preoccupati unicamente di sfuggire alla condanna della sua presenza. {GN 108.5}

La folla, sentendo passare su di sé l’ombra della sua divinità, è presa dal panico. Da centinaia di labbra pallide sfuggono grida di terrore. Perfino i discepoli tremano, impressionati dalle parole e dall’atteggiamento di Gesù, così insoliti. Si ricordano di ciò che è stato scritto: “Mi divora lo zelo per la tua casa”. Salmi 69:9. Presto la folla tumultuosa, con la sua mercanzia, si trova lontana dal tempio del Signore. I cortili sono liberi dal traffico profano. Un silenzio profondo e solenne subentra alla confusione. La presenza del Signore, che una volta aveva santificato la montagna, ora ha santificato il tempio eretto in suo onore. Con la purificazione del tempio, Gesù proclamava la sua missione di Salvatore e inaugurava il suo ministero. Questo tempio, costruito come casa per il Dio vivente, doveva essere per Israele e per il mondo una parabola. {GN 109.1}

Il piano eterno di Dio era che ogni creatura, dal serafino risplendente e santo fino all’uomo, fosse un tempio dove potesse dimorare il Creatore. Ma a causa del peccato l’umanità non è stata più il tempio di Dio; offuscato e contaminato dal male, il cuore dell’uomo non rivela più la sua gloria. Ma il piano di Dio si adempie con l’incarnazione del suo Figlio. Dio abita in mezzo agli uomini tramite la sua grazia salvifica, e il cuore dell’uomo diventa nuovamente il suo tempio. Dio voleva che il santuario di Gerusalemme fosse una testimonianza perenne del grande destino di ogni uomo. Ma gli ebrei non avevano compreso il significato dell’edificio che era per loro fonte di grande orgoglio. Non volevano diventare i sacri templi dello Spirito divino. {GN 109.2}

I cortili del santuario, disonorati dallo scandalo di un traffico vergognoso, erano solo l’immagine fedele del loro cuore contaminato dalla presenza di passioni sensuali e pensieri profani. Scacciando dal tempio compratori e venditori, Gesù proclamava la sua intenzione di purificare il cuore dal peccato, dai desideri terreni, dall’avidità e dalle cattive abitudini. “E subito il Signore, che voi cercate, l’Angelo del patto, che voi desiderate, entrerà nel suo tempio. Ecco egli viene, dice il Signore degli eserciti. Chi potrà resistere nel giorno della sua venuta? {GN 109.3}

Chi potrà rimanere in piedi quando egli apparirà? Egli infatti è come il fuoco del fonditore, come la potassa dei lavatori di panni. Egli si metterà seduto, come chi raffina e purifica l’argento, e purificherà i figli di Levi e li raffinerà come si fa dell’oro e dell’argento”. Malachia 3:1-3. {GN 110.1}

“Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi”. 1 Corinzi 3:16, 17. Nessuno può liberarsi da solo dalla disonestà che ha invaso il cuore. Cristo solo può purificare il tempio dello spirito. Ma non ne forza l’ingresso. Non entra così come non entrò nel tempio antico, ma dice: “Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui”. Apocalisse 3:20. {GN 110.2}

Egli non verrà solamente per un giorno, perché dice: “Abiterò e camminerò in mezzo a loro... ed essi saranno il mio popolo”. 2 Corinzi 6:16. Egli “metterà sotto i suoi piedi le nostre colpe e getterà in fondo al mare tutti i nostri peccati”. Michea 7:19. La sua presenza purificherà e santificherà l’anima, e farà di essa un sacro tempio per il Signore, una “dimora a Dio per mezzo dello Spirito”. Efesini 2:22. {GN 110.3}

I sacerdoti e i capi, in preda al terrore, erano fuggiti dal cortile del tempio, lontani dallo sguardo scrutatore che leggeva nel loro cuore. Durante la fuga incontrarono dei fedeli che si recavano al tempio. Dissero loro di tornare indietro e raccontarono ciò che avevano visto e udito. Cristo guardava con profonda pietà quegli uomini impauriti e in fuga, ignari della natura del vero culto. Quella scena anticipava la dispersione di tutto il popolo ebraico a causa della sua malvagità e impenitenza. {GN 110.4}

Perché i sacerdoti fuggirono così dal tempio? Perché non restarono al loro posto? Chi li aveva cacciati era il figlio di un falegname, un povero galileo, privo di ogni potenza terrena. Perché non resistettero? Perché abbandonarono il denaro guadagnato disonestamente e fuggirono davanti all’ordine di qualcuno dall’aspetto esteriore così dimesso? {GN 110.5}

Cristo parlava con l’autorità di un re e, davanti alla sua presenza e al tono della sua voce, nessuno poteva resistere. Compresero, come mai prima, di essere degli ipocriti e dei ladri. Mentre la sua divinità si manifestava, non videro soltanto l’indignazione del suo viso, ma ne intesero anche le parole. Si sentirono come davanti al trono del Giudice eterno, per udire la loro sentenza definitiva. Si formò in loro la convinzione che Cristo era un profeta e molti credettero nella sua messianicità. Lo Spirito Santo ricordava loro le profezie sul Messia. Avrebbero sostenuto questa convinzione? Ma i sacerdoti e gli anziani non vollero pentirsi. Videro che Gesù simpatizzava con i poveri; si resero conto di essere colpevoli di estorsione ai danni del popolo. Lo odiavano perché leggeva nei loro cuori. La sua riprensione pubblica aveva ferito il loro orgoglio ed erano invidiosi per la sua crescente popolarità. Decisero di chiedergli in base a quale autorità avesse agito così e chi gliel’avesse conferita. {GN 110.6}

Pensosi e pieni di odio, i sacerdoti rientrano lentamente nel tempio, ma in loro assenza si era verificato un grande cambiamento. Durante la loro fuga, i poveri erano rimasti e si erano avvicinati a Gesù, il cui aspetto esprimeva simpatia e amore. Commosso, egli diceva loro: “Non temete. Io vi libererò e voi mi glorificherete. Per questo sono venuto nel mondo”. {GN 111.1}

La folla si accalcava supplicante intorno a Cristo e invocava la sua benedizione. Gesù era attento a ogni invocazione. Si chinava sui piccoli sofferenti con una tenerezza maggiore di una madre. Si occupava di tutti. Ognuno veniva guarito dalle sue malattie. Le labbra dei muti intonavano canti di lode; gli occhi dei ciechi contemplavano il viso del loro liberatore; i cuori dei sofferenti si rallegravano. {GN 111.2}

Per i sacerdoti e gli ufficiali del tempio quelle voci furono una grande rivelazione. Coloro che erano stati guariti parlavano dei dolori sofferti, delle speranze deluse, dei giorni tristi e delle notti insonni. Quando l’ultima loro speranza sembrava estinta, Cristo li aveva guariti. Un altro raccontava che la sua croce era pesante, ma aveva trovato un soccorritore, il Messia, al cui servizio voleva consacrare la propria vita. {GN 111.3}

I genitori invitavano i loro figli a celebrare le lodi di chi li aveva guariti. Voci di bimbi e adolescenti, di padri e madri, di amici e spettatori si univano in un coro di ringraziamenti e di lode. Il loro cuore traboccava di speranza e di gioia. La pace scendeva nell’animo dei presenti. Guariti nel corpo e nello spirito, ritornavano a casa proclamando l’amore incomparabile di Gesù. {GN 111.4}

Quando Cristo fu crocifisso, coloro che erano stati guariti non si unirono alla folla inferocita che gridava: “Sia crocifisso”. Avevano simpatia per Gesù perché avevano conosciuto il suo grande amore e la sua potenza straordinaria. Lo avevano riconosciuto come Salvatore personale perché aveva offerto loro la salute del corpo e quella dello spirito. Avevano ascoltato la predicazione degli apostoli e la Parola di Dio era entrata nei loro cuori e li aveva illuminati. Erano diventati strumenti della misericordia di Dio e della sua salvezza. {GN 111.5}

Le persone che erano fuggite in massa dal cortile del tempio, dopo qualche tempo ritornarono. Si erano riprese dal panico, ma portavano ancora sul volto i segni dell’indecisione e della timidezza. Guardarono con meraviglia ciò che Gesù aveva fatto e si convinsero che si adempivano in lui le profezie messianiche. Il peccato della profanazione del tempio ricadeva soprattutto sui sacerdoti. Per loro iniziativa il cortile si era trasformato in un mercato. Il popolo era molto meno responsabile. Esso rimase colpito dall’autorità divina di Gesù, ma sentiva ancora fortissimo l’ascendente dei sacerdoti e dei rabbini. Essi consideravano la missione di Gesù come un tentativo d’innovazione e mettevano in dubbio il suo diritto di modificare ciò che era stato permesso dalle autorità del tempio. Si risentirono per l’interruzione dei loro affari e commerci e soffocarono nel loro cuore la voce dello Spirito Santo. {GN 111.6}

Meglio di chiunque altro i sacerdoti e i capi avrebbero potuto riconoscere in Gesù l’unto del Signore, poiché avevano in mano i sacri rotoli in cui si annunciava la sua missione e si erano resi conto che nella purificazione del tempio si era manifestata una potenza divina. Sebbene odiassero Gesù, erano assillati dal pensiero che potesse essere un profeta inviato da Dio per ristabilire la santità del tempio. Con un rispetto nato dal timore si accostarono a lui e gli chiesero: “Quale segno miracoloso ci mostri per fare queste cose?” Giovanni 2:18. {GN 112.1}

Gesù aveva mostrato un segno. Aveva dato una chiara testimonianza della sua natura, illuminando il loro cuore e compiendo le opere che il Messia avrebbe compiuto. Di fronte alla loro richiesta di un segno rispose con un’immagine, mostrando di conoscere la loro malignità e di vedere fin dove essa li avrebbe condotti. Rispose loro: “Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!” Versetto 19. {GN 112.2}

Queste parole avevano un duplice significato. Egli si riferiva non solo alla distruzione del tempio e del servizio ebraico, ma alla sua morte, alla distruzione del tempio del suo corpo. A questo gli ebrei stavano già pensando. Tornando nel tempio, sacerdoti e capi avevano complottato per uccidere Gesù e sbarazzarsi di quell’elemento disturbatore. Ma quando rivelò il loro progetto non capirono. Interpretarono le sue parole come se si riferissero soltanto al tempio di Gerusalemme e replicarono indignati: “Quarantasei anni è durata la costruzione di questo tempio e tu lo faresti risorgere in tre giorni?” Versetto 20. Sentirono che avevano ragione a non credere in Gesù e rinsaldarono la loro decisione di respingerlo. {GN 112.3}

Cristo voleva che gli ebrei increduli non comprendessero le sue parole e che, in quel momento, non le comprendessero neppure i suoi discepoli. Sapeva che sarebbero state fraintese dai suoi nemici e ritorte contro di lui. Nel processo gli sarebbero state rinfacciate come un’accusa e sul Calvario ripetute come uno scherno. Ma, se le avesse chiarite, avrebbe fatto conoscere ai discepoli le sue sofferenze e avrebbe arrecato loro un dolore che non potevano ancora sopportare. Una spiegazione avrebbe inoltre svelato prematuramente agli ebrei il risultato dei loro pregiudizi e della loro incredulità. Essi avevano già assunto un atteggiamento che avrebbero mantenuto fino al momento di condurlo come un agnello allo scannatoio. {GN 112.4}

Queste parole furono pronunciate da Gesù per amore dei futuri credenti. Sapeva che sarebbero state ripetute. Essendo state pronunciate in occasione della Pasqua, sarebbero giunte alle orecchie di migliaia di persone e trasmesse in tutte le parti del mondo. Il loro significato sarebbe apparso chiarissimo dopo la sua risurrezione dai morti, costituendo per molti una prova convincente della sua divinità. {GN 113.1}

Perfino i discepoli di Gesù spesso non comprendevano le sue lezioni a causa della loro spiritualità insufficiente. Ma gli eventi successivi gliele avrebbero fatte comprendere pienamente. Una volta soli, i discepoli si sarebbero confortati con le parole di Gesù. {GN 113.2}

Le parole: “Disfate questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere”, in quanto si riferivano anche al tempio di Gerusalemme, avevano un significato profondo che i suoi ascoltatori non intesero. Cristo era il fondamento e la vita del tempio. Quei servizi rappresentavano il sacrificio del Figlio di Dio. Il sacerdozio era stato stabilito per raffigurare il carattere di mediazione dell’opera di Cristo. Tutto il servizio del tempio era un’anticipazione della morte del Salvatore per la redenzione del mondo. Nel momento in cui quel grande evento si sarebbe realizzato, tutte quelle offerte avrebbero perso la loro efficacia. {GN 113.3}

Poiché tutta l’economia rituale era un simbolo di Cristo, senza di lui non aveva valore. Quando gli ebrei rifiutarono Cristo condannandolo a morte, respinsero tutto ciò che dava significato al tempio e ai servizi. La sua sacralità spariva e veniva condannato alla distruzione. Da quel momento tutte le offerte e tutti i servizi sarebbero stati privi di valore. Non esprimendo la fede nel Salvatore, sarebbero stati simili all’offerta di Caino. Condannando Cristo a morte, gli ebrei distrussero virtualmente il loro tempio. Quando Gesù spirò, la cortina del tempio si strappò in due da cima a fondo, per significare che ormai il grande sacrificio finale era stato compiuto e che il sistema delle offerte si era concluso per sempre. {GN 113.4}

“E in tre giorni lo farò risorgere”. Sembrò che le potenze delle tenebre trionfassero al momento della morte del Salvatore ed esultassero per la vittoria. Ma Gesù uscì dal sepolcro di Giuseppe come un conquistatore. Egli ha “spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce”. Colossesi 2:15. Per la sua morte e la sua risurrezione, egli è diventato “ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore, e non un uomo, ha eretto”. Ebrei 8:2. Gli uomini hanno prima innalzato il tabernacolo, poi costruito il tempio, ma il santuario del cielo, del quale quelli terreni erano una copia, non è stato costruito da un architetto umano. “Ecco un uomo, che si chiama il Germoglio. costruirà il tempio del Signore; egli costruirà il tempio del Signore, riceverà gloria, si siederà e dominerà sul suo trono”. Zaccaria 6:12, 13. {GN 113.5}

Tutto il servizio dei sacrifici che aveva annunciato Cristo è finito, ma gli occhi degli uomini sono stati diretti verso il vero sacrificio per i peccati del mondo. Il sacerdozio terreno si è concluso, ma noi guardiamo a Gesù, sommo sacerdote del nuovo patto, e al “sangue dell’aspersione che parla meglio di quello d’Abele”. “La via al santuario non era ancora manifestata finché restava ancora in piedi il primo tabernacolo. Ma venuto Cristo, sommo sacerdote dei futuri beni, egli, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano. è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna”. Ebrei 12:24; 9:8-12. {GN 114.1}

“Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro”. Ebrei 7:25. Il servizio doveva essere trasferito dal santuario terreno a quello del cielo, e il sommo sacerdote non sarebbe stato visibile a occhi umani; non per questo però i discepoli avrebbero subìto una perdita. La loro comunione non sarebbe stata interrotta, né la loro potenza diminuita per l’assenza del Salvatore. Mentre Gesù officia come sacerdote nel santuario in cielo, lo Spirito Santo è all’opera nella chiesa sulla terra. È invisibile agli occhi della carne, ma in lui si adempie la promessa fatta al momento della separazione: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”. Matteo 28:20. Gesù ha delegato il potere ai suoi discepoli, ma la sua presenza vivificante è tuttora nella chiesa. {GN 114.2}

“Avendo dunque un grande sommo sacerdote... Gesù, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno”. Ebrei 4:14-16. {GN 114.3}



Capitolo 17: Nicodemo

Nicodemo, uomo di vasta cultura e doti non comuni, era un membro onorato del sinedrio e occupava un importante posto di fiducia nella nazione ebraica. Come molti altri, era stato scosso dall’insegnamento di Gesù. Benché ricco, colto e stimato, si sentiva stranamente attratto dall’umile nazareno. Gli insegnamenti di Gesù lo avevano profondamente colpito, per cui voleva conoscere meglio quelle verità straordinarie. {GN 115.1}

L’autorità esercitata da Cristo, al momento della purificazione del tempio, aveva attirato su di lui l’odio dei sacerdoti e della classe dirigente. Temevano la potenza di quello straniero. Non si doveva tollerare una così grande temerarietà da parte di quell’oscuro galileo, si doveva fermarla. Ma alcuni temevano di opporsi a colui che era guidato così chiaramente dallo Spirito di Dio. Si ricordavano dei tanti profeti uccisi per avere rimproverato i peccati dei capi d’Israele. Sapevano che la soggezione degli ebrei a una nazione pagana era il risultato del loro rifiuto ostinato degli avvertimenti inviati dal Signore. Temevano che i sacerdoti e i capi, complottando contro Gesù, seguissero le orme dei loro padri e attirassero nuove sciagure sulla nazione. Nicodemo condivideva questi sentimenti. In una riunione del Sinedrio, quando fu considerata l’opportunità di agire contro Gesù, egli consigliò cautela e moderazione. Disse che se Gesù aveva veramente un’autorità da parte di Dio, sarebbe stato pericoloso respingerne l’insegnamento. I sacerdoti non osarono opporsi al suo consiglio e per qualche tempo non presero alcun provvedimento. {GN 115.2}

Fin da quando aveva ascoltato Gesù, Nicodemo si era messo a studiare con cura le profezie messianiche. Più studiava, più vedeva in Cristo colui che era stato promesso. Come molti altri israeliti, era addolorato per la profanazione del tempio. Era stato presente quando Gesù ne aveva scacciato i compratori e i venditori e aveva contemplato quella singolare manifestazione della potenza divina; aveva visto il Salvatore nell’atto di accogliere i poveri e di guarire gli ammalati; aveva osservato i loro occhi che brillavano di gioia e aveva udito le parole di lode. Non poteva quindi dubitare: Gesù di Nazaret era stato mandato da Dio. Desiderava tanto un colloquio con Gesù, ma non voleva che gli altri lo sapessero. Sarebbe stato umiliante per un ebreo del suo rango parlare con un maestro così poco conosciuto. Se il sinedrio fosse venuto a conoscenza di questa sua visita, lo avrebbe schernito e anche rimproverato. {GN 115.3}

Decise così di andarlo a trovare di nascosto, con la scusa che se si fosse presentato a Gesù apertamente, il suo esempio sarebbe stato seguito. Si informò sul luogo solitario nel monte degli Ulivi dove il Maestro si ritirava e, giunta la notte, andò alla sua ricerca. {GN 116.1}

Di fronte a Gesù, Nicodemo fu assalito da uno strano imbarazzo che cercò di dissimulare con un atteggiamento composto e dignitoso. Cominciò dicendo: “Rabbì, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio; perché nessuno può fare questi miracoli che tu fai, se Dio non è con lui”. Giovanni 3:2. Sperava di preparare la sua intervista parlando delle rare doti di Cristo come maestro e anche della sua potenza straordinaria manifestatasi nei miracoli. Le sue parole volevano essere un invito alla confidenza, ma in realtà esprimevano incredulità. Nicodemo non riconosceva Gesù come il Messia, ma soltanto come un maestro mandato da Dio. {GN 116.2}

Invece di rispondere al saluto, Gesù fissò lo sguardo sul suo interlocutore, come se gli leggesse nell’intimo dell’animo. Vide che aveva sete di verità, comprese lo scopo della visita, e per rafforzare la convinzione che stava sorgendo nel suo animo gli disse con tono solenne e affabile: “In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio”. Versetto 3. {GN 116.3}

Nicodemo era venuto pensando di discutere, ma Gesù parlò subito chiaramente dei princìpi fondamentali della verità. Disse a Ni-codemo che non aveva bisogno di conoscenza ma di rigenerazione spirituale. Doveva iniziare una nuova vita per poter comprendere le realtà divine. {GN 116.4}

Prima di quel cambiamento radicale non avrebbe potuto discutere con Gesù sull’autorità della sua missione. Nicodemo aveva ascoltato la predicazione di Giovanni il battista sul pentimento e sul battesimo e l’annuncio relativo a colui che avrebbe battezzato con lo Spirito Santo. Egli stesso si rendeva conto che gli ebrei mancavano di spiritualità ed erano guidati dalla superstizione e dalle ambizioni mondane. Sperava in un radicale miglioramento con la venuta del Messia. Ma l’accorato messaggio del Battista non aveva prodotto in lui la convinzione del peccato. Era un fariseo e si vantava delle sue buone opere. Era stimato per la benevolenza e la generosità nel sostenere il servizio del tempio e si sentiva sicuro dell’approvazione di Dio. Trasaliva al pensiero di un regno troppo puro, perché nella sua condizione presente non poteva entrarvi. {GN 116.5}

L’immagine della nuova nascita di cui si era servito Gesù non era strana per Nicodemo. I proseliti pagani convertiti alla fede d’Israele venivano spesso paragonati ai neonati. Egli comprese che quelle parole non avevano un senso letterale. Come israelita, si riteneva sicuro di avere un posto nel regno di Dio e non sentiva alcun bisogno di cambiamento. Di qui la sua sorpresa nell’udire le parole del Salvatore. L’idea di doverle riferire a se stesso lo irritava. L’orgoglio del fariseo lottava contro il desiderio sincero di conoscere la verità. Si stupiva del fatto che Gesù gli avesse parlato così, senza tenere conto della sua posizione di capo d’Israele. {GN 117.1}

Sorpreso per quell’affermazione, rispose ironicamente: “Come può un uomo nascere quand’è vecchio?” Versetto 4. Simile a tanti altri, quando una dura verità penetra nella coscienza, dimostrava con le sue parole che l’uomo naturale non può comprendere le cose dello Spirito di Dio. Le realtà spirituali infatti si riconoscono spiritualmente. {GN 117.2}

Il Salvatore rispose ai suoi argomenti sollevando la mano con un gesto calmo e solenne e ripetendo la stessa verità: “In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio”. Versetto 5. Allora Nicodemo si rese conto che Gesù alludeva al battesimo d’acqua e al rinnovamento del cuore mediante lo Spirito di Dio. Si convinse di trovarsi in presenza di colui che Giovanni il battista aveva preannunciato. {GN 117.3}

Gesù continuò: “Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito”. Versetto 6. Il cuore è malvagio per natura. “Chi può trarre una cosa pura da una impura? Nessuno”. Giobbe 14:4. Nessun rimedio umano è efficace per colui che ha peccato. “Infatti ciò che brama la carne è inimicizia contro Dio, perché non è sottomesso alla legge di Dio e neppure può esserlo”. Romani 8:7. “Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni”. Matteo 15:19. Perché ciò che scaturisce dal cuore sia puro, bisogna che la fonte venga purificata. Chi cerca con le proprie opere di raggiungere il cielo, tenta l’impossibile. Non vi è salvezza per chi segue una religione legalistica, cioè una forma priva di qualsiasi spiritualità. La vita cristiana non è il cambiamento o il miglioramento della vita precedente, ma una trasformazione radicale. Si deve verificare una morte al peccato per iniziare così una vita completamente nuova. Un tale cambiamento può essere prodotto solo dallo Spirito Santo. {GN 117.4}

Nicodemo rimase perplesso. Gesù allora si servì dell’immagine del vento. “Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Giovanni 3:8. Quando il vento soffia tra i rami degli alberi, si ode un fruscìo di fiori e foglie, ma esso è invisibile e nessuno sa né da dove viene né dove va. Nello stesso modo lo Spirito agisce nel cuore, con un’azione che non si può spiegare, come non si può spiegare né l’origine né la meta del vento. Anche se non si può indicare il momento, il luogo della conversione e le circostanze concomitanti, ciò non significa che essa non sia realmente avvenuta. Attraverso uno strumento invisibile come il vento, Cristo opera continuamente nel cuore. A poco a poco, quasi inconsapevolmente, l’anima è attratta a lui. Ciò avviene quando medita sulla sua vita o legge le Scritture o ascolta la voce del predicatore. Poi, quando lo Spirito rivolge un appello diretto, l’anima si abbandona a Gesù con gioia. Molti pensano che queste conversioni siano istantanee; in realtà sono il risultato di un’azione lenta, paziente e prolungata dello Spirito di Dio. {GN 117.5}

Il vento, benché invisibile, produce effetti visibili e sensibili. Così l’opera dello Spirito sull’anima si manifesterà in ogni azione di colui che ne avrà sperimentato la potenza salvifica. Quando lo Spirito di Dio prende possesso di un cuore, trasforma la vita. Non ci si sofferma sui pensieri peccaminosi e si evitano le cattive azioni; l’amore, l’umiltà e la pace sostituiscono la collera, l’invidia e la discordia. La gioia scaccia la tristezza e il volto si illumina di una luce divina. Nessuno vede la mano che solleva il fardello; nessuno contempla la luce che scende dal cielo. La benedizione si ottiene quando l’anima si consacra a Dio con fede. Allora una potenza invisibile a occhio umano crea un nuovo essere all’immagine di Dio. {GN 118.1}

Le menti finite non possono comprendere interamente l’opera della redenzione. La sua ampiezza supera i limiti della conoscenza umana. Ma coloro che passano dalla morte alla vita si rendono conto che essa è una realtà divina. Se l’opera della redenzione può già iniziare in questa vita, attraverso la propria esperienza personale, i suoi risultati si proiettano nell’eternità. {GN 118.2}

Mentre Gesù parlava, alcuni raggi di verità penetrarono nella mente di Nicodemo. Lo Spirito agiva in lui con quella potenza che dispone favorevolmente il cuore e lo conquista. Ma egli non comprendeva ancora tutto il significato delle parole del Salvatore. Non pensava tanto alla necessità della nuova nascita, quanto al modo della sua attuazione. Chiese meravigliato: “Come possono avvenir queste cose?” Versetto 9. {GN 118.3}

Gesù replicò: “Tu sei maestro d’Israele e non sai queste cose?” Versetto 10. {GN 118.4}

Un maestro non doveva ignorare verità così importanti. Le parole di Gesù volevano dire che Nicodemo, invece di sentirsi irritato dalla verità, avrebbe dovuto avere un’opinione più umile di se stesso, a causa della sua ignoranza spirituale. Ma Cristo parlò con una tale dignità, e il tono della sua voce e il suo aspetto esprimevano un amore così grande, che Nicodemo si rese conto, senza offendersi, delle sue lacune. {GN 119.1}

Quando Gesù spiegò che la sua missione sulla terra era stabilire un regno spirituale e non terreno, il suo interlocutore si turbò. Gesù se ne accorse e aggiunse: “Se vi ho parlato delle cose terrene e non credete, come crederete se vi parlerò delle cose celesti?” Versetto 12. Se Nico-demo non riusciva ad accettare l’insegnamento riguardante l’azione della grazia nel cuore, come avrebbe potuto comprendere la natura del glorioso regno di Dio? Non comprendendo il significato dell’opera terrena di Gesù non avrebbe potuto capire la sua missione divina. {GN 119.2}

Gli ebrei, che Gesù aveva cacciato dal tempio, pretendevano di essere figli di Abramo, ma erano fuggiti di fronte alla presenza del Salvatore perché non potevano sopportare la gloria di Dio che si era manifestata in lui. Così avevano dimostrato che la grazia di Dio non aveva operato in loro per prepararli a partecipare ai sacri servizi del tempio. Ci tenevano a mantenere un’apparenza di santità, ma trascuravano quella del cuore. Erano zelanti quanto alla lettera della legge, ma ne violavano continuamente lo spirito. Avevano un gran bisogno di quel profondo cambiamento che Gesù stava spiegando a Nicodemo: una rigenerazione morale, una purificazione dal peccato, un rinnovamento di conoscenza e santità. {GN 119.3}

Non vi erano scuse per la cecità d’Israele nei confronti della rigenerazione. Guidato dallo Spirito Santo, Isaia aveva scritto: “Tutti quanti siamo diventati come l’uomo impuro, tutta la nostra giustizia come un abito sporco”. Isaia 64:6. Davide così si era espresso in una preghiera: “O Dio, crea in me un cuore puro e rinnova dentro di me uno spirito ben saldo”. Salmi 51:10. E tramite il profeta Ezechiele, era stata fatta questa promessa: “Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne. Metterò dentro di voi il mio spirito e farò in modo che camminerete secondo le mie leggi, e osserverete e metterete in pratica le mie prescrizioni”. Ezechiele 36:26, 27. {GN 119.4}

Nicodemo aveva letto quei passi delle Scritture con mente ottenebrata, ma ora cominciava a comprenderne il significato. Capì che l’ubbidienza alla lettera della legge, limitata alla vita esteriore, non può rendere nessuno degno di entrare nel regno dei cieli. Agli occhi

degli uomini egli aveva vissuto una vita giusta e onorevole, ma alla presenza di Cristo sentì che il suo cuore era impuro e la sua vita contaminata. {GN 120.5}

Nicodemo si sentiva attratto da Cristo. Dopo aver udito la spiegazione del Salvatore sulla nuova nascita, desiderava che quel cambiamento avvenisse anche in lui. Ma come potevano accadere quelle cose? Gesù gli svelò il segreto. “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna”. Giovanni 3:14, 15. {GN 120.1}

Ora Nicodemo si trovava su un terreno noto. Il simbolo del serpente innalzato gli fece comprendere la missione del Salvatore. Quando i figli d’Israele morivano per i morsi dei serpenti velenosi, Dio disse a Mosè di costruire un serpente di rame e innalzarlo in mezzo all’assemblea. Poi si annunciò in tutto il campo che coloro che avessero guardato il serpente sarebbero sopravvissuti. Ora il popolo sapeva bene che il serpente non aveva in sé alcun potere di guarigione. Era un simbolo di Cristo. Come l’immagine del serpente velenoso era stata innalzata per la loro guarigione, così qualcuno che sarebbe venuto “in carne simile a carne di peccato” (Romani 8:3), doveva essere il loro Redentore. Molti israeliti pensavano che i servizi cerimoniali avessero la virtù di liberarli dal peccato. Ma Dio voleva insegnare loro che non c’era in essi una virtù maggiore di quella che si trovava nel serpente di rame. Tutto il rituale doveva volgere le loro menti verso il Salvatore. Sia per la guarigione delle ferite sia per il perdono dei peccati, non potevano fare nulla per se stessi, ma soltanto dimostrare di avere fede nel dono di Dio. Dovevano guardare per vivere. {GN 120.2}

Gli israeliti, morsi dai serpenti, avrebbero potuto indugiare prima di guardare il serpente di rame, discuterne l’efficacia o chiedere una spiegazione ragionevole. Ma nessuna spiegazione venne data. Dovevano accettare la Parola di Dio trasmessa loro da Mosè. Rifiutarsi di guardare significava morire. {GN 120.3}

Non si illumina un’anima con le controversie e le discussioni. Bisogna guardare per vivere. Nicodemo comprese la lezione e la conservò nel suo cuore. Investigò le Scritture con uno spirito nuovo, non per amore di discussione, ma per ricevere la vita. Lasciandosi guidare dallo Spirito Santo, cominciò a vedere il regno dei cieli. {GN 120.4}

Molti oggi hanno bisogno d’imparare le stesse verità che furono insegnate a Nicodemo con l’immagine del serpente innalzato nel deserto. Essi pensano di ottenere la grazia di Dio mediante la loro ubbidienza alla legge. Quando si dice loro di guardare a Gesù e di credere che egli li salva solo per la sua grazia, essi rispondono: “Come possono avvenire queste cose?” Dovremmo avere, come Nicodemo, il desiderio di entrare nella vita eterna, così come possono averlo i peccatori più incalliti. Perché “in nessun altro è la salvezza;perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati”. Atti 4:12. Per fede possiamo ricevere la grazia di Dio, ma la fede non è la causa della nostra salvezza. Essa non merita nulla. {GN 120.5}

L’unico rimedio per il peccato è rivolgersi a Cristo, che si appropria dei suoi meriti. Non possiamo neppure pentirci senza l’aiuto dello Spirito di Dio. Le Scritture dicono di Cristo: “Lo ha innalzato con la sua destra, costituendolo Principe e Salvatore, per dare ravvedimento a Israele, e perdono dei peccati”. Atti 5:31. Il pentimento viene da Cristo, come viene da lui il perdono. {GN 121.1}

Ma allora come siamo salvati? “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto”, così il Figlio dell’uomo è stato innalzato, e chi è stato ingannato e morso dal serpente può guardare a lui e vivere. “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” Giovanni 1:29. La luce che brilla dalla croce rivela l’amore di Dio. Il suo amore ci attrae. Se non resistiamo a questo invito e ci inginocchiamo ai piedi della croce pentiti per i peccati che hanno crocifisso il Salvatore, lo Spirito di Dio susciterà mediante la fede una nuova vita. I pensieri e i desideri ubbidiranno alla volontà di Cristo. Il cuore e la mente saranno ricreati all’immagine di colui che opera in noi, per renderci ubbidienti a lui. Allora la volontà di Dio sarà scritta nella mente e nel cuore in modo da poter dire insieme a Cristo: “Dio mio, desidero fare la tua volontà, la tua legge è dentro il mio cuore”. Salmi 40:8. {GN 121.2}

Nel suo colloquio con Nicodemo, Gesù ha rivelato il piano della salvezza e la sua missione per il mondo. In nessuno dei discorsi successivi ha sviluppato in maniera così completa tutti gli aspetti dell’opera che si deve compiere nei cuori di coloro che erediteranno il regno dei cieli. Proprio all’inizio del suo ministero rivelò queste verità a un uomo colto, membro del sinedrio, maestro del popolo. Ma i capi d’Israele non accettarono il messaggio. Nicodemo tenne nascosta nel suo cuore la verità che per tre anni non portò quasi frutto. {GN 121.3}

Ma Gesù sapeva in quale terreno aveva gettato il seme. Quelle parole pronunciate di notte, a un solo uditore, su un monte solitario, non andarono perse. Nicodemo non riconobbe subito Cristo pubblicamente, ma ne osservò la vita e meditò sugli insegnamenti che impartiva. Più di una volta, durante le riunioni del sinedrio, sventò i piani dei sacerdoti che volevano ucciderlo. E quando infine Gesù fu innalzato sulla croce, Nicodemo si ricordò dell’insegnamento ascoltato sul monte degli Ulivi: “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato... affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”. Giovanni 3:14, 16. La luce di quel colloquio segreto illuminò la croce del Calvario e Nicodemo riconobbe in Gesù il Redentore del mondo. {GN 121.4}

Dopo l’ascensione del Signore, quando i discepoli furono dispersi dalla persecuzione, Nicodemo si espose coraggiosamente. Con le sue ricchezze sostenne la chiesa nascente che per gli ebrei era già distrutta con la morte di Gesù. Al momento del pericolo quest’uomo, prima tanto prudente ed esitante, fu fermo come una roccia, incoraggiò i discepoli e provvide i mezzi per la diffusione del messaggio del Vangelo. Fu schernito e perseguitato da coloro che un tempo lo avevano riverito. Divenne povero per la sua generosità; ma la fede, nata in lui durante il colloquio notturno con Gesù, non venne mai meno. {GN 122.1}

Nicodemo raccontò a Giovanni il colloquio con Gesù, e la penna dell’evangelista ce lo ha conservato per l’istruzione di molti. Le verità insegnate hanno anche oggi la stessa importanza che avevano in quella notte solenne, quando sul monte il dottore d’Israele andò dall’umile Maestro di Galilea per interrogarlo sul significato della vita. {GN 122.2}



Capitolo 18: “Bisogna che egli cresca”

Per un certo tempo Giovanni il battista aveva esercitato sul popolo un influsso più grande di quello dei capi, dei sacerdoti e dei prìncipi. Se si fosse presentato come Messia e avesse proposto una rivolta contro Roma, sacerdoti e popolo si sarebbero raccolti sotto la sua bandiera. Satana aveva presentato a Giovanni il battista tutto ciò che faceva leva sulle ambizioni di un conquistatore terreno. Ma egli aveva respinto fermamente questi splendidi allettamenti, cercando di far volgere verso un altro l’attenzione fissa su di lui. {GN 123.1}

A un certo punto si accorse che la popolarità lo abbandonava e si rivolgeva verso il Salvatore. Di giorno in giorno la folla che gli si radunava intorno diminuiva. Quando Gesù venne da Gerusalemme al Giordano, il popolo si raccolse intorno a lui per ascoltarlo. Il numero dei suoi discepoli cresceva costantemente. Molti venivano per essere battezzati, e sebbene Gesù non battezzasse, approvava che i discepoli lo facessero. In questo modo riconobbe ufficialmente la missione del suo precursore. Ma i discepoli di Giovanni provavano gelosia per la crescente popolarità di Gesù. Disposero l’animo alla critica e ne trovarono presto l’occasione. Una disputa sorse fra loro e gli ebrei per stabilire se il battesimo purificasse lo spirito dal peccato. Essi sostenevano che il battesimo di Gesù differiva sostanzialmente da quello di Giovanni. Presto entrarono in contrasto con i discepoli di Gesù sulla formula verbale del battesimo e, infine, sul diritto del nuovo Maestro di battezzare. {GN 123.2}

I discepoli di Giovanni si lagnarono con lui. “Rabbi, colui che era con te di là dal Giordano, e al quale rendesti testimonianza, eccolo che battezza, e tutti vanno da lui”. Giovanni 3:26. Con queste parole Satana tentò Giovanni. Sebbene la sua missione stesse per concludersi, poteva ancora ostacolare l’opera di Cristo. Se avesse provato orgoglio e manifestato dolore e delusione perché un altro prendeva il suo posto, avrebbe sparso il seme della discordia, incoraggiato l’invidia e la gelosia, e ostacolato seriamente il progresso del Vangelo. {GN 123.3}

Giovanni aveva le stesse debolezze e colpe comuni a tutti gli uomini; ma l’amore divino lo aveva trasformato. Era vissuto in un ambiente non contaminato dall’egoismo, dall’ambizione e dalla gelosia. Non approvò l’insoddisfazione dei suoi discepoli e mostrò chiaramente il modo in cui intendeva la sua relazione con il Messia e come era lieto di salutare colui al quale aveva preparato la via. {GN 123.4}

Rispose: “L’uomo non può ricever nulla se non gli è dato dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Io non sono il Cristo, ma sono mandato davanti a lui. Colui che ha la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, si rallegra vivamente alla voce dello sposo”. Versetti 27-29. Giovanni si presentò come l’amico che preparava il matrimonio fra gli sposi. Quando lo sposo aveva ricevuto la sposa, la missione dell’amico era compiuta. Egli si rallegrava per la felicità di coloro alla cui unione aveva collaborato. Così Giovanni era stato chiamato per volgere l’attenzione del popolo verso Gesù, e il successo dell’opera del Salvatore era per lui fonte di gioia. “Questa gioia, che è la mia, è ora completa. Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca”. Versetti 29, 30. {GN 124.1}

Guardando con fede al Redentore, Giovanni si era elevato Ano all’abnegazione. Così non cercò di attrarre gli uomini a sé, ma di innalzare sempre di più i loro pensieri affinché si volgessero all’Agnello di Dio. Egli stesso era stato solo una voce, una voce nel deserto. Adesso accettava con gioia il silenzio e l’oscurità perché gli occhi di tutti si volgessero verso la vera luce della vita. {GN 124.2}

Coloro che sono fedeli alla loro chiamata di messaggeri di Dio non cercano onori per sé. L’amore dell’io sarà sommerso in quello per Cristo. Nessuna rivalità potrà intaccare la preziosa opera del Vangelo. Riconosceranno che devono proclamare, come fece Giovanni il battista: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” Giovanni 1:29. Eleveranno Gesù che innalzerà con sé l’umanità. “Infatti così parla Colui che è l’Alto, l’eccelso, che abita l’eternità, e che si chiama il Santo. Io dimoro nel luogo eccelso e santo, ma sto vicino a chi è oppresso e umile di spirito per ravvivare lo spirito degli umili, per ravvivare il cuore degli oppressi”. Isaia 57:15. {GN 124.3}

L’animo del profeta, privo di egocentrismo, beneficiava della presenza dello Spirito di Dio. Mentre testimoniava della gloria del Salvatore le sue parole erano il complemento di quelle pronunciate da Gesù nel colloquio con Nicodemo. Giovanni disse: “Colui che viene dall’alto è sopra tutti; colui che viene dalla terra è della terra e parla come uno che è della terra; colui che vien dal cielo è sopra tutti... Perché colui che Dio ha mandato dice le parole di Dio; Dio infatti non dà lo Spirito con misura”. Giovanni 3:31, 34. Cristo poteva dire: “Cerco non la mia propria volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”. Giovanni 5:30. Di lui è detto: “Tu hai amato la giustizia e hai odiato l’iniquità; perciò Dio, il tuo Dio, ti ha unto con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni”. Ebrei 1:9. “Dio non gli dà lo Spirito con misura”. Così è per i discepoli di Cristo. Possiamo ricevere lo Spirito di Dio solo se ci vuotiamo di noi stessi. Non possiamo né distinguere il carattere di Dio né accettare Cristo per fede se non sottomettiamo ogni pensiero all’ubbidienza di Cristo. A tutti coloro che fanno questo, lo Spirito Santo viene concesso senza limiti. In Cristo “abita corporalmente tutta la pienezza della Deità, e voi avete tutto pienamente in lui”. Colossesi 2:9, 10. {GN 124.4}

I discepoli di Giovanni avevano detto che tutti seguivano Cristo; però Giovanni precisò: “Ma nessuno riceve la sua testimonianza” (Giovanni 3:32), perché erano pochi coloro che erano pronti ad accettarlo come colui che salva dai peccati. “Chi ha ricevuto la sua testimonianza ha confermato che Dio è veritiero”. Versetto 33. “Chi crede nel Figlio ha vita eterna”. Versetto 36. Non c’era bisogno di discutere se fosse il battesimo di Cristo o quello di Giovanni a purificare dal peccato. È la grazia di Cristo che dà vita all’uomo. Senza Cristo, il battesimo, come ogni altra cerimonia, è una forma priva di valore. “Chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita”. Versetto 36. {GN 125.1}

Le autorità di Gerusalemme vennero a conoscenza del successo dell’opera di Gesù, di quel Cristo che il Battista aveva accolto con tanta gioia. I sacerdoti e i rabbini avevano provato gelosia per il successo di Giovanni, quando le folle lasciavano le sinagoghe per radunarsi nel deserto. Ma ecco uno che possedeva una potenza molto più grande per attrarre la folla. Questi capi d’Israele non erano disposti a dire insieme a Giovanni: “Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca”. Si ribellarono, decisi a porre termine alla sua missione che allontanava il popolo da loro. {GN 125.2}

Gesù sapeva che essi non avrebbero risparmiato nessun tentativo per far nascere divisione fra i suoi discepoli e quelli di Giovanni. Sapeva che sarebbe sorta la tempesta che avrebbe spazzato via uno dei più grandi profeti apparsi nel mondo. Volendo evitare ogni motivo d’incomprensione o di dissenso, lasciò la sua opera senza farsi notare e si ritirò in Galilea. Anche noi, pur rimanendo fedeli alla verità, dovremmo cercare di evitare tutto ciò che può produrre discordia e incomprensione. Ovunque sorgono, portano alla rovina degli uomini. Quando c’è il rischio di divisioni, dovremmo seguire l’esempio di Gesù e di Giovanni il battista. {GN 125.3}

Giovanni era stato chiamato a dirigere un’opera di riforma. Per questo i suoi discepoli correvano il pericolo di fissare la loro attenzione su di lui, di pensare che il successo fosse suo e perdere di vista il fatto che egli era solo uno strumento nelle mani di Dio. L’opera di Giovanni, però, non era sufficiente per porre il fondamento della chiesa cristiana. Terminato il suo compito, un’altra opera doveva essere compiuta, un’opera che andava al di là della sua testimonianza. Ma i suoi discepoli non compresero. Quando videro che Gesù si assumeva la responsabilità di quell’opera, ne furono gelosi e scontenti. {GN 125.4}

Lo stesso pericolo esiste anche oggi. Dio chiama un uomo a compiere una certa opera, e quando egli l’ha portata avanti nel limite delle sue capacità, il Signore chiama altri perché la continuino. Ma, come i discepoli di Giovanni, molti pensano che il successo dipenda dal primo lavoratore. Si volge l’attenzione sull’uomo invece che su Dio; nasce la gelosia e l’opera del Signore ne soffre. Chi viene onorato ingiustamente è tentato di contare su se stesso e non avverte più la sua dipendenza da Dio. Le persone ripongono la loro fiducia nell’uomo, commettono un grosso errore e si allontanano da Dio. {GN 126.1}

L’opera di Dio non deve portare l’immagine e la firma degli uomini. Il Signore si serve di diversi strumenti, attraverso i quali il suo piano può essere realizzato con maggiore efficacia. Beati coloro che sono disposti a umiliarsi e a dire con Giovanni il battista: “Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca”. {GN 126.2}



Capitolo 19: Al pozzo di Giacobbe

Tornando in Galilea, Gesù passò attraverso la Samaria. Era mezzogiorno quando giunse con i suoi discepoli nella magnifica valle di Sichem. All’ingresso della valle c’era il pozzo di Giacobbe. Stanco del viaggio, Gesù si sedette accanto al pozzo mentre i suoi discepoli andarono a comprare del cibo. {GN 127.1}

Gli ebrei e i samaritani erano acerrimi nemici ed evitavano, nella misura del possibile, ogni relazione fra loro. Trafficare in caso di necessità con i samaritani era considerato dai rabbini cosa legittima, ma ogni altro rapporto sociale era condannato. Un ebreo non avrebbe mai chiesto nulla a un samaritano, né avrebbe mai accettato da lui una gentilezza, fosse pure un pezzo di pane o un bicchiere d’acqua. Anche i discepoli non pensavano neppure lontanamente di chiedere un favore ai samaritani, giacché condividevano gli stessi pregiudizi. Comprando del cibo, agivano secondo le abitudini del tempo, ma non sarebbero andati al di là di questo. Anche loro non avrebbero mai chiesto un favore a un samaritano e neppure glielo avrebbero fatto. {GN 127.2}

Appena Gesù si fu seduto accanto al pozzo sentì fame e sete. Il viaggio era iniziato fin dal mattino e, in quel momento, il sole di mezzogiorno batteva sopra di lui. Aveva sete, e lì vicino si trovava dell’acqua fresca, ma per lui inaccessibile: non poteva attingerne perché non aveva né corda né secchio, e il pozzo era profondo. Gesù era soggetto alle limitazioni di tutti gli uomini, perciò dovette aspettare che qualcuno venisse ad attingere. {GN 127.3}

Una donna samaritana si avvicinò e, mostrando noncuranza nei suoi confronti, riempì il suo secchio d’acqua. Mentre stava per andarsene, Gesù le chiese da bere. Nessun orientale avrebbe rifiutato un dono simile. In oriente l’acqua era chiamata “il dono di Dio”. Dare da bere a un viaggiatore assetato era considerato un dovere talmente sacro, che ci si allontanava dal proprio cammino per adempierlo. L’odio tra gli ebrei e i samaritani ostacolava lo scambio di simili gentilezze, ma il Salvatore cercava la chiave del cuore di quella donna e, con un tatto che esprimeva l’amore divino, non offrì un favore, ma lo chiese. {GN 127.4}

Un favore sarebbe stato forse rifiutato, ma la fiducia fa nascere la fiducia. Il Re del cielo si accostò a quell’anima diseredata e le chiese un favore. Colui che ha creato l’oceano e controlla le acque dell’abisso, che ha fatto scaturire le sorgenti e i corsi d’acqua, si riposò della sua fatica accanto al pozzo di Giacobbe e dovette fare assegnamento su di una donna straniera per il dono di un po’: d’acqua. {GN 128.1}

La donna vide subito che Gesù era un ebreo. Sorpresa, si dimenticò di esaudire la richiesta e cercò di scoprirne la ragione. “Come mai tu che sei Giudeo chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?” Giovanni 4:9. {GN 128.2}

Gesù rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato dell’acqua viva”. Versetto 10. Ti stupisci perché io ti ho chiesto un favore così modesto; ma, se tu lo desiderassi, io ti farei bere l’acqua di vita eterna. {GN 128.3}

La donna non comprese le parole di Gesù, ma ne avvertì il solenne significato. Il suo atteggiamento frivolo mutò. Pensando che Gesù alludesse all’acqua del pozzo, disse: “Signore, tu non hai nulla per attingere, e il pozzo è profondo; da dove avresti dunque quest’acqua viva? Sei tu più grande di Giacobbe, nostro padre, che ci diede questo pozzo e ne bevve egli stesso”. Versetti 11, 12. La donna aveva davanti a sé un viaggiatore assetato, stanco e polveroso, e lo paragonava al grande patriarca Giacobbe. Le piaceva pensare che tutti gli altri pozzi fossero inferiori a quello scavato dagli antenati. Volgeva il suo pensiero indietro verso gli avi e avanti verso il Messia, mentre la speranza degli antenati, il Messia in persona, le era accanto senza che lei lo sapesse. Anche oggi tante anime assetate vivono accanto alla fonte di acqua viva e cercano lontano le sorgenti della vita. {GN 128.4}

Gesù non rispose subito alla domanda che lo riguardava, ma disse con tono solenne: “Chiunque beve di quest’acqua avrà sete di nuovo; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna”. Versetti 13, 14. {GN 128.5}

Chi cerca di dissetarsi alle sorgenti terrene avrà sempre sete. Gli uomini sono sempre insoddisfatti. Anelano a qualcosa che soddisfi le esigenze dell’animo. Solo Cristo può rispondere. Il mondo ha bisogno di lui. La grazia divina che solo lui può elargire, è un’acqua viva che purifica, rinfresca e fortifica lo spirito. {GN 128.6}

Gesù non intendeva dire che un solo sorso d’acqua potesse bastare. Chi ha gustato l’amore di Cristo, vuole gustarne sempre di più. Ma non avrà bisogno di altro. Le ricchezze, gli onori, i piaceri del mondo non lo attrarranno più, ma cercherà una maggiore conoscenza di Cristo. Colui che svela all’essere umano le sue necessità, desidera placarne la fame e la sete. Tutti i mezzi umani verranno a mancare, le cisterne si vuoteranno, le sorgenti si inaridiranno; ma il nostro Redentore è una fonte inesauribile. Il credente in cui Cristo dimora ha in sé una fonte di benedizione, “una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna”. A questa fonte può attingere forza e grazia per tutte le sue necessità. {GN 128.7}

Quando Gesù parlava dell’acqua viva, la donna lo guardava con attenzione e stupore, perché era nato in lei il desiderio di ottenere quel dono. L’interlocutrice si rese conto che egli non si riferiva all’acqua di quel pozzo che essa beveva sempre e che non le toglieva definitivamente la sete. “Signore, dammi di quest’acqua, affinché io non abbia più sete e non venga più fin qui ad attingere”. Versetto 15. {GN 129.1}

Gesù cambiò improvvisamente discorso. Per poter ricevere il dono di Dio, quell’anima aveva bisogno di riconoscere il suo peccato e il suo Salvatore. Perciò disse alla donna: “Va’ a chiamar tuo marito e vieni qua”. Ella rispose: “Non ho marito”. Sperava così di evitare ogni domanda di quel genere. Ma il Salvatore proseguì: “Hai detto bene: Non ho marito; perché hai avuto cinque mariti; e quello che hai ora, non è tuo marito; in questo hai detto la verità”. Versetti 16-18. {GN 129.2}

La donna fremette. Uno sguardo misterioso scrutava le pagine della sua vita e metteva in luce ciò che essa sperava di tenere nascosto. Ma chi era colui che indagava i suoi segreti? Pensò all’eternità, al giudizio, a quando tutto sarà svelato. La sua coscienza si risvegliò. {GN 129.3}

La donna non poté negare, ma evitò ogni accenno a un argomento così scabroso. Disse perciò, con profondo rispetto: “Signore, vedo che tu sei un profeta”. Versetto 19. Poi, per far tacere la propria coscienza, avviò la conversazione su un problema religioso. Il suo interlocutore, essendo profeta, avrebbe certamente potuto risolvere dei problemi sui quali da tanto tempo si discuteva. {GN 129.4}

Con pazienza, Gesù la lasciò passare a quell’argomento, aspettando l’occasione per parlare al suo cuore. “I nostri padri hanno adorato su questo monte”, disse la donna, “ma voi dite che a Gerusalemme è il luogo dove bisogna adorare”. Versetto 20. Davanti a loro si profilava il monte Garizim, del cui tempio in rovine restava in piedi solo l’altare. {GN 129.5}

Gli ebrei e i samaritani avevano spesso discusso sul vero luogo di adorazione. Alcuni antenati dei samaritani un tempo facevano parte del popolo d’Israele; ma poi, per i loro peccati, il Signore aveva permesso che fossero vinti da una nazione pagana. Per molte generazioni erano vissuti insieme con gli idolatri, e la loro religione ne era stata gradualmente contaminata. Secondo loro, gli idoli ricordavano il Dio vivente, Signore dell’universo; ma in realtà il popolo si abbandonava alla venerazione delle immagini scolpite. {GN 129.6}

Al tempo di Esdra, quando il tempio di Gerusalemme doveva essere ricostruito, i samaritani avrebbero desiderato collaborare a quell’opera; ma non fu loro concesso e nacque una grande rivalità fra i due popoli. Allora i samaritani costruirono un altro tempio sul monte Garizim. Là offrivano il loro culto secondo il cerimoniale di Mosè, senza però rinunciare del tutto all’idolatria. Quel tempio fu poi distrutto dai nemici e sembrò che una maledizione pesasse su di loro; essi rimasero però attaccati alle loro tradizioni e alle loro forme di adorazione. Non riconoscevano il tempio di Gerusalemme come la casa di Dio, né ammettevano la superiorità della religione ebraica. {GN 130.1}

Gesù rispose: “Donna, credimi; l’ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai giudei”. Versetti 21, 22. Gesù aveva dimostrato di non condividere i pregiudizi contro i samaritani. Ora cercava di abbattere quelli che la donna aveva contro gli ebrei. Dicendo che la fede dei samaritani era frutto dell’idolatria, riconosceva che le grandi verità della redenzione erano state affidate agli ebrei e che fra loro doveva apparire il Messia. Nelle Sacre Scritture essi avevano una chiara rivelazione del carattere di Dio e dei princìpi del suo governo. Gesù sentiva di appartenere al popolo d’Israele al quale Dio si era rivelato. {GN 130.2}

Era suo desiderio che i pensieri della donna si elevassero al di sopra di forme, cerimonie e controversie. “Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità”. Versetti 23, 24. {GN 130.3}

Qui Gesù dichiarò la stessa verità che aveva annunciata a Nico-demo con le parole: “Se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio”. Giovanni 3:3. Gli uomini entrano in comunione con il cielo non attraverso un monte o un tempio santo. La religione non deve essere limitata a forme esteriori o a cerimonie. La religione che viene da Dio è l’unica che può condurre a lui. Per poter servire Dio correttamente dobbiamo nascere dallo Spirito Santo. Così il cuore purificato e la mente rinnovata ci conferiscono una nuova capacità di conoscere Dio, amarlo e ubbidire spontaneamente alla sua volontà. {GN 130.4}

In questo consiste la vera adorazione, frutto dell’azione dello Spirito Santo. Dio gradisce ogni preghiera sincera, sostenuta dallo Spirito. Quando qualcuno cerca Dio, lo Spirito Santo è all’opera e Dio gli si rivelerà. Egli si fa trovare da questi adoratori e desidera accoglierli come figli. {GN 130.5}

La donna rimase colpita dalle parole di Gesù. Non aveva mai udito nulla di simile né dai sacerdoti del suo popolo, né dagli ebrei. Mentre il suo passato scorreva nella sua mente si rese conto della sua grande povertà spirituale. Sentiva quella sete che le acque del pozzo di Sichar non avrebbero mai potuto estinguere. Nulla, prima di quel momento, aveva suscitato in lei un desiderio così ardente. Sebbene Gesù le avesse dimostrato di saper leggere i segreti della sua vita, lo sentiva come un amico compassionevole. La sua presenza, di una purezza assoluta, era certo sufficiente a condannare il peccato; ma non aveva pronunciato parole di condanna, le aveva parlato della sua grazia capace di rinnovare il suo spirito. La donna cominciava a comprendere qualcosa del carattere di quel profeta e si chiedeva se non fosse lui il Messia atteso da tanto tempo. Gli disse allora: “Io so che il Messia (che è chiamato Cristo) deve venire; quando sarà venuto ci annunzierà ogni cosa”. Gesù le disse: “Sono io, io che ti parlo!” Giovanni 4:25, 26. {GN 131.1}

Mentre la samaritana ascoltava questa dichiarazione, nel suo cuore nacque la fede. Essa credette in quell’annuncio straordinario che sgorgava dalle labbra del Maestro divino. {GN 131.2}

Quella donna si trovava nelle condizioni spirituali adatte ad accogliere le più grandi rivelazioni. Si interessava, infatti, delle Scritture, e lo Spirito Santo aveva preparato il suo cuore per ricevere una luce maggiore. Conosceva la profezia dell’Antico Testamento: “Per te il Signore, il tuo Dio, farà sorgere in mezzo a te... un profeta come me; a lui darete ascolto!” (Deuteronomio 18:15), e desiderava conoscerlo meglio. La sua mente cominciava già ad aprirsi. L’acqua viva, la vita spirituale che Cristo comunica a ogni spirito assetato, zampillava in lei. Lo Spirito Santo agiva su di lei. {GN 131.3}

Gesù non avrebbe annunciato la sua messianicità agli ebrei orgogliosi così chiaramente come fece con questa donna. Con loro era molto più riservato. Ciò che non aveva detto agli ebrei, e che i suoi discepoli dovevano tenere segreto, lo rivelò a quell’umile samaritana. Gesù sapeva che si sarebbe servita di quelle conoscenze per condurre altri a sperimentare la sua grazia. {GN 131.4}

I discepoli, al loro ritorno, si stupirono nel vedere che il Maestro parlava con una donna. Egli non bevve e neppure assaggiò cibo. Quando la donna se ne andò, i discepoli lo invitarono a mangiare. Lo vedevano silenzioso, assorto, con il viso raggiante, immerso nella meditazione. Temevano di interrompere la sua comunione con il cielo. Ma, sapendo che era debole e stanco, ritennero loro dovere ricordargli il bisogno di nutrirsi. Gesù, sebbene commosso per la loro sollecitudine, rispose: “Io ho un cibo da mangiare che voi non conoscete”. Giovanni 4:32. {GN 131.5}

I discepoli si chiedevano chi mai avesse potuto portargli del cibo. Gesù continuò: “Il mio cibo è far la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l’opera sua”. Versetto 34. Si rallegrava perché le sue parole avevano ridestato la coscienza di quella donna. Vedeva la samaritana nell’atto di bere dell’acqua viva, e per lui era come soddisfare la fame e la sete. L’adempimento della missione per la quale aveva lasciato il cielo, gli infondeva vigore e lo poneva al di sopra delle necessità umane. Operare in favore di un’anima affamata e assetata di verità era per lui una cosa più gradevole del prendere cibo o del dissetarsi. Gli era di conforto e di ristoro. La bontà era la vita del suo spirito. {GN 132.1}

II nostro Redentore desidera intensamente che gli uomini lo accettino. Si aspetta la simpatia e l’amore di coloro che ha riscattato con il suo sangue. Si rallegra intensamente quando si rivolgono a lui per aver vita. Come la madre attende il sorriso con cui il suo bambino inizia a conoscerla, così Cristo aspetta l’espressione di un amore riconoscente, la prova dell’inizio della vita spirituale. {GN 132.2}

Nell’ascoltare le parole di Cristo, la donna aveva provato una grande gioia. Una rivelazione così meravigliosa superava quasi le sue possibilità di comprensione. Dimenticandosi del secchio, corse in città per raccontare agli altri ciò che aveva udito. Gesù sapeva perché se n’era andata. Il secchio dimenticato indicava l’effetto delle parole udite. L’ardente desiderio dell’acqua di vita aveva fatto dimenticare alla donna non solo la ragione per cui era andata al pozzo, ma perfino la sete del Salvatore. Con il cuore traboccante di gioia, correva per far conoscere agli altri la preziosa luce ricevuta. {GN 132.3}

Diceva ai suoi concittadini: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto; non potrebbe essere lui il Cristo?” Versetto 29. Le sue parole toccarono il cuore degli uditori. Sul suo volto c’era un’espressione diversa, e tutto il suo aspetto era cambiato. Chi l’ascoltava desiderò vedere Gesù. “La gente uscì dalla città e andò da lui”. Versetto 30. {GN 132.4}

Gesù, seduto accanto al pozzo, contemplava i campi di grano che si stendevano davanti ai suoi occhi; il sole accarezzava quei campi ancora verdi. Mostrando questo spettacolo ai discepoli, Gesù ne colse il valore simbolico. “Non dite voi che ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ebbene, vi dico: alzate gli occhi e guardate le campagne come già biancheggiano per la mietitura”. Versetto 35. Mentre diceva queste parole, il suo sguardo si volgeva verso un gruppo di persone che si avvicinavano al pozzo. Mancavano quattro mesi al raccolto, ma vi era una messe già pronta per la falce dei mietitori. {GN 132.5}

“Il mietitore riceve una ricompensa e raccoglie frutto per la vita eterna, affinché il seminatore e il mietitore si rallegrino insieme. Poiché in questo è vero il detto: L’uno semina e l’altro miete”. Versetti 36, 37. Gesù si riferiva al servizio per l’Eterno a cui sono chiamati coloro che accettano il Vangelo. Questi sono i rappresentanti di Dio, ed egli chiede il loro servizio. Sia che seminino, sia che mietano, sono suoi collaboratori. Uno sparge il seme, l’altro raccoglie i covoni; ambedue ricevono il premio e si rallegrano del frutto del loro lavoro. {GN 133.1}

Gesù disse ai discepoli: “Io vi ho mandati a mietere là dove voi non avete lavorato; altri hanno faticato, e voi siete subentrati nella loro fatica”. Versetto 38. Il Salvatore pensava al grande raccolto del giorno della Pentecoste. I discepoli non dovevano considerarlo unicamente come il risultato della loro fatica: essi infatti avrebbero partecipato ai frutti della fatica fatta anche da altri. Fin dalla caduta di Adamo, Cristo ha affidato il seme della verità ai suoi discepoli affinché sia sparso nei cuori. Un fattore invisibile e onnipotente ha operato in modo silenzioso ma efficace per produrre il raccolto. La rugiada, la pioggia e il sole della grazia di Dio sono stati concessi per rinfrescare e nutrire il seme della verità che Cristo avrebbe arricchito con il proprio sacrificio. I suoi discepoli avevano il privilegio di collaborare con Dio, con Cristo e con i santi uomini del passato. Con la discesa dello Spirito Santo alla Pentecoste, migliaia di persone si sarebbero convertite in un solo giorno. Ecco quale sarebbe stato il risultato della semina di Cristo, la messe del suo lavoro. {GN 133.2}

Le parole dette alla donna erano un buon seme che non avrebbe tardato a portare frutto. I samaritani ascoltarono Gesù e credettero. Riuniti intorno a lui, accanto al pozzo, lo tempestarono di domande e ascoltarono con gioia le sue spiegazioni su numerosi argomenti che fino a quel momento erano stati per loro oscuri. Grazie alle parole di Cristo i loro dubbi si dileguarono. Erano come un popolo immerso nelle tenebre che segue un improvviso raggio di luce che annuncia lo spuntare del giorno. Non si accontentarono infatti di questa conversazione, volevano saperne di più e volevano che anche i loro amici ascoltassero quel Maestro straordinario. Lo invitarono nella loro città e lo pregarono di fermarvisi. Gesù rimase due giorni in Samaria e molti credettero in lui. {GN 133.3}

I farisei disprezzavano la semplicità di Gesù, non volevano riconoscere i suoi miracoli e chiedevano un segno con cui dimostrasse la sua natura di Figlio di Dio. I samaritani, invece, non ne chiesero nessuno e Gesù non operò miracoli in mezzo a loro, tranne quello di aver rivelato i segreti della samaritana. Ma molti lo accettarono, e nella gioia da poco sperimentata dicevano alla donna: “Non è più a motivo di quello che tu ci hai detto, che crediamo; perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo”. Versetto 42. {GN 133.4}

I samaritani credevano che il Messia sarebbe venuto per redimere non solo gli ebrei, ma tutto il mondo. Lo Spirito Santo, tramite Mosè, aveva preannunciato che egli sarebbe stato un profeta inviato da Dio. Mediante Giacobbe era stato detto che in lui si sarebbero riuniti tutti i popoli e, attraverso Abramo, che in lui sarebbero state benedette tutte le nazioni della terra. I samaritani basavano su questi passi la loro fede nel Messia. Il fatto che gli ebrei avessero interpretato male i profeti più recenti, attribuendo al primo avvento di Cristo la gloria del suo ritorno, aveva indotto i samaritani a respingere tutti gli scritti sacri, ad eccezione di quelli relativi a Mosè. Ma, appena il Salvatore ebbe confutato quelle interpretazioni sbagliate, molti accettarono le ultime profezie e le parole di Cristo stesso sul regno di Dio. {GN 134.1}

Gesù aveva iniziato ad abbattere il muro di separazione fra gli ebrei e i gentili e a proclamare la salvezza al mondo. Benché ebreo, egli trattava liberamente con i samaritani, senza curarsi per nulla delle abitudini farisaiche della sua nazione. Nonostante i pregiudizi, accettò l’ospitalità di un popolo disprezzato: dormì sotto il loro tetto, mangiò alla loro tavola un cibo preparato e servito dalle loro stesse mani, insegnò nelle loro strade e li trattò con la massima amabilità. {GN 134.2}

Nel tempio di Gerusalemme, un muro separava il cortile esterno da tutte le altre parti dell’edificio sacro. Su di esso era scritto in più lingue che nessuno straniero doveva superare quel limite. Se un Gentile fosse penetrato nella parte interna del tempio, lo avrebbe profanato e avrebbe pagato quella colpa con la vita. Ma Gesù, l’autore del tempio e dei suoi servizi, legò a sé i gentili con il vincolo della simpatia, e con la sua grazia divina offrì loro la salvezza che gli ebrei avevano respinto. {GN 134.3}

II soggiorno di Gesù in Samaria fu una benedizione per i suoi discepoli che erano ancora sotto l’influsso del fanatismo ebraico. Essi pensavano che la fedeltà alla propria nazione esigesse anche l’odio nei confronti dei samaritani. Si meravigliarono perciò della condotta di Gesù. Tuttavia non poterono rifiutarsi di seguire il suo esempio; e durante i due giorni in Samaria, sebbene non fossero ancora del tutto convinti, non si lasciarono dominare dai pregiudizi grazie alla fedeltà al Maestro. Erano lenti a imparare che il disprezzo e l’odio dovevano cedere in loro il posto alla compassione e alla simpatia. Ma, dopo l’ascensione di Cristo le sue lezioni ebbero per loro un significato nuovo. Dopo la discesa dello Spirito Santo essi si ricordarono dello sguardo del Salvatore, delle sue parole, del rispetto e della gentilezza da lui manifestati verso quegli stranieri disprezzati. Pietro, quando andò a predicare in Samaria, comunicò il medesimo spirito del Maestro. Giovanni, quando fu chiamato a Efeso e a Smirne, ricordò l’esperienza di Sichar e fu grato al divino Maestro che, prevedendo le loro difficoltà, li aveva aiutati con il suo esempio. {GN 134.4}

Il Salvatore prosegue oggi la stessa opera di quando offrì alla samaritana l’acqua della vita. Può accadere talvolta, a coloro che si dicono suoi discepoli, di disprezzare i miseri e tenerli a distanza; ma nessuna differenza di nascita o di stirpe, nessuna differenza economica può privare gli uomini dell’amore di Gesù. A ognuno, per quanto colpevole, Gesù dice: “Se tu me l’avessi chiesto, ti avrei dato dell’acqua viva”. {GN 135.1}

Il messaggio del Vangelo non deve essere diretto solo a coloro che, a nostro giudizio, ci farebbero onore accettandolo. Va annunciato a tutti. Cristo è pronto per istruire, ovunque si trovino, le persone che hanno il cuore aperto a ricevere la verità. Egli fa loro conoscere il Padre e il tipo di adorazione che gradisce. Parlando con loro, non usa metafore ma dice chiaramente, come alla donna al pozzo: “Sono io, io che ti parlo!” {GN 135.2}

Quando Gesù si sedette accanto al pozzo di Giacobbe, veniva dalla Giudea dove il suo ministero aveva prodotto pochi frutti. Era stato respinto dai sacerdoti e dai rabbini, e perfino quelli che si dicevano suoi discepoli non avevano riconosciuto il suo carattere divino. Si sentiva debole e stanco, ma non trascurò l’occasione di parlare a una donna, sebbene straniera e peccatrice. {GN 135.3}

Il Salvatore non aspettava di avere un vasto uditorio per insegnare. Spesso cominciava con le poche persone che gli stavano intorno. I passanti allora si fermavano l’uno dopo l’altro e si formava così una folla che ascoltava con stupore e riverenza le parole del Maestro inviato dal cielo. Il testimone di Cristo deve provare lo stesso fervore sia rivolgendosi a pochi uditori sia a una numerosa assemblea. Talvolta accade che una sola persona sia presente per ascoltare il messaggio, ma chi può dire fin dove il suo influsso potrà arrivare? Perfino ai discepoli il colloquio di Gesù con la samaritana parve una cosa insignificante. Ma egli le parlò con più zelo ed eloquenza di quanto non avrebbe fatto con re, magistrati o sommi sacerdoti. Gli insegnamenti dati a questa donna sono stati ripetuti Ano agli estremi confini della terra. {GN 135.4}

Dopo aver trovato il Salvatore, la samaritana condusse altri uditori. Mostrò uno spirito missionario più intenso di quello dei discepoli. Essi non consideravano per nulla la Samaria come un campo promettente. Rivolgevano i loro pensieri a una grande opera futura, senza scorgere, proprio accanto a loro, un raccolto pronto per la mietitura. Invece, una città intera ascoltò il Salvatore tramite una donna disprezzata che aveva trasmesso subito ai suoi concittadini il messaggio ricevuto. {GN 136.1}

Questa donna, con il suo esempio ci dimostra come agisce una fede vera in Cristo. Chi ha bevuto dell’acqua della vita diviene egli stesso una fonte di vita. Ogni vero discepolo nasce nel regno di Dio come missionario. Colui che ha ricevuto, dona. La grazia di Cristo è per ogni spirito come una sorgente nel deserto, che sgorga per tutti, per offrire acqua viva a coloro che stanno per morire. {GN 136.2}



Capitolo 20: “Se non vedete segni e miracoli”

I galilei che erano stati a Gerusalemme per la Pasqua, al ritorno raccontarono le opere straordinarie compiute da Gesù. In Galilea si venne anche a sapere quale giudizio i capi di Gerusalemme avevano pronunciato su quelle opere. Molti ebrei si lamentavano degli abusi compiuti nel tempio e dell’arroganza dei sacerdoti. Speravano che quell’uomo, che aveva messo in difficoltà i capi, fosse l’atteso liberatore. Si era aggiunta anche una notizia che sembrava confermare quelle radiose speranze: quel profeta aveva detto di essere il Messia. {GN 137.1}

Ma gli abitanti di Nazaret non credevano in lui. Per questa ragione Gesù non passò da Nazaret nel suo viaggio verso Cana. Il Salvatore disse ai discepoli che nessun profeta è onorato nella sua patria. Gli uomini generalmente giudicano dall’apparenza. Così Cristo veniva giudicato, da quegli uomini dalla mente ottusa e superficiale, in base alla sua umile nascita, alla semplicità dell’abbigliamento e al suo tipo di lavoro. Essi erano incapaci di apprezzare la purezza di quel carattere privo di ogni traccia di peccato. {GN 137.2}

La notizia del ritorno di Gesù a Cana si diffuse rapidamente in tutta la Galilea, offrendo speranze ai miseri e agli afflitti. A Capernaum questa notizia giunse alle orecchie di un nobile giudeo, ufficiale del re, il cui figlio era affetto da una malattia apparentemente incurabile. I medici già disperavano; ma questo padre, avendo sentito parlare di Gesù, decise di chiedergli aiuto. Il bambino era così grave che si temeva non potesse vivere fino al ritorno del padre; tuttavia egli ritenne necessario presentare personalmente il caso, sperando che le preghiere di un padre avrebbero commosso il grande Medico. {GN 137.3}

Arrivato a Cana, l’ufficiale trovò Gesù circondato da una gran folla. Con ansia si fece strada, ma la sua fede vacillò quando si trovò davanti a un uomo vestito con abiti comuni, impolverato e stanco per il viaggio. Dubitò che quell’uomo potesse concedergli ciò che era venuto a cercare; ma parlò con Gesù, gli espose il suo caso e lo supplicò di andare a casa sua. Il Salvatore conosceva la causa di quel dolore in quanto aveva già visto l’afflizione dell’ufficiale prima ancora che questi lasciasse la sua casa. {GN 137.4}

Sapeva che questo padre lo avrebbe riconosciuto come Messia solo se la sua richiesta fosse stata esaudita. Mentre l’ufficiale aspettava ansioso, Gesù disse: “Se non vedete segni e miracoli, voi non crederete”. Giovanni 4:48. {GN 138.1}

Nonostante le prove della messianicità di Gesù, quell’ufficiale aveva deciso di far dipendere la sua fede in lui dall’esaudimento della richiesta. Il Salvatore paragonò quella sfiducia dubbiosa alla fede semplice dei samaritani che non avevano chiesto né miracoli né segni. La sua parola, dimostrazione palese della sua divinità, era stata sufficiente per convincere i loro cuori. Cristo era addolorato perché i membri del suo popolo, ai quali erano stati affidati gli oracoli divini, non riconoscevano la voce di Dio che parlava loro attraverso suo Figlio. {GN 138.2}

Ma l’ufficiale aveva un po’ di fede, per questo era venuto a chiedere ciò che considerava la benedizione più preziosa. Ma Gesù poteva concedergli un dono ancora più grande; non desiderava soltanto guarire il fanciullo, ma far beneficiare l’ufficiale e la sua casa delle benedizioni della salvezza, accendere una luce in Capernaum, cittadina che presto sarebbe diventata il centro del suo lavoro. Ma quell’ufficiale, prima di desiderare la grazia di Cristo, doveva rendersi conto di che cosa aveva bisogno. Quell’uomo assomigliava a molti israeliti che si interessavano di Gesù per motivi egoistici. Essi speravano di ricevere qualche vantaggio dalla sua potenza ed erano disposti a credere solo se le loro richieste venivano soddisfatte; ignoravano però la loro malattia spirituale e non sentivano alcuna necessità della grazia di Dio. {GN 138.3}

Le parole del Salvatore illuminarono il cuore dell’ufficiale. Egli comprese che cercava Gesù per un motivo egoistico e, sentendo la fede vacillare, temette che il suo dubbio potesse costargli la vita del figlio. Si rese conto di trovarsi alla presenza di chi poteva leggere i suoi pensieri e al quale tutto era possibile. Con il cuore stretto dall’angoscia gridò: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Versetto 49. Si attaccò con forza a Gesù per fede, come Giacobbe che nella lotta con l’angelo aveva esclamato: “Non ti lascerò andare prima che tu mi abbia benedetto!” Genesi 32:26. {GN 138.4}

E come Giacobbe, vinse. Il Salvatore non si allontana da un’anima che gli grida il suo grande bisogno. E Gesù disse all’ufficiale: “Va’, il tuo figlio vive”. Giovanni 4:50. Questo padre se ne andò con una pace e una gioia mai conosciute prima. Era convinto che suo figlio sarebbe guarito e riponeva tutta la sua fiducia in Gesù come Redentore. {GN 138.5}

In quello stesso momento, coloro che vegliavano il bambino nella sua casa di Capernaum notarono un mutamento repentino e misterioso. L’ombra della morte si era allontanata dal volto del malato. La febbre era cessata, lo sguardo quasi spento si sera ravvivato, il corpo debole ed emaciato aveva ripreso forza. Il bambino non presentava più alcun segno di malattia e si era addormentato tranquillamente. La famiglia ne fu meravigliata e provò una grande gioia. {GN 138.6}

La distanza fra Cana e Capernaum avrebbe consentito all’ufficiale di tornare a casa la sera stessa, ma egli non si affrettò e giunse a Capernaum solo la mattina successiva. Fu un ritorno straordinario. Quand’egli si era messo alla ricerca di Gesù, aveva il cuore in preda all’angoscia: la luce del sole gli era odiosa e il canto degli uccelli gli sembrava un insulto. Ora i suoi sentimenti erano completamente mutati e vedeva ogni cosa da un altro punto di vista. {GN 139.1}

Durante il viaggio, nelle quiete ore del mattino, sembrava che tutta la natura intonasse con lui un inno di lode al Creatore. Quando era ancora lontano da casa, gli vennero incontro alcuni suoi servitori, pensando di porre fine alle sue ansietà. Egli non mostrò alcuna sorpresa ma chiese solo — curiosità che a loro parve strana — a che ora il figlio fosse migliorato. Essi risposero: “Ieri, all’ora settima, la febbre lo lasciò”. Versetto 52. Nel momento stesso in cui la fede del padre si era appoggiata sulla promessa di Gesù, l’amore divino aveva toccato il bambino morente. {GN 139.2}

Il padre corse per riabbracciare il figlio. Lo strinse al cuore come se gli fosse stato reso dai morti e non si stancò di ringraziare Dio per quella guarigione miracolosa. {GN 139.3}

Quell’ufficiale desiderava conoscere meglio Cristo. Più tardi, avendo avuto l’occasione di udire i suoi insegnamenti, si schierò con tutti i suoi tra le file dei discepoli. La prova aveva avuto come risultato la conversione dell’intera famiglia. Ben presto si diffuse la notizia di quel miracolo. A Capernaum, dove Gesù avrebbe compiuto molte delle sue opere potenti, si era aperta la via per la sua missione. {GN 139.4}

Colui che benedisse l’ufficiale di Capernaum è disposto a benedire anche noi. Ma, come quel padre angosciato, il desiderio di beni terreni ci spinge a cercare Gesù, e noi facciamo dipendere la nostra fiducia dall’esaudimento delle richieste presentate. Il Signore, invece, desidera concederci una benedizione più grande di quella che chiediamo e rimanda la sua risposta perché possiamo vedere il male che c’è nel nostro cuore e il nostro profondo bisogno della sua grazia. Egli desidera che non lo cerchiamo per motivi egoistici. È nostro dovere confidare interamente nel suo amore e confessare la nostra incapacità e il nostro grande vuoto. {GN 139.5}

L’ufficiale avrebbe voluto vedere, prima di credere, l’esaudimento della preghiera; ma fu costretto ad accettare la parola di Gesù perché la sua richiesta fosse ascoltata e la grazia concessa. Anche noi dobbiamo imparare la stessa lezione. Non dobbiamo aspettare, per credere, di vedere o sentire che Dio ci ascolta. Dobbiamo confidare nelle sue promesse. Dio accoglie ogni nostra preghiera quando ci avviciniamo a lui con fede. Quando abbiamo chiesto un favore, dobbiamo credere che lo riceveremo e ringraziarlo per il suo esaudimento. Svolgiamo i nostri compiti, sicuri che la benedizione chiesta sarà concessa al momento più opportuno. Quando avremo imparato ad agire così, potremo essere certi che le nostre preghiere saranno esaudite. Dio farà per noi “infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo”, “secondo le ricchezze della sua gloria”, e “l’immensità della sua potenza”. Efesini 3:20, 16; 1:19. {GN 140.1}



Capitolo 21: Betesda e il sinedrio

“Or a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c’è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. Sotto questi portici giaceva un gran numero d’infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici, i quali aspettavano l’agitarsi dell’acqua”. Giovanni 5:2, 3. {GN 141.1}

Ogni tanto le acque di quella vasca si agitavano. Il popolo credeva che accadesse per l’intervento di un potere soprannaturale e colui che vi scendeva per primo sarebbe guarito da qualunque malattia. Centinaia di ammalati si accalcavano lì intorno. La folla era così numerosa che quando le acque si agitavano, i più forti, per precipitarsi, calpestavano uomini, donne e bambini. Molti non riuscivano neppure ad avvicinarsi alla vasca. Altri, che vi riuscivano, morivano però sui bordi. Erano stati costruiti dei ripari affinché i malati potessero essere protetti dal caldo del giorno e dal freddo della notte. Molti passavano addirittura la notte sotto quei portici e, giorno dopo giorno, strisciavano fino all’orlo della vasca nella vana speranza di essere guariti. {GN 141.2}

Gesù era nuovamente a Gerusalemme. Passeggiando da solo, immerso nella meditazione e nella preghiera, giunse fino alla vasca. Vide quei sofferenti infelici che aspettavano ansiosamente quella che consideravano la loro unica speranza di guarigione. Desiderava esercitare la sua potenza per lenire quelle sofferenze, ma era giorno di sabato. La folla andava al tempio per adorare, e Gesù sapeva che un atto di guarigione avrebbe provocato i pregiudizi dei giudei con il risultato di ostacolare la sua opera. {GN 141.3}

Ma agli occhi del Salvatore si presentò una scena particolarmente triste. Si trattava di un uomo infermo da trentotto anni. La sua malattia era in gran parte causata da colpe di cui si era macchiato e veniva considerata come un giudizio di Dio. Solo, senza amici, sentendosi lontano dalla misericordia di Dio, quel sofferente aveva passato lunghi e terribili anni di miseria. Quando si prevedeva che le acque sarebbero state agitate, alcuni lo portavano vicino ai portici. Però, al momento opportuno, nessuno lo aiutava. Aveva visto il movimento dell’acqua, ma era riuscito solo ad avvicinarsi al bordo della vasca. {GN 141.4}

Altri, più forti, si immergevano prima di lui. Era impossibile lottare con successo contro la folla egoista e tumultuosa. I suoi costanti tentativi, l’ansia e le continue delusioni gli avevano esaurito le forze. {GN 142.1}

Il malato era sdraiato su una stuoia e ogni tanto sollevava il capo per guardare la vasca. All’improvviso, un volto dall’espressione dolce e misericordiosa si chinò su di lui, e la frase: “Vuoi guarire?” (Versetto 6) attirò la sua attenzione. Nel suo cuore si risvegliò la speranza. Sentiva che in qualche maniera sarebbe stato aiutato. Ma la sua fiducia scomparve presto: si ricordò degli inutili tentativi di tuffarsi nella vasca; ormai gli rimanevano poche possibilità di continuare a vivere. Si volse stanco e disse: “Signore, io non ho nessuno che, quando l’acqua è mossa, mi metta nella vasca, e mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me”. Versetto 7. {GN 142.2}

Gesù non chiede a quest’uomo sofferente di credere in lui. Gli dice semplicemente: “Alzati, prendi il tuo lettuccio, e cammina”. Versetto 8. Per fede, l’infermo accetta quelle parole. Ogni nervo e ogni muscolo acquistano una nuova vita e la forza della guarigione si estende fino alle sue membra storpie. Senza fare obiezioni ubbidisce all’ordine di Cristo e tutti i suoi muscoli rispondono alla sua volontà. Balzando in piedi, si ritrova un uomo in grado di agire. {GN 142.3}

Gesù non gli aveva promesso nessun aiuto divino. L’uomo avrebbe potuto dubitare e perdere così la sua unica speranza di guarigione. Ma credette nella parola di Cristo, e seguendo il suo consiglio ottenne forza. {GN 142.4}

Mediante la stessa fede noi possiamo ricevere la guarigione spirituale. Il peccato ci ha separati dalla vita di Dio. Il nostro spirito è paralizzato. Siamo incapaci di vivere una vita santa, così come quel paralitico non era in grado di camminare. Molti si rendono conto della loro impotenza e desiderano ardentemente una vita spirituale che ristabilisca la loro comunione con Dio, ma inutilmente cercano di conquistarla con i propri mezzi. Disperati, gridano: “Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” Romani 7:24. Queste anime scoraggiate guardino verso l’alto. Il Salvatore si rivolge a coloro che ha riscattato con il suo sacrificio e dice loro con profondo affetto e simpatia: “Vuoi essere guarito?” Egli ci ordina di alzarci, guariti e in pace. Non aspettate di sentirvi guariti; credete nella sua parola ed essa si adempirà. Deponete la vostra volontà ai piedi di Cristo, agite secondo la sua parola e riceverete forza. Qualunque sia la colpa, qualunque sia la passione che troppo a lungo ha soggiogato l’animo e il corpo, Cristo può e vuole liberarvi. Egli darà vita all’anima morta nei peccati. Cfr. Efesini 2:1. Libererà colui che è prigioniero del peccato. {GN 142.5}

Il paralitico guarito prese il suo letto, una semplice stuoia e una coperta, e mentre avvertiva in sé una bellissima sensazione di forza, cercò con lo sguardo il suo liberatore; ma Gesù era sparito in mezzo alla folla. L’uomo temeva di non riconoscerlo, se lo avesse incontrato. Mentre si affrettava con passo fermo e sciolto lodando Dio per le forze ritrovate, incontrò diversi farisei e li informò della sua guarigione. Rimase sorpreso per la freddezza con cui accolsero il suo racconto. {GN 143.1}

Con le sopracciglia aggrottate, essi lo interruppero e gli chiesero perché trasportasse il letto in giorno di sabato. Gli ricordarono severamente che non era conforme alla legge portare dei pesi nel giorno del Signore. Nella sua gioia quell’uomo si era dimenticato che era sabato; inoltre, non si sentiva in colpa per aver ubbidito all’ordine di colui che aveva ricevuto una così grande potenza da parte di Dio. Egli rispose subito: “Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina”. Giovanni 5:11. I farisei gli chiesero chi gli avesse detto questo, ma egli non lo sapeva. Essi, però, sapevano benissimo chi poteva compiere un miracolo del genere, ma volevano la sua testimonianza per accusare Gesù come trasgressore del sabato. Secondo loro, Cristo non solo aveva infranto la legge guarendo un malato in giorno di sabato, ma anche commesso un sacrilegio ordinandogli di trasportare il suo giaciglio. {GN 143.2}

Gli ebrei avevano alterato la legge e l’avevano trasformata in un peso insopportabile. Le loro richieste insensate erano diventate motivo di scherno per le altre nazioni. Soprattutto il sabato era stato appesantito con restrizioni prive di significato, e per loro non era più un’occasione di gioia, qualcosa di santo e di onorevole appartenente al Signore. Gli scribi e i farisei avevano trasformato l’osservanza di questo giorno in un peso insopportabile. In giorno di sabato un ebreo non poteva accendere il fuoco, neppure una candela. Perciò il popolo, per quei servizi che erano loro proibiti dai capi, si rivolgeva ai gentili. Non pensavano che, se quegli atti erano sbagliati, commetteva peccato sia chi li faceva sia chi li ordinava. Credevano che la salvezza fosse limitata agli ebrei e che tutti gli altri, privi ormai di speranza, non potevano peggiorare la loro condizione. Ma il Signore non ha mai dato alcun comandamento che non possa essere osservato da tutti. La sua legge non approva nessuna restrizione irragionevole o egoistica. {GN 143.3}

Gesù incontrò nel tempio l’uomo che era stato guarito. Era venuto a portare un’offerta per la colpa e una di ringraziamento per la grande grazia ricevuta. Trovandolo in mezzo ai fedeli, Gesù si fece riconoscere con queste parole di esortazione: “Ecco, tu sei guarito; non peccare più,, ché non ti accada di peggio”. Versetto 14. L’uomo guarito era felice di aver incontrato il suo liberatore. Non essendo al corrente dell’ostilità dei farisei nei confronti di Gesù, disse loro chi era colui che lo aveva guarito. “Per questo i giudei perseguitavano Gesù e cercavano di ucciderlo; perché faceva quelle cose di sabato”. Versetto 16. {GN 143.4}

Gesù fu condotto davanti al sinedrio sotto l’accusa di avere trasgredito il sabato. Se in quel momento gli ebrei fossero stati liberi, un’accusa simile sarebbe stata sufficiente per condannarlo a morte. Ma la loro dipendenza dai romani impedì che questo avvenisse. Essi avevano perso il diritto d’infliggere una condanna capitale e la loro accusa contro Gesù non poteva essere presa in considerazione da un tribunale romano. Speravano tuttavia di raggiungere altri scopi. Nonostante la loro viva opposizione, Cristo acquistava presso il popolo, perfino in Gerusalemme, una notorietà maggiore della loro. Molte persone che non provavano alcun interesse per i discorsi dei rabbini, erano invece attratte dal suo insegnamento. Esse capivano i suoi messaggi e il cuore ne era consolato. Le sue parole rivelavano Dio non come un giudice vendicatore ma come un padre amorevole, ed egli stesso rifletteva nella sua vita l’immagine di Dio. Le sue parole erano come un balsamo per le anime afflitte. Con il suo insegnamento e con la sua condotta misericordiosa infrangeva il potere opprimente delle tradizioni e dei comandamenti degli uomini, e presentava l’amore di Dio in tutta la sua pienezza inesauribile. {GN 144.1}

Una delle prime profezie messianiche dice: “Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né sarà allontanato il bastone del comando dai suoi piedi, finché venga colui al quale esso appartiene e a cui ubbidiranno i popoli”. Genesi 49:10. La folla si riuniva intorno a Cristo. Il cuore sensibile della gente preferiva le lezioni dell’amore e della benevolenza alle rigide cerimonie richieste dai sacerdoti. Se, insieme ai rabbini, non si fossero opposti, il suo insegnamento avrebbe prodotto una riforma mai conosciuta prima. Ma per mantenere la loro autorità, quei capi decisero di annientare l’influsso di Gesù. {GN 144.2}

L’accusa davanti al sinedrio e un’aperta condanna dei suoi insegnamenti avrebbero favorito il raggiungimento di quello scopo; il popolo, infatti, aveva ancora un grande rispetto per la religione dei suoi capi. Chiunque avesse osato condannare gli insegnamenti dei rabbini o alleviare il fardello che essi avevano posto sul popolo, era considerato colpevole non solo di bestemmia ma addirittura di tradimento. {GN 144.3}

Per questi motivi i rabbini speravano che nascesse della difflden-za nei confronti di Gesù. Lo presentarono come un sovvertitore delle tradizioni; ed egli, fomentando divisioni fra il popolo, avrebbe preparato la via a una totale dipendenza dai romani. {GN 144.4}

I piani che questi rabbini cercavano di attuare con tanto zelo provenivano da un concilio diverso da quello del sinedrio. Satana, non essendo riuscito a vincere Cristo nel deserto, cercò di opporsi a lui nel suo ministero e di ostacolare la sua opera. Decise di tentare con la strategia ciò che non era riuscito a fare con un’azione diretta. Fallita la sua tentazione nel deserto, fece dei piani con i suoi seguaci per offuscare la mente degli ebrei affinché non riconoscessero Gesù come Redentore. Lavorò nell’ambito religioso, servendosi di uomini pieni di odio contro il paladino della verità. Egli si proponeva di far loro respingere Gesù e di rendergli la vita più dura possibile, sperando di scoraggiarlo nell’adempimento della sua missione. Così i capi d’Israele divennero strumenti di Satana nella lotta contro il Salvatore. {GN 145.1}

Gesù era venuto per “rendere la sua legge grande e magnifica”. Isaia 42:21. Egli non voleva sminuirne la dignità, anzi accrescerla. Le Scritture affermano: “Egli non verrà meno e non si abbatterà finché abbia stabilito la giustizia sulla terra”. Versetto 4. Cristo era venuto a liberare il mondo da quelle pesanti prescrizioni che lo trasformavano da benedizione in maledizione. {GN 145.2}

Per questo motivo aveva deciso di guarire a Betesda in giorno di sabato. Avrebbe potuto guarire il malato in qualsiasi altro giorno della settimana o avrebbe potuto guarirlo senza ordinargli di portarsi via il letto. Ma questo non gli avrebbe offerto l’occasione desiderata. Ogni azione di Cristo sulla terra aveva un’intenzione positiva. Tutto quello che faceva aveva valore in sé e per gli insegnamenti che dava. Alla vasca, fra tutti i sofferenti, scelse il caso più disperato e ordinò all’uomo di portare via il letto e andare in giro per la città, perché tutti sapessero la grande opera che era venuto a compiere. Questo avrebbe aperto il problema su quello che era lecito fare in giorno di sabato; gli avrebbe offerto l’occasione di condannare le restrizioni arbitrarie imposte dagli ebrei e dichiarare che erano prive di validità. {GN 145.3}

Gesù disse che l’opera in favore degli afflitti era in armonia sia con la legge del sabato sia con l’opera degli angeli di Dio che, per soccorrere l’umanità sofferente, vanno e vengono continuamente dal cielo sulla terra. Gesù dichiarò: “Il Padre mio opera fino ad ora, e anch’io opero”. Giovanni 5:17. Tutti i giorni appartengono a Dio, e in essi egli attua il suo piano in favore dell’umanità. Se l’interpretazione che gli ebrei davano alla legge fosse stata corretta, Dio avrebbe sbagliato conferendo la vita e sostenendola in ogni cosa vivente, fin dalla fon dazione della terra. E colui che aveva definito ogni sua opera buona e aveva istituito il sabato per commemorarla, avrebbe dovuto sospendere il suo lavoro e arrestare il moto infinito dell’universo. {GN 145.4}

Il Signore dovrebbe forse ordinare al sole d’interrompere la sua funzione in giorno di sabato, impedendo ai suoi raggi benefici di riscaldare la terra e nutrire la vegetazione? Gli astri devono fermarsi in quel giorno santo? Dovrebbe ordinare ai ruscelli di cessare di scorrere nei campi e nelle foreste; alle onde del mare di calmarsi dal loro continuo flusso e riflusso? Dovrebbe il grano interrompere di crescere e il grappolo che matura ritardare di colorarsi? Gli alberi e i fiori dovrebbero in giorno di sabato rinunciare a produrre gemme e boccioli? {GN 146.1}

Se così fosse, gli uomini perderebbero i frutti della terra e le benedizioni che rendono la vita gradevole. Ma il corso della natura deve continuare. Se Dio chiude per un istante la mano, l’uomo si indebolisce e muore. Anche l’uomo ha, in quel giorno, un compito da svolgere. Deve occuparsi delle necessità della vita, curare gli ammalati, pensare concretamente ai sofferenti. Chi trascura di aiutarli in giorno di sabato non è senza colpa. Il santo giorno di riposo è stato fatto per l’uomo, e le opere di assistenza sono in perfetta armonia con il suo significato. Dio non vuole che le sue creature sopportino una sofferenza che potrebbe essere alleviata di sabato come in un qualsiasi altro giorno. {GN 146.2}

Le preghiere rivolte a Dio sono addirittura più numerose di sabato che negli altri giorni. Il suo popolo lascia le occupazioni ordinarie e consacra del tempo alla meditazione e al culto. Di sabato si chiedono a Dio più grazie che negli altri giorni. Si sollecita una sua speciale attenzione, si invocano le sue benedizioni e Dio non aspetta che il sabato sia passato per rispondere a queste preghiere. Come l’opera del cielo è incessante, così gli uomini non dovrebbero mai cessare di fare il bene. Il sabato non è stato inteso come un tempo di inattività oziosa. Ciò che la legge proibisce nel giorno di riposo del Signore è il lavoro ordinario, che ha per scopo il guadagno dei mezzi di sostentamento; e nessun lavoro destinato a procurare piacere mondano o profitto economico è legale in quel giorno. Come Dio ha cessato la sua attività creatrice, si è riposato di sabato e ha benedetto quel giorno, così l’uomo deve lasciare le occupazioni della sua vita quotidiana e consacrare quelle ore sacre al riposo ristoratore, all’adorazione e alle opere di bene. Guarendo un malato, Cristo era in perfetta armonia con la legge. Egli onorava il sabato. {GN 146.3}

Gesù affermò di avere gli stessi diritti di Dio. Egli svolgeva un’opera della stessa sacralità e dello stesso tipo di quella compiuta dal Padre in cielo. Ma i farisei si esasperarono ancora di più; secondo la loro opinione, non solo aveva violato la legge, ma chiamando Dio suo Padre, si metteva sul suo stesso piano. {GN 146.4}

Tutti gli ebrei chiamavano Dio loro padre. Essi non si sarebbero adirati se Cristo si fosse messo nel loro stesso rapporto con Dio. Ma lo accusarono di bestemmia perché avevano capito che egli dava alla sua dichiarazione un senso molto più elevato. {GN 147.1}

Gli avversari di Gesù non avevano argomenti per confutare le verità che lui aveva rivelato alle loro coscienze. Essi potevano appellarsi soltanto alle loro tradizioni e alle loro abitudini, che apparivano deboli e insignificanti rispetto alle motivazioni che Gesù aveva tratto dalla Parola di Dio e con l’opera ininterrotta della natura. Se i rabbini avessero desiderato ricevere nuova luce, si sarebbero convinti della verità insegnata da Gesù. Ma essi non presero in considerazione le sue osservazioni sul sabato e cercarono di provocare l’animosità della folla contro di lui, perché pretendeva di essere uguale a Dio. {GN 147.2}

La collera dei capi non conobbe più limiti. Se non avessero temuto il popolo, i sacerdoti e i rabbini avrebbero ucciso Gesù in quel momento. Ma Cristo godeva di un forte appoggio popolare; molti riconoscevano in lui l’amico che aveva guarito le loro malattie, alleviato le loro sofferenze e quindi giustificavano il miracolo di Betesda. Così i capi furono costretti a contenere, per il momento, il loro odio. {GN 147.3}

Gesù respinse l’accusa di bestemmia. L’autorità, disse, in base alla quale compio l’opera di cui mi accusate, deriva dal fatto che io sono il Figlio di Dio, uno con lui nella natura, nella volontà e nelle intenzioni. Io collaboro con Dio in tutte le sue opere di creazione e di provvidenza. “Il Figlio non può da se stesso far cosa alcuna, se non la vede fare dal Padre”. Versetto 19. I sacerdoti e i rabbini volevano sapere dal Figlio di Dio quale fosse la missione che doveva compiere nel mondo. I loro peccati li avevano separati da Dio e il loro orgoglio li spingeva ad agire indipendentemente da lui. Si sentivano autosufficienti e non avvertivano il bisogno di essere diretti da una sapienza superiore. {GN 147.4}

Ma il Figlio di Dio era completamente sottomesso alla volontà del Padre e accettava la sua potenza. Cristo si era così spogliato del suo io che non formulava alcun piano nel suo proprio interesse. Accettò il piano del Padre per lui, che gli veniva rivelato giorno dopo giorno. Nella stessa maniera dovremmo dipendere da Dio affinché la nostra vita sia la piena manifestazione della sua volontà. {GN 147.5}

Quando Mosè stava per costruire il santuario come dimora di Dio, gli fu detto di fare ogni cosa secondo il modello mostratogli sul monte. Era entusiasta di compiere l’opera di Dio e aveva a sua disposizione gli uomini più capaci per eseguire i suoi ordini. Tuttavia, ogni oggetto del santuario — anche un campanello o una frangia o una tenda o un vaso — dovevano essere confezionati secondo il modello che gli era stato mostrato. Così Dio lo fece salire sulla montagna e gli fece conoscere le bellezze del cielo. Lo coprì della sua gloria permettendogli di vedere il modello, e tutto fu fatto seguendo questo esempio. Dio, poiché avrebbe abitato fra loro, rivelò anche il suo glorioso carattere a Israele. Il modello fu mostrato a Mosè sulla montagna, alla promulgazione della legge al Sinai quando Dio, passando davanti a lui, proclamò: “Il Signore! il Signore! il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà, che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato”. Esodo 34:6, 7. {GN 147.6}

Ma Israele aveva scelto di seguire le proprie vie, non aveva costruito secondo il modello; Cristo invece, il vero tempio di Dio, plasmava la propria vita terrena in armonia con il modello divino. Egli diceva: “Dio mio, desidero fare la tua volontà, la tua legge è dentro il mio cuore”. Salmi 40:8. Così il nostro carattere deve essere formato in modo “da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito”. Efesini 2:22. E noi dobbiamo “fare ogni cosa secondo il modello”. Ebrei 8:5. Infatti il “Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio”. 1 Pietro 2:21. {GN 148.1}

Le parole di Cristo ci insegnano che dovremmo considerarci indissolubilmente legati al Padre. Qualunque sia la nostra posizione, dipendiamo da Dio che ha nelle sue mani il destino di tutti. Egli ci ha affidato un incarico e ci ha fornito le capacità e i mezzi per realizzarlo. Se ci affidiamo alla volontà di Dio, e confidiamo nella sua potenza e nella sua sapienza, egli ci guiderà su sentieri sicuri e ci permetterà di adempiere il compito che ci è stato affidato nel suo grande piano. Ma chi confida nella propria sapienza e nelle proprie possibilità si separa da Dio: invece di lavorare con Cristo, adempie il piano del nemico di Dio e dell’uomo. {GN 148.2}

Il Salvatore continuò: “Le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa ugualmente... Difatti, come il Padre risuscita i morti e li vivifica, così anche il Figlio vivifica chi vuole”. Giovanni 5:19, 21. I sadducei non credevano nella risurrezione dei corpi. Gesù, invece, affermava che una delle più grandi opere del Padre è dare vita ai morti e anche lui aveva il potere di farlo. “L’ora viene, anzi è già venuta, che i morti udranno la voce del Figlio di Dio; e quelli che l’avranno udita, vivranno”. Versetto 25. I farisei credevano nella risurrezione dei morti. Cristo dichiara che fra loro è già all’opera la potenza che dà vita ai morti e che è possibile vederne la manifestazione. È questa stessa potenza che può risuscitare che dà vita anche all’anima vittima dei propri peccati. Cfr. Efesini 2:1. Lo spirito di vita che è in Cristo Gesù, “la potenza della sua risurrezione”, libera l’uomo “dalla legge del peccato e della morte”. Filippesi 3:10; Romani 8:2. Il dominio del male è infranto e, mediante la fede, l’anima è preservata dal peccato. Chi apre il proprio cuore allo Spirito di Cristo beneficerà di quella straordinaria potenza che trarrà fuori il suo corpo dalla tomba. {GN 148.3}

L’umile nazareno rivela la sua vera natura. Si eleva al di sopra dell’umanità, rifiuta la maschera del peccato e della vergogna e si presenta come colui che è onorato dagli angeli, il Figlio di Dio, una stessa cosa con il Creatore dell’universo. I suoi uditori sono affascinati. Nessun uomo ha pronunciato parole simili alle sue e presentato se stesso con questa maestà regale. Le sue affermazioni sono chiare e semplici; esse illustrano pienamente la sua missione e indicano le responsabilità degli uomini. “Inoltre, il Padre non giudica nessuno, ma ha affidato tutto il giudizio al Figlio, affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato. Perché come il Padre ha vita in se stesso, così ha dato anche al Figlio di avere vita in se stesso; e gli ha dato autorità di giudicare, perché è il Figlio dell’uomo”. Giovanni 5:22, 23, 26, 27. {GN 149.1}

I sacerdoti e i capi si erano arrogati la funzione di giudici per condannare l’opera di Cristo, ma egli dichiarò di essere il loro giudice e anche quello di tutta l’umanità. Il mondo è stato affidato a Cristo, e grazie a lui le benedizioni divine si sono riversate sulla stirpe decaduta. Egli era il Redentore prima e dopo la sua incarnazione. Fin da quando il peccato si è diffuso sulla terra c’è stato un Salvatore. Egli ha offerto luce e vita a tutti, e ognuno sarà giudicato secondo la conoscenza ricevuta. Colui che ha trasmesso conoscenze e insegnamenti, che ha rivolto all’uomo appelli accorati cercando di aiutarlo ad abbandonare il peccato per la santità, è anche il suo avvocato e il suo giudice. Fin dall’inizio della grande lotta in cielo Satana ha esercitato il suo potere mediante l’inganno, mentre Cristo ha operato per svelarne le macchinazioni e infrangerne la potenza. Il Salvatore ha affrontato Satana e i suoi inganni; in tutti i tempi ha lottato per strappare dalla sua morsa quelli che erano tenuti prigionieri, ed egli stesso giudicherà tutti gli uomini. {GN 149.2}

Dio “gli ha dato autorità di giudicare, perché è il Figlio dell’uomo”. Poiché ha sperimentato fino in fondo l’afflizione e le tentazioni umane, comprende le debolezze e i peccati degli uomini; poiché ha superato vittoriosamente le tentazioni di Satana, tratta con giustizia e compassione coloro che ha riscattato con il proprio sacrificio: proprio per questo, il Figlio dell’uomo sarà il giudice. {GN 149.3}

Ma Cristo è venuto per salvare, non per giudicare. “InfattiDio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Giovanni 3:17. Davanti al sinedrio, Gesù dichiarò: “In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”. Giovanni 5:24. {GN 150.1}

Cristo invitò i suoi uditori a non stupirsi quando svelò loro un altro aspetto del mistero del futuro. “Non vi meravigliate di questo; perché l’ora viene in cui tutti quelli che sono nelle tombe udranno la sua voce e ne verranno fuori; quelli che hanno operato bene, in risurrezione di vita; quelli che hanno operato male, in risurrezione di giudizio”. Versetti 28, 29. {GN 150.2}

Gli israeliti aspettavano da tempo questa promessa di vita eterna e speravano di riceverla alla venuta del Messia. Su loro splendeva l’unica luce che può illuminare l’oscurità del sepolcro. Ma l’egoismo è cieco. Gesù aveva violato la tradizione dei rabbini, aveva disprezzato la loro autorità ed essi non volevano credere. {GN 150.3}

Grazie al tempo, al luogo, alle circostanze e all’intensità dei sentimenti dell’assemblea, le parole pronunciate da Gesù davanti al sinedrio produssero una profonda impressione. Le più alte autorità religiose della nazione volevano togliere la vita a colui che si dichiarava il restauratore d’Israele. Il Signore del sabato fu trascinato davanti a un tribunale terreno per rispondere dell’accusa di avere violato il sabato. Quando egli fece conoscere chiaramente la sua missione, i suoi giudici lo guardarono con stupore e rabbia, ma le sue dichiarazioni erano irrefutabili. Non potevano condannarlo. Egli negò ai sacerdoti e ai rabbini il diritto di interrogarlo e d’interferire nel suo lavoro. Non avevano questa autorità. Le loro pretese si basavano sull’orgoglio e sull’arroganza. Gesù si rifiutò di confessarsi colpevole ed essere interrogato da loro. {GN 150.4}

Invece di difendersi per l’atto di cui lo accusavano o spiegare le sue intenzioni, Gesù si volse contro i capi e da accusato divenne accusatore. Li rimproverò per la durezza del loro cuore e per la loro ignoranza delle Scritture. Affermò che respingendo colui che Dio aveva inviato, in realtà avevano respinto la Parola di Dio. “Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse son quelle che rendono testimonianza di me”. Versetto 39. {GN 150.5}

In ogni pagina dell’Antico Testamento, di storia, morale o pro fezia, risplende la gloria del Figlio di Dio. Tutto il sistema ebraico, essendo un sistema divino, era una profezia del Vangelo. “Di lui attestano tutti i profeti”. Atti 10:43. Dalla promessa fatta ad Adamo, dai patriarchi, dal sistema della legge, scaturisce la luce gloriosa del cielo che illumina la vita del Redentore. I magi contemplarono la stella di Betlemme, e tutti gli eventi futuri passarono davanti ai loro occhi. Ogni sacrificio rappresentava la morte di Cristo. La sua giustizia saliva in ogni nuvola di incenso. Ogni tromba del giubileo proclamava il suo nome. La sua gloria risiedeva nel terribile mistero del luogo santissimo. {GN 150.6}

Gli ebrei, possedendo le Scritture, pensavano di poter avere la vita eterna con una semplice conoscenza esteriore. Ma Gesù disse: “La sua parola non dimora in voi”. Giovanni 5:38. Avendo rifiutato le parole di Cristo, ne avevano rifiutato la persona. “Eppure non volete venire a me per aver la vita!” Versetto 40. {GN 151.1}

I capi del popolo non avevano studiato gli insegnamenti dei profeti relativi al regno del Messia con il sincero desiderio di conoscere la verità, ma per trovare argomenti a favore delle loro ambiziose speranze. Quando Cristo si presentò in modo diverso da come lo aspettavano, essi non vollero accettarlo e per giustificarsi cercarono di dimostrare che era un ingannatore. Una volta assunto questo atteggiamento, fu facile per Satana rafforzare la loro opposizione al Maestro. Proprio le parole che avrebbero dovuto essere accettate come prova della sua divinità venivano interpretate contro di lui. Così interpretarono la verità di Dio come una menzogna, e più il Salvatore si rivolgeva a loro manifestando la sua misericordia, più essi si indurivano nelle loro posizioni. {GN 151.2}

Gesù disse: “Io non prendo gloria dagli uomini”. Versetto 41. Non desiderava né l’appoggio del sinedrio né la sua approvazione che non avrebbe aggiunto nulla al suo onore. Godeva degli onori e dell’autorità del cielo. Se lo avesse voluto, gli angeli sarebbero venuti a rendergli omaggio e il Padre avrebbe nuovamente testimoniato della sua divinità. Ma per amor loro, per amore della nazione che essi dirigevano, egli desiderava che i capi riconoscessero il suo carattere e accettassero le benedizioni che era venuto a offrire loro. {GN 151.3}

“Io sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete; se un altro verrà nel suo proprio nome, quello lo riceverete”. Versetto 43. Gesù venne con l’autorità di Dio, portandone l’immagine, adempiendone la Parola e ricercandone la gloria; tuttavia non venne accettato dai capi d’Israele che, al contrario, avrebbero ricevuto altri che si sarebbero spacciati per il messia, seguendo la loro volontà e cercan do la loro gloria. Perché? Perché colui che cerca la propria gloria fa appello all’autoesaltazione. Gli ebrei rispondevano ad appelli simili. Accettavano i falsi maestri perché essi lusingavano il loro orgoglio, approvavano le loro opinioni e le loro tradizioni. Ma l’insegnamento di Cristo non concordava con le loro idee: era spirituale e richiedeva la rinuncia a se stessi. Per questo essi non lo accettarono. Non conoscevano Dio, perciò la sua voce che parlava tramite Cristo apparve loro estranea. {GN 151.4}

Non accade forse ancora oggi la stessa cosa? Non vi sono ancora oggi molti, persino tra i capi religiosi, che induriscono i loro cuori diventando insensibili all’azione dello Spirito Santo e non riescono a riconoscere la voce di Dio? Non respingono la Parola di Dio per seguire le loro proprie tradizioni? {GN 152.1}

“Infatti, se credeste a Mosè, credereste anche a me; poiché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come crederete alle mie parole?” Versetti 46, 47. Era stato Cristo a parlare a Israele attraverso Mosè. Se avessero ascoltato la voce divina che parlava loro tramite il grande condottiero, l’avrebbero riconosciuta negli insegnamenti di Cristo. Se avessero creduto a Mosè, avrebbero anche creduto in colui del quale Mosè aveva scritto. {GN 152.2}

Gesù sapeva che i sacerdoti e i rabbini volevano ucciderlo; tuttavia spiegò loro chiaramente la sua unione con il Padre e il suo rapporto con gli uomini. Essi si resero conto che la loro opposizione era ingiustificabile, ma il loro odio mortale non si attenuò. Provarono timore sentendo la forza di convinzione che manifestava svolgendo la sua missione, ma opposero resistenza ai suoi appelli e piombarono nelle tenebre. {GN 152.3}

Il loro obiettivo di minare l’autorità di Gesù e privarlo del rispetto e dell’attenzione del popolo era miserabilmente fallito e molti erano stati convinti dalle sue parole. Gli stessi capi si erano sentiti condannati quando Gesù aveva sottolineato le loro colpe; ma tutto ciò suscitò una rabbia ancora maggiore contro di lui. Erano decisi a ucciderlo. Mandarono degli emissari in tutto il paese per mettere in guardia il popolo contro Gesù che accusavano di impostura. Inviarono delle spie perché lo sorvegliassero e riferissero quello che faceva e diceva. Il Salvatore si avvicinava all’ombra della croce. {GN 152.4}



Capitolo 22: Prigionia e morte di Giovanni il battista

Giovanni il battista era stato il primo ad annunciare il regno di Cristo e fu anche il primo martire. Egli, che aveva goduto l’aria libera del deserto e aveva predicato a una vasta folla entusiasta, si trovava rinchiuso nelle mura di una cella sotterranea, nella fortezza di Erode Antipa. La sua missione si era svolta in gran parte a est del Giordano, in un territorio che apparteneva ad Antipa. Lo stesso Erode, sovrano corrotto, aveva ascoltato la sua predicazione e aveva tremato udendo l’appello al pentimento. “Infatti Erode aveva soggezione di Giovanni, sapendo che era uomo giusto e santo, e lo proteggeva; dopo averlo udito era molto perplesso, e l’ascoltava volentieri”. Marco 6:20. Giovanni era stato leale e gli aveva rimproverato la relazione peccaminosa con Ero-diade, moglie di suo fratello. Dapprima Erode aveva cercato debolmente di spezzare i legami della sua passione, ma Erodiade lo aveva avviluppato ancora più fermamente nella sua rete e si era voluta vendicare del Battista, spingendo Erode a imprigionarlo. {GN 153.1}

La vita di Giovanni era stata molto attiva, ed egli sentiva il peso dell’oscurità e dell’inattività della prigione. Con il passare delle settimane, lo scoraggiamento e il dubbio si insinuarono nel suo animo. Ma i suoi discepoli non lo abbandonarono. Avendo libero accesso alla prigione, lo informavano dell’opera di Gesù e del suo successo presso il popolo. Ma essi si chiedevano come mai, se quel nuovo maestro era veramente il Messia, non facesse nulla per liberare Giovanni. Come poteva permettere che il suo fedele precursore fosse privato della libertà e, forse, della vita? {GN 153.2}

Queste domande non rimasero senza effetti. Insinuarono in Giovanni dei dubbi che diversamente non sarebbero sorti. Satana gioiva nell’udire le parole di questi discepoli e nel vedere come esse turbavano l’animo del messaggero del Signore. Spesso coloro che si reputano amici e desiderano manifestare la loro devozione sono i nemici più pericolosi. Invece di rafforzare la fede, le loro parole fanno aumentare lo scoraggiamento. {GN 153.3}

Come i discepoli del Salvatore, Giovanni il battista non aveva compreso la natura del regno di Dio. Pensava che Gesù si sarebbe impa dronito del trono di Davide; ma poiché il tempo passava senza che Gesù manifestasse alcuna intenzione di assumere un’autorità simile, Giovanni aveva provato perplessità e turbamento. Egli aveva detto al popolo che, per preparare la via del Signore, si doveva adempiere la profezia di Isaia: si doveva colmare ogni valle, abbassare ogni monte e ogni colle e raddrizzare le vie tortuose. Si aspettava che le posizioni elevate del potere e dell’orgoglio venissero abbassate. Aveva annunciato che il Messia sarebbe venuto con una pala in mano per pulire l’aia, per raccogliere il grano nel granaio e per bruciare la pula nel fuoco. Simile a Elia, di cui aveva presentato a Israele lo spirito e la potenza, egli si aspettava che il Signore si manifestasse in mezzo al fuoco. {GN 153.4}

Il Battista era stato un coraggioso accusatore del male sia presso gli uomini importanti sia presso gli umili. Aveva osato sfidare il re Erode con un chiaro rimprovero. Non aveva tenuto conto della sua vita pur di adempiere la propria missione. Ora, nella cella, attendeva che il Leone della tribù di Giuda umiliasse l’orgoglio dell’oppressore e liberasse il misero che implorava aiuto. Ma sembrava che Gesù si accontentasse di riunire i discepoli, di guarire e istruire il popolo. Egli mangiava al tavolo dei pubblicani, mentre il giogo dei romani diventava ogni giorno più pesante, il re Erode e la sua amante facevano ciò che volevano e le grida dei poveri e dei sofferenti salivano fino al cielo. {GN 154.1}

Al profeta del deserto tutto questo appariva come un mistero incomprensibile. Talvolta le insinuazioni del demonio tormentavano il suo animo e l’ombra di un orribile timore lo assaliva. Forse il liberatore atteso da tanto tempo non era ancora apparso? Ma allora, che cosa significava il messaggio che egli stesso aveva proclamato? Giovanni era profondamente deluso per il risultato della sua missione. In seguito alla proclamazione del messaggio di Dio si aspettava lo stesso effetto della lettura della legge ai tempi di Giosia ed Esdra (cfr. 2 Cronache 34; Neemia 8-9), cioè un profondo pentimento e un ritorno al Signore. Egli aveva sacrificato la sua vita per il successo di quella missione. Quel sacrificio era stato inutile? {GN 154.2}

Giovanni fu amareggiato quando vide che i suoi discepoli per l’affetto che provavano per lui cominciavano a dubitare di Gesù. Aveva lavorato invano per loro? Trovarsi escluso dal lavoro attivo dipendeva forse da una sua infedeltà nell’adempimento della missione? Se il liberatore promesso era venuto ed egli era stato fedele alla chiamata, perché Gesù non abbatteva la potenza dell’oppressore e non lo liberava? {GN 154.3}

Ma il Battista non rinunciò alla sua fede in Cristo. Tutto testimoniava che Gesù di Nazaret era colui che era stato annunciato: la voce dal cielo, la colomba, la sua purezza, la potenza dello Spirito Santo che aveva visto nel Salvatore, la testimonianza delle Scritture. {GN 154.4}

Giovanni non voleva discutere i suoi dubbi e le sue perplessità con i discepoli; così decise di inviare un messaggio a Gesù. Lo affidò a due suoi discepoli, sperando che un incontro con il Salvatore avrebbe rafforzato la loro fede e offerto sicurezza ai loro fratelli. Poi, attese la risposta di Gesù. {GN 155.1}

I discepoli andarono da Cristo con il loro messaggio: “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?” Matteo 11:3. {GN 155.2}

Era passato poco tempo da quando il Battista, indicando Gesù, aveva affermato: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” Giovanni 1:29. La domanda: “Sei tu colui che deve venire?” era un segno della delusione umana. Se Giovanni, il fedele precursore, non riusciva ad accettare la missione di Cristo, che cosa avrebbe potuto aspettarsi dalla folla egoista? {GN 155.3}

II Salvatore non rispose subito alla domanda dei discepoli. Stupiti per il suo silenzio, vedevano gli ammalati e gli afflitti andare a lui per essere guariti. Ciechi che brancolavano tra la folla, infermi di ogni specie, alcuni con i propri mezzi e altri portati dai loro amici, cercavano di avvicinarsi a Gesù. La voce del grande Medico penetrava nelle orecchie dei sordi. Una parola, il tocco della sua mano aprivano gli occhi ciechi alla luce del giorno, agli spettacoli naturali, al volto degli amici, a quello del Salvatore. Gesù guariva i malati. La sua voce raggiungeva le orecchie dei morenti i quali riacquistavano salute e vigore. Gli indemoniati ubbidivano alla sua parola, si placavano e adoravano. E mentre guariva, insegnava. I poveri contadini e gli operai, allontanati dai rabbini come impuri, gli si raccoglievano intorno e ascoltavano parole di vita eterna. {GN 155.4}

Così trascorse la giornata. I discepoli di Giovanni videro e ascoltarono tutto. Infine Gesù li chiamò, disse loro di raccontare a Giovanni ciò che avevano visto e aggiunse: “Beato colui che non si sarà scandalizzato di me!” Luca 7:23. Egli dimostrava la sua divinità provvedendo alle necessità dell’umanità sofferente, manifestava la sua gloria interessandosi della loro umile condizione. {GN 155.5}

Quel messaggio, trasmesso dai discepoli, fu sufficiente. Giovanni si ricordò delle profezie messianiche: “Signore mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l’apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l’anno di grazia del Signore”. Isaia 61:1, 2. L’opera di Cristo non solo proclamava che era il Messia, ma indicava anche il modo in cui il suo regno si sa rebbe affermato. Giovanni comprese la stessa verità che era stata rivelata a Elia nel deserto: “Un vento forte, impetuoso, schiantava i monti e spezzava le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. E, dopo il vento, un terremoto; ma il Signore non era nel terremoto. E, dopo il terremoto, un fuoco; ma il Signore non era nel fuoco. E, dopo il fuoco, un suono dolce e sommesso”. 1 Re 19:11, 12. Nello stesso modo Gesù avrebbe adempiuto la sua missione non tramite la forza delle armi e il rovesciamento dei troni e dei regni, ma parlando al cuore degli uomini con un esempio di misericordia e abnegazione. {GN 155.6}

Lo spirito di rinuncia, presente nella vita del Battista, era anche il principio su cui si fondava il regno del Messia. Giovanni sapeva quanto questo principio fosse estraneo alle speranze dei capi d’Israele. Ciò che per lui rappresentava una prova della divinità di Cristo, non lo era per loro. Essi aspettavano un Messia diverso da quello che era stato promesso. Giovanni si rese conto che la missione del Salvatore avrebbe suscitato soltanto odio e condanna. Il precursore doveva bere quella coppa che Cristo avrebbe bevuto fino in fondo. {GN 156.1}

Le parole del Salvatore: “Beato colui che non si sarà scandalizzato di me”, erano un garbato rimprovero rivolto a Giovanni. Esse non furono inutili. Comprendendo più chiaramente la natura della missione di Cristo, si sottomise a Dio, per la vita e per la morte, per servire meglio la causa che amava. {GN 156.2}

Quando i messaggeri furono partiti, Gesù parlò al popolo di Giovanni. Il cuore del Salvatore traboccava di simpatia per il fedele testimone gettato nel carcere di Erode. Non voleva che il popolo pensasse che Dio aveva dimenticato Giovanni e che la sua fede si era affievolita a causa delle difficoltà. “Che cosa andaste a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento?” Luca 7:24. {GN 156.3}

Le alte canne che crescevano lungo il Giordano e che si piegavano a ogni brezza, rappresentavano bene i rabbini che si erano arrogati il diritto di giudicare il Battista. Essi oscillavano tra questa loro opinione e quella del popolo. Non si vollero umiliare per ricevere il potente messaggio del Battista ma, per paura del popolo, non osarono neppure opporvisi apertamente. Il messaggero di Dio non aveva, però, un animo altrettanto vile. La folla intorno a Cristo era stata testimone dell’opera di Giovanni e aveva udito la sua coraggiosa condanna del peccato. Il precursore aveva parlato con la stessa fermezza ai farisei orgogliosi della loro giustizia, ai sadducei, al re Erode e alla sua corte, ai prìncipi e ai soldati, ai pubblicani e ai contadini. Egli non era una canna tremolante sballottata dai venti dell’orgoglio e del pregiudizio. In prigione dimostrava la stessa lealtà verso Dio e lo stesso zelo per la giustizia come quando predicava il messaggio del Signore nel deserto. Nella fedeltà ai princìpi era saldo come una roccia. {GN 156.4}

Gesù continuò: “Ma che andaste a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Ecco, quelli che portano degli abiti sontuosi e vivono in delizie stanno nei palazzi dei re”. Versetto 25. Giovanni era stato chiamato a condannare il peccato e gli eccessi del suo tempo; la semplicità del suo abbigliamento e la sua vita di sacrificio erano in armonia con il carattere della sua missione. I ricchi ornamenti e il lusso non sono adatti ai figli di Dio ma a coloro che vivono “nei palazzi dei re”, ai capi di questo mondo che godono delle ricchezze e della potenza terrena. Gesù volle richiamare l’attenzione sul contrasto fra le vesti di Giovanni e quelle indossate dai sacerdoti e dai capi. Quei dignitari si vestivano con abiti sontuosi e ornamenti costosi. Amavano l’ostentazione e speravano di abbagliare il popolo e conquistarsi così una stima maggiore. Preferivano l’ammirazione degli uomini alla purezza del cuore, l’unica qualità che può ricevere l’approvazione di Dio. Non erano fedeli a Dio, ma al potere terreno. {GN 157.1}

Gesù disse: “Ma che andaste a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e uno più di un profeta. Egli è colui del quale è scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero, che preparerà la tua via davanti a te. Io vi dico: fra i nati di donna nessuno è più grande di Giovanni”. Versetti 26, 27, 28. Nell’annuncio a Zaccaria, prima della nascita di Giovanni, l’angelo aveva dichiarato: “Perché sarà grande davanti al Signore”. Luca 1:15. Per il cielo, che cos’è la grandezza? Non ciò che il mondo definisce tale, non la ricchezza, non la posizione, non la nobiltà, non le capacità intellettuali fini a se stesse. Se la grandezza intellettuale, separata da ogni altra dote, fosse degna di onore, allora dovremmo rendere omaggio a Satana, le cui facoltà non sono paragonabili a quelle degli uomini. Ma anche la qualità migliore, se diventa strumento dell’egoismo, si trasforma nella più grande maledizione. Ha valore morale solo ciò che Dio approva. L’amore e la purezza sono le doti che apprezza di più. Giovanni fu grande per il Signore quando, davanti ai messaggeri del sinedrio, davanti al popolo e davanti ai suoi discepoli, non ricercò il proprio onore ma esaltò Gesù, colui che era il Messia promesso. La sua gioia disinteressata nel servizio di Cristo è il più alto grado di nobiltà che gli uomini possano raggiungere. {GN 157.2}

Coloro che avevano udito la testimonianza di Giovanni su Gesù, dissero dopo la sua morte: “Giovanni, è vero, non fece nessun segno miracoloso; ma tutto quello che Giovanni disse di quest’uomo, era vero”. Giovanni 10:41. Non fu concesso a Giovanni di far scendere fuoco dal cielo o risuscitare i morti, come fece Elia, e neppure di tenere, come Mosè, il bastone del comando in nome di Dio. Egli fu inviato per annunciare l’avvento del Signore e per preparare un popolo per la sua venuta. Aveva adempiuto la sua missione così fedelmente che quando il popolo si ricordò di ciò che aveva detto riguardo a Gesù, esclamò: “Tutto quello che Giovanni disse di quest’uomo, era vero”. Ogni discepolo del Maestro dovrebbe poter dare una simile testimonianza. {GN 157.3}

Come ambasciatore del Messia Giovanni era “più che profeta”. Mentre i profeti avevano visto Cristo molto prima della sua venuta, Giovanni lo contemplò, udì la testimonianza del cielo e lo presentò a Israele come l’inviato di Dio. Tuttavia Gesù aggiunse: “Però, il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui”. Luca 7:28. {GN 158.1}

bookmark {GN 158.2}

Il profeta Giovanni è stato l’anello di congiunzione fra i due patti. Come rappresentante di Dio, egli ha indicato il legame che la dispensazione cristiana ha con la legge e i profeti. Egli era una piccola luce che precedeva una luce più grande. Lo Spirito Santo aveva illuminato la mente di Giovanni, ed egli poté diffondere luce sul suo popolo. Ma non vi è conoscenza migliore di quella che scaturisce dall’insegnamento e dall’esempio di Gesù. Cristo e la sua missione non erano stati compresi attraverso i sacrifici simbolici. Perfino Giovanni non aveva capito pienamente la vita futura e immortale offerta attraverso il Salvatore. {GN 158.3}

La vita di Giovanni, se si eccettuano le gioie della sua missione, è stata difficile. La sua voce è echeggiata quasi soltanto nel deserto. Il suo è stato un destino solitario. Non gli fu concesso di vedere i risultati del suo lavoro. Non ebbe il privilegio di vivere con Cristo e contemplare la manifestazione della volontà divina. Non gli fu concesso di vedere i ciechi recuperare la vista, gli ammalati guarire e i morti risuscitare. Non contemplò la luce che risplendeva in ogni parola di Cristo e che si irradiava sulle promesse della profezia. Il più piccolo dei discepoli che vide le opere potenti di Cristo e udì le sue parole poté godere di un privilegio maggiore di quello di Giovanni. E in questo senso era più grande di lui. {GN 158.4}

Tutta la Palestina conosceva Giovanni perché una grande folla aveva sempre ascoltato la sua predicazione. La notizia della sua incarcerazione suscitò molte reazioni. Ma si credeva che per la vita giusta e per il favore di cui godeva presso il popolo, non gli sarebbe stato fatto del male. {GN 158.5}

Erode riteneva Giovanni un profeta di Dio. Era deciso a rimetterlo in libertà, ma rinunciò all’attuazione del suo proposito per timore di Erodiade. {GN 158.6}

Erodiade sapeva che non avrebbe mai potuto avere per vie dirette il consenso di Erode alla morte di Giovanni, così decise di ricorrere a uno stratagemma. Nel giorno del compleanno del re venne organizzata una festa in onore dei dignitari di stato e dei nobili di corte. Si prevedevano stravizi e ubriachezza. Erode avrebbe perso le sue facoltà e sarebbe stato più facile influire sulla sua volontà. {GN 159.1}

Quando giunse il gran giorno, mentre il re e gli invitati banchettavano e bevevano, Erodiade mandò la figlia nella sala del convito perché danzasse per gli ospiti. Salomè era nel fiore della gioventù e la sua bellezza procace conquistò il favore dei presenti. Non era consuetudine che le dame di corte partecipassero a quelle feste; e quando quella principessa, figlia di sacerdoti e principi israeliti, danzò per divertire gli ospiti, un’ondata di complimenti lusinghieri venne rivolta a Erode. {GN 159.2}

Il re era stordito dal vino. La passione prevalse e spodestò la ragione. Vide soltanto la sala del festino con i suoi ospiti, la tavola del banchetto, il vino spumeggiante, le luci sfolgoranti e la fanciulla che danzava davanti a lui. Nell’eccitazione del momento desiderò fare qualcosa che lo esaltasse davanti ai grandi del suo regno. Promise con giuramento di concedere alla figlia di Erodiade qualunque cosa chiedesse, perfino la metà del suo regno. {GN 159.3}

Salomè si consigliò con la madre su quello che avrebbe potuto chiedere. Ne ebbe una risposta immediata: la testa di Giovanni il battista. Salomè non conosceva la sete di vendetta del cuore di sua madre e tentò di ritrarsi da quella richiesta; ma infine la volontà di Ero-diade prevalse. La fanciulla tornò con l’orrenda richiesta: “Voglio che sul momento tu mi dia, su un piatto la testa di Giovanni il battista”. Marco 6:25. {GN 159.4}

Erode rimase sbalordito e confuso. L’allegria sfrenata cessò e un silenzio terribile scese su quella scena di orgia. Il re fu preso dall’angoscia al pensiero di uccidere Giovanni. Tuttavia aveva dato la sua parola e gli dispiaceva apparire volubile e avventato. Il giuramento si fondava sul rispetto verso i suoi ospiti e, se uno di loro avesse proposto di non tenere conto della promessa fatta, egli volentieri avrebbe risparmiato la vita al profeta. Offrì loro l’opportunità di parlare in favore del prigioniero. Essi avevano percorso lunghe distanze per ascoltare la predicazione di Giovanni e sapevano che era un servo di Dio, un uomo senza colpa. Ma erano troppo sbalorditi per la richiesta della ragazza per poter fare delle obiezioni. Nessuna voce si levò per salvare la vita del messaggero divino. Quegli uomini occupavano posizioni di alto prestigio, ma in quella festa si erano abbandonati all’ubriachez za fino all’intorpidimento dei sensi. La loro mente era piena di frivole scene di musica e danza e la loro coscienza si era offuscata. Con il loro silenzio pronunciarono la sentenza di morte sul profeta di Dio e accordarono soddisfazione alla sete di vendetta di una donna depravata. {GN 159.5}

Erode, dopo aver cercato invano di liberarsi dall’impegno, ordinò con riluttanza che il profeta venisse ucciso. La testa di Giovanni fu portata davanti al re e ai suoi ospiti. Quelle labbra che avevano ammonito Erode perché rinunciasse ai suoi peccati erano chiuse per sempre. Non si sarebbe più udita quella voce che invitava gli uomini al pentimento. I festeggiamenti di una notte erano costati la vita a uno dei più grandi profeti. {GN 160.1}

Spesso la vita di innocenti è stata sacrificata per l’intemperanza di coloro che avrebbero dovuto essere i custodi della giustizia. Chi accosta alle labbra il calice dell’ebbrezza diventa responsabile di tutte le ingiustizie che può commettere sotto la sua azione nefasta. Per lo stordimento dei sensi non può più giudicare con calma e distinguere chiaramente fra torto e ragione. Diventa uno strumento di Satana per opprimere e sterminare gli innocenti. “Il vino è schernitore, la bevanda alcolica è turbolenta, e chiunque se ne lascia sopraffare non è savio”. Proverbi 20:1. In questo modo “la sentenza liberatrice s’è ritirata... e chi si ritrae dal male s’espone ad essere spogliato”. Isaia 59:14, 15. Coloro che dispongono della vita dei loro simili, diventano colpevoli di un crimine quando cedono all’intemperanza. Chi ha la responsabilità di far osservare le leggi dovrebbe, per primo, osservarle. Dovrebbe possedere il pieno controllo delle proprie facoltà fisiche, mentali e morali, avere forza intellettuale e alto senso della giustizia. {GN 160.2}

La testa di Giovanni il battista fu portata a Erodiade, che la ricevette con diabolica soddisfazione. Esultò per la sua vendetta e si illuse che la coscienza di Erode non sarebbe più stata turbata. Ma il suo crimine non le assicurò nessuna soddisfazione. Il suo nome diventò famoso e temuto, mentre Erode fu più tormentato per il rimorso di quanto non lo fosse stato per i rimproveri del profeta. L’influsso degli insegnamenti di Giovanni non fu però soffocato ma si estese a ogni generazione, fino alla fine dei tempi. {GN 160.3}

Ossessionato dal ricordo del peccato, Erode cercava inutilmente di far tacere le accuse della propria coscienza. La sua fiducia in Giovanni era irremovibile. Erode non poteva trovare pace al ricordo del Battista, della sua vita di sacrificio, dei suoi avvertimenti solenni e accorati, del modo in cui era morto. Occupato negli affari di stato, onorato dagli uomini, dietro un volto sorridente e un aspetto dignitoso nascondeva un animo pieno di ansia e paura per la maledizione che pesa va su di lui. {GN 160.4}

Giovanni aveva detto a Erode che niente può rimanere nascosto a Dio, e queste parole avevano esercitato una profonda impressione su di lui. Sapeva che Dio è presente in ogni luogo, che era stato testimone delle orge nella sala del banchetto, che aveva udito l’ordine di uccidere Giovanni e aveva visto l’esultanza di Erodiade e i suoi insulti contro il capo mozzato del suo accusatore. Molte parole pronunciate dal profeta risuonavano nella sua coscienza più chiaramente della sua predicazione nel deserto. {GN 161.1}

Quando Erode sentì parlare dell’opera di Cristo fu profondamente turbato. Pensò che Dio avesse risuscitato Giovanni e lo avesse mandato con potenza maggiore per condannare il peccato. Temeva costantemente che Giovanni vendicasse la sua morte punendo lui e la sua casa. Erode subiva le conseguenze di una vita di peccato, secondo quello che Dio ha detto: “Un cuore tremante, degli occhi che si spengono e un’anima languente. La tua vita ti starà davanti come sospesa; tremerai notte e giorno e non sarai sicuro della tua esistenza. La mattina dirai: Fosse pur sera! e la sera dirai: Fosse pur mattina! a causa dello spavento che ti riempirà il cuore e a causa delle cose che vedrai con i tuoi occhi”. Deuteronomio 28:65-67. Sono i pensieri del peccatore che lo accusano; non vi è tormento peggiore dei rimproveri di una coscienza colpevole che non dà requie né giorno né notte. {GN 161.2}

Per molti, un profondo mistero avvolge il destino di Giovanni il battista. Si chiedono come mai egli sia stato abbandonato alla prigione e alla morte. Se il mistero di quest’oscuro piano divino è incomprensibile per la mente umana, esso però non può affievolire la nostra ferma fiducia in Dio, se ricordiamo che Giovanni partecipò alle sofferenze di Cristo. Tutti coloro che seguono Gesù sono chiamati a portare la corona del sacrificio. Essi non saranno compresi dagli egoisti e diverranno il bersaglio dei violenti assalti di Satana. Il suo regno si propone di distruggere questo spirito di rinuncia contro il quale il tentatore combatte sempre. {GN 161.3}

L’adolescenza, la gioventù e l’età matura di Giovanni furono caratterizzate dalla fermezza e dalla potenza morale. Quando si udì nel deserto la sua voce che diceva: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Matteo 3:3), Satana ebbe paura per la sicurezza del suo regno. La natura del peccato fu rivelata in modo tale che gli uomini ne tremarono. Fu infranto il potere che Satana esercitava su molti. I suoi tentativi per distrarre il Battista da una piena consacrazione a Dio erano falliti, esattamente come erano falliti anche quelli che miravano a far cadere Gesù. Satana era stato sconfitto in occasione del le tentazioni del deserto e si era adirato. Adesso era deciso ad affliggere Gesù colpendo Giovanni. Avrebbe fatto soffrire colui che non era riuscito a far cadere. {GN 161.4}

Gesù non intervenne per liberare il suo collaboratore. Sapeva che Giovanni avrebbe sopportato la prova. Gesù si sarebbe recato volentieri da lui per illuminare la buia cella con la sua presenza, ma non voleva cadere nelle mani dei nemici e mettere a repentaglio la sua missione. Volentieri lo avrebbe liberato, ma Giovanni doveva affrontare il martirio per amore di coloro che negli anni successivi avrebbero sperimentato la prigione e la morte. Ai discepoli di Gesù che avrebbero languito in tristi celle o sarebbero morti con la spada, con le torture, con la forca o con il rogo, apparentemente dimenticati da Dio e dagli uomini, sarebbe stato di grande conforto il pensiero che Giovanni Battista, della cui fedeltà Cristo stesso aveva testimoniato, era passato attraverso un’esperienza simile. {GN 162.1}

Satana ebbe il permesso di spezzare la vita terrena del fedele messaggero di Dio; ma non poteva colpire quella vita che “è nascosta con Cristo in Dio”. Colossesi 3:3. Esultò per avere arrecato dispiacere a Cristo, ma fallì nel suo tentativo di conquistare Giovanni. La morte stessa lo sottrasse al potere della tentazione. In questa guerra Satana rivelò il proprio carattere e davanti a tutto l’universo manifestò la sua inimicizia verso Dio e verso gli uomini. {GN 162.2}

Sebbene nessun intervento miracoloso avesse liberato Giovanni, egli non fu dimenticato. Poté sempre contare sulla compagnia degli angeli che gli rivelarono le profezie sul Cristo e le grandi promesse contenute nelle Scritture. Esse rappresentarono la sua consolazione, così come lo sarebbero state per il popolo di Dio in futuro. A Giovanni il battista e a tutti coloro che sarebbero venuti dopo di lui, fu fatta la promessa: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”. Matteo 28:20. {GN 162.3}

Dio non conduce mai i suoi figli per una strada diversa da quella che essi stessi sceglierebbero se conoscessero la fine fin dal principio e scorgessero la gloria del piano che stanno realizzando come collaboratori di Dio. Enoc che fu trasportato in cielo ed Elia che ascese in un carro di fuoco non furono più onorati di Giovanni il battista che morì solo in una cella. “Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui”. Filippesi 1:29. Di tutti i doni che il cielo può accordare agli uomini, non ce n’è uno più grande della partecipazione alle sofferenze di Cristo. {GN 162.4}



Capitolo 23: “Il regno di Dio è vicino”

“Gesù si recò in Galilea, predicando il vangelo di Dio e dicendo: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo”. Marco 1:14, 15. {GN 163.1}

La venuta del Messia era stata annunciata per la prima volta in Giudea. La nascita del precursore era stata predetta a Zaccaria mentre officiava davanti all’altare, nel tempio di Gerusalemme. Gli angeli avevano annunciato la nascita di Gesù sulle colline di Betlemme. I magi erano andati a Gerusalemme per cercarlo. Simeone e Anna avevano attestato la sua divinità nel tempio. Gerusalemme e tutta la Giudea avevano ascoltato la predicazione di Giovanni il battista; i rappresentanti del sinedrio e la folla avevano udito la sua testimonianza resa a Gesù. Sempre in Giudea Gesù aveva chiamato i suoi primi discepoli e aveva svolto la prima parte del suo ministero. La sua divinità si era manifestata nella purificazione del tempio, nei suoi miracoli di guarigione e nelle lezioni di verità che sgorgavano dalle sue labbra: tutto questo confermava la dichiarazione della sua divinità fatta davanti al sinedrio dopo la guarigione di Betesda. {GN 163.2}

Accettando Cristo, i capi d’Israele avrebbero anche ricevuto il grande onore di essere suoi messaggeri nel mondo. Ad essi, per primi, fu data l’opportunità di diventare messaggeri del regno e della grazia di Dio. Ma Israele non riconobbe il tempo della sua venuta. La gelosia e la sfiducia dei capi avevano suscitato un odio aperto, e il cuore del popolo era lontano da Gesù. {GN 163.3}

Il sinedrio, avendo rigettato il messaggio di Cristo, cercava di farlo morire; perciò Gesù lasciò Gerusalemme, i sacerdoti, il tempio, i capi religiosi, le persone istruite nella legge e si rivolse ad altri per proclamare il suo messaggio e per raccogliere coloro che avrebbero trasmesso il messaggio del Vangelo a tutti i popoli. {GN 163.4}

Il rifiuto della conoscenza e della vita eterna da parte delle autorità ecclesiastiche al tempo di Cristo, si è ripetuto in tutte le generazioni successive. Più volte Gesù ha dovuto ritirarsi, come aveva fatto dalla Giudea. Quando i riformatori predicavano la Parola di Dio, non pensavano affatto di separarsi dalla chiesa costituita; ma i capi reli giosi non sopportarono quel messaggio e coloro che ne erano i portavoce furono costretti a rivolgersi ad altre persone, assetate di verità. Ai nostri giorni, pochi fra coloro che si professano seguaci dei riformatori hanno il loro stesso spirito. Pochi sono disposti ad ascoltare la voce di Dio e ad accettare qualsiasi verità venga presentata loro. Spesso i veri seguaci dei riformatori sono costretti a separarsi dalle chiese che amano per proclamare il messaggio della Parola di Dio. Molte volte coloro che cercano la verità devono, per ubbidire a quegli insegnamenti, lasciare le chiese dei loro padri. {GN 163.5}

Le popolazioni della Galilea, disprezzate dai rabbini di Gerusalemme che le consideravano rozze e ignoranti, erano il campo più favorevole per l’opera del Salvatore. Erano più pronte e sincere, meno fanatiche, la loro mente era più aperta alla verità. Andando in Galilea, Gesù non cercava l’isolamento e la solitudine. In quella provincia c’era allora una popolazione numerosa, con un numero maggiore di stranieri che in Giudea. {GN 164.1}

Mentre Gesù percorreva la Galilea, insegnando e guarendo, la folla accorreva a lui dalle città e dai villaggi vicini. Molti giungevano perfino dalla Giudea e dalle province lontane. Spesso Gesù era costretto a nascondersi. L’entusiasmo era così grande che a volte si dovettero prendere precauzioni per paura che le autorità romane pensassero a eventuali sommosse. Non era mai successo qualcosa di simile nella storia del mondo. Il cielo era sceso tra gli uomini. Anime affamate e assetate, che avevano a lungo atteso la redenzione d’Israele, si rallegravano per la grazia del misericordioso Salvatore. {GN 164.2}

Il messaggio di Cristo era: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete all’evangelo”. Questo il messaggio, annunciato dal Salvatore stesso, si basava sulle profezie. Il “tempo” che egli considerava compiuto era il periodo profetico rivelato a Daniele dall’angelo Gabriele: “Settanta settimane sono state fissate riguardo al tuo popolo e alla tua santa città, per far cessare la perversità, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità e stabilire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo”. Daniele 9:24. Nelle profezie un giorno rappresenta un anno. Cfr. Numeri 14:34; Ezechiele 4:6. Le settanta settimane, ossia i quattrocentonovanta giorni, rappresentano quattrocentonovant’anni. La profezia indica anche il momento di inizio di questo periodo. “Sappi adunque, e intendi, che da che sarà uscita la parola che Gerusalemme sia riedificata , infino al Messia, Capo dell’esercito, vi saranno sette settimane, e altre sessantadue settimane”. Daniele 9:25 (Diodati). Sessantanove settimane, ossia quattrocentottantatré anni. L’ordine di restaurare e di ri costruire Gerusalemme emanato da Artaserse Longimano (cfr. Esdra 6:14; 7:1, 9) divenne esecutivo nell’autunno del 457 a.C. Iniziando da questa data, i quattrocentottantatré anni ci portano all’autunno dell’anno 27 d.C. Secondo la profezia questo periodo doveva giungere fino al Messia, all’Unto. Nell’anno 27 Gesù fu battezzato, fu unto di Spirito Santo e iniziò il suo ministero. Allora fu proclamato il messaggio: “Il tempo è compiuto”. {GN 164.3}

L’angelo aveva aggiunto: “L’invasore stabilirà un saldo patto con molti, per una settimana”. Daniele 9:27. Per sette anni, dall’inizio del ministero del Salvatore, il Vangelo venne predicato soprattutto agli ebrei; per tre anni e mezzo da Cristo stesso, dopo dagli apostoli. “in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e offerta”. Versetto 27. Nella primavera dell’anno 31 d.C. Gesù, il vero sacrificio, fu offerto sul Calvario. In quel momento la cortina del tempio si lacerò, indicando che il valore simbolico dei vari sacrifici era finito. Si era concluso il tempo dei sacrifici e delle offerte terreni. {GN 165.1}

L’ultima settimana — sette anni — terminò nel 34 d.C. Con la lapidazione di Stefano gli ebrei rifiutarono definitivamente il messaggio del Vangelo. I discepoli, dispersi per la persecuzione, “se ne andarono di luogo in luogo, portando il lieto messaggio della Parola”. Atti 8:4. E poco dopo Saulo, il persecutore, si convertì e divenne Paolo, l’apostolo dei gentili. {GN 165.2}

Il tempo della venuta di Cristo, la sua unzione con lo Spirito Santo, la sua morte e l’annuncio del Vangelo ai gentili erano stati chiaramente profetizzati. Il popolo ebraico aveva avuto la possibilità di comprendere queste profezie e di riconoscerne l’adempimento nella missione di Gesù. Cristo raccomandò ai discepoli di studiare le profezie. A proposito delle profezie di Daniele, disse: “Chi legge faccia attenzione!” Matteo 24:15. Dopo la sua risurrezione, egli spiegò ai discepoli “in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano”. Luca 24:27. Il Salvatore aveva parlato tramite tutti i profeti. “Essi cercavano di sapere l’epoca e le circostanze cui faceva riferimento lo Spirito di Cristo che era in loro, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo e delle glorie che dovevano seguirle”. 1 Pietro 1:11. {GN 165.3}

Fu Gabriele, l’angelo che occupa il primo posto vicino al figlio di Dio, a portare a Daniele il messaggio divino. Fu sempre Gabriele, il “suo angelo”, che Cristo inviò all’amato Giovanni per svelargli il futuro. Una benedizione è pronunciata su coloro che leggono e ascoltano le parole della profezia e ricordano le cose che vi sono scritte. Cfr. Apocalisse 1:3. {GN 165.4}

“Poiché il Signore, non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti”. Amos 3:7. “Le cose occulte appartengono al Signore nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli per sempre”. Deuteronomio 29:28. Dio ha concesso queste cose a noi e la sua benedizione si poserà su coloro che studieranno con riverenza e preghiera le scritture profetiche. {GN 165.5}

Come il messaggio della prima venuta di Cristo annunciava il regno della sua grazia, così il messaggio del suo ritorno annuncia il regno della sua gloria. Il secondo messaggio, come il primo, si fonda sulle profezie. Le parole che l’angelo rivolse a Daniele relative agli ultimi tempi sarebbero state comprese solo al tempo della fine. Del libro di Daniele è detto che in quel tempo “molti lo studieranno con cura e la conoscenza aumenterà... ma gli empi agiranno empiamente e nessuno degli empi capirà, ma capiranno i saggi”. Daniele 12:4, 10. Il Salvatore stesso ha indicato i segni della sua venuta. Egli ha detto: “Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino... Badate a voi stessi, perché i vostri cuori non siano intorpiditi da stravizio, da ubriachezza, dalle ansiose preoccupazioni di questa vita e che quel giorno non vi venga addosso all’improvviso come un laccio... Vegliate dunque, pregando in ogni momento, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per venire, e di comparire dinanzi al Figlio dell’uomo”. Luca 21:31, 34, 36. {GN 166.1}

Viviamo nel periodo annunciato da queste profezie. È giunto il tempo della fine; le visioni dei profeti sono state rivelate e comprese e indicano che la venuta gloriosa del nostro Signore è vicina. {GN 166.2}

Gli ebrei, avendo interpretato e applicato male la Parola di Dio, non si resero conto del tempo della sua venuta. Gli anni del ministero di Cristo e degli apostoli — questi ultimi preziosi anni di grazia per il popolo eletto — li trascorsero a complottare la distruzione dei messaggeri del Signore. Assorbiti da ambizioni terrene, rimasero sordi all’offerta del regno spirituale. Così anche oggi il regno terreno assorbe i pensieri degli uomini e impedisce loro di rendersi conto del rapido adempimento delle profezie e dei segni dell’imminente venuta del regno di Dio. {GN 166.3}

“Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno abbia a sorprendervi come un ladro; perché voi tutti siete figli di luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre”. Pur non sapendo l’ora del ritorno del Signore, possiamo sapere quando esso è vicino. “Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri”. 1 Tessalonicesi 5:4-6. {GN 166.4}



Capitolo 24: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”

Sul soggiorno di Cristo in Galilea si proietta l’ombra dell’incredulità degli abitanti di Nazaret, che lo scacciano dicendo: “Non è costui il figlio di Giuseppe?” Luca 4:22. {GN 167.1}

Durante l’infanzia e la gioventù Gesù aveva adorato Dio nella sinagoga di Nazaret in mezzo ai suoi fratelli. Da quando era partito, all’inizio del suo ministero, essi erano al corrente di tutto ciò che aveva fatto. Quando ritornò, il loro interesse e la loro attesa erano grandissimi. Egli ritrovò i volti familiari che aveva conosciuto fin dall’infanzia. Vi erano sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle; e quando un giorno di sabato entrò nella sinagoga per adorare, tutti gli sguardi si volsero verso di lui. {GN 167.2}

Nel servizio ordinario di ogni giorno, l’anziano leggeva un brano dei profeti ed esortava il popolo a mantenere viva la speranza in colui che sarebbe venuto per instaurare un regno glorioso e per eliminare tutte le forme di oppressione. Incoraggiava gli ascoltatori a riconsiderare le prove dell’imminente venuta del Messia. Descriveva la gloria del suo avvento, sottolineando che sarebbe apparso a capo del suo esercito per liberare Israele. {GN 167.3}

Se un rabbino era presente nella sinagoga, spettava a lui rivolgere la parola al popolo, mentre un qualsiasi israelita poteva leggere i profeti. Quel sabato si chiese a Gesù di partecipare al servizio. “Alzatosi per leggere, gli fu dato il libro del profeta Isaia”. Versetti 16, 17. Egli lesse un passo comunemente riconosciuto come messianico: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunziare la liberazione ai prigionieri, e ai ciechi il ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e a predicare l’anno accettevole del Signore”. Versetti 18, 19. {GN 167.4}

“Poi, chiuso il libro e resolo all’inserviente, si mise a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi in lui. Tutti gli rendeano testimonianza, e si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”. Versetti 20, 22. {GN 167.5}

Gesù stava davanti al popolo esponendo le profezie che lo riguardavano. Spiegando le parole che aveva lette, parlò del Messia come del liberatore degli oppressi e dei prigionieri, come di colui che avrebbe alleviato gli afflitti, restituito la vista ai ciechi e rivelato al mondo la verità. I suoi modi solenni e la straordinaria portata delle sue parole fecero trasalire i cuori degli ascoltatori come non era mai accaduto prima. L’ondata dell’influsso divino abbatté ogni barriera; come Mosè, contemplarono l’Invisibile. I cuori, toccati dallo Spirito Santo, risposero con “amen” ferventi e lodi al Signore. {GN 167.6}

Ma quando Gesù disse: “Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite” (Versetto 21), si videro costretti a riflettere sulla propria situazione e sulle asserzioni di colui che parlava. Essi, gli israeliti, i figli di Abramo, venivano indicati come schiavi, come prigionieri che dovevano essere liberati dalla potenza del male, come persone nelle tenebre, bisognose della luce della verità. Offesi nel loro orgoglio, i loro timori si destarono. Le parole di Gesù facevano capire che la sua opera sarebbe stata molto diversa da quella che si aspettavano. La loro vita sarebbe stata esaminata da vicino. Essi, nonostante il loro scrupolo nell’adempiere le cerimonie esteriori, non volevano essere giudicati da quegli occhi luminosi e scrutatori. {GN 168.1}

Si chiedevano chi fosse quel Gesù. Colui che pretendeva la gloria del Messia era Aglio del falegname Giuseppe con il quale aveva lavorato nella sua bottega. Lo avevano visto quando saliva e scendeva le colline; conoscevano i suoi fratelli e le sue sorelle, la sua vita e le sue fatiche. Lo avevano visto quando era passato dall’adolescenza alla gioventù, e dalla gioventù alla virilità. Sebbene la sua vita fosse senza colpe, non potevano credere che fosse colui che era stato promesso. {GN 168.2}

Quale contrasto fra il suo insegnamento intorno al nuovo regno e quello che avevano detto i loro anziani! Gesù non prometteva di liberarli dal giogo romano. Avendo sentito parlare dei suoi miracoli, avevano sperato che avrebbe usato la sua potenza in loro favore, ma non avevano scorto in lui nessuna intenzione di quel genere. {GN 168.3}

Dopo un primo momento di attenzione iniziarono a dubitare e i loro cuori si indurirono ancora di più. Satana, non volendo che gli occhi ciechi si aprissero in quel giorno e che gli spiriti schiavi del peccato conoscessero la libertà, si impegnò per rafforzare la loro incredulità. Ed essi non considerarono il fatto che i loro cuori avevano già cominciato a convincersi che chi aveva parlato loro era il Redentore. {GN 168.4}

Gesù dimostrò la sua divinità rivelando i loro pensieri segreti. “Ed egli disse loro: Certo, voi mi citerete questo proverbio: Medico, cura te stesso; fa’ anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum! Ma egli disse: In verità vi dico che nessun profeta è ben accetto nella sua patria. Anzi, vi dico in verità che ai dì d’Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e vi fu grande carestia in tutto il paese, c’erano molte vedove in Israele; eppure a nessuna di esse fu mandato Elia, ma fu mandato a una vedova in Sarepta di Sidone. E al tempo del profeta Eliseo, c’erano molti lebbrosi in Israele; eppure nessuno di loro fu purificato; lo fu solo Naaman, il Siro”. Versetti 23-27. {GN 168.5}

Gesù rispose alle perplessità dei suoi ascoltatori ricordando questi fatti della vita dei profeti. I servitori che il Signore si sceglieva per un’opera speciale non dovevano lavorare per un popolo incredulo e dal cuore duro. Solo i cuori sensibili, aperti alla fede, furono favoriti con manifestazioni della sua potenza offerte mediante i profeti. Ai giorni di Elia, gli israeliti si erano allontanati da Dio. Non volendo rinunciare ai loro peccati avevano rifiutato le esortazioni che lo Spirito rivolgeva loro attraverso i messaggeri del Signore, e non avevano potuto riceverne le benedizioni. Il Signore non si rivolse a Israele e trovò un rifugio per il suo servitore in una terra pagana, da una donna che non apparteneva al popolo eletto. Ma questa donna fu favorita perché, fedele a ciò che già conosceva, era disposta a ricevere gli insegnamenti che Dio le avrebbe manifestati mediante il suo profeta. {GN 169.1}

Per la stessa ragione, ai tempi di Eliseo i lebbrosi che erano in Israele non furono guariti; ma Naaman, un nobile pagano, fedele alle sue convinzioni morali, desideroso di aiuto, si trovò nella condizione di ricevere i doni della grazia di Dio. Egli non solo fu guarito dalla lebbra, ma conobbe anche il vero Dio. {GN 169.2}

La nostra posizione davanti a Dio non dipende dalla conoscenza che abbiamo ricevuto, ma dall’uso che ne facciamo. Così, perfino i pagani che scelgono ciò che è giusto nella misura della loro conoscenza sono in una posizione migliore di coloro che hanno una conoscenza maggiore e professano di servire Dio, ma la trascurano con il loro comportamento e contraddicono la loro professione di fede. {GN 169.3}

Le parole di Gesù nella sinagoga colpirono la presunta giustizia dei suoi uditori facendo capire loro quest’amara verità: si erano allontanati da Dio e avevano perso il diritto di essere il suo popolo. Ogni sua parola delineava chiaramente la loro reale situazione. Così iniziarono a disprezzare Gesù che in un primo tempo aveva ispirato loro fiducia. Non volevano ammettere che colui che era nato nella povertà e nell’umiltà fosse più di un uomo comune. {GN 169.4}

L’incredulità generò la malizia. Satana si impossessò di loro che, adirati, si misero a inveire contro il Salvatore. Si erano allontanati da colui che era venuto per guarire e consolare e manifestarono gli stessi atteggiamenti del grande ingannatore. Quando Gesù ricordò le benedizioni concesse ai gentili, si affermò nei suoi ascoltatori il feroce orgoglio nazionale, e le sue parole furono soffocate in un tumulto. Quelle persone che si vantavano di osservare la legge, colpite nei loro pregiudizi, erano pronte a commettere un assassinio. L’assemblea si sciolse; misero le mani addosso a Gesù, lo cacciarono dalla sinagoga e dalla città. La sua morte sembrava decretata. Lo spinsero sull’orlo di un precipizio per farlo cadere. Clamori e imprecazioni riempivano l’aria. Alcuni gli lanciarono delle pietre; ma all’improvviso egli disparve ai loro occhi. I messaggeri celesti, che erano stati al suo fianco nella sinagoga, lo strapparono a quella folla impazzita, lo protessero dai suoi nemici e lo condussero al sicuro. {GN 169.5}

Gli angeli avevano protetto Lot e lo avevano guidato fuori da Sodoma. Nello stesso modo avevano protetto Eliseo nella piccola città di montagna quando le alture circostanti erano piene di cavalli e carri del re di Siria. Eliseo aveva visto gli eserciti del cielo accampati sui fianchi delle colline: cavalli e carri di fuoco stavano intorno al servo del Signore. {GN 170.1}

Così, in tutti i tempi, gli angeli sono stati vicini ai discepoli fedeli di Cristo. Le potenze del male si sono coalizzate contro tutti i figli di Dio, ma Cristo li invita a guardare le cose invisibili: gli eserciti del cielo accampati intorno a coloro che amano Dio, pronti a liberarli. Soltanto nella luce dell’eternità, quando comprenderemo la provvidenza di Dio, sapremo da quali pericoli visibili e invisibili siamo stati liberati per l’intervento degli angeli. Sapremo allora che la famiglia del cielo si è interessata della famiglia terrena e che i messaggeri di Dio hanno seguito, giorno dopo giorno, tutti i nostri passi. {GN 170.2}

Quando Gesù lesse la profezia nella sinagoga, tacque sulle predizioni che riguardavano l’opera del Messia. Lesse le parole: “a proclamare l’anno accettevole del Signore” (Versetto 19), ma omise di pronunciare quelle successive: “il giorno di vendetta del nostro Dio”. Isaia 61:2. Quest’ultima dichiarazione era altrettanto vera quanto la prima, e il silenzio di Gesù non voleva smentire la verità. Ma i suoi ascoltatori si soffermavano proprio su quest’ultima dichiarazione e ne desideravano l’adempimento. {GN 170.3}

Essi invocavano la condanna dei pagani senza rendersi conto che loro stessi erano i maggiori colpevoli. Avevano un bisogno più grande di quella misericordia che volevano negare ai pagani. Quel giorno, nella sinagoga, mentre Gesù parlava, veniva loro offerta l’opportunità di udire e ascoltare l’appello del cielo. Colui che “si compiace di usare misericordia” (Michea 7:18), li avrebbe volentieri salvati dalla rovina verso cui li stavano portando i loro peccati. {GN 170.4}

Ma Gesù non volle abbandonarli senza rivolgere loro un altro invito al pentimento. Verso la fine del suo ministero in Galilea, visitò di nuovo i luoghi della sua fanciullezza. Da quando lo avevano rigettato, la fama della sua predicazione e dei suoi miracoli aveva riempito il paese. Ormai non gli si poteva negare un potere sovrumano. Gli abitanti di Nazaret sapevano che viaggiava facendo del bene e guarendo tutti quelli che Satana opprimeva. Vi erano interi villaggi dove non si udiva più un gemito di malati: Gesù era passato di là e li aveva guariti tutti. La misericordia, manifestata in ogni atto della sua vita, testimoniava l’approvazione divina. {GN 171.1}

I nazareni, quando udirono le sue parole, furono scossi dallo Spirito di Dio. Ma non volevano ancora ammettere che quell’uomo, cresciuto fra loro, fosse così importante. Si ricordarono con cruccio che quando aveva proclamato di essere colui che era stato promesso, aveva detto che essi non appartenevano al vero Israele e li aveva giudicati meno degni del favore divino di quanto lo fosse un pagano. Essi si chiedevano: “Da dove gli vengono queste cose? Che sapienza è questa che gli è data? E che cosa sono queste opere potenti fatte per mano sua?” (Marco 6:2), ma non lo accettavano come Cristo di Dio. A causa della loro incredulità, il Salvatore non fece alcun miracolo fra loro. Soltanto pochi cuori si aprirono alle sue benedizioni, ed egli partì addolorato e non tornò più. {GN 171.2}

Gli abitanti di Nazaret rimasero increduli. Così fecero il sinedrio e tutta la nazione. Questo rigetto della manifestazione della potenza dello Spirito Santo fu, sia per i sacerdoti sia per il popolo, il principio della fine. Essi, per dimostrare che la loro prima opposizione era giusta, continuarono a cavillare sulle parole di Gesù. La loro opposizione allo Spirito culminò nella croce del Calvario, nella distruzione della loro città, nella dispersione del popolo ai quattro venti. {GN 171.3}

Cristo desiderava tanto che Israele accettasse i preziosi tesori della verità. Ma la loro cecità spirituale era così grande che non era possibile far conoscere loro le verità del regno di Dio. Essi rimanevano ostinatamente legati alle loro idee e alle loro inutili cerimonie, rifiutando la verità del cielo. Spendevano il loro denaro per della paglia e della pula, mentre avrebbero potuto avere il pane della vita. Perché non investigavano la Parola di Dio per sapere se erano nell’errore? Le Scritture dell’Antico Testamento annunciavano ogni particolare del ministero di Cristo; egli stesso citava più volte i profeti, dicendo: “Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite”. Luca 4:21. Se essi avessero approfondito sinceramente lo studio delle Scritture e confrontato le loro teorie con la Parola di Dio, Gesù non avrebbe dovuto piangere sulla loro insensibilità. Non avrebbe avuto bisogno di dire: “Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta”. Luca 13:35. Essi si sarebbero resi conto della sua messianicità e avrebbero potuto evitare la tragedia che travolse la loro orgogliosa città. Ma il fanatismo aveva ottenebrato la mente degli ebrei. Cristo sottolineò le mancanze del loro carattere e li invitò al pentimento. Se avessero accettato i suoi insegnamenti, la loro vita sarebbe stata trasformata e avrebbero abbandonato le vecchie speranze. Per meritare gli onori del cielo, avrebbero dovuto rinunciare agli onori umani. Se avessero ascoltato le parole di quel nuovo rabbino, si sarebbero trovati in discordia con le opinioni dei grandi pensatori e maestri del tempo. {GN 171.4}

La verità non era popolare ai giorni di Cristo come non lo è oggi. Essa è diventata impopolare da quando Satana ha presentato all’uomo filosofie che esaltano la sua vanità. Anche oggi vi sono teorie e dottrine che non hanno alcun fondamento biblico: gli uomini si attaccano tenacemente ad esse come gli ebrei alle loro tradizioni. {GN 172.1}

I capi del popolo erano orgogliosi. Perfino nel servizio del santuario essi cercavano la loro propria gloria. Desideravano i primi posti nella sinagoga; amavano essere salutati nelle piazze e sentire ripetere i loro titoli. Mentre si andava perdendo la vera religiosità, divennero sempre più gelosi delle loro tradizioni e delle loro cerimonie. {GN 172.2}

A causa dei pregiudizi non riuscivano a comprendere come la potenza di Cristo si potesse accordare con l’umiltà della sua vita. Non potevano capire come la vera grandezza potesse fare a meno delle manifestazioni esteriori. La povertà di quell’uomo sembrava contraddire la sua pretesa di essere il Messia. Si chiedevano come potesse essere così umile, se era veramente colui che diceva di essere. Se rinunciava all’uso della forza, che cosa sarebbe successo alla loro nazione? In che modo si sarebbe attuato il sogno dell’accettazione da parte delle altre nazioni della gloria e della potenza degli ebrei? I sacerdoti non avevano insegnato che Israele avrebbe dominato tutta la terra? Era possibile che i grandi capi religiosi si fossero sbagliati? {GN 172.3}

Ma gli ebrei non rigettarono Gesù solo a causa della mancanza di una gloria esteriore. Egli era la manifestazione della purezza, mentre essi erano impuri. Egli era un esempio di perfetta integrità. La sua vita senza colpa illuminava i loro cuori; la sua sincerità metteva in risalto la falsità della loro professione di fede e svelava il carattere odioso del male. Questa luce non poteva piacere. {GN 172.4}

Se Cristo avesse lodato la cultura e la religiosità dei farisei sarebbe stato accolto con gioia. Ma quando presentò il regno dei cieli come una dispensazione di misericordia di portata universale, essi non vollero accettare questo aspetto della religione. Il loro esempio e il loro insegnamento non erano mai stati tali da fare amare il servizio di Dio. E quando videro che Gesù si occupava di coloro che odiavano e respingevano, i loro cuori orgogliosi traboccarono di odio. Nonostante sperassero che “il leone della tribù di Giuda” (Apocalisse 5:5) avrebbe esaltato Israele su tutte le altre nazioni, essi avrebbero sopportato più facilmente la delusione di questa speranza ambiziosa piuttosto che il rimprovero di Cristo per i loro peccati, rimprovero che sentivano perfino con la semplice manifestazione della sua purezza. {GN 172.5}



Capitolo 25: La chiamata dei discepoli

Sul mar di Galilea spuntava l’alba. I discepoli, stanchi per una notte di pesca infruttuosa, erano ancora nelle loro barche. In quell’ora mattutina, Gesù si recò lungo la riva del mare per riposarsi un po’, lontano dalla folla che lo seguiva costantemente. Ma subito la moltitudine cominciò a raccogliersi intorno a lui. Erano tanti e lo incalzavano da tutte le parti. I discepoli nel frattempo si erano avvicinati alla riva e Gesù, per sfuggire alla pressione della folla, entrò nella barca di Pietro e gli chiese di allontanarsi un po’ dalla riva. Così tutti potevano vederlo e udirlo meglio. E dalla barca parlava alla gente. {GN 174.1}

Era una scena meravigliosa per gli angeli: il loro condottiero seduto su una barca di pescatori, cullato dalle onde, mentre proclamava la buona novella della salvezza a una folla attenta, accalcata sulle rive del lago! Colui che era onorato in cielo, annunciava le grandi verità relative al suo regno all’aria aperta, a gente comune. In realtà non poteva esserci ambiente più adatto. Il lago, i monti, i campi, il sole che illuminava la terra, tutto illustrava i suoi insegnamenti e li imprimeva nelle menti. Nessuna lezione presentata da Gesù risultò infruttuosa. Ogni suo messaggio penetrava negli animi come parole di vita eterna. {GN 174.2}

La folla aumentava. Anziani appoggiati ai bastoni, contadini robusti scesi dalle colline, pescatori abituati alla dura fatica del lago, mercanti, rabbini, ricchi e sapienti, giovani, vecchi, ammalati e sofferenti si accalcavano per ascoltare le parole del divino Maestro. I profeti avevano contemplato in anticipo queste scene e avevano scritto: “Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, di là del Giordano, la Galilea dei pagani, il popolo che stava nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell’ombra della morte, una luce si è levata”. Matteo 4:15, 16. {GN 174.3}

Gesù, mentre predicava, non pensava solo alla folla che era riunita davanti a lui, ma anche ad altri uditori. Spingendo il suo sguardo attraverso le epoche, vide i suoi fedeli gettati in prigione o portati in tribunale; li vide affrontare la tentazione, la solitudine e l’afflizione. Scorse scene di gioia, conflitti e angosce future. Sebbene si rivolges se a coloro che gli stavano intorno, parlava anche per quegli uomini e trasmetteva loro un messaggio di speranza nella prova, di conforto nel dolore e di luce divina nelle tenebre. Tramite lo Spirito Santo, quella voce che parlava da una barca sul lago di Galilea avrebbe offerto pace ai cuori fino alla fine dei tempi. {GN 174.4}

Alla fine del suo discorso Gesù si rivolse a Pietro e lo invitò a prendere il largo e a gettare la rete. Ma Pietro era scoraggiato. Per tutta la notte non aveva preso nulla. Nel silenzio di quelle ore notturne aveva pensato alla sorte di Giovanni il battista, solo nella prigione. Aveva pensato alle prospettive che si aprivano davanti a Gesù e ai suoi discepoli, all’insuccesso della missione in Giudea, alla malvagità dei sacerdoti e dei rabbini. Anche come pescatore non aveva sperimentato il successo e, guardando le reti vuote, l’avvenire gli sembrava cupo e sconfortante. “Simone gli rispose: Maestro, tutta la notte ci siamo affaticati, e non abbiamo preso nulla; però, secondo la tua parola, getterò le reti”. Luca 5:5. {GN 175.1}

La notte era sempre il momento più favorevole per la pesca, con le reti gettate nelle chiare acque del lago. Tentare di giorno, dopo essersi affaticati senza risultati per tutta la notte, sembrava inutile. Ma Gesù lo aveva ordinato, e l’amore dei discepoli per il Maestro li spinse a ubbidire. Simone e suo fratello gettarono la rete. Quando la tirarono, c’erano così tanti pesci che stava per rompersi. Chiesero allora aiuto a Giacomo e a Giovanni, e le due barche si riempirono quasi fino al punto di affondare. {GN 175.2}

Pietro non pensò più né alla barca né al carico. Questo miracolo, più di qualsiasi altro, era per lui una manifestazione della potenza divina. Vide in Gesù il Signore della natura e si sentì indegno in presenza della divinità. L’amore per il Maestro, la vergogna per la propria incredulità, la gratitudine per la pazienza di Gesù e, soprattutto, la consapevolezza della propria indegnità, tutti questi sentimenti finirono per sopraffarlo. Mentre i suoi compagni vuotavano le reti, Pietro cadde ai piedi del Salvatore esclamando: “Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore”. Versetto 8. {GN 175.3}

La stessa presenza della santità divina aveva fatto cadere il profeta Daniele come morto ai piedi dell’angelo di Dio. Il profeta disse: “In me non rimase più forza; il mio viso cambiò colore fino a rimanere sfigurato”. Daniele 10:8. E Isaia, quando contemplò la gloria del Signore, esclamò: “Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, il Signore degli eserciti!” Isaia 6:5. L’umanità, con le sue debolezze e i suoi peccati, si trovò di fronte alla perfezio ne divina e Pietro si sentì limitato e indegno. Questo è il sentimento che provano tutti coloro che hanno il privilegio di vedere in visione la grandezza e la maestà di Dio. {GN 175.4}

Pietro esclamò: “Signore, dipartiti da me, perché son uomo peccatore”. Rimase però aggrappato ai piedi di Cristo, sentendo che non poteva separarsi da lui. Il Signore rispose: “Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Luca 5:10. Isaia ebbe l’incarico di predicare il messaggio divino dopo avere contemplato la santità di Dio e riconosciuto la propria indegnità; anche Pietro fu chiamato a lavorare per Gesù solo dopo aver rinunciato a se stesso e sentito il desiderio di dipendere da Dio. {GN 176.1}

Fino a quel momento nessuno dei discepoli aveva seguito Gesù a tempo pieno. Essi avevano visto molti dei suoi miracoli e udito molti dei suoi insegnamenti, ma non avevano ancora lasciato le loro normali occupazioni. Erano rimasti amaramente delusi per l’imprigionamento di Giovanni il battista. Se la missione di Giovanni aveva un tale esito, potevano nutrire poca speranza per il loro Maestro, giacché tutti i capi religiosi erano coalizzati contro di lui. Per questo motivo erano ritornati per un po’ di tempo alla loro occupazione abituale. Ma ora Gesù li chiamava ad abbandonare completamente il lavoro e a seguirlo. Pietro aveva risposto alla chiamata. Appena raggiunsero la sponda, Gesù disse agli altri tre discepoli: “Seguitemi, e io farò di voi dei pescatori di uomini”. Marco 1:17. Essi lasciarono tutto e lo seguirono. {GN 176.2}

Prima di chiedere di abbandonare reti e barche, Gesù li aveva assicurati che Dio avrebbe provveduto alle loro necessità. Per aver messo la sua barca al servizio dell’opera evangelica, Pietro fu ampiamente ricompensato. Colui che è “ricco verso tutti quelli che lo invocano” (Romani 10:12) ha detto: “Date, e vi sarà dato; vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante”. Luca 6:38. Con questa misura venne ripagato il servizio del discepolo. Ogni sacrificio compiuto al suo servizio sarà ricompensato secondo “l’immensa ricchezza della sua grazia”. Efesini 2:7. {GN 176.3}

Durante la triste notte passata sul lago, i discepoli, lontani da Cristo, erano stati assaliti dal dubbio e si erano affaticati inutilmente. Ma la presenza del Maestro rafforzò la loro fede e procurò loro gioia e successo. Anche per noi quando non siamo dalla parte di Cristo il nostro lavoro diventa infruttuoso, siamo inclini allo scoraggiamento e a lamentarci. Ma quando Gesù è vicino, quando lavoriamo sotto la sua direzione, allora ci rallegriamo per le manifestazioni della sua potenza. Satana vuole indurre allo scoraggiamento mentre Cristo infonde fede e speranza. Il grande insegnamento di questo miracolo vale anche per noi. Colui che con la sua parola ha radunato i pesci del mare, può attrarre anche i cuori umani con i legami del suo amore in modo che i suoi discepoli diventino “pescatori d’uomini”. {GN 176.4}

Quei pescatori di Galilea erano uomini semplici e ignoranti; ma Cristo, luce del mondo, li preparò per svolgere l’opera per la quale li aveva scelti. Il Salvatore non disprezzava l’istruzione. La cultura è una benedizione quando è guidata dall’amore di Dio ed è messa al suo servizio. Ma egli non chiamò i sapienti del suo tempo perché erano troppo egoisti e sicuri di sé per amare l’umanità sofferente e diventare suoi collaboratori. Il fanatismo impediva loro di lasciarsi ammaestrare da Cristo. Il Signore cerca strumenti docili, capaci di comunicare la sua grazia. La prima cosa che deve imparare chi vuole collaborare con Dio è quella di diffidare di sé. Solo così si può diventare partecipi del carattere di Cristo. Questo risultato non lo si ottiene con la conoscenza impartita dalle scuole, ma con la sapienza appresa dal Maestro. {GN 177.1}

Gesù scelse dei pescatori illetterati, non imbevuti delle tradizioni e dei costumi del tempo: erano uomini ricchi di talenti, umili e desiderosi di imparare, che poteva formare per la sua opera. A volte, nella vita di tutti i giorni, si incontrano uomini impegnati pazientemente nei lavori più modesti che non sanno di possedere capacità che, se sviluppate, li metterebbero sullo stesso piano degli uomini più stimati. Una persona sensibile può risvegliare quelle capacità latenti. Questi furono gli uomini che Gesù chiamò come suoi collaboratori e che ebbero il privilegio di unirsi alla sua opera. I grandi uomini di questo mondo non hanno mai avuto un Maestro simile. Quando i discepoli uscirono dalla scuola del Salvatore non erano più uomini ignoranti e incolti. Gli assomigliavano nella mente e nel carattere, e chi li guardava si rendeva conto che erano stati con Gesù. {GN 177.2}

Il principale scopo dell’educazione non è quello di comunicare semplicemente delle conoscenze, ma di trasmettere un’energia vivificante mediante la comunione delle menti e degli animi. Solo la vita genera la vita. I discepoli ebbero il grande privilegio, durante tre anni, di vivere in contatto quotidiano con quella vita divina, fonte di ogni bene. Giovanni, il discepolo prediletto, sentì più di tutti i suoi compagni l’influsso di quella vita meravigliosa. {GN 177.3}

“Poiché la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata”. Giovanni 1:2. “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”. Giovanni 1:16. {GN 177.4}

Gli apostoli del Signore non avevano motivi per vantarsi. Il successo delle loro fatiche era dovuto a Dio. La vita di questi uomini, il carattere che si formarono e l’opera potente che compirono sono una dimostrazione di ciò che Dio è pronto a fare per tutti coloro che sono docili e ubbidienti. {GN 178.1}

Più si ama Cristo, più si può fare del bene. Non vi sono limiti all’utilità di colui che, avendo messo da parte il proprio io, lascia che lo Spirito Santo agisca nel suo cuore e consacra a Dio tutta la sua vita. Dio istruirà giorno dopo giorno e ora dopo ora tutti coloro che si sottomettono alla disciplina necessaria, senza lamentarsi né soccombere lungo la strada. Dio desidera impartire la sua grazia. Se il popolo allontana da sé gli ostacoli, egli farà scorrere in abbondanza, attraverso i canali umani, le acque della salvezza. Se uomini modesti fossero incoraggiati a fare tutto il bene possibile, se il loro zelo non fosse represso, vi sarebbero centinaia di collaboratori dove ce n’è uno solo. {GN 178.2}

Dio prende gli uomini come sono, e se essi si sottomettono a lui, li forma per il suo servizio. Quando un essere umano riceve lo Spirito di Dio, tutte le sue facoltà sono vivificate. Con la guida dello Spirito Santo, la mente che si consacra pienamente a Dio si sviluppa in modo armonioso, si rafforza, comprende e osserva la volontà di Dio. Il carattere debole e vacillante si trasforma e diventa forte e saldo. Con un’adorazione continua il credente crea fra sé e Cristo una relazione così profonda da diventare a poco a poco simile al Maestro sia nella mente sia nel carattere. I suoi rapporti con Cristo gli consentiranno di avere idee sempre più chiare e ampie. Avrà un’intelligenza penetrante e un giudizio equilibrato. Chi si mette al servizio di Cristo è talmente vivificato dalla potenza del Sole di giustizia da portare frutti abbondanti alla gloria di Dio. {GN 178.3}

Uomini molto colti nelle lettere e nelle scienze hanno ricevuto preziose lezioni da umili cristiani che il mondo considerava ignoranti. Ma questi semplici discepoli hanno conseguito un’educazione nella scuola migliore: si sono seduti ai piedi di colui che ha parlato come nessun altro uomo. {GN 178.4}



Capitolo 26: A Capernaum

Negli intervalli tra i suoi viaggi Gesù si fermava a Capernaum. Per questo motivo quella città fu chiamata “la sua città”. Sorgeva sulla riva del mar di Galilea, vicino alla bella pianura di Gennezaret, precisamente al suo inizio. {GN 179.1}

La profonda depressione del lago conferiva a quella pianura il tipico clima del sud. Ai tempi di Cristo vi crescevano la palma e l’ulivo, c’erano frutteti e vigneti, campi verdi e splendidi fiori; il terreno era irrigato da sorgenti che sgorgavano dalle rocce. Città e villaggi sorgevano sulle rive del lago e sulle colline circostanti e le barche dei pescatori ne solcavano le acque. Ovunque la vita scorreva operosa. {GN 179.2}

La città di Capernaum era molto adatta a essere il centro del ministero del Salvatore. Sorgeva infatti sulla via che collegava Damasco a Gerusalemme, all’Egitto e al Mediterraneo ed era perciò un importantissimo nodo di transito. Viaggiatori provenienti da vari paesi passavano per la città e si fermavano fra le sue mura per riposare. Gesù vi incontrava persone di ogni classe sociale e nazionalità, persone ricche e potenti, persone povere e umili. I suoi insegnamenti potevano diffondersi in altri paesi e in altre famiglie. In questo modo si sarebbe approfondito lo studio delle profezie e lo sguardo di molti si sarebbe rivolto verso il Salvatore del mondo per conoscere la sua missione. {GN 179.3}

Nonostante la presa di posizione del sinedrio contro Gesù, il popolo osservava ansioso lo svolgimento della sua missione. Anche tutto il cielo lo seguiva con profondo interesse; gli angeli preparavano la via al suo ministero, operando sui cuori degli uomini e attirandoli verso il Salvatore. {GN 179.4}

A Capernaum, il figlio dell’ufficiale reale che Cristo aveva guarito costituiva una testimonianza della sua potenza. Quell’ufficiale e la sua famiglia parlavano con gioia della loro fede. E quando si seppe che il Maestro era giunto, tutta la città si destò. Numerose persone si raccolsero intorno a Cristo, e in giorno di sabato era tanta la gente che affollava la sinagoga che molti non riuscivano a entrare. {GN 179.5}

Tutti coloro che ascoltavano il Salvatore “stupivano del suo insegnamento perché parlava con autorità”. Luca 4:32. “Perché egli insegna va loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi”. Matteo 7:28. L’insegnamento degli scribi e degli anziani era freddo e formale, come una lezione imparata a memoria. Per essi la Parola di Dio non aveva alcuna potenza di vita e al suo posto trasmettevano al popolo le loro idee e le loro tradizioni. Nella ripetizione abituale dei servizi sacri, dicevano di spiegare la legge, ma nessuna potenza divina agiva sui loro cuori e su quelli degli ascoltatori. {GN 179.6}

Gesù non si interessava affatto delle varie questioni di cui discutevano gli ebrei. Egli presentava la verità. Le sue parole mettevano in luce gli insegnamenti dei patriarchi e dei profeti e le Scritture apparivano quasi come una nuova rivelazione. I suoi uditori non avevano mai capito, così profondamente, il significato della Parola di Dio. {GN 180.1}

Gesù affrontava gli stessi problemi della gente, mostrando di conoscere bene i loro dubbi e le loro difficoltà. Presentava la verità insegnandola nel modo più semplice e diretto. Le sue parole erano pure e chiare come acqua di sorgente. La sua voce era come una musica, diversa da quella monotona dei rabbini. Sebbene i suoi insegnamenti fossero semplici, parlava con autorità. Ed era proprio questa caratteristica a distinguerlo nettamente da tutti gli altri. I rabbini parlavano ponendo dubbi e incertezze, come se le Scritture potessero essere interpretate in modo opposto; gli ascoltatori quindi rimanevano incerti. Ma Gesù spiegava le Scritture con indubbia autorità. Parlava con potenza, su qualsiasi argomento, come se le sue parole non potessero essere messe in dubbio. {GN 180.2}

C’era in lui più ardore che polemica. Parlava come chi aveva uno scopo preciso da raggiungere e faceva conoscere la verità della vita eterna. Ogni sua parola era una rivelazione di Dio. Egli cercava di rompere l’incantesimo che attirava gli uomini verso gli interessi terreni e poneva le realtà di questa vita al giusto posto, subordinandole agli interessi eterni, ma non ne ignorava l’importanza. Insegnava che il cielo e la terra sono uniti, e che la conoscenza della verità divina rende gli uomini più capaci di assolvere i loro doveri quotidiani. Parlava come chi ha familiarità con la vita del cielo ed è consapevole della sua relazione con Dio, ma riconosceva il suo legame con ogni membro della famiglia umana. {GN 180.3}

Il suo messaggio di misericordia era adatto all’uditorio. Egli poteva dire: “Il Signore, Dio, mi ha dato una lingua pronta, perch’io sappia aiutare con la parola chi è stanco”. Isaia 50:4. La grazia sgorgava dalle sue labbra ed egli guidava gli uomini ai tesori della verità. Possedeva il tatto necessario per vincere i pregiudizi e sapeva attrarre l’attenzione con esempi adeguati. Attraverso l’immaginazione raggiungeva il cuo re. Le sue illustrazioni erano ricavate dalle vicende comuni della vita e, sebbene semplici, avevano un profondo significato. Gli uccelli del cielo, i gigli dei campi, il seme, il pastore e le pecore erano le immagini con cui Gesù presentava le sue verità eterne. Quando più tardi i suoi uditori rivedevano quelle cose, si ricordavano delle sue parole. Le immagini scelte da Gesù ricordavano continuamente le sue lezioni. {GN 180.4}

Cristo non adulò mai nessuno. Non parlò mai di cose che esaltassero l’immaginazione; non lodò mai nessuno per le sue invenzioni intelligenti; ma alcuni “teologi”, profondi e senza pregiudizi, accolsero il suo insegnamento e si resero conto che esso metteva alla prova la loro saggezza. Si stupivano per la semplicità con cui sapeva esprimere le verità spirituali. Le persone più colte erano attratte dalle sue parole e ne ricavarono sempre profitto; ma chiunque — anche le persone non istruite e perfino i pagani — potevano comprendere il suo messaggio. {GN 181.1}

La sua tenera compassione offriva salvezza ai cuori stanchi e turbati. Perfino in mezzo all’animosità di nemici infuriati conservava nell’animo una pace profonda. La bellezza del suo comportamento, l’amabilità del suo carattere e soprattutto l’amore che manifestava tramite il suo sguardo e la sua voce, attiravano tutti coloro il cui animo non era indurito dall’incredulità. Se non avesse avuto un animo dolce e pieno di simpatia che traspariva in ogni sguardo e in ogni parola, non avrebbe potuto affascinare grandi folle. I sofferenti che si rivolgevano a lui sentivano che li comprendeva come un amico tenero e fedele, e desideravano conoscere meglio le sue verità. Il cielo si avvicinava alla terra. Essi volevano stare con lui per godere continuamente il conforto del suo amore. {GN 181.2}

Gesù osservava con grande interesse il mutamento che avveniva nei suoi uditori. I volti che esprimevano soddisfazione lo riempivano di gioia. Era felice quando la verità penetrava nell’animo, abbatteva le barriere dell’egoismo, produceva pentimento e poi gratitudine. Quando tra la folla scorgeva il volto di persone note, il suo cuore si riempiva di gioia. Riconosceva in esse dei probabili cittadini del regno. Quando esprimeva chiaramente la verità e distruggeva gli idoli del suo pubblico, si rendeva conto, dallo sguardo freddo e distaccato degli uditori, che non era ben accolto. Quando gli uomini non accettavano il suo messaggio di pace, il suo cuore era profondamente rattristato. {GN 181.3}

Nella sinagoga Gesù parlò del regno che era venuto a stabilire e della sua missione di liberatore dei prigionieri di Satana. Ma fu interrotto da un grido lacerante. Un indemoniato, uscito dalla folla, si precipitò verso di lui gridando: “Che c’è fra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto per mandarci in perdizione? Io so chi sei: il Santo di Dio!” Luca 4:34. {GN 181.4}

Tutti erano vittime della confusione e della paura. Gli uditori non ascoltavano più la voce di Gesù. Satana voleva proprio questo quando aveva introdotto la sua vittima nella sinagoga. Ma Gesù sgridò il demonio, dicendo: “Taci ed esci da quest’uomo!E il demonio, gettatolo a terra in mezzo alla gente, uscì da lui senza fargli alcun male”. Versetto 35. {GN 182.1}

La mente di quell’infelice era stata ottenebrata da Satana, ma la presenza del Salvatore fece penetrare in lui un raggio di luce. Quell’uomo desiderava liberarsi dal dominio di Satana, ma il diavolo si opponeva alla potenza di Cristo. Quando volle implorare l’aiuto del Salvatore, lo spirito maligno gli mise in bocca le proprie parole ed egli gridò di terrore. Tuttavia l’indemoniato si rendeva conto, almeno in parte, di trovarsi alla presenza di qualcuno che avrebbe potuto liberarlo; ma quando cercò di afferrare quella mano potente, un’altra volontà lo trattenne e parole diverse da quelle che avrebbe voluto pronunciare uscirono dalla sua bocca. Una lotta terribile si svolgeva tra la potenza di Satana e il desiderio di libertà dell’uomo. {GN 182.2}

Colui che aveva vinto Satana nel deserto della tentazione si ritrovava di fronte al nemico. Il demonio cercò con tutti i mezzi di mantenere il controllo della sua vittima. Abbandonare il terreno significava lasciare a Cristo la vittoria. Sembrava che quel disgraziato dovesse morire nella lotta tremenda contro Satana. Ma il Salvatore parlò con autorità e lo liberò. Quell’uomo era là, libero, padrone di sé, felice, di fronte alla folla stupita. Perfino il demonio aveva testimoniato della potenza divina del Salvatore. {GN 182.3}

Quell’uomo lodava Dio per la liberazione ottenuta. I suoi occhi non gettavano più lampi di follia ma brillavano d’intelligenza e versavano lacrime di gratitudine. Gli astanti erano muti di stupore. Appena si riebbero, esclamarono: “Che cos’è mai questo?... Egli comanda perfino agli spiriti immondi, ed essi gli ubbidiscono!” Marco 1:27. {GN 182.4}

La causa vera della disgrazia di quell’uomo, che era diventato uno spettacolo orrendo per gli amici e un tormento per se stesso, risiedeva nella sua condotta. Affascinato dai piaceri peccaminosi, aveva pensato di fare della vita una festa continua. Non immaginava che un giorno sarebbe diventato oggetto di orrore per gli altri e motivo di obbrobrio per la sua famiglia. Riteneva di poter passare la vita in follie innocenti. Ma, iniziata la china, la discesa fu rapida. L’intemperanza e la frivolezza pervertirono le doti del suo animo, e Satana s’impossessò completamente di lui. {GN 182.5}

Troppo tardi si rese conto della sua rovina. Allora avrebbe sacrificato ricchezze e piaceri per recuperare la salute perduta, ma era ormai vittima del diavolo. Era sceso sul terreno del nemico che si era impossessato di lui. Il tentatore lo aveva lusingato e sedotto e, quando l’infelice fu in suo potere, si mostrò crudele e terribile nelle sue visite. Ciò avviene a chiunque cede al male. I piaceri seducenti conducono alle tenebre della disperazione o alla follia della rovina. {GN 182.6}

Lo stesso spirito malvagio che tentò Cristo nel deserto e che possedeva l’indemoniato di Capernaum, dominava gli ebrei increduli. Assumeva nei loro confronti un atteggiamento pio, cercando di ingannarli sulle ragioni per cui dovevano rifiutare il Salvatore. La loro situazione era più difficile di quella dell’indemoniato perché essi non sentivano alcun bisogno di Cristo e quindi erano completamente schiavi del potere di Satana. {GN 183.1}

Le potenze delle tenebre agirono con maggiore insistenza proprio nel periodo del ministero di Cristo. Per secoli Satana e i suoi seguaci avevano cercato di dominare il corpo e l’animo degli uomini per spingerli al peccato, farli soffrire e poi far ricadere la colpa su Dio. Gesù, invece, faceva conoscere agli uomini il carattere di Dio. Era venuto per annientare il potere di Satana e mettere in libertà i suoi prigionieri. Una vita nuova, un amore e una potenza divini agivano sugli uomini, e il principe del male si schierò per mantenere la sua supremazia, radunò tutte le sue forze e si oppose all’opera di Cristo. {GN 183.2}

La stessa cosa accadrà nell’ultima fase della grande lotta fra la giustizia e il peccato. Quando una vita, una luce e una potenza nuove scendono dall’alto sui discepoli di Cristo, dal basso sale un’energia malefica per infondere nuovo vigore agli strumenti di Satana. Si assiste allora a una recrudescenza di tutto ciò che è terreno. Il principe del male, reso astuto da secoli di lotta, si traveste da angelo di luce per presentarsi alle folle che danno ascolto “a spiriti seduttori e a dottrine di demòni”. 1 Timoteo 4:1. {GN 183.3}

Ai tempi di Cristo i capi e i maestri d’Israele erano incapaci di resistere all’opera di Satana. Avevano trascurato l’unico mezzo attraverso il quale avrebbero potuto sottrarsi al potere degli spiriti malvagi. Cristo vinse quegli empi mediante la Parola di Dio. I capi d’Israele pretendevano di essere i maestri della Parola di Dio, ma in realtà la studiavano soltanto per sostenere tradizioni e regole umane. Con false interpretazioni contraffacevano le ragioni stesse per cui Dio l’aveva data. Le loro interpretazioni rendevano confuso ciò che Dio aveva espresso con chiarezza. Discutevano a lungo su problemi secondari e in pratica trascuravano verità più importanti. In questo modo si diffondeva l’infedeltà. La Parola di Dio era privata del suo potere e gli spiriti malvagi spadroneggiavano. {GN 183.4}

La storia si ripete. Anche oggi molti capi religiosi distruggono la fede nella Parola di Dio pur aprendo la Bibbia e manifestando rispetto per i suoi insegnamenti. Essi analizzano la Parola e antepongono poi le loro opinioni ai suoi chiari insegnamenti. Nelle loro mani la Parola di Dio perde la sua potenza di rigenerazione. Per questo motivo l’infedeltà rimane priva di ogni freno e l’iniquità prevale. {GN 183.5}

Quando Satana riesce a scuotere la fede nella Bibbia, orienta verso altre fonti di luce e di potenza. Chi si allontana dai chiari insegnamenti delle Scritture e dalle convinzioni suscitate dallo Spirito di Dio, apre la via al tentatore. La critica delle Sacre Scritture e le speculazioni hanno aperto la strada allo spiritismo e alla teosofia, forme moderne dell’antico paganesimo, e hanno consentito a queste dottrine di affermarsi perfino nelle chiese che si professano seguaci del nostro Signore Gesù Cristo. {GN 184.1}

Agenti che sono strumenti di spiriti bugiardi lavorano a fianco della predicazione del Vangelo. Molti si avvicinano a queste manifestazioni per semplice curiosità; ma quando appare l’azione di una potenza sovrumana, allora è troppo tardi per sfuggire al controllo di una volontà più forte. I mezzi di difesa della persona sono eliminati e non vi sono più barriere contro il peccato. Se i limiti posti dalla Parola di Dio e dal suo Spirito vengono respinti, nessuno sa fino a che punto sprofonderà nella degradazione. Un peccato segreto e una passione dominante possono rendere un uomo prigioniero e impotente, come l’indemoniato di Capernaum. Ma questa condizione non è senza speranza. {GN 184.2}

Il mezzo che ci consente di vincere è quello per cui Cristo ha vinto: la potenza della Parola di Dio. Dio non vuole guidare la nostra mente senza il nostro consenso; ma se desideriamo conoscerlo e fare la sua volontà, possiamo contare sulla sua promessa: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Giovanni 8:32. “Se uno vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina è da Dio”. Giovanni 7:17. Mediante la fede in queste promesse, ognuno può essere liberato dai lacci dell’errore e dal dominio del peccato. {GN 184.3}

Ogni uomo è libero di scegliersi il proprio maestro. Nessuno però è caduto così in basso, nessuno è così avvilito da non poter trovare liberazione in Cristo. L’indemoniato, invece di pregare, poté soltanto pronunciare le parole di Satana, ma il desiderio del suo cuore fu ugualmente esaudito. Nessun grido di una persona angosciata, anche se non espresso a parole, resta senza risposta. Coloro che vogliono allearsi con il Dio del cielo non saranno abbandonati al potere di Satana o alla debolezza della loro natura. Il Salvatore li invita a rifugiarsi in lui. Cfr. Isaia 27:5. Gli spiriti delle tenebre lotteranno per tenere un essere umano in loro potere, ma gli angeli di Dio sono più potenti. Il Signore dice: “Si strapperà egli il bottino al potente? e i giusti fatti prigioni saranno essi liberati? Sì; così dice l’Eterno: Anche i prigioni del potente saran portati via, e il bottino del tiranno sarà ripreso; io combatterò con chi combatte teco, e salverò i tuoi figliuoli”. Isaia 49:24, 25. {GN 184.4}

Mentre la folla che aveva visto la miracolosa liberazione si trovava ancora nella sinagoga, Gesù si ritirò nella casa di Pietro per riposarsi un po’. Ma anche qui era entrata la tristezza. La suocera di Pietro era afflitta da una febbre violenta. Gesù sgridò il male e la donna, guarita, servì il Maestro e i discepoli. {GN 185.1}

La fama delle opere di Cristo si sparse rapidamente in tutta Ca-pernaum. Per paura dei rabbini gli abitanti non osavano andare da Gesù per essere guariti in giorno di sabato; ma ci fu un grande movimento appena il sole scese all’orizzonte. La gente usciva dalle case, dai negozi, dai mercati per recarsi all’umile dimora di Gesù. I malati arrivavano portati sui loro giacigli o appoggiati a stampelle o sorretti da amici. {GN 185.2}

C’era un continuo viavai: la gente non sapeva se avrebbe trovato anche l’indomani a Capernaum quel gran Medico. La città non aveva mai vissuto una giornata come quella. Grida di trionfo e liberazione riempivano l’aria e il Salvatore gioiva per la felicità che aveva accordato. Provava pietà per le sofferenze di coloro che andavano da lui ed era contento di ristabilirli in salute e di renderli felici. {GN 185.3}

Gesù cessò la sua opera solo dopo che l’ultima sofferenza fu alleviata. Era notte fonda quando la folla se ne andò e si fece silenzio nella casa di Simone. Dopo una giornata così lunga e faticosa, Gesù si riposò. Ma mentre la città dormiva ancora, “la mattina, mentre era ancora notte, Gesù si alzò, uscì e se ne andò in un luogo deserto; e là pregava”. Marco 1:35. {GN 185.4}

Così trascorsero i primi giorni del ministero di Gesù. Egli lasciava che i suoi discepoli tornassero nelle loro case e si riposassero, ma resisteva dolcemente ai loro tentativi di distrarlo dal suo lavoro. Tutto il giorno era all’opera per istruire gli ignoranti, per guarire i malati, per restituire la vista ai ciechi, per nutrire la folla. La sera o la mattina presto si appartava sui monti per essere in comunione con il Padre. Spesso trascorreva tutta la notte in preghiera o in meditazione, e il mattino riprendeva la sua opera in mezzo al popolo. {GN 185.5}

Una mattina molto presto Pietro e i suoi compagni vennero da Gesù per dirgli che gli abitanti di Capernaum lo cercavano già. I discepoli erano amareggiati per il modo in cui Cristo era stato accolto fino a quel momento. Le autorità di Gerusalemme volevano farlo morire e i suoi stessi concittadini avevano tentato di togliergli la vita. Ca pernaum, invece, lo accoglieva con gioia ed entusiasmo, e ciò ravvivò le speranze dei discepoli. Pensavano che tra quei galilei assetati di libertà si sarebbero trovati dei sostenitori del nuovo regno. Perciò furono sorpresi quando Gesù disse: “Anche alle altre città bisogna che io annunzi la buona notizia del regno di Dio; poiché per questo sono stato mandato”. Luca 4:43. {GN 185.6}

L’entusiasmo suscitato in Capernaum rischiava di far perdere di vista lo scopo della missione di Gesù. Egli non voleva che le folle lo conoscessero soltanto come taumaturgo e medico del corpo, ma voleva soprattutto che gli uomini lo accettassero come Salvatore. La gente si convinceva facilmente che Gesù era venuto come re, per stabilire un regno terreno; ma egli voleva che la loro mente si volgesse dalle realtà terrene a quelle spirituali. Un successo puramente terreno avrebbe potuto compromettere la sua opera. Non voleva l’ammirazione di una folla noncurante e non ricercava una gloria personale. Il Figlio dell’uomo fu sempre indifferente agli omaggi che il mondo tributa alla posizione sociale, alle ricchezze o all’ingegno e non usò nessun mezzo di cui ordinariamente si servono gli uomini per ottenere rispetto e accettazione delle loro idee. Secoli prima della sua nascita così era stato profetizzato di lui: “Egli non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade. Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante; manifesterà la giustizia secondo verità. Egli non verrà meno e non s’abbatterà finché abbia stabilito la giustizia sulla terra”. Isaia 42:2-4. {GN 186.1}

I farisei cercavano di distinguersi per la scrupolosa osservanza delle forme, per l’ostentazione della religiosità e della carità. Mostravano il loro zelo per la religione facendone argomento di discussioni accanite. Le sette rivali entravano spesso in polemica, ed era piuttosto frequente udire nelle strade le voci dei sapienti dottori della legge impegnati in aspre contese. {GN 186.2}

Gesù si comportò in modo totalmente opposto. Non faceva noiose polemiche, non ostentava la sua religiosità, non agiva per ottenere approvazione. Cristo era nascosto in Dio e Dio si manifestava nel carattere del Figlio. Gesù voleva che il popolo contemplasse quella rivelazione e le tributasse i suoi omaggi. Il Sole di giustizia non poteva risplendere sul mondo in tutto il suo fulgore per abbagliare gli uomini con la sua gloria. Del Cristo è scritto: “Il suo levarsi è certo, come quello dell’aurora”. Osea 6:3. Come la luce del giorno si diffonde quietamente e progressivamente, fugando le tenebre e risvegliando il mondo alla vita, così si levò il Sole di giustizia portando “la guarigione... nelle sue ali”. Malachia 4:2. {GN 186.3}



Capitolo 27: “Tu puoi mondarmi”

La lebbra era la più temuta fra le malattie dell’Oriente. Poiché incurabile, contagiosa e ripugnante, riempiva di paura anche i più coraggiosi. Gli ebrei la consideravano come una punizione del peccato, come un castigo di Dio. Era cronica, inguaribile e mortale come il peccato. Secondo le leggi cerimoniali, il lebbroso era considerato impuro. Veniva isolato dalla società come se fosse già morto. Tutto ciò che toccava diventava impuro. L’aria stessa veniva contaminata dal suo flato. Se qualcuno era sospettato di essere infetto doveva presentarsi ai sacerdoti che, dopo averlo esaminato, decidevano la sua sorte. Se era dichiarato lebbroso doveva separarsi dalla famiglia e dalla società e unirsi con gli altri lebbrosi. Era una legge rigida cui erano soggetti perfino i re e i capi. Un sovrano affetto dalla lebbra era obbligato a deporre lo scettro e ad allontanarsi dalla società. {GN 187.1}

Il lebbroso doveva portare la sua maledizione lontano dai parenti e dagli amici. Doveva far conoscere ad alta voce la sua disgrazia, strapparsi i vestiti e avvisare della sua presenza affinché tutti si tenessero lontani. Il grido: “Impuro! Impuro!” pronunciato in tono lamentevole dal triste esiliato, era sempre udito con timore e orrore. {GN 187.2}

Nella regione in cui Cristo svolgeva il suo ministero c’erano molti di questi infelici. Essi udirono parlare della sua opera, e un raggio di speranza si accese nei loro cuori. Ma ormai, fin dai tempi del profeta Elia, non si verificavano guarigioni di lebbrosi ed essi non osavano aspettarsi da Gesù un miracolo che non aveva ancora compiuto. Ma nel cuore di uno di questi ammalati cominciò a nascere la fede. Era separato dagli altri uomini e non sapeva come fare per avvicinarsi a Gesù. Inoltre si chiedeva se il Maestro avrebbe voluto guarire proprio lui, se si sarebbe fermato per occuparsi di un uomo che tutti consideravano colpito da un giudizio divino. Temeva che, come i farisei e i medici, anche lui lo scacciasse facendolo allontanare dai luoghi abitati. Pensò a tutto quello che gli era stato detto di Gesù. Nessuno aveva mai chiesto invano il suo aiuto. Quell’infelice decise allora di cercare il Salvatore. Anche se gli era proibito entrare nelle città, avrebbe sempre potuto incontrarlo in qualche strada sui monti oppu re mentre insegnava nella campagna. Le difficoltà erano molte, ma quella era la sua unica speranza. Il lebbroso venne così guidato verso il Salvatore che, circondato dalle turbe, predicava sulla riva del lago. Benché si tenesse a distanza, riuscì a sentire alcune sue parole. Lo vide mentre posava le mani sui malati. Vide gli zoppi, i ciechi, i paralitici e altri infermi alzarsi pieni di salute e lodare Dio per la guarigione. La fede si rafforzò nel suo cuore ed egli si avvicinò alla folla riunita. Dimenticando le restrizioni a cui era soggetto, la paura che suscitava negli astanti, non pensò al pericolo della gente; pensò solo alla dolce speranza di guarigione. {GN 187.3}

Era uno spettacolo ripugnante. La malattia era già a uno stadio avanzato, il suo corpo in decomposizione era orribile a vedersi. Le persone, indietreggiando terrorizzate, si addossavano le une alle altre per evitarne il contatto. Alcune cercavano di allontanarlo, ma invano. Egli non vedeva e non udiva. Non si accorgeva dell’espressione di disgusto dei presenti. Tutta la sua attenzione era volta verso il Figlio di Dio. Udiva solo la voce che infonde la vita nei morenti. Si avvicinò a Gesù e si gettò ai suoi piedi gridando: “Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi!” Matteo 8:2. {GN 188.1}

Gesù rispose: “Lo voglio, sii purificato” (Versetto 3) e pose le sue mani su di lui. Un cambiamento immediato avvenne nel lebbroso. La carne tornò sana, i nervi riacquistarono la loro sensibilità, i muscoli la loro forza. La pelle ruvida e squamosa divenne morbida come quella dei bimbi. {GN 188.2}

Gesù gli ordinò di non divulgare la notizia del miracolo e presentarsi subito al tempio con un’offerta. Prima che questa offerta fosse accettata, bisognava che il sacerdote lo visitasse e lo dichiarasse guarito. Per quanto i sacerdoti lo facessero malvolentieri, non potevano rifiutarsi di fare un tale esame e decidere. {GN 188.3}

Le parole delle Scritture indicano con quanta insistenza Gesù disse al miracolato di tacere e andare subito dal sacerdote. “Guarda di non dirlo a nessuno, ma va’, mostrati al sacerdote e fa’ l’offerta che Mosè ha prescritto, e ciò serva loro di testimonianza”. Versetto 4. Se i sacerdoti avessero capito com’era avvenuta quella guarigione, forse, per il loro odio contro Gesù, avrebbero emesso un giudizio non conforme alla verità. Gesù voleva che quell’uomo si presentasse al tempio prima che la notizia del miracolo giungesse all’orecchio dei sacerdoti. Così avrebbero pronunciato un giudizio imparziale e il lebbroso guarito sarebbe potuto tornare nella sua famiglia. {GN 188.4}

Gesù ordinò a quell’uomo di tacere anche per altri motivi. Sapeva che i suoi nemici cercavano sempre di limitare la sua opera e allonta nare il popolo da lui. Sapeva che se si fosse divulgata la notizia della guarigione del lebbroso, altri lebbrosi sarebbero accorsi da lui e sarebbe sorta la voce che il popolo veniva contaminato dalla loro presenza. Molti lebbrosi, inoltre, non si sarebbero serviti del dono della salute come di un motivo di benedizione per sé e per gli altri. Raccogliendo i lebbrosi intorno a sé avrebbe offerto ai suoi nemici l’occasione per accusarlo di essere un trasgressore delle limitazioni stabilite dalla legge. Ciò avrebbe ostacolato la predicazione del Vangelo. {GN 188.5}

Gli eventi successivi giustificarono i timori di Gesù. Molti avevano assistito alla guarigione del lebbroso e desideravano conoscere il responso dei sacerdoti. Quando quell’uomo tornò, tra i suoi amici c’era molta eccitazione. Nonostante la raccomandazione di Gesù, egli non cercò più di nascondere il modo in cui era stato guarito. È vero che sarebbe stato difficile nasconderlo, ma il lebbroso lo divulgò ampiamente. Pensando che Gesù gli avesse imposto quella restrizione solo per modestia, proclamava ovunque la potenza del suo grande Medico. Non comprendeva che ogni manifestazione pubblica di quel genere avrebbe rafforzato nei sacerdoti e negli anziani la decisione di condannare a morte Gesù. Quel miracolato sentiva che la salute era un bene preziosissimo, si rallegrava per il vigore della virilità, per il suo ritorno in famiglia e nella società e sentiva che non poteva trattenersi dal glorificare il Medico che lo aveva guarito. Ma la sua aperta testimonianza suscitò intralci all’opera del Salvatore. Fece affluire una folla così numerosa che Gesù fu costretto a sospendere per un po’ ’ il suo lavoro. {GN 189.1}

Ogni atto di Gesù aveva una portata che andava oltre qualsiasi apparenza immediata. Ciò valeva anche per la guarigione del lebbroso. Gesù operava in favore di tutti coloro che andavano da lui, ma desiderava impartire le sue benedizioni anche a coloro che non lo facevano. Attirò pubblicani, pagani e samaritani, ma desiderava raggiungere anche i sacerdoti e i maestri, vittime dei pregiudizi e della tradizione. Fece di tutto per avvicinarli. Inviando dai sacerdoti il lebbroso guarito cercò di abbattere i loro pregiudizi. {GN 189.2}

I farisei sostenevano che gli insegnamenti di Gesù erano contrari alla legge di Dio data attraverso Mosè; ma il suo ordine al lebbroso guarito di presentare un’offerta secondo la legge confutava quell’accusa. Era una testimonianza sufficiente per tutti coloro che volevano comprendere. {GN 189.3}

I capi di Gerusalemme avevano inviato alcune spie per trovare dei pretesti e poter condannare a morte Cristo. Egli rispose dando una prova del suo amore per l’umanità, del suo rispetto per la legge e del suo potere di liberare dal peccato e dalla morte. La sua Parola offriva loro questa testimonianza: “Essi mi hanno reso male per bene, e odio in cambio di amore”. Salmi 109:5. Colui che nel sermone sul monte aveva ordinato di amare i propri nemici (cfr. Matteo 5:44) aveva dato l’esempio “non rendendo male per male, od oltraggio per oltraggio, ma, al contrario, benedite”. 1 Pietro 3:9. {GN 189.4}

Gli stessi sacerdoti che avevano prescritto al lebbroso l’isolamento ne attestarono la guarigione. La loro sentenza pubblica e registrata era una testimonianza in favore di Gesù. Anche il miracolato riammesso nella società per autorizzazione ufficiale era un testimone vivente del suo benefattore. Con gioia presentò l’offerta lodando il nome di Gesù. I sacerdoti si convinsero della potenza divina del Salvatore. In tal modo si offriva loro l’occasione di conoscere la verità e godere di questa luce. Se non l’avessero accettata, quella luce si sarebbe allontanata per sempre. Molti la respinsero, ma essa non aveva brillato invano e ne furono colpiti anche se non lo manifestarono. Durante la vita del Salvatore la sua missione non sembrò trovare un’eco nel cuore dei sacerdoti e dei dottori. Più tardi, però, dopo la sua ascensione, “una gran quantità di sacerdoti ubbidiva alla fede”. Atti 6:7. {GN 190.1}

La guarigione del lebbroso è un esempio dell’opera di Cristo quando purifica lo spirito dal peccato. L’uomo che si presentò a Gesù era “coperto di lebbra”. Luca 5:12. La malattia si era estesa a tutto il corpo. I discepoli avevano cercato di impedire che il Maestro lo toccasse, perché chiunque toccava un lebbroso diventava impuro. Ma Gesù non fu contaminato, anzi comunicò una potenza di vita. Il lebbroso fu guarito. Lo stesso avviene con la lebbra del peccato, radicata e mortale, che nessuna potenza umana può guarire. “Tutto il capo è malato, tutto il cuore è languente. Dalla pianta del piede fino alla testa non c’è nulla di sano in esso: non ci sono che ferite, contusioni, piaghe aperte”. Isaia 1:5, 6. Ma Gesù, venuto fra gli uomini, non ne fu in alcun modo contaminato. La sua presenza comunicava al peccatore una potenza vitale. Chiunque si gettava ai suoi piedi dicendo con fede: “Signore, se vuoi, tu puoi mondarmi” udiva la risposta: “Lo voglio, sii mondato”. {GN 190.2}

In altri casi Gesù non accordò subito la guarigione richiesta. Questo lebbroso, invece, l’ottenne immediatamente. Quando noi chiediamo a Dio dei beni terreni, la risposta può ritardare, e può accadere che Dio ci conceda qualcosa di diverso; ma non è così quando chiediamo la liberazione dal peccato. Dio vuole purificarci dal peccato, farci suoi figli, renderci capaci di vivere una vita santa. Cristo “ha dato se stesso per i nostri peccati, per sottrarci al presente secolo malvagio, secondo la volontà del nostro Dio e Padre”. Galati 1:4. “Questa è la fiducia che ab biamo in lui: che se domandiamo qualcosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce. Se sappiamo che egli ci esaudisce in ciò che gli chiediamo, noi sappiamo di aver le cose che gli abbiamo chieste”. Giovanni 5:14, 15. “Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità”. Giovanni 1:9. {GN 190.3}

Con la guarigione del paralitico di Carpenaum Gesù insegnò la stessa verità. Compì quel miracolo per mostrare che aveva il potere di perdonare i peccati. La guarigione del paralitico illustra altre verità importanti, infonde speranza e coraggio e rivolge anche un rimprovero ai farisei. Il paralitico, come il lebbroso, aveva perso ogni speranza di guarigione. La sua malattia era il risultato delle sue colpe e le sue sofferenze erano aggravate dal rimorso. Si era già rivolto ai farisei e ai medici con la speranza di trovare sollievo fisico e morale, ma essi avevano freddamente dichiarato che era incurabile e lo avevano abbandonato alla collera di Dio. I farisei consideravano la sofferenza come un segno della collera divina e si tenevano lontani dai malati e dai bisognosi. Ma spesso essi, che si vantavano di essere santi, erano più colpevoli degli afflitti che condannavano. {GN 191.1}

Il paralitico era del tutto impotente e, non intravedendo alcuna possibilità di aiuto, si era abbandonato alla disperazione. Ma un giorno sentì parlare delle meravigliose opere di Gesù. Dei peccatori e dei malati come lui erano stati guariti, perfino i lebbrosi erano stati mondati. Gli amici che gli raccontavano ciò, gli dissero che anch’egli avrebbe potuto essere guarito se si fosse rivolto a Gesù. Ma pensando alle cause della sua malattia, temette che il santo Medico non avrebbe neppure tollerato la sua presenza. Quel paralitico non desiderava tanto la guarigione del corpo quanto il perdono dei peccati. Se avesse potuto vedere Gesù e avere la certezza del perdono e della riconciliazione con il cielo, sarebbe stato contento di vivere o morire, secondo la volontà di Dio. Bramava potersi trovare alla sua presenza; ma non c’era tempo da perdere: le sue carni recavano già i segni della fine imminente. Supplicò gli amici di portarlo da Gesù ed essi lo fecero volentieri. Ma la folla era così numerosa, perfino fuori della casa dove Gesù insegnava, che il malato e i suoi amici non poterono né avvicinarsi al Maestro né udirlo. {GN 191.2}

Gesù era nella casa di Pietro. I discepoli, secondo la loro abitudine, gli erano seduti accanto. “Dei farisei e dei dottori della legge, venuti da tutti i villaggi della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme” (Luca 5:17) per spiare Gesù, cercavano dei pretesti per accusarlo. In mezzo alla folla c’erano anche delle persone sincere, altre rispettose, altre curiose, altre incredule. “E la potenza del Signore era con lui per compiere guarigioni”. Versetto 17. Lo Spirito di vita aleggiava sull’assemblea, ma la sua potenza non era notata né dai farisei né dai dottori i quali, non sentendone alcun bisogno, non potevano ricevere la salvezza. Egli “ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi”. Luca 1:53. {GN 191.3}

I portatori del paralitico moltiplicavano invano i loro tentativi di passare tra la folla. Il malato si guardava intorno angosciato. Come poteva rinunciare alla sua speranza proprio mentre il soccorso tanto atteso era a portata di mano? Per sua proposta, gli amici lo portarono sul tetto e, dopo averlo scoperchiato, attraverso quell’apertura lo calarono ai piedi di Gesù. Il discorso si interruppe. Il Salvatore guardò il volto triste del malato, il suo sguardo supplichevole e ne comprese la condizione. Quando il paralitico si trovava ancora in casa sua, Gesù aveva già parlato alla sua coscienza. Si era pentito dei suoi peccati, aveva creduto nella potenza di Gesù e stava già ricevendo nel cuore la grazia vivificante. Gesù aveva visto accendersi in lui il primo barlume di fede; aveva visto questa fede svilupparsi, aggrapparsi a lui come unica speranza e rafforzarsi nella lotta per giungere alla sua presenza. {GN 192.1}

Con parole che per le orecchie del malato erano come musica sublime, il Salvatore gli disse: “Uomo, i tuoi peccati ti sono perdonati”. Luca 5:20. Il malato si sentì libero dal peso della disperazione, avvertì la pace del perdono e il suo volto divenne risplendente. Le sue sofferenze fisiche erano sparite; si sentiva trasformato. Il paralitico impotente era guarito. Il grande peccatore era perdonato. {GN 192.2}

Con una fede semplice accettò le parole di Gesù come il dono di una vita nuova. Non chiese altro e rimase silenzioso nella sua beatitudine. La sua gioia era indicibile. Una luce divina risplendeva sul suo volto, mentre i presenti erano presi da timore. {GN 192.3}

I rabbini erano ansiosi di vedere che cosa avrebbe fatto Gesù di fronte a quell’uomo. Si ricordavano che il malato aveva chiesto invano il loro aiuto. Erano stati duri e gli avevano perfino detto che la maledizione di Dio pesava su di lui per i suoi peccati. Quando videro il malato si ricordarono di tutto questo. Notarono anche che tutti seguivano con interesse quella scena e temettero di perdere il loro ascendente sul popolo. {GN 192.4}

Quei dignitari non parlarono fra loro ma, guardandosi in viso si resero conto che avevano tutti lo stesso pensiero e sentirono che dovevano fare qualcosa per frenare quell’entusiasmo travolgente. Gesù aveva detto che i peccati del paralitico erano perdonati. I farisei intesero quelle parole come una bestemmia e pensarono che potevano es sere considerate l’espressione di un peccato degno di morte. Dissero perciò nei loro cuori: “Chi è costui che bestemmia? Chi può perdonare i peccati se non Dio solo?” Versetto 21. Gesù li fissò e mentre si ritraevano intimoriti disse: “Che ragionate nei vostri cuori? Che cosa è più agevole dire: I tuoi peccati ti son rimessi, oppur dire: Lèvati e cammina? Ora, affinché sappiate che il Figliuol dell’uomo ha sulla terra autorità di rimettere i peccati: Io tel dico (disse al paralitico), lèvati, togli il tuo lettuccio, e vattene a casa tua”. A quelle parole, colui che era stato condotto da Gesù sul suo giaciglio, si alzò con l’elasticità e la forza di un giovane. Il sangue vivificatore circolava nelle sue vene e ogni organo del corpo riprendeva improvvisamente il suo vigore. Un colorito sano si era sostituito al pallore mortale del suo viso. “E subito il paralitico si alzò in presenza loro, preso il suo giaciglio e se ne andò a casa sua, glorificando Dio. Tutti furono presi da stupore e glorificavano Dio; e, pieni di spavento, dicevano: Oggi abbiamo visto cose straordinarie”. Versetti 25, 26. {GN 192.5}

Con il suo amore meraviglioso Cristo si chinava per guarire il colpevole e il sofferente. La divinità si commuoveva per i dolori di un’umanità sofferente e li leniva. Era una potenza meravigliosa che si manifestava in favore dei figli degli uomini. Chi può dubitare del messaggio di salvezza? Chi può non riconoscere la grazia di un Redentore misericordioso? {GN 193.1}

Ci voleva una potenza creatrice per rendere la salute a quel corpo morente. La stessa voce che aveva infuso la vita nell’uomo creato dalla polvere della terra, l’aveva assicurata anche a quel paralitico morente. La stessa potenza che aveva dato vita al corpo, aveva trasformato il cuore. Colui che alla creazione “parlò, e la cosa fu... comandò e la cosa sorse” (Salmi 33:9), aveva trasmesso la vita nell’anima morta nei peccati. La guarigione del corpo era la dimostrazione della potenza che aveva rinnovato il cuore. Cristo guarì il paralitico affinché sapessero “che il Figliuol dell’uomo ha sulla terra autorità di rimettere i peccati”. {GN 193.2}

Il paralitico trovò in Cristo la guarigione dell’anima e del corpo. La guarigione spirituale fu seguita da quella fisica. Questa lezione non dovrebbe essere dimenticata. Vi sono oggi migliaia di sofferenti nel corpo che, come il paralitico, desiderano udire questo messaggio: “O uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi”. Il peso del peccato, con i suoi desideri inappagati e insoddisfatti, è alla base della loro malattia. Non possono riacquistare la salute finché non vanno dal Medico dello spirito. La pace che solo lui può dare infonderà vigore alla loro mente e salute al loro corpo. Gesù è venuto “per distruggere le opere del diavolo”. In lui “era la vita”. Egli dice delle sue pecore: “Io son venuto perché abbiano la vita e l’abbiano ad esuberanza”. Egli è “Spirito vivificante”. Giovanni 3:8; Giovanni 1:4; 10:10; 1 Corinzi 15:45. Cristo possiede oggi lo stesso potere di vita che aveva al tempo in cui guariva i malati e pronunciava parole di perdono. “Egli perdona tutte le tue colpe, risana tutte le tue infermità”. Salmi 103:3. {GN 193.3}

A coloro che avevano assistito alla guarigione del paralitico era sembrato che il cielo si fosse aperto per rivelare la gloria di un mondo migliore. Mentre il miracolato passava tra la folla lodando Dio e portando il lettuccio, la gente intimorita si faceva largo e diceva: “Oggi abbiamo visto cose straordinarie”. {GN 194.1}

I farisei, muti di stupore e delusi per la sconfitta, si resero conto che non potevano eccitare gli animi contro Gesù. L’opera meravigliosa compiuta sull’uomo che essi avevano abbandonato alla collera di Dio, aveva impressionato così favorevolmente la folla che i rabbini per un po’ furono dimenticati. Si resero conto che Cristo aveva in sé un potere che essi attribuivano solo a Dio e che la sua affabilità era in netto contrasto con la loro superbia. Erano confusi e svergognati e riconobbero, pur senza confessarlo, di trovarsi di fronte a un essere superiore. Più era evidente che Gesù aveva il potere di perdonare i peccati, più essi si radicavano nella propria incredulità. Uscirono dalla casa di Pietro, dove il paralitico aveva recuperato la salute in virtù della parola di Cristo, decisi più che mai a macchinare nuovi intrighi per ridurre al silenzio il Figlio di Dio. {GN 194.2}

La potenza di Cristo guariva le malattie, le più gravi; ma la malattia spirituale si aggravava in coloro che avevano chiuso gli occhi alla luce. La lebbra e la paralisi non erano così terribili come il fanatismo e l’incredulità. Vi fu grande gioia nella casa del paralitico quand’egli tornò guarito portando agilmente sulle spalle il giaciglio su cui era stato lentamente trasportato poco prima. I suoi familiari gli si strinsero intorno con lacrime di gioia, quasi non credendo ai loro occhi. Egli stava davanti a loro nel pieno vigore. Le braccia prima inerti, ubbidivano ora prontamente alla volontà. La carne, raggrinzita e scura, era diventata fresca e rosea. Camminava con passo sicuro e svelto. Tutti i lineamenti del volto esprimevano gioia e speranza. Ai segni del peccato e della sofferenza era subentrata un’espressione di purezza e pace. Preghiere di ringraziamento si elevarono da quella casa, e Dio fu glorificato mediante suo Figlio che aveva restituito la fiducia al disperato e la forza all’esausto. Quest’uomo era pronto, insieme con la sua famiglia, a consacrare la propria vita a Gesù. Nessun dubbio turbava la loro fede, nessuna fiducia incrinava la loro fedeltà verso colui che aveva portato nuova luce in quel luogo tenebroso. {GN 194.3}



Capitolo 28: Levi Matteo

In Palestina i pubblicani erano le persone più odiate fra tutti gli ufficiali romani. Il fatto che un potere straniero imponesse le tasse irritava continuamente gli ebrei e ricordava loro la perdita dell’indipendenza. Coloro che raccoglievano le tasse non erano soltanto strumenti dell’oppressione romana, ma estorcevano anche del denaro per il loro proprio interesse e si arricchivano a spese del popolo. Un ebreo che accettava questo compito dai romani era considerato come un traditore della sua nazione. Era disprezzato come un apostata e considerato tra le persone più spregevoli della società. {GN 195.1}

A questa classe apparteneva Levi Matteo, che fu chiamato al servizio di Cristo subito dopo i quattro discepoli di Capernaum. I farisei giudicavano Matteo in base al suo lavoro, mentre Gesù vide in quell’uomo un cuore aperto alla verità. Matteo aveva ascoltato gli insegnamenti del Salvatore e, quando tramite lo Spirito di Dio prese coscienza delle sue colpe, cercò l’aiuto di Cristo. Era abituato all’esclusivismo dei rabbini e non sperava che quel grande Maestro si sarebbe occupato di lui. {GN 195.2}

Un giorno, mentre era seduto al banco della gabella, questo pubblicano vide Gesù che si avvicinava. Provò un grande stupore quando udì questa parola: “Seguimi”. Matteo “lasciata ogni cosa, si alzò e si mise a seguirlo”. Luca 5:28. Non vi furono né incertezza né dubbio, né il pensiero della posizione redditizia che stava scambiando con la povertà e la difficoltà. Per lui era sufficiente essere con Gesù, udire le sue parole e collaborare con la sua opera. {GN 195.3}

Così era accaduto ai discepoli che erano stati chiamati precedentemente. Quando Gesù disse a Pietro e ai suoi compagni di seguirlo, essi lasciarono subito barche e reti. Alcuni di quei discepoli avevano degli operai alle loro dipendenze; ma appena ricevettero l’invito del Salvatore non esitarono e non si chiesero come avrebbero fatto a vivere e a mantenere la loro famiglia. Quando Gesù disse loro: “Quando vi mandai senza borsa, senza sacca da viaggio e senza calzari, vi è forse mancato qualcosa?” Essi poterono rispondere: “Niente”. Luca 22:35. {GN 195.4}

A Matteo nella sua agiatezza, ad Andrea e a Pietro nella loro po vertà fu fatta la stessa richiesta e ognuno manifestò la medesima consacrazione. Nel momento del successo, quando le reti erano piene di pesci e i legami con la vecchia vita più forti, Gesù, lungo il mare, chiese ai discepoli di lasciare tutto per l’opera del Vangelo. Ogni persona viene messa alla prova per vedere se è più forte il desiderio dei beni terreni oppure quello di seguire Cristo. {GN 195.5}

La legge di Dio è sempre esigente. Nessun uomo può avere successo nel servizio di Dio se non pone nell’opera tutto il suo cuore e non considera tutte le altre cose come un impedimento per ottenere la conoscenza di Cristo. Nessun uomo, senza una consacrazione totale, può essere discepolo di Cristo e tanto meno suo collaboratore. Nella vita di chi apprezza la salvezza si noterà lo spirito di sacrificio che ha caratterizzato la vita di Gesù, ed egli sarà lieto di andare ovunque Cristo vorrà condurlo. {GN 196.1}

La chiamata rivolta a Matteo, perché diventasse discepolo di Cristo, fece sorgere una grande indignazione. Il fatto che un maestro religioso scegliesse come suo collaboratore un pubblicano, era considerata una grave offesa contro i costumi religiosi, sociali e nazionali. Facendo leva sui pregiudizi del popolo, i farisei speravano di volgere contro Gesù i sentimenti popolari. {GN 196.2}

Invece fra i pubblicani sorse un grande interesse. I loro cuori si volsero verso il divino Maestro. Nella gioia del suo nuovo discepolato, Matteo desiderava portare a Gesù i suoi ex colleghi. Perciò organizzò un banchetto nella sua casa e chiamò parenti e amici. Si trattava non solo di pubblicani ma anche di altre persone di dubbia reputazione, tenuti alla larga dai loro vicini più scrupolosi. {GN 196.3}

Il banchetto fu fatto in onore di Gesù il quale non esitò ad accettare quell’invito pur sapendo che il suo atto avrebbe offeso il partito dei farisei e lo avrebbe messo in cattiva luce agli occhi del popolo. Ma non permise che nessuna considerazione di carattere diplomatico influisse sulla sua condotta. Per lui non avevano alcun peso le distinzioni esteriori. Chi si rivolgeva a lui era un’anima assetata dell’acqua della vita. {GN 196.4}

Gesù si sedette come ospite onorato alla tavola dei pubblicani. Mostrò con la simpatia e la gentilezza il suo rispetto per la dignità della persona umana. Gli uomini desideravano diventare degni della sua fiducia. Nei loro cuori assetati le sue parole si trasformarono in benedizioni capaci di apportare una potenza di vita. Si risvegliarono nuove energie, e la possibilità di una nuova vita si schiuse anche a quegli uomini che erano ai margini della società. {GN 196.5}

Molte persone, intervenute a quel banchetto, rimasero impres sionate dagli insegnamenti del Salvatore, anche se lo riconobbero solo dopo la sua ascensione. Quando lo Spirito Santo fu sparso e tremila persone si convertirono in un giorno, molte avevano udito per la prima volta la verità alla tavola dei pubblicani e alcune divennero messaggere del Vangelo. Per Matteo stesso, l’esempio di Gesù al banchetto fu una lezione costante. Il pubblicano disprezzato divenne uno dei collaboratori più devoti e nel suo ministero seguì da vicino i passi del Maestro. {GN 196.6}

Quando i rabbini vennero a sapere della presenza di Gesù alla festa di Matteo, colsero quell’occasione per accusarlo, e lo fecero tramite i discepoli. Facendo leva sui loro pregiudizi, speravano di allontanarli dal Maestro. La loro politica consisteva nell’accusare Cristo davanti ai discepoli e i discepoli davanti a Cristo. Puntavano le loro frecce dove speravano di colpire più facilmente. In questo modo ha operato Satana fin da quando si è allontanato dal cielo e così hanno agito anche tutti coloro che cercano di provocare discordie e divisioni. {GN 197.1}

“Perché il vostro maestro mangia con i pubblicani e con i peccatori?” Matteo 9:11. Era questa la domanda dei rabbini invidiosi. {GN 197.2}

Gesù non attese che i suoi discepoli rispondessero all’accusa, ma disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Ora andate e imparate che cosa significhi: Voglio misericordia, e non sacrifizio; poiché io non son venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori”. Versetti 12, 13. I farisei pretendevano di essere spiritualmente sani e quindi di non aver bisogno del medico, mentre consideravano i pubblicani e i gentili come persone che soffrivano per malattie spirituali. Non era quindi il suo lavoro, come medico, rivolgersi a coloro che avevano bisogno del suo aiuto? {GN 197.3}

Nonostante i farisei avessero una così alta opinione di se stessi, in realtà si trovavano in una condizione peggiore di quella dei pubblicani e dei gentili. I pubblicani erano meno fanatici e orgogliosi, più aperti all’azione della verità. Gesù disse ai rabbini: “Or andate e imparate che cosa significhi: Voglio misericordia, e non sacrifizio”. Mostrava così che essi, mentre pretendevano di spiegare la Parola di Dio, in realtà non ne avevano affatto compreso lo spirito. {GN 197.4}

I farisei tacquero per il momento, ma diventarono più decisi nella loro ostilità. Cercarono i discepoli di Giovanni il battista e tentarono di istigarli contro il Salvatore. Questi farisei non avevano accettato la missione del Battista; si erano beffati della sua vita frugale, delle sue abitudini semplici, dei suoi abiti ruvidi e lo avevano considerato un fanatico. Siccome aveva condannato la loro ipocrisia, si erano oppo sti alle sue parole e gli avevano sollevato contro il popolo. Lo Spirito del Signore aveva agito sui cuori di questi schernitori convincendoli di peccato; ma essi avevano respinto il consiglio di Dio e avevano affermato che Giovanni era posseduto da un demone. {GN 197.5}

Quando poi Gesù si unì alla gente comune mangiando e bevendo alle loro tavole, allora lo accusarono di essere un goloso e un ubriacone. Proprio loro che lo accusavano commettevano quelle colpe. Come il carattere di Dio è travisato e rivestito da Satana dei suoi stessi attributi, così i messaggeri del Signore venivano fraintesi da quegli uomini malvagi. {GN 198.1}

I farisei non volevano ammettere che Gesù mangiava con i pubblicani e con i peccatori per trasmettere la luce del cielo a coloro che vivevano nelle tenebre. Non volevano rendersi conto del fatto che ogni parola pronunciata dal divino Maestro era un seme che avrebbe potuto portare frutto alla gloria di Dio. Erano decisi a non accettare il messaggio di Cristo e, sebbene si fossero opposti alla missione di Giovanni il battista, ora volevano conquistare l’amicizia dei suoi discepoli per avere la loro collaborazione contro Gesù. Si resero conto che Gesù stava distruggendo le antiche tradizioni, perciò confrontarono l’austera pietà del Battista con il modo di fare di Gesù che partecipava alle feste con i pubblicani e con i peccatori. {GN 198.2}

I discepoli di Giovanni attraversavano un periodo difficile. Non avevano ancora trasmesso a Gesù il messaggio di Giovanni. Il loro amato maestro si trovava in prigione e ne erano addolorati. Gesù non faceva nulla per liberare Giovanni, anzi sembrava che addirittura gettasse discredito sui suoi insegnamenti. Se Giovanni era stato inviato da Dio, perché Gesù e i suoi discepoli si comportavano in modo così diverso? {GN 198.3}

I discepoli di Giovanni non avevano una chiara conoscenza dell’opera di Cristo, perciò pensarono che le accuse dei farisei avessero un fondamento. Essi osservavano molte delle regole prescritte dai rabbini e speravano persino di essere giustificati con le opere della legge. Gli ebrei praticavano il digiuno come un atto meritorio e i più rigidi fra loro digiunavano due giorni alla settimana. I farisei e i discepoli di Giovanni stavano digiunando, quando questi ultimi vennero da Gesù e gli chiesero: “Perché noi e ifarisei digiuniamo, e i tuoi discepoli non digiunano?” Versetto 14. {GN 198.4}

Gesù rispose loro con molta dolcezza. Non volle correggere la loro concezione del digiuno ma spiegare solo la sua missione. Lo fece usando la stessa immagine che il Battista aveva utilizzato nella sua testimonianza di Gesù. Giovanni aveva detto: “Colui che ha la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, si rallegra grandemente alla voce dello sposo; questa gioia, che è la mia, è ora completa”. Giovanni 3:29. I discepoli di Giovanni ricordarono queste parole del loro maestro quando Gesù, riprendendo quell’immagine, disse: “Possono gli amici dello sposo far cordoglio finché lo sposo è con loro?” Matteo 9:15. {GN 198.5}

Il Principe del cielo era in mezzo al suo popolo. Dio aveva offerto al mondo il dono più grande. Cristo era venuto per offrire ai poveri la gioia dell’eredità del suo regno. Era venuto per insegnare ai ricchi come acquistare la gioia delle ricchezze eterne, per offrire agli ignoranti la gioia della saggezza che porta alla salvezza e ai colti la conoscenza dei più profondi misteri mai sondati prima. Le verità nascoste sin dalla fondazione del mondo sarebbero state rivelate agli uomini dalla missione del Salvatore. {GN 199.1}

Giovanni il battista si era rallegrato nel contemplare il Salvatore. Ma i discepoli che potevano camminare e parlare con la Maestà del cielo, provavano una gioia ancora maggiore. Non era quello il tempo del lutto e del digiuno. Essi dovevano aprire i loro cuori per ricevere la luce della sua gloria affinché risplendesse su coloro che vivevano nelle tenebre dell’ombra della morte. {GN 199.2}

Le parole di Cristo delineavano una situazione radiosa ma lasciavano intravedere un’ombra oscura che soltanto i suoi occhi potevano distinguere. “Ma verranno i giorni che lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno”. Versetto 15. Quando il loro Signore sarebbe stato oltraggiato e crocifisso, allora i discepoli avrebbero pianto e digiunato. Nel suo ultimo discorso nella camera alta, disse: “Vi domandate voi l’un l’altro che significhi quel mio dire: Fra poco non mi vedrete più, e fra un altro poco mi vedrete?. In verità, in verità vi dico che voi piangerete e farete cordoglio, e il mondo si rallegrerà. Voi sarete contristati, ma la vostra tristezza sarà mutata in letizia”. Giovanni 16:19, 20. {GN 199.3}

Quando Cristo sarebbe uscito dalla tomba, la loro tristezza si sarebbe trasformata in gioia. Dopo l’ascensione egli sarebbe stato assente di persona ma presente attraverso il Consolatore, ed essi non avrebbero dovuto piangere. Satana, invece, lo voleva. Voleva che dessero al mondo l’impressione di essere stati ingannati. Ma per fede i suoi discepoli dovevano contemplare il santuario del cielo dove Cristo officiava per loro; dovevano aprire i loro cuori allo Spirito Santo e rallegrarsi alla luce della sua presenza. Giorni di prova e tentazione sarebbero sopraggiunti al momento del conflitto con i capi di questo mondo e con quelli del regno delle tenebre. {GN 199.4}

Quando Cristo non sarebbe stato più in mezzo a loro, ed essi non avrebbero scorto il Consolatore, allora sarebbe stato utile digiunare. {GN 199.5}

I farisei si vantavano della loro rigorosa osservanza delle forme, mentre i loro cuori erano pieni di invidia e animosità. Le Scritture dicono: “Ecco, voi digiunate per litigare, per fare discussioni, e colpite con pugno malvagio; oggi, voi non digiunate in modo da far ascoltare la vostra voce in alto. E forse questo il digiuno di cui mi compiaccio, il giorno in cui l’uomo si umilia? Curvare la testa come un giunco, sdraiarsi sul sacco e sulla cenere, è dunque questo ciò che chiami digiuno, giorno gradito al Signore?” Isaia 58:4, 5. {GN 200.1}

II vero digiuno non consiste in un servizio formale. Le Scritture spiegano in che cosa consiste il digiuno che il Signore approva: “Il digiuno di cui mi compiaccio non è egli questo: che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi, e che s’infranga ogni sorta di giogo?” Versetto 6. Qui è indicato il vero spirito e il vero carattere dell’opera di Cristo. Tutta la sua vita è stata un sacrificio per la salvezza del mondo. Quando digiunava nel deserto della tentazione e quando mangiava con i pubblicani al banchetto di Matteo, offriva la sua vita per la salvezza dei peccatori. Il vero spirito della pietà si manifesta non in un pianto sterile, non nell’umiliazione fisica, non nel susseguirsi dei sacrifici, ma nella consacrazione a un servizio efficace per il Signore e per gli uomini. {GN 200.2}

Gesù continuò a rispondere ai discepoli di Giovanni servendosi di una similitudine. “Nessuno mette un pezzo di stoffa nuova sopra un vestito vecchio; perché quella toppa porta via qualcosa dal vestito e lo strappo si fa peggiore”. Matteo 9:16. Non si dovevano mescolare al messaggio di Giovanni il battista tradizioni o superstizioni. Il tentativo di mescolare le pretese dei farisei con la pietà di Giovanni avrebbe soltanto messo in maggiore evidenza la loro frattura. {GN 200.3}

I princìpi dell’insegnamento di Cristo non si potevano neppure unire con le forme dei farisei. Cristo non era venuto per riparare le brecce prodotte dall’insegnamento di Giovanni; egli avrebbe addirittura reso più evidente la separazione fra il vecchio e il nuovo. Gesù illustrò ancora questa verità dicendo: “Neppur si mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti gli otri scoppiano, il vino si spande e gli otri si perdono”. Versetto 17. Gli otri di pelle che venivano usati per il vino nuovo, dopo un po’ di tempo diventavano secchi e fragili e non si potevano più usare per lo stesso scopo. Con questa immagine Gesù illustrò la condizione dei capi del popolo. I sacerdoti, gli scribi e i capi si erano irrigiditi in una serie di cerimonie e tradizioni. I loro cuori si erano induriti come gli otri asciutti ai quali li aveva paragonati. Essendo soddisfatti di una religione formale, per loro era impossibi le ricevere la verità del cielo. Erano soddisfatti della propria giustizia e non desideravano che nessun elemento nuovo penetrasse nella loro religione. Non consideravano come un dono la benevolenza di Dio ma piuttosto come una conquista delle loro buone opere. La fede che opera mediante l’amore e purifica lo spirito non poteva accordarsi con la religione dei farisei, fatta di cerimonie e ordinamenti umani. Il tentativo di conciliare gli insegnamenti di Gesù con la loro religione era inutile. La verità vitale di Dio, simile a un vino in fermentazione, avrebbe lacerato il vecchio, mandando in rovina gli otri della tradizione farisaica. {GN 200.4}

I farisei si consideravano troppo saggi per aver bisogno di consigli, troppo giusti per aver bisogno di salvezza, troppo onorati per aver bisogno dell’onore che viene da Cristo. Il Salvatore si allontanò da loro per cercare altri che avrebbero ascoltato il messaggio del cielo. Nei pescatori ignoranti, nei pubblicani del mercato, nella donna di Samaria, nella gente comune pronta ad ascoltarlo, avrebbe trovato otri nuovi per il vino nuovo. Per l’opera del Vangelo ci si può servire solo di quegli uomini che ricevono volentieri la luce che Dio offre loro. Sono gli strumenti incaricati di diffondere al mondo la conoscenza della verità. Se acconsentono a trasformarsi, mediante la sua grazia, in otri nuovi, egli li riempirà di vino nuovo. {GN 201.1}

L’insegnamento di Cristo, benché rappresentato dal vino nuovo, non era una nuova dottrina ma piuttosto la rivelazione di ciò che era stato insegnato fin dal principio. Ma per i farisei la verità di Dio aveva perso il suo significato e la sua bellezza originali. Per loro l’insegnamento di Cristo era nuovo in quasi tutti i suoi aspetti e non lo riconobbero e non lo confessarono. {GN 201.2}

Gesù fece notare che gli insegnamenti sbagliati distruggono ogni desiderio di verità. “E nessuno che abbia bevuto vino vecchio, ne desidera del nuovo, perché dice: Il vecchio è buono”. Luca 5:38. Tutta la verità che è stata data al mondo mediante i patriarchi e i profeti rifulge di una nuova bellezza nelle parole di Cristo. Ma gli scribi e i farisei non sentivano il desiderio di quel prezioso vino nuovo. Essendo pieni delle vecchie tradizioni e delle vecchie abitudini, non c’era posto nella loro mente e nel loro cuore per le parole di Gesù. Si aggrapparono alle forme morte e si allontanarono dalla verità vivente e dalla potenza di Dio. {GN 201.3}

Questo provocò la rovina degli ebrei, e oggi può produrre la rovina di molti uomini e donne. Migliaia di persone oggi ripetono gli stessi errori dei farisei che condannarono Cristo al banchetto di Matteo. Molti, piuttosto di rinunciare a idee a cui sono affezionati o ab bandonare alcune opinioni idolatriche, rifiutano di accettare la verità che viene dal Padre della luce. Essi confidano in se stessi, nella loro saggezza e non si rendono conto della loro povertà spirituale. Insistono nel voler essere salvati compiendo alcune opere importanti. Quando si accorgono di non poter affermare il proprio io, allora rigettano la salvezza che viene offerta loro. {GN 201.4}

Una religione legalistica non può mai condurre persone a Cristo; è una religione priva di amore. Il digiuno e la preghiera di chi è pieno di se stesso rappresentano un’abominazione agli occhi del Signore. L’assemblea solenne di adorazione, l’insieme delle cerimonie sacre, l’umiliazione esteriore e i sacrifici proclamano che colui che fa queste cose si considera giusto e adatto al cielo: ma è tutta un’illusione. Le nostre opere non possono acquistarci la salvezza. {GN 202.1}

Come ai tempi di Cristo è così anche oggi. I farisei non conoscono la loro povertà spirituale. A loro si rivolge il seguente messaggio: “Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, e non ho bisogno di niente!, Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo. Perciò io ti consiglio di comperare da me dell’oro purificato dal fuoco, per arricchirti; e delle vesti bianche, per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità”. Apocalisse 3:17, 18. La fede e l’amore sono come l’oro affinato nel fuoco. Ma per molti quell’oro è diventato oscuro e quel ricco tesoro è stato perso. La giustizia di Cristo è per loro una veste non indossata, una fonte a cui non attingono. Ad essi viene detto: “Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi”. Apocalisse 2:4, 5. {GN 202.2}

“Sacrificio gradito a Dio è uno spirito afflitto; tu, Dio, non disprezzi un cuore abbattuto e umiliato”. Salmi 51:17. Per poter diventare un credente in Gesù, l’uomo deve liberarsi del proprio io. Soltanto allora il Signore può farne una nuova creatura. Gli otri possono contenere del vino nuovo. L’amore di Cristo animerà il credente di una nuova vita. Il carattere di Cristo si manifesterà in chi assomiglia a colui che suscita e sostiene la nostra fede. {GN 202.3}

Capitolo 29: Il sabato

Il sabato è stato dichiarato sacro al momento della creazione. Le sue origini risalgono a “quando le stelle del mattino cantavano tutte assieme e tutti i figli di Dio alzavano in gridi di gioia”. Giobbe 38:7. La pace regnava nel mondo e la terra era in armonia con il cielo. “Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono” (Genesi 1:31) e si riposò rallegrandosi per l’opera compiuta. {GN 203.1}

Essendosi riposato il sabato, “Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò” (Genesi 2:3), cioè lo mise a parte per un uso sacro. Lo diede poi ad Adamo come giorno di riposo. Era un ricordo della creazione, un segno della potenza e dell’amore di Dio. Le Scritture affermano: “Ha lasciato il ricordo dei suoi prodigi”; “le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo, essendo percepite per mezzo delle opere sue”. Salmi 111:4; Romani 1:20. {GN 203.2}

Tutte le cose sono state create dal figlio di Dio. “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio... Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta”. Giovanni 1:1, 3. Il sabato, essendo il memoriale della creazione, è un segno dell’amore e della potenza di Cristo. {GN 203.3}

Il sabato ci fa pensare alla natura e ci mette in comunione con il Creatore. Nel canto degli uccelli, nello stormire delle fronde, nel mormorio del mare, noi possiamo ancora udire la voce di colui che all’imbrunire si intratteneva con Adamo nell’Eden. Contemplando la sua potenza nella natura troviamo conforto, perché la Parola che ha creato tutte le cose pronuncia parole di vita per il nostro spirito. “Dio che disse: Splenda la luce fra le tenebre, è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo”. 2 Corinzi 4:6. {GN 203.4}

Questo stesso pensiero ha ispirato questo canto: “Poiché tu m’hai rallegrato con le tue meraviglie, o Signore; io canto di gioia le opere delle tue mani. Come son grandi le tue opere, o Signore! Come sono profondi i tuoi pensieri”. Salmi 92:4, 5. {GN 203.5}

Lo Spirito Santo dichiara tramite il profeta Isaia: “A chi vorreste assomigliare Dio? Con quale immagine lo rappresentereste?. Ma non lo sapete? Non l’avete sentito? Non v’è stato annunziato fin dal principio? Non avete riflettuto sulla fondazione della terra? Egli è assiso sulla volta della terra, da lì gli abitanti appaiono come cavallette; egli distende i cieli come una cortina e li spiega come una tenda per abitarvi. A chi dunque mi vorreste assomigliare, a chi sarei io uguale? Dice il Santo. Levate gli occhi in alto e guardate: Chi ha creato queste cose? Egli le fa uscire e conta il loro esercito, le chiama tutte per nome; per la grandezza del suo potere e per la potenza della sua forza, non una manca. Perché dici tu, Giacobbe, e perché parli così, Israele: La mia via è occulta al Signore e al mio diritto non bada il mio Dio? Non lo sai tu? Non l’hai mai udito? Il Signore è Dio eterno, il creatore degli estremi confini della terra; egli non si affatica e non si stanca; la sua intelligenza è imperscrutabile. Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato”. “Tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia”; “Volgetevi a me e siate salvati, voi tutte le estremità della terra! Poiché io sono Dio, e non ce nè alcun altro”. Isaia 40:18-29; 41:10; 45:22. Questo è il messaggio che Dio ha scritto nella natura e che il sabato ci ricorda. Quando il Signore ordinò a Israele di santificare i suoi sabati, disse: “Siano essi un segno fra me e voi, dal quale si conosca che io sono il Signore, il vostro Dio”. Ezechiele 20:20. {GN 203.6}

Il sabato faceva parte della legge promulgata sul Sinai, ma era già conosciuto come giorno di riposo. Il popolo d’Israele lo conosceva e lo osservava ancora prima di quella promulgazione. A chi lo profanava, il Signore rivolgeva questo rimprovero: “Fino a quando rifiuterete di osservare i miei comandamenti e le mie leggi?” Esodo 16:28. {GN 204.1}

Il sabato non era stato dato solo a Israele, ma a tutti gli uomini. È stato stabilito in Eden e la sua osservanza ha una validità eterna come quella degli altri precetti del Decalogo. Parlando della legge di cui fa parte il quarto comandamento, Cristo ha detto: “Finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà”. Matteo 5:18. Finché dureranno i cieli e la terra, il sabato resterà un segno della potenza del Creatore. Quando l’Eden sarà ristabilito su questa terra, il santo giorno di riposo di Dio verrà onorato da tutti. “Avverrà che. di novilunio in novilunio e di sabato in sabato, ogni carne verrà a prostrarsi davanti a me, dice il Signore”. Isaia 66:23. {GN 204.2}

Fra le istituzioni accordate agli ebrei, nessuna più del sabato li distingueva dai popoli vicini. Dio voleva che questa osservanza li facesse riconoscere come suoi adoratori, come segno di allontana mento dall’idolatria e comunione con il vero Dio. Ma per osservare il sabato gli uomini devono essere santi. Occorre che, mediante la fede, diventino partecipi della giustizia di Cristo. Quando il Signore dette a Israele il comandamento “Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo”, gli disse anche: “Voi sarete degli uomini santi”. Esodo 20:8; 22:31. In tal modo il sabato distingueva gli israeliti come adoratori di Dio. {GN 204.3}

Quando gli ebrei si allontanarono da Dio, e trascurarono di far propria la giustizia di Cristo mediante la fede, il sabato assunse ai loro occhi il suo vero significato. Satana, che cercava di innalzare se stesso e allontanare gli uomini da Cristo, cercò di snaturare il significato del sabato perché esso è il segno della potenza di Cristo. I capi del popolo d’Israele collaboravano con Satana quando appesantivano il giorno del riposo con prescrizioni gravose. Al tempo di Cristo il significato del sabato era stato così alterato che la sua osservanza manifestava l’egoismo e l’autoritarietà degli uomini invece che l’amore del Padre. I rabbini con il loro insegnamento presentavano un Dio che imponeva leggi troppo dure per essere osservate. Così si pensava che il Signore fosse un tiranno e che l’osservanza del sabato rendesse gli uomini duri e crudeli. Cristo volle correggere queste concezioni errate. Benché perseguitato continuamente dai rabbini, non si conformò neppure apparentemente alle loro richieste, ma osservò il sabato secondo la legge di Dio. {GN 205.1}

Un sabato, tornando dal luogo di adorazione, il Salvatore e i suoi discepoli passarono attraverso un campo di grano maturo. Gesù aveva parlato al popolo fino a tardi e i discepoli raccolsero delle spighe e ne mangiarono i chicchi. Questo atto, se compiuto in qualsiasi altro giorno, sarebbe passato inosservato perché tutti per sfamarsi potevano mangiare i frutti del campo in cui passavano. Cfr. Deuteronomio 23:24, 25. Ma un atto simile, in giorno di sabato, era considerato una profanazione. Raccogliere spighe e sfregarle tra le mani equivaleva alle operazioni della mietitura e della trebbiatura. Secondo i rabbini c’era quindi una duplice trasgressione. {GN 205.2}

Coloro che spiavano Gesù gli espressero subito la propria disapprovazione. “Vedi! I tuoi discepoli fanno quel che non è lecito fare in giorno di sabato”. Matteo 12:2. {GN 205.3}

Quando a Betesda fu accusato di aver trasgredito il sabato, Gesù si difese proclamando la sua natura divina e dicendo che operava in armonia con il Padre. Questa volta, essendo stati accusati i discepoli, Gesù citò ai suoi accusatori degli esempi tratti dall’Antico Testamento. Si trattava di azioni compiute in giorno di sabato da persone che erano al servizio di Dio. {GN 205.4}

I maestri ebrei si vantavano della loro conoscenza delle Scritture, ma la risposta del Salvatore conteneva un implicito rimprovero per quelle Scritture che essi non ricordavano. “Non avete letto quello che fece Davide, quando ebbe fame, egli insieme a coloro che erano con lui? Come egli entrò nella casa di Dio e come mangiarono i pani di presentazione che non era lecito mangiare né a lui, né a quelli che erano con lui, ma solamente ai sacerdoti?” Matteo 12:3, 4. “Poi disse loro: Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”. Marco 2:27. “O non avete letto nella legge che ogni sabato i sacerdoti nel tempio violano il sabato e non ne sono colpevoli? Ora io vi dico che c’è qui qualcosa di più grande del tempio”. Matteo 12:5, 6. “Il Figlio dell’uomo è Signore del sabato”. Luca 6:5. {GN 206.1}

Se Davide poteva sfamarsi mangiando i pani riservati a un uso sacro, anche i discepoli potevano provvedere alle proprie necessità sradicando delle spighe durante le ore sacre del giorno di sabato. Inoltre, i sacerdoti in giorno di sabato svolgevano nel tempio un’attività più intensa che negli altri giorni. Quel lavoro non sarebbe stato lecito se si fosse trattato di affari personali; ma essi, al servizio di Dio, celebravano quei riti che rappresentavano la redenzione di Cristo e il loro lavoro era in armonia con il fine per cui il sabato era stato stabilito. Ma ora Cristo stesso era venuto. I suoi discepoli erano al servizio di Dio e potevano svolgere anche in giorno di sabato tutto ciò che quel servizio richiedeva. {GN 206.2}

Gesù voleva insegnare ai discepoli e ai suoi accusatori che il servizio per il Signore deve sempre avere il primo posto. L’obiettivo che Dio si pone è la redenzione dell’uomo. Ciò che si fa in giorno di sabato per il raggiungimento di quel fine è in accordo con la legge di Dio. Gesù completò poi la sua argomentazione presentandosi come “Signore del sabato”, al di sopra di ogni polemica e di ogni legge. Questo Giudice supremo assolve i discepoli in nome di quella stessa legge che essi, secondo l’accusa, avrebbero trasgredito. {GN 206.3}

Gesù non si lasciò sfuggire l’occasione per rivolgere un rimprovero ai suoi nemici. Disse che nella loro cecità avevano frainteso lo scopo del sabato: “Se sapeste che cosa significa: Voglio misericordia e non sacrifizio, non avreste condannato gli innocenti”. Matteo 12:7. I riti, privati del loro vero significato, non potevano sostituire la sincerità e il tenero amore dei veri adoratori di Dio. {GN 206.4}

Cristo ripeté che i sacrifici erano in se stessi privi di valore. Erano un mezzo e non un fine. Il loro scopo era condurre gli uomini al Salvatore e riconciliarli così con Dio. Dio apprezza un servizio d’amore; se manca, le cerimonie vuote non possono che offenderlo. Lo stesso accade per il sabato. Esso è destinato ad avvicinare l’uomo a Dio, ma questo scopo non viene raggiunto quando la mente è occupata da riti vuoti. Un’osservanza puramente esteriore non è altro che ipocrisia. {GN 206.5}

In un altro sabato Gesù, entrando nella sinagoga, vide un uomo con una mano secca. I farisei lo osservavano per vedere che cosa avrebbe fatto. Gesù sapeva che se avesse guarito quell’uomo lo avrebbero considerato come un trasgressore del sabato. Ma non esitò ad abbattere il muro di tradizioni con cui era stato soffocato quel comandamento. Invitò l’infelice ad avvicinarsi e poi chiese: “E permesso, in giorno di sabato, fare del bene o fare del male? Salvare una persona o ucciderla?” Marco 3:4. Gli israeliti ritenevano che il non fare il bene quando se ne presentava l’occasione equivalesse a fare il male, e trascurare di salvare una vita equivalesse a uccidere. Gesù si mise nell’ordine di idee dei rabbini. “Ma quelli tacevano. Allora Gesù, guardatili tutt’intorno con indignazione, contristato per l’induramento del cuor loro, disse all’uomo: Stendi la mano! Egli la stese, e la sua mano tornò sana”. Versetti 4, 5. {GN 207.1}

Quando fu chiesto a Gesù: “E lecito far guarigioni in giorno di sabato?” egli rispose: “Chi è colui tra di voi che, avendo una pecora, se questa cade in giorno di sabato in una fossa, non la prenda e la tiri fuori? Certo un uomo vale più d’una pecora! E dunque lecito far del bene in giorno di sabato”. Matteo 12:10-12. {GN 207.2}

Quelle spie non osarono rispondere a Cristo davanti alla folla, per paura di trovarsi in difficoltà. Ma si resero conto che aveva detto la verità. Piuttosto che violare le loro tradizioni preferivano che un uomo continuasse a soffrire, ma soccorrevano un animale per non subire una perdita economica. Avevano più cura di una bestia che di un uomo creato all’immagine di Dio. Questo atteggiamento è tipico delle false religioni che si fondano sul desiderio dell’uomo di innalzarsi al di sopra di Dio, ma che portano alla degradazione dell’uomo. {GN 207.3}

Ogni religione in lotta contro la sovranità di Dio priva l’uomo della gloria che possedeva alla creazione e che gli viene restituita in Cristo. Ogni falsa religione insegna ai suoi seguaci a non curarsi delle necessità, delle sofferenze e dei diritti dell’uomo. Il Vangelo, invece, attribuisce un valore immenso all’uomo riscattato dal sangue di Cristo e insegna ad avere una tenera considerazione per le sue necessità. {GN 207.4}

Quando Gesù chiese ai farisei se fosse lecito in giorno di sabato fare bene o male, salvare o uccidere, li mise di fronte alle loro intenzioni malvagie. Con odio feroce essi attentavano alla sua vita mentr’egli guariva e offriva felicità alla folla. Era meglio uccidere in giorno di sabato come essi meditavano di fare, o piuttosto guarire gli afflitti come egli stesso aveva fatto? Era più giusto covare il delitto nel cuore durante il santo giorno di Dio, o piuttosto sentire per tutti gli uomini quell’amore che si esprime in azioni di misericordia? {GN 207.5}

Guarendo l’uomo dalla mano secca Gesù condannò la tradizione degli ebrei e dichiarò la validità del quarto comandamento, dato da Dio. Disse: “È dunque lecito di far del bene in giorno di sabato”. Eliminò le inutili restrizioni inventate dagli ebrei e onorò il sabato, diversamente dai suoi accusatori che lo profanavano. {GN 208.1}

Coloro che pensano che Gesù abbia abolito la legge dicono che ha trasgredito il sabato e ha giustificato i discepoli per averlo fatto. Affermando questo, essi assumono lo stesso atteggiamento dei calunniatori di Gesù e si mettono in contraddizione con colui che ha dichiarato: “Io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore”. Giovanni 15:10. Né Gesù né i suoi discepoli hanno violato il sabato. Cristo era il rappresentante vivente della legge e non ne trasgredì mai i santi precetti. Rivolgendosi a una nazione di accusatori in cerca di un’occasione di condanna, poteva lanciare questa sfida: “Chi di voi mi convince di peccato?” Giovanni 8:46. {GN 208.2}

Il Salvatore non è venuto per abolire ciò che i patriarchi e i profeti avevano insegnato, poiché egli stesso aveva parlato attraverso la loro voce. Tutte le verità della Parola di Dio procedono da lui. Ma quelle pietre preziose erano state poste in falsi scrigni. La loro luce preziosa era stata messa al servizio dell’errore. Dio voleva che fosse ricollocata negli scrigni della verità, e solo Dio poteva farlo. La verità era stata mescolata con l’errore e strumentalizzata dal nemico di Dio e dell’uomo. Cristo era venuto per ridare alla verità lo spazio necessario per glorificare Dio e salvare l’umanità. {GN 208.3}

“Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”. Marco 2:27. Con questa dichiarazione Gesù ha voluto dire che le istituzioni di Dio hanno come scopo il bene dell’uomo. “Tutto questo infatti avviene per voi”. 2 Corinzi 4:15. “Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, le cose presenti, le cose future, tutto è vostro! E voi siete di Cristo; e Cristo è di Dio”. 1 Corinzi 3:22, 23. Il Decalogo, di cui fa parte il sabato, è stato dato da Dio come benedizione. “Il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi e di temenre il Signore, il nostro Dio, affinché venissse a voi del bene sempre ed egli ci conservasse in vita”. Deuteronomio 6:24. Mediante il salmista fu dato a Israele il seguente messaggio: “Servite il Signore con letizia, presentatevi gioiosi a lui! Riconoscete che il Signore è Dio; è lui che ci ha fatti, e noi siam suoi; siamo suo popolo e gregge di cui egli ha cura. Entrate nelle sue porte con ringraziamento, e nei suoi cortili con lode”. Salmi 100:2-4. A tutti coloro che osservano il sabato, il Signore ha fatto questa promessa: “Io li condurrò sul mio monte santo e li rallegrerò nella mia casa di preghiera”. Isaia 56:7. {GN 208.4}

“Perciò il Figlio dell’uomo è Signore anche del sabato”. Marco 2:28. Queste parole contengono un insegnamento e un motivo di conforto. Il sabato è il giorno del Signore perché è stato fatto per l’uomo. Esso appartiene a Cristo, alla sua Parola. Infatti “Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta”. Giovanni 1:3. Avendo fatto ogni cosa, egli ha anche stabilito il sabato. Lo ha dato come memoriale della creazione, memoriale che lo designa come colui che ha creato e che santifica. Esso dichiara inoltre che colui che ha creato tutte le cose e che le sostiene è anche il capo della chiesa e che mediante il suo potere noi siamo riconciliati con Dio. Parlando d’Israele, egli dice: “A loro diedi anche i miei sabati perché servissero di segno tra me e loro, perché conoscessero che io sono il Signore che li santifico”. Ezechiele 20:12. Il sabato è dunque il segno della potenza di Cristo la quale ci può rendere santi. Esso è dato a tutti quelli che Cristo santifica. Come segno del suo potere di santificazione, il sabato è dato a tutti quelli che attraverso Cristo entrano a far parte dell’Israele di Dio. {GN 209.1}

Il Signore dice: “Se tu trattieni il piede dal violare il sabato, facendo i tuoi affari nel mio santo giorno; se chiami il sabato una delizia, e venerabile ciò ch’è sacro al Signore... allora troverai la tua delizia nel Signore”. Isaia 58:13, 14. {GN 209.2}

Il sabato sarà una delizia per tutti coloro che lo accetteranno come segno della potenza creatrice e redentrice di Cristo. Sapendo che Cristo lo ha stabilito, si rallegreranno in lui. Il sabato testimonia della sua potenza nella creazione e nella redenzione. Ricordando la pace dell’Eden perduto, esso fa pensare alla pace ristabilita per mezzo del Salvatore. Tutto il creato ripete il suo invito: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo”. Matteo 11:28. {GN 209.3}



Capitolo 30: La scelta dei dodici

“Poi Gesù salì sul monte e chiamò a sé quelli che egli volle, ed ess andarono da lui. Ne costituì dodici per tenerli con sé e per mandarli a predicare”. Marco 3:13-15. A poca distanza dal mar di Galilea, sotto gli al beri del monte, Gesù chiamò i dodici all’apostolato e pronunciò il suo discorso sulla montagna. Gesù amava i campi e le colline, e molti de suoi insegnamenti furono impartiti all’aperto invece che nel tempio o nella sinagoga. Nessuna sinagoga avrebbe potuto contenere le folle che lo seguivano; ma Gesù preferiva insegnare nei campi soprattutto perché amava la natura. Ogni luogo tranquillo e appartato era per lu un tempio sacro. {GN 210.1}

I primi abitanti della terra ebbero il loro santuario sotto gli alber dell’Eden e là comunicavano con Cristo. Quando furono banditi dall’Eden i nostri progenitori continuarono ad adorare nei campi e ne boschi dove Cristo rivolgeva loro le sue parole di grazia. Fu Cristo a parlare con Abramo sotto le querce di Mamre, con Isacco quando si recava la sera nei campi a pregare, con Giacobbe sulle colline d Bethel, con Mosè sui monti di Madian, con il giovane Davide mentre pascolava il gregge. Su ordine di Cristo, per ben quindici secoli, gl ebrei lasciavano le loro case una settimana ogni anno e abitavano in capanne costruite con rami verdi “di palma, rami di mirto e rami d salici di torrente”. Levitico 23:40. {GN 210.2}

Gesù volle formare i suoi discepoli lontano dalla città, nella quiete dei campi e delle colline, in armonia con le lezioni di abnegazione che voleva insegnare loro. Durante il suo ministero gli piaceva raccogliere la gente, sotto il cielo azzurro, su una collina erbosa o sulla riva de lago. Circondato dalle opere della creazione, volgeva l’attenzione de suoi uditori dalle cose artificiali degli uomini a quelle della natura del suo sviluppo in cui erano illustrati i princìpi del suo regno. Se anche oggi gli uomini alzassero i loro occhi verso le colline di Dio e contemplassero le opere meravigliose delle sue mani, potrebbero conoscere meglio le verità divine. Le realtà della natura ripeterebbero loro gli insegnamenti di Gesù. Questa è l’esperienza che fanno tutti coloro che si guardano intorno con Cristo nel cuore. Si sentono avvolti da una santa atmosfera. I fenomeni della natura sono legati con le parabole del Signore e ne ricordano gli insegnamenti. Nella natura, attraverso la comunione con Dio, la mente si eleva e il cuore trova pace. {GN 210.3}

Era tempo di gettare le basi della chiesa che dopo la partenza di Gesù lo avrebbe rappresentato sulla terra. Nessun santuario era a loro disposizione; ma Cristo condusse i discepoli nel luogo solitario che prediligeva e le sacre vicende di quella giornata rimasero per sempre collegate nella loro mente con la bellezza dei monti, delle valli e del mare. {GN 211.1}

Gesù aveva chiamato i discepoli per inviarli come testimoni di ciò che avevano visto e udito. La loro missione era la più importante mai affidata agli uomini, inferiore soltanto a quella di Cristo. Erano i collaboratori di Dio per la salvezza del mondo. Come i dodici patriarchi sono i rappresentanti del popolo d’Israele, così i dodici apostoli sono, nel Nuovo Testamento, i rappresentanti della chiesa. {GN 211.2}

Il Salvatore conosceva il carattere degli uomini che aveva scelto, le loro debolezze e i loro errori. Sapeva a quali pericoli sarebbero stati esposti e quali responsabilità avrebbero dovuto portare. Trepidava per loro. Tutta la notte rimase solo sul monte, vicino al mar di Galilea, in preghiera per i suoi, che dormivano tranquilli. Alle prime luci dell’alba li chiamò per parlare con loro. {GN 211.3}

I discepoli già da un po’ di tempo partecipavano direttamente al ministero di Gesù. Giovanni e Giacomo, Andrea e Pietro, Filippo, Natanaele e Matteo, erano uniti a lui più degli altri e avevano assistito a molti suoi miracoli. Pietro, Giacomo e Giovanni gli erano stati più vicini, avevano visto i suoi miracoli e udito i suoi insegnamenti. Giovanni era più legato a Gesù, tanto che fu chiamato il discepolo che Gesù amava. Il Salvatore amava tutti i discepoli, ma Giovanni corrispose più degli altri all’amore del Maestro. Essendo più giovane, apriva con fiducia infantile il suo cuore a Gesù. Così si stabilì tra lui e il Maestro un legame di affetto più profondo e il Salvatore si servì di Giovanni per comunicare agli uomini i suoi insegnamenti più importanti. {GN 211.4}

Filippo, che sarebbe stato alla testa di uno dei gruppi che componevano gli apostoli, fu il primo discepolo cui Gesù rivolse l’invito di seguirlo. Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e Pietro. Aveva ascoltato gli insegnamenti di Giovanni il battista e lo aveva udito mentre indicava in Gesù l’Agnello di Dio. Filippo era un sincero ricercatore della verità, ma era lento a credere. Aveva seguito Gesù, ma il modo con cui ne parlò a Natanaele rivelava che non era ancora pienamente convinto della divinità del Maestro. Sebbene la voce del cielo avesse proclamato che Gesù era Figlio di Dio, per Filippo era “Gesù da Nazaret, figlio di Giuseppe”. Giovanni 1:45. La sua mancanza di fede si manifestò anche quando cinquemila persone vennero sfamate. Per metterlo alla prova Gesù gli chiese: “Dove compreremo del pane perché questa gente abbia da mangiare?” La risposta di Filippo rivelò l’insufficienza della sua fede: “Duecento denari di pani non bastano perché ciascuno ne riceva un pezzetto”. Giovanni 6:5, 7. Gesù era addolorato. Sebbene avesse visto le sue opere e avesse conosciuto la sua potenza, Filippo non aveva ancora fede. Quando i greci gli chiesero di vedere Gesù, egli non colse l’occasione per presentarli al Salvatore ma andò a riferire la cosa ad Andrea. Anche nelle ore che precedettero la crocifissione, le parole di Filippo furono tali da scoraggiare ogni speranza. Quando Toma disse a Gesù: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo saper la via? Gesù gli disse: Io sono la via, la verità e la vita. Se mi aveste conosciuto avreste conosciuto anche mio Padre”. Giovanni 14:5-7. In quel momento Filippo espresse la sua mancanza di fede, dicendo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Versetto 8. Quel discepolo che era stato per tre anni con Gesù, era ancora così lento di cuore e debole nella fede. {GN 211.5}

La fede infantile di Natanaele era in netto contrasto con l’incredulità di Filippo. Aveva un’indole generosa e accettava con fiducia le realtà invisibili. Ma Filippo stava imparando alla scuola di Cristo e il Maestro accettò con pazienza la sua lentezza a credere. Quando lo Spirito Santo venne sparso sui discepoli, Filippo divenne un maestro secondo la volontà di Dio. Sapeva ciò che diceva e insegnava con una tale sicurezza da produrre profonde convinzioni nei suoi uditori. {GN 212.1}

Mentre Gesù preparava i discepoli alla loro consacrazione, uno che non era stato chiamato insistette per essere accolto. Era Giuda Iscariota, un uomo che professava di essere un discepolo di Cristo. Si avvicinò sollecitando un posto nella cerchia ristretta dei discepoli. Con fervore e apparente sincerità disse a Gesù: “Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai”. Matteo 8:19. Gesù non lo respinse e neppure lo accolse, ma si limitò a dirgli queste melanconiche parole: “Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Versetto 20. Giuda credeva che Gesù fosse il Messia. Unendosi agli apostoli, sperava di assicurarsi una posizione di prestigio del nuovo regno. Gesù, alludendo alla propria povertà, voleva togliergli quell’illusione. {GN 212.2}

I discepoli ci tenevano che Giuda entrasse nella loro cerchia. Siccome aveva un aspetto distinto, era intelligente e aveva capacità organizzative lo raccomandarono a Gesù come un elemento prezio so e si stupirono quando Gesù lo accolse con freddezza. I discepoli erano scontenti del fatto che Gesù non avesse cercato di assicurarsi la collaborazione dei capi d’Israele e ritenevano che commettesse un errore a non chiedere l’appoggio di quegli uomini influenti. Se avesse respinto anche Giuda, essi avrebbero dubitato della sua saggezza. Ma l’esperienza successiva di quell’uomo avrebbe dimostrato quanto sia pericoloso lasciarsi guidare da considerazioni umane quando si deve decidere se qualcuno è adatto o no per l’opera di Dio. La collaborazione di uomini come quelli che i discepoli desideravano assicurarsi avrebbe significato la consegna dell’opera nelle mani dei suoi peggiori nemici. {GN 212.3}

Quando Giuda si unì ai discepoli, non restò insensibile alla bellezza del carattere di Cristo. Anch’egli subì l’influsso di quella potenza divina che conquistava le anime. Colui che non era venuto per tritare la canna rotta o per spegnere il lucignolo fumante, non avrebbe respinto quell’anima finché vi fosse stato in lei un solo desiderio di luce. Il Salvatore leggeva nel cuore di Giuda e sapeva in quale abisso di iniquità sarebbe precipitato se non fosse stato liberato dalla grazia di Dio. Chiamandolo come collaboratore, il Signore lo poneva in continuo contatto con le manifestazioni del proprio amore disinteressato. Anche Giuda, se avesse aperto il suo cuore a Cristo e avesse permesso alla sua grazia di scacciare il demone dell’egoismo, sarebbe potuto diventare un cittadino del regno di Dio. {GN 213.1}

Dio accetta gli uomini come sono, con tutto ciò che di umano vi è nel loro carattere e, se sono disposti a lasciarsi educare e a imparare da lui, li forma per il suo servizio. Vengono scelti nonostante le loro imperfezioni affinché, mediante la conoscenza, la pratica della verità e la grazia di Cristo, siano trasformati alla sua immagine. {GN 213.2}

Giuda ebbe le stesse possibilità degli altri discepoli e ascoltò le stesse preziose lezioni. Ma per seguire i propri desideri e le proprie idee, non volle ubbidire alla verità di Cristo. Non volle rinunciare alle proprie idee per accogliere la sapienza che viene dall’alto. {GN 213.3}

Il Salvatore mostrò molta tenerezza nei riguardi di colui che lo avrebbe tradito. Insisteva nell’insegnare quei princìpi di benevolenza che distruggono l’avarizia alla radice. Delineava l’odiosità della cupidigia. Più di una volta quel discepolo comprese che il Maestro alludeva al suo carattere e al suo peccato, ma non volle confessare le sue colpe e abbandonarle. Aveva troppa fiducia in sé e, invece di resistere alla tentazione, perseverò nella sua condotta disonesta. Cristo era davanti a lui un esempio vivente di ciò che egli stesso sarebbe potuto diventare se avesse accettato i benefici della sua mediazione e del suo ministero. Purtroppo quelle lezioni non vennero ascoltate da Giuda. {GN 213.4}

Gesù non rimproverò severamente Giuda per la sua avarizia, ma con divina pazienza lo sopportò facendogli comprendere che conosceva bene il suo cuore. Cercò di far sorgere in lui aspirazioni più nobili. Respingendo l’aiuto divino, Giuda non avrebbe avuto alcuna scusa. Invece di lasciarsi trasformare, Giuda preferì conservare i suoi difetti. Accarezzò desideri disonesti, sentimenti di vendetta, pensieri cupi e malvagi. Satana finì per dominarlo completamente e Giuda divenne un rappresentante del nemico di Cristo. {GN 214.1}

Quando seguì Gesù, aveva ottime qualità, mediante le quali poteva essere una benedizione per la chiesa. Se avesse accettato volentieri di portare il giogo di Cristo, sarebbe diventato un grande apostolo. Invece, quando gli furono indicati i suoi difetti, il suo cuore si indurì e, animato da spirito di orgoglio e rivolta, mantenne le sue ambizioni egoistiche, rendendosi così indegno dell’opera che Dio gli aveva affidata. {GN 214.2}

Tutti i discepoli avevano gravi difetti quando Gesù li chiamò al suo servizio. Persino Giovanni, il discepolo che più si avvicinò mansueto e umile al Maestro, non era per natura né dolce né arrendevole. Egli e suo fratello erano chiamati “figli del tuono”. Marco 3:17. Quando si trovavano con il Maestro, ogni mancanza di rispetto nei suoi confronti suscitava la loro indignazione e il loro spirito polemico. Il discepolo prediletto aveva un temperamento collerico, vendicativo, orgoglioso; era pronto alla critica e ambiva il primo posto nel regno di Dio. Ma egli contemplò giorno dopo giorno la tenerezza e la pazienza di Gesù, tanto diversa dalla violenza del suo carattere, e ascoltò le sue lezioni di umiltà e pazienza. Aprì il suo cuore all’influsso divino; non si accontentò di udire le parole del Salvatore, ma le mise in pratica. Seppe rinunciare al suo io, imparò a prendere su di sé il giogo di Cristo e a portare la propria croce. {GN 214.3}

Gesù rimproverava e avvertiva i suoi discepoli. Ma Giovanni e i suoi fratelli, nonostante i rimproveri, non lo lasciarono, anzi si affezionarono a lui ancora di più. Il Salvatore non li abbandonò a causa delle loro debolezze e dei loro errori, ed essi condivisero sino alla flne le sue prove e impararono le sue lezioni. Contemplando Cristo, il loro carattere si trasformava. {GN 214.4}

Gli apostoli erano molto diversi gli uni dagli altri per abitudini e carattere. C’era il pubblicano Levi Matteo; Simone, l’ardente zelo-ta, inflessibile nemico della potenza romana; Pietro, generoso e impulsivo; Giuda, dall’animo meschino; Tommaso, sincero ma timido e dubbioso; Filippo, lento e incline al dubbio; infine gli ambiziosi e aperti figli di Zebedeo, con i loro fratelli. Si trovarono tutti insieme, ciascuno con i propri difetti e le proprie tendenze al male, ereditate e accarezzate, chiamati tutti a partecipare in Cristo e mediante Cristo alla famiglia di Dio per giungere all’unità della fede, della dottrina e dello spirito. Avrebbero affrontato prove e conosciuto difficoltà per le loro differenze di opinioni, ma con Cristo nel cuore ogni dissenso sarebbe stato eliminato. Il suo amore li avrebbe spinti ad amarsi, le istruzioni del Maestro avrebbero smussato i contrasti e spinto i discepoli ad avere una sola mente, un solo sentimento e un solo obiettivo. Cristo era il fulcro del gruppo ed essi, avvicinandosi a lui, si sarebbero trovati più vicini gli uni agli altri. {GN 214.5}

Quando Gesù ebbe finito di impartire le sue istruzioni, li riunì intorno a sé, si inginocchiò, pose le sue mani sui loro capi ed elevò a Dio una preghiera di consacrazione per la loro missione. Così furono consacrati i discepoli del Signore. {GN 215.1}

Cristo non ha scelto come suoi rappresentanti gli angeli che non sono mai caduti, ma degli esseri soggetti alle stesse passioni degli uomini che cercano di salvare. Cristo si è fatto uomo per poter salvare gli uomini. Per la salvezza del mondo era necessaria la collaborazione del divino con l’umano. Bisognava che la divinità si incarnasse per essere un mezzo di comunicazione fra Dio e l’uomo. Così è per i servitori e messaggeri di Cristo. L’uomo ha bisogno di una potenza superiore per poter riacquistare l’immagine di Dio e compiere la sua volontà. Ma con ciò non viene eliminata la parte dell’uomo. L’umanità afferra la potenza divina e Cristo abita nel cuore mediante la fede. Così l’uomo per la grazia di Dio è in grado di compiere il bene. {GN 215.2}

Colui che chiamò i pescatori di Galilea, chiama ancora oggi gli uomini al suo servizio. Desidera manifestare la sua potenza attraverso noi, così come fece con i primi discepoli. Per quanto siamo imperfetti e peccatori, il Signore ci invita a unirci a lui e a seguire i suoi consigli. Ci invita ad accettare i suoi insegnamenti affinché, uniti a lui, possiamo compiere le opere di Dio. {GN 215.3}

“Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi”. 2 Corinzi 4:7. Questa è la ragione per cui la proclamazione del messaggio del Vangelo è stata affidata a uomini peccatori anziché ad angeli. È chiaro che ciò che opera attraverso la debolezza degli uomini è la potenza di Dio. Quella potenza che ha soccorso esseri deboli come noi può venire anche in nostro aiuto. Coloro che hanno sperimentato la sofferenza potranno “avere compassione verso gli ignoranti e gli erranti”. Ebrei 5:2. Essen dosi trovati in pericolo, conoscono i rischi e le difficoltà e possono aiutare coloro che si trovano in simili pericoli. Vi sono uomini di poca fede, tormentati dal dubbio, oppressi dal peso dell’infermità, incapaci di afferrare l’Invisibile. Ma un amico che si avvicini a loro in modo visibile, al posto di Cristo, può essere un mezzo per ancorare a lui la loro fede vacillante. {GN 215.4}

Noi dobbiamo collaborare con gli angeli per presentare Gesù al mondo. Gli esseri del cielo attendono la nostra collaborazione. L’uomo è il mezzo tramite il quale altri uomini possono essere avvicinati. Quando ci consacriamo interamente a Cristo, gli angeli si rallegrano di poter annunciare l’amore di Dio mediante la nostra testimonianza. {GN 216.1}



Capitolo 31: Il sermone sul monte

Raramente Gesù ammaestrava i discepoli da soli. Egli non voleva rivolgersi solo a coloro che già conoscevano la via della vita, ma preferiva parlare alle folle che vivevano nell’ignoranza e nell’errore, affinché la verità penetrasse anche nelle menti più ottenebrate. Egli era la verità e rivolgeva parole di avvertimento, esortazione e incoraggiamento a tutti coloro che accorrevano a lui. {GN 217.1}

Il sermone sul monte, benché rivolto in primo luogo ai discepoli, fu pronunciato davanti a una grande folla. Dopo la scelta dei dodici, Gesù andò con loro sulla riva del mare dove la gente era affluita sin dalle prime ore del mattino. Le persone erano giunte non solo dalle città galilee, ma anche dalla Giudea e dalla stessa Gerusalemme, dalla Perea, dalla Decapoli, dall’Idumea, regione situata all’estremo sud della Giudea, da Tiro e Sidone, città fenice della costa del Mediterraneo: “una gran folla, udendo quante cose egli facea, andò da lui” (Marco 3:8); “erano venuti per udirlo e per essere guariti delle loro malattie. perché da lui usciva un potere che guariva tutti”. Luca 6:18, 19. {GN 217.2}

La spiaggia era troppo stretta perché tutti, anche stando in piedi, potessero raccogliersi intorno a lui e udire la sua voce. Gesù li condusse allora sul fianco del monte. Giunti in un ampio spazio pianeggiante, dove poteva trovare posto il numeroso uditorio, egli sedette sull’erba, imitato subito dai discepoli e dalla folla. {GN 217.3}

I discepoli erano sempre vicini a Gesù. Sebbene la gente si accalcasse intorno al Maestro, essi volevano restargli vicino per non perdere una sola parola. Volevano comprendere bene le verità che più tardi avrebbero divulgato in tutti paesi, per tutti i secoli. {GN 217.4}

Sentendo che qualcosa di straordinario stava per accadere, si strinsero ancora di più intorno al loro Maestro. Speravano che il regno sarebbe stato presto stabilito e arguivano dagli eventi del mattino che il Maestro ne avrebbe parlato. Anche la folla, con il cuore ricolmo di visioni di glorie future, aspettava ansiosa e sui volti si leggeva una viva curiosità. C’erano degli scribi e dei farisei che attendevano con impazienza il giorno in cui avrebbero potuto dominare sugli odiati romani e godere delle ricchezze e della gloria del grande impero. {GN 217.5}

I contadini e i pescatori speravano di udire che i loro miseri tuguri, il loro cibo scarso e la loro dura fatica si sarebbero presto mutati in sontuosi palazzi e in una vita agiata. Speravano che Cristo avrebbe offerto loro, al posto dell’unico rozzo drappo che serviva da vestito di giorno e da coperta di notte, le ricchezze e le costose vesti dei conquistatori. Tutti i cuori trasalivano d’orgoglio al pensiero che Israele, l’eletto del Signore, sarebbe stato onorato davanti alle nazioni e che Gerusalemme sarebbe diventata la capitale di un regno universale. {GN 218.1}

Cristo deluse queste speranze di grandezza terrena. Nel sermone sul monte cercò di eliminare quelle idee che erano frutto di un falso insegnamento e far conoscere ai suoi uditori la natura esatta del suo regno. Ma non attaccò direttamente gli errori del popolo. Vedendo la miseria causata dal peccato, non si soffermò su di essa; parlò invece di cose infinitamente migliori di quelle conosciute. Non polemizzò contro le idee correnti sul regno di Dio, ma parlò delle condizioni per entrarvi, lasciando che ognuno ne deducesse la natura. Le verità enunciate in quell’occasione sono per noi tanto importanti quanto lo erano per la folla che le udiva. Anche noi abbiamo bisogno di imparare i princìpi fondamentali del regno di Dio. {GN 218.2}

Le prime parole di Gesù furono parole di benedizione. Beati coloro che sono consapevoli della loro povertà spirituale e sentono il bisogno di una redenzione. Il Vangelo deve essere predicato ai poveri, agli umili e ai contriti, non agli orgogliosi che presumono di essere ricchi e di non aver bisogno di nulla. Un’unica fonte è stata aperta in favore dei peccatori, una fonte accessibile solo ai poveri di spirito. {GN 218.3}

Gli orgogliosi fanno di tutto per guadagnare la salvezza, ma solo la giustizia di Cristo consente di ottenerla. La salvezza di un uomo non può avvenire prima che questi, convinto della sua debolezza e privo di ogni fiducia in sé, si sia sottomesso volontariamente a Dio. Solo allora potrà ricevere il dono che Dio vuole elargirgli. {GN 218.4}

Quando un uomo avverte i propri limiti ed esigenze, nulla gli viene rifiutato, e può accedere a colui che possiede ogni pienezza: “così parla Colui che è l’Alto, l’eccelso, che abita l’eternità, e che si chiama il Santo. Io dimoro nel luogo eccelso e santo, ma sto vicino a chi è oppresso e umile di spirito per ravvivare lo spirito degli umili, per ravvivare il cuore degli oppressi”. Isaia 57:15. {GN 218.5}

“Beati quelli che sono afflitti, perché essi saranno consolati”. Matteo 5:4. Cristo non vuole dire che le lacrime siano in sé sufficienti per cancellare il peccato e che un’umiltà volontaria sia meritoria. Il pianto di cui parla il Maestro non è quello della malinconia e del lamento. Pur addolorandoci per i nostri peccati, dobbiamo rallegrarci per il prezioso privilegio di essere figli di Dio. Spesso ci affliggiamo per gli spiacevoli effetti delle nostre cattive azioni, ma questo non è pentimento. Solo l’azione dello Spirito Santo fa provare un sincero dolore per il peccato. Lo Spirito rivela l’ingratitudine del cuore che ha trascurato il Salvatore e lo ha fatto soffrire, e lo conduce pentito ai piedi della croce. Ogni peccato fa soffrire Gesù. Quando pensiamo a colui che abbiamo trafitto, allora piangiamo sui nostri peccati. Queste lacrime manifestano la decisione dell’abbandono del peccato. {GN 218.6}

Gli altri possono considerarle come un segno di debolezza; in realtà esse uniscono l’uomo pentito con l’Infinito, mediante un legame che non può essere infranto. Esse dimostrano che gli angeli di Dio elargiscono nuovamente quelle grazie che la durezza del cuore e la trasgressione le avevano fatto perdere. Le lacrime di chi si è pentito sono come le gocce di pioggia che precedono lo sfolgorio del sole della santità. Questo dolore è preludio di una gioia che sarà per lo spirito una fonte di vita. “Soltanto riconosci la tua iniquità: tu sei stata infedele al Signore, al tuo Dio... io non vi mostrerò un viso accigliato, poiché io sono misericordioso, dice il Signore”. Geremia 3:13, 12. Il Signore ha deciso di concedere “agli afflitti di Sion un diadema in luogo di cenere, olio di gioia invece di dolore, il mantello di lode invece di uno spirito abbattuto”. Isaia 61:3. {GN 219.1}

C’è consolazione per coloro che piangono nella prova e nel dolore. L’amarezza dell’afflizione e dell’umiliazione è preferibile all’indulgenza verso il peccato. Mediante l’afflizione Dio ci fa conoscere meglio i difetti del nostro carattere affinché, per la sua grazia, possiamo vincerli. Le prove ci rivelano gli aspetti nascosti della nostra vita e ci fanno comprendere se siamo disposti ad accettare i rimproveri e i consigli di Dio. Quando la prova giunge, non dobbiamo crucciarci, mormorare o ribellarci cercando di sfuggire. Dobbiamo piuttosto umiliarci davanti a Dio. Le vie del Signore sembrano oscure e tristi alla nostra natura umana. In realtà esse sono vie di misericordia che conducono alla salvezza. Elia non sapeva quello che diceva quando nel deserto dichiarava di essere stanco e chiedeva di morire. Il Signore nella sua misericordia non ascoltò la sua richiesta. Elia doveva compiere ancora una grande opera; non doveva morire, vittima dello scoraggiamento e della solitudine nel deserto, ma salire nella gloria, scortato dai carri degli angeli, fino al trono di Dio. {GN 219.2}

Dio dice dell’afflitto: “Io ho visto le sue vie e lo guarirò; lo guiderò e ridarò le mie consolazioni a lui e a quelli dei suoi che sono afflitti” (Isaia 57:18); “io muterò il loro lutto in gioia, li consolerò, li rallegrerò liberandoli del loro dolore”. Geremia 31:13. {GN 219.3}

“Beati i mansueti”. Matteo 5:5. Le difficoltà che incontriamo possono essere alleviate da quella mansuetudine che ha caratterizzato Cristo. Se possediamo l’umiltà del Maestro, non diamo importanza al disprezzo, ai rimproveri, ai fastidi a cui possiamo essere esposti ogni giorno. Questi contrasti non ci amareggiano più. La padronanza di sé è, in un cristiano, la maggiore prova della nobiltà del carattere. Colui che di fronte alle ingiurie e ai maltrattamenti perde la calma e la fiducia, impedisce a Dio di rivelare in lui la sua perfezione. L’umiltà è la forza che assicura la vittoria ai discepoli di Cristo; è il segno che essi sono in comunione con il cielo. {GN 220.1}

“Sì, eccelso è il Signore, eppure ha riguardo per gli umili”. Salmi 138:6. Dio considera con tenerezza coloro che possiedono il carattere dolce e mansueto di Gesù. Sebbene disprezzati dal mondo, hanno un grande valore agli occhi di Dio. Nel regno dei cieli potranno entrare non soltanto i savi, i grandi, i benefattori, i collaboratori zelanti e instancabili, ma anche i poveri di spirito che desiderano ardentemente la presenza di Cristo in loro e gli umili di cuore il cui supremo desiderio è compiere la volontà di Dio. Per loro la porta d’ingresso sarà spalancata. Essi saranno fra coloro che hanno lavato e imbiancato le loro vesti nel sangue dell’Agnello: “Perciò son davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte, nel suo tempio; e colui che siede sul trono stenderà la sua tenda su di loro”. Apocalisse 7:15. {GN 220.2}

“Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia”. Matteo 5:6. La coscienza della propria indegnità fa provare fame e sete di giustizia; un tale desiderio non rimarrà inappagato. Quelli che accolgono Gesù nel loro cuore conosceranno tutto il suo amore. Coloro che aspirano ad assomigliare a Dio nel carattere saranno appagati. Lo Spirito Santo non lascia mai senza aiuto chi si rivolge a Gesù e gli offre tutti i doni di Cristo. Se gli sguardi restano sempre fissi su di lui, l’opera dello Spirito continuerà fino alla piena riproduzione della sua immagine. L’amore sensibilizzerà l’animo e lo renderà capace dei più alti ideali e della conoscenza delle realtà divine, in modo che non le manchi nessun attributo di perfezione. “Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché essi saranno saziati”. {GN 220.3}

Il misericordioso otterrà misericordia e il puro di cuore vedrà Dio. Ogni pensiero impuro contamina l’anima, indebolisce il senso morale, cancella l’azione dello Spirito Santo, offusca la visione spirituale e impedisce di contemplare Dio. Il Signore può e vuole accordare il perdono al peccatore che si pente; ma l’anima, sebbene perdonata, resta debole. Colui che vuole discernere le verità spirituali deve eliminare ogni pensiero o parola impura. {GN 220.4}

Le parole di Cristo vanno oltre la sensualità, oltre la liberazione dalle contaminazioni cerimoniali tanto scrupolosamente evitate dagli ebrei. L’egoismo ci impedisce di contemplare Dio. L’egoista immagina Dio come un essere simile a sé. Solo rinunciando a questa immagine si può comprendere colui che è amore. Solo il cuore disinteressato, lo spirito umile e fiducioso può vedere in Dio il Padre “Misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà”. Esodo 34:6. {GN 221.1}

“Beati quelli che si adoperano per la pace”. Matteo 5:9. La pace di Cristo nasce dalla verità. Questa pace è armonia con Dio. Il mondo è nemico della legge di Dio; i peccatori sono nemici del loro Creatore e quindi nemici fra loro. Ma il salmista dichiara: “Gran pace hanno quelli che amano la tua legge, e non c’è nulla che possa farli cadere”. Salmi 119:165. Gli uomini non sono capaci di creare la pace. I piani umani che mirano al miglioramento e al progresso dei singoli e della società non riusciranno a stabilire la pace, perché non cambiano il cuore. La grazia di Cristo è la sola potenza capace di produrre e di mantenere la pace. Quando essa si stabilisce nel cuore, ne scaccia le passioni che producono contese e dispute. “Nel luogo del pruno si eleverà il cipresso, nel luogo del rovo crescerà il mirto”. Isaia 55:13. “Il deserto e la terra arida si rallegreranno”. Isaia 35:1. {GN 221.2}

La folla si stupiva per quegli insegnamenti, così diversi da quelli uditi fino ad allora e tanto diversi dal comportamento dei farisei. Si pensava che la felicità consistesse nel possesso dei beni terreni e che si dovessero desiderare intensamente la fama e gli onori. Si desiderava moltissimo essere chiamati “Rabbi”, essere lodati per la propria sapienza e religiosità, e si faceva sfoggio pubblico delle proprie virtù. Ma davanti a quella grande folla, Gesù disse che i guadagni e gli onori terreni erano le sole ricompense che questi uomini avrebbero ricevute. Egli parlava con sicurezza, e le sue parole erano convincenti. La folla rimase silenziosa, pervasa da un sentimento di timore. Si interrogavano incerti con lo sguardo. Chi si sarebbe salvato se quegli insegnamenti erano veri? Molti si convinsero che quell’insigne Maestro fosse animato dallo Spirito di Dio e che il suo messaggio venisse dal cielo. {GN 221.3}

Dopo aver parlato della vera felicità e di come può essere conquistata, Gesù spiegò ai discepoli qual era il loro dovere come maestri scelti da Dio per condurre gli uomini nei sentieri della giustizia e della vita eterna. Sapeva che avrebbero provato delusioni e scoraggiamento, che avrebbero incontrato un’opposizione accanita, che sarebbero stati insultati e che la loro testimonianza sarebbe stata respinta. Sapeva pure che quegli uomini umili, così attenti alle sue parole, avrebbero subìto, nell’adempiere la loro missione, calunnie, torture, imprigionamento e persino la morte. Perciò parlò della beatitudine nella persecuzione. {GN 221.4}

“Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli. Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi”. Matteo 5:10-12. {GN 222.1}

Il mondo ama il peccato e odia la giustizia. Per questa ragione fu così ostile a Gesù. Tutti coloro che respingono il suo amore infinito, considerano il cristianesimo come un fattore di disordine. Il messaggio di Cristo sottolinea i loro peccati e la necessità di una riforma. Coloro che cedono all’influsso dello Spirito Santo lottano con se stessi, mentre quelli che restano attaccati al peccato entrano in guerra con la verità e con i suoi rappresentanti. {GN 222.2}

Così inizia la lotta, e i discepoli di Cristo vengono accusati di essere fomentatori di disordini. Sono oggetto di odio da parte del mondo perché Agli di Dio. In questo modo partecipano alle sofferenze di Cristo e seguono l’esempio del migliore degli uomini. Perciò, davanti alla persecuzione non dovrebbero provar dolore, ma piuttosto gioia. Le più grandi prove sono gli strumenti di Dio per il loro perfezionamento spirituale. Ogni lotta ha il suo posto nella grande battaglia per la giustizia e accresce la gioia del trionfo Anale. Avendo questa visione, la prova della fede e della pazienza non sarà più temuta o evitata, ma accettata con gioia. I Agli di Dio, animati dal desiderio di assolvere il loro dovere verso il mondo e ricevere l’approvazione di Dio, svolgeranno il loro compito senza curarsi né dell’opposizione, né del favore degli uomini. {GN 222.3}

“Voi siete il sale della terra”. Versetto 13. Gesù voleva dire che non ci si deve separare dal mondo per sfuggire alla persecuzione, ma che si deve, al contrario, vivere fra gli uomini afAnché l’amore divino sia un sale che preservi il mondo della corruzione. {GN 222.4}

I cuori che rispondono all’influsso dello Spirito Santo sono gli strumenti attraverso i quali Dio accorda le sue benedizioni. Se i Agli di Dio fossero tolti dalla terra e lo Spirito divino venisse ritirato, il mondo si troverebbe nella desolazione e nella distruzione, frutti del dominio di Satana. {GN 222.5}

Benché i malvagi non lo sappiano, devono persino la benedizione della vita alla presenza del popolo di Dio nel mondo, popolo che disprezzano e opprimono. I cristiani solo di nome sono come il sale che ha perso il sapore. Non esercitano un influsso benefico e sono, anzi, peggiori degli increduli perché falsano il concetto di Dio. {GN 222.6}

“Voi siete la luce del mondo”. Versetto 14. Gli ebrei si attribuivano il monopolio della salvezza, ma Cristo disse loro che la salvezza è come la luce del sole: appartiene a tutto il mondo. La religione della Bibbia non può restare chiusa tra le copertine di un libro, o le mura di una chiesa. Non può essere indossata occasionalmente e poi messa da parte, secondo le nostre comodità. Deve, invece, santificare la vita quotidiana e manifestarsi in ogni attività economica e in tutte le relazioni sociali. {GN 223.1}

Il carattere non si manifesta solo nei nostri atteggiamenti esteriori, ma scaturisce dall’intimo. Se vogliamo condurre altri sulla via della giustizia, bisogna che i princìpi della giustizia siano saldi nei nostri cuori. La professione di fede può esprimere la teoria della religione, ma solo una spiritualità vissuta diffonde la verità. I mezzi attraverso i quali la luce viene comunicata al mondo sono: una vita coerente, una condotta santa, un’assoluta integrità, uno spirito attivo e benevolo, un esempio di pietà. {GN 223.2}

Gesù non si era soffermato sui singoli precetti della legge, non volle però lasciare ai suoi uditori l’impressione che ne avesse trascurato il valore. Sapeva che delle spie erano in mezzo alla folla, pronte a servirsi di ogni pretesto contro di lui. Sapeva che la mente di molti suoi ascoltatori era piena di pregiudizi, ma non disse nulla che potesse indebolire la loro fede nella religione e nelle istituzioni presentate attraverso Mosè. Cristo stesso era l’autore della legge morale e di quella cerimoniale, e non era certo venuto per distruggere la fiducia nei suoi stessi precetti. Proprio a causa del suo grande rispetto per la legge e i profeti, volle abbattere il muro delle tradizioni con cui gli ebrei l’avevano soffocata. Egli confutò le loro false interpretazioni della legge e avvertì i suoi discepoli del rischio di trascurare le verità vitali affidate agli ebrei. {GN 223.3}

I farisei si vantavano della loro ubbidienza alle legge, ma praticavano così poco i suoi princìpi che consideravano eresie le parole del Salvatore. Quando il Maestro cercava di eliminare i detriti sotto i quali avevano nascosto la verità, essi pensavano che volesse cancellare la verità stessa. E mormoravano fra loro che Gesù disprezzava la legge. Egli, continuando il suo sermone, rispose alla loro obiezione. {GN 223.4}

“Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento”. Versetto 17. Con queste parole Gesù confutava le accuse dei farisei. Era venuto nel mondo per rivendicare i sacri diritti di quella legge che lo accusa vano di violare. Se fosse stato possibile modificare o abolire la legge, non ci sarebbe stato bisogno che Cristo subisse le conseguenze delle nostre trasgressioni. Egli è venuto per spiegare la relazione che esiste tra la legge e l’uomo e per adempierne i precetti con una vita di ubbidienza. {GN 223.5}

La legge di Dio è una manifestazione del suo amore per gli uomini. Egli ci rivela i princìpi della giustizia per evitarci i danni della trasgressione. La legge esprime il pensiero di Dio. Quando noi la riceviamo in Cristo, essa conquista il nostro pensiero. Ci innalza al di sopra dei desideri e delle tendenze della nostra natura, al di sopra delle tentazioni del peccato. Dio vuole che siamo felici, e ci ha dato i precetti della sua legge perché ubbidendo ad essi proviamo gioia. Gli angeli alla nascita di Gesù cantavano: “Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch’Egli gradisce”. Luca 2:14. Essi enunciavano i princìpi di quella legge che era venuto a celebrare e a glorificare. {GN 224.1}

Promulgando la legge al Sinai, Dio fece conoscere agli uomini la santità del suo carattere affinché potessero rendersi conto dei loro limiti. La legge fu data per convincerli di peccato e far sentire loro il desiderio di un Salvatore. Questo è il risultato che si ottiene quando i suoi princìpi vengono impressi nel cuore dallo Spirito Santo. Quest’opera deve continuare. Nella vita di Gesù i princìpi della legge sono manifesti. Quando lo Spirito di Dio tocca i cuori e la luce di Cristo rivela agli uomini la necessità del suo sacrificio purificatore e della sua giustizia, la legge è ancora un mezzo per condurre a lui, per essere giustificati per fede. “La legge dell’Eterno è perfetta, ella ristora l’anima”. Salmi 19:7. {GN 224.2}

Gesù ha detto: “Finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà, che tutto non sia adempiuto”. Matteo 5:18. Il sole che brilla nei cieli e la terra su cui viviamo sono i testimoni di Dio che la sua legge è immutabile ed eterna. Anche se essi sparissero, i precetti divini sussisterebbero. {GN 224.3}

“E più facile è che passino cielo e terra, anziché cada un solo apice della legge”. Luca 16:17. Tutto il servizio simbolico che annunciava Gesù come l’Agnello di Dio doveva cessare alla sua morte; ma i precetti del Decalogo sono immutabili come il trono di Dio. {GN 224.4}

Siccome “La legge dell’Eterno è perfetta” (Salmi 19:7), ogni sua modificazione è un errore. Cristo condanna tutti coloro che trasgrediscono i comandamenti di Dio e insegnano agli altri a fare la stessa cosa. La vita di ubbidienza del Salvatore soddisfaceva le esigenze della legge, e dimostrò che questa ubbidienza produce un carattere eccellente. {GN 224.5}

Tutti coloro che ubbidiscono come egli ha fatto, testimoniano che “la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono”. Romani 7:12. Diversamente, tutti coloro che trasgrediscono i comandamenti di Dio rafforzano le pretese di Satana che la legge è ingiusta e che non può essere osservata. In tal modo assecondano gli inganni del grande avversario e contribuiscono a disonorare Dio. Essi sono figli di quell’empio che per primo si è ribellato contro la legge di Dio. Accettare queste persone in cielo significherebbe introdurvi elementi di discordia e ribellione e mettere a repentaglio il benessere dell’universo. Nessun uomo che di proposito trasgredisce un solo principio della legge entrerà nel regno dei cieli. {GN 225.1}

I rabbini ritenevano che la loro giustizia fosse il passaporto per il cielo; Gesù disse che essa era insufficiente e che non sarebbe valsa a salvarli. La giustizia dei farisei si limitava alle cerimonie esteriori e a una conoscenza teorica della verità. I rabbini si ritenevano santi per quello che facevano per osservare la legge, ma con le loro opere avevano separato la giustizia dalla religione. Erano molto scrupolosi nell’osservanza dei riti, ma vivevano nell’immoralità e nella degradazione. Con la loro cosiddetta giustizia non sarebbero mai entrati nel regno dei cieli. {GN 225.2}

II più grande errore che gli uomini commisero al tempo di Cristo fu quello di pensare che bastasse una semplice adesione alla verità per ottenere la giustizia. L’esperienza dimostra che una conoscenza teorica della verità non è sufficiente per la salvezza dell’uomo e per portare frutti di giustizia. La conoscenza della definizione teologica della verità spesso si unisce a un sentimento di disprezzo per la verità autentica che opera nella vita. Le più fosche pagine della storia sono quelle che raccontano i crimini perpetrati dal fanatismo religioso. I farisei si vantavano di essere figli di Abramo e avere gli oracoli divini; ma questi privilegi non li preservavano dall’egoismo, dalla malizia, dall’avidità e dall’ipocrisia più vile. Credevano di essere le persone più religiose del mondo, ma la loro pretesa ortodossia li condusse a crocifiggere il Signore della gloria. {GN 225.3}

Lo stesso pericolo esiste anche oggi. Molti si credono cristiani solo perché accettano la teologia del cristianesimo, ma non ne mettono in pratica le verità. Non credono in esse e non le amano; per questa ragione non ricevono la potenza e la grazia che scaturiscono dalla santificazione della verità. Si può professare di credere nella verità, ma se non si è sinceri, benevoli, pazienti, tolleranti, penetrati da pensieri positivi, si diventa una maledizione per sé e per il mondo. {GN 225.4}

La giustizia insegnata da Cristo consiste nel conformare il cuore e la vita alla volontà rivelata di Dio. I peccatori possono divenire giusti solo se hanno fede in Dio e mantengono con lui una comunione vivente. Allora la vera pietà eleverà i pensieri e purificherà la vita. Le forme esteriori della religione si accorderanno con la purezza interiore; le cerimonie richieste dal servizio di Dio cesseranno di essere prive di significato, come lo erano per i farisei ipocriti. {GN 225.5}

Gesù considera poi ogni singolo comandamento e ne svela la profondità e l’ampiezza. Invece di sminuirli, ne mette in risalto i princìpi fondamentali e l’errore degli ebrei che si accontentavano di un’ubbidienza esteriore. Gesù afferma che un pensiero impuro o uno sguardo sensuale sono una trasgressione della legge divina. Chi diviene complice della più piccola ingiustizia viola la legge e degrada la sua natura morale. L’omicidio ha origine nell’animo. Colui che coltiva sentimenti di odio si incammina sulla via che conduce all’omicidio, e le sue offerte non sono accettate dall’Eterno. {GN 226.1}

Gli ebrei erano vendicativi. L’odio per i romani ispirava loro aspri attacchi. Essi si rendevano graditi a Satana, manifestando il suo carattere, e si preparavano alle loro terribili azioni future. La religione dei farisei non era attraente per i gentili. Gesù esorta a non nutrire nel cuore sentimenti di odio contro gli oppressori e a non accarezzare speranze di vendetta. {GN 226.2}

C’è un’indignazione legittima anche per i discepoli di Gesù. Si tratta di un’ira che non è peccato, ma la manifestazione di una coscienza sensibile che reagisce quando vede che Dio è disonorato, che il suo servizio è screditato, che l’innocente è oppresso. Ma coloro che coltivano la collera e il risentimento ogni volta che si credono offesi, aprono il cuore a Satana. L’anima che vuole vivere in armonia con il cielo deve bandire dal cuore il rancore e l’acredine. {GN 226.3}

Il Salvatore dice anche qualcosa di più. “Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta”. Matteo 5:23, 24. Molti partecipano con zelo ai servizi religiosi, nonostante i contrasti deplorevoli che li separano dai fratelli. Dio richiede che facciano tutto il possibile per ristabilire l’armonia. Il loro servizio può essere accettato solo a questa condizione. Gesù indica chiaramente qual è il dovere di ogni credente. {GN 226.4}

Il Signore riversa su tutti le sue benedizioni. “Egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. Matteo 5:45. “Egli è benigno verso gli ingrati e i malvagi”. Luca 6:35. Ci invita a essere simili a lui: “Benedite coloro che vi maledico no; fate bene a coloro che vi odiano” (Versetti 28, 27, Diodati), “affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”. Matteo 5:45. Questi sono i princìpi della legge che è per tutti una fonte di vita. {GN 226.5}

L’ideale di Dio per i suoi figli va al di là di quanto la mente umana possa concepire. “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste”. Versetto 48. Quest’esortazione contiene in sé una promessa: il piano della redenzione mira al nostro completo affrancamento dal potere di Satana. Cristo libera per sempre dal peccato l’uomo pentito. Egli è venuto per distruggere le opere del diavolo e concedere lo Spirito Santo a chiunque si pente, perché sia preservato dal peccato. {GN 227.1}

Nessuna tentazione deve essere considerata come una scusa per il peccato. Satana esulta quando i discepoli di Cristo tentano di giustificare i loro difetti. Queste scuse conducono al peccato, ma il peccato resta inescusabile. Ogni figlio di Dio che si pente e crede può acquisire un carattere santo, una vita analoga a quella di Cristo. {GN 227.2}

L’ideale del cristiano è avere un carattere simile a quello di Cristo. Come il Figlio dell’uomo è stato perfetto nella sua vita, così i suoi discepoli devono esserlo nella loro. Gesù in tutte le cose era simile ai suoi fratelli. Divenne un uomo come noi. Provò fame, sete e stanchezza. Ebbe bisogno di cibo e riposo. Condivise la sorte dell’uomo ma, nonostante ciò, fu l’irreprensibile Figlio di Dio manifestato in carne. Il suo carattere deve essere il nostro. Il Signore dice a tutti coloro che credono in lui: “Abiterò e camminerò in mezzo a loro, sarò loro Dio ed essi saranno il mio popolo”. 2 Corinzi 6:16. {GN 227.3}

Cristo è la scala vista da Giacobbe, la cui base poggiava sulla terra e la cui cima giungeva sino alle porte del cielo, alla soglia della gloria. Se quella scala non poggiasse sulla terra, anche per un solo gradino, noi saremmo perduti. Ma Cristo arriva accanto a noi, là dove siamo. Ha assunto la nostra natura e ha vinto affinché anche noi, prendendo la sua, possiamo vincere. Egli ha rivestito una carne “simile a carne di peccato” (Romani 8:3), ma ha vissuto una vita senza peccato. Ora con la sua divinità siede sul trono dei cieli, mentre con la sua umanità scende fino a noi. Egli ci esorta a raggiungere, mediante la fede in lui, la gloria del carattere di Dio. “Voi dunque siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro celeste”. {GN 227.4}

Dopo aver mostrato la natura della giustizia che ha la sua fonte in Dio, Gesù enumera alcuni doveri pratici. Nelle elemosine, nelle preghiere e nei digiuni, nulla deve essere fatto per attirare l’attenzione o per ottenere lodi. Bisogna dare con spontaneità per aiutare il bisognoso che soffre. Nella preghiera occorre ricercare la comunione con Dio. Nel digiuno non si deve chinare il capo e nello stesso tempo nutrire sentimenti di egoismo. Il cuore dei farisei era un terreno sterile in cui non poteva germogliare nessun seme di vita divina. Solo colui che si consacra pienamente a Dio riesce a rendergli un culto accettevole. Mediante la comunione con Dio gli uomini divengono suoi collaboratori e riflettono il suo carattere nell’umanità. {GN 227.5}

Il servizio reso con sincerità di cuore ha una grande ricompensa. “Il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa”. Matteo 6:4. Il carattere si forma sotto l’influsso della grazia di Cristo. Lo spirito riacquista così la sua bellezza primitiva. Le doti del carattere di Cristo ci vengono trasmesse e l’immagine del divino ritrova il suo splendore. Gli uomini e le donne che camminano e lavorano con Dio emanano pace e vivono nell’atmosfera del cielo. Per loro il regno di Dio è già iniziato. Posseggono la gioia di Cristo, di chi è fonte di benedizione per l’umanità. Hanno ricevuto l’onore di servire il Maestro e lavorare nel suo nome. {GN 228.1}

“Nessuno può servire due padroni”. Versetto 24. Non si può servire Dio con un cuore diviso. La religione della Bibbia non deve essere un influsso fra molti altri, ma l’influsso supremo. Non deve essere come un po’ di colore gettato qua e là sulla tela, ma deve abbracciare tutta la vita, come quando la tela viene immersa nel colore e tutte le fibre del tessuto si tingono di una tinta decisa e indelebile. {GN 228.2}

“Se dunque il tuo occhio è limpido, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se l’occhio tuo è malvagio, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre”. Versetti 22, 23. La purezza e la fermezza sono le condizioni per ricevere la luce divina. Chi desidera conoscere la verità, deve essere disposto ad accettarla pienamente, senza compromessi con l’errore. Essere esitanti e negligenti di fronte alla verità significa scegliere le tenebre dell’errore e gli inganni di Satana. {GN 228.3}

Gli espedienti del mondo e i fermi princìpi di giustizia non si possono mescolare come succede con i colori dell’arcobaleno. Fra loro l’Eterno ha tracciato una linea chiara e distinta. La vita di Cristo si distacca da quella di Satana, come il giorno dalla notte. Solo quelli che vivono la vita di Cristo sono suoi collaboratori. Se anche un solo peccato è accarezzato, se una sola cattiva abitudine viene mantenuta, tutto l’essere ne è contaminato e l’uomo diviene uno strumento di ingiustizia. {GN 228.4}

Tutti quelli che sono al servizio di Dio devono confidare in lui. Il Cristo indicò gli uccelli del cielo, i fiori dei campi e invitò i suoi uditori a considerare quelle creature di Dio. Poi chiese loro: “Non valete voi molto più di loro?” Matteo 6:26. L’attenzione di Dio verso ogni sua creatura è proporzionata all’importanza che essa ha nella scala degli esseri da lui creati. Il passerotto è oggetto della provvidenza. Anche i fiori dei campi e l’erba dei prati godono della cura del nostro Padre. Il creatore si è curato dei gigli della campagna e ha conferito loro più bellezza di quanta non ne avessero le vesti di Salomone. Quanto più si curerà dell’uomo che ha creato a sua immagine! Egli desidera che i suoi figli abbiano un carattere simile al suo. Come i raggi del sole suscitano nei fiori i loro vari e delicati colori, così Dio infonde nell’anima la bellezza del suo carattere. {GN 228.5}

Tutti quelli che hanno scelto il regno di Cristo — regno di amore, giustizia e pace — e ne hanno fatto l’oggetto del loro principale interesse, sono collegati con il regno dei cieli e godono di ogni benedizione necessaria per questa vita. Nel libro della provvidenza divina c’è una pagina dedicata a ognuno di noi. In questa pagina è scritto tutto ciò che ci riguarda: perfino i capelli del nostro capo sono contati. I credenti sono sempre presenti nella mente di Dio. {GN 229.1}

“Non siate dunque in ansia per il domani”. Versetto 34. Dobbiamo seguire Cristo giorno dopo giorno. Dio non ci dà oggi l’aiuto che riguarda il domani; non dà in un solo giorno ai suoi figli tutte le istruzioni di cui avranno bisogno durante la loro vita. Dice loro solo ciò che possono ricordare e mettere in pratica. La forza e la sapienza comunicate sono sufficienti per le necessità presenti. “Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data”. Giacomo 1:5. {GN 229.2}

“Non giudicate, affinché non siate giudicati”. Matteo 7:1. Non vi stimate migliori degli altri e non diventate i loro giudici. Poiché non conosciamo i moventi delle azioni, non possiamo giudicare. Quando giudichiamo, condanniamo noi stessi perché diventiamo collaboratori di Satana, l’accusatore dei fratelli. Il Signore dice: “Esaminatevi per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova”. 2 Corinzi 13:5. Questo è il solo giudizio che dobbiamo pronunciare. “Ora, se esaminassimo noi stessi, non saremmo giudicati”. 1 Corinzi 11:31. {GN 229.3}

L’albero buono dà frutti buoni. Se il frutto non ha un buon sapore e non è utile, l’albero è cattivo. Così il frutto che una vita produce rivela la condizione del cuore e la natura del carattere. Le buone opere compiute in vista della salvezza sono inutili, ma sono necessarie come prove della fede operante mediante l’amore. {GN 229.4}

Sebbene la salvezza non ci sia concessa per i nostri meriti, essa sarà proporzionata all’opera compiuta tramite la grazia di Cristo. {GN 229.5}

Il Cristo espose i princìpi del suo regno come una grande legge della vita. Perché le sue lezioni restassero meglio impresse, si servì infine di un’immagine. Disse che non bastava ascoltare le sue pa role ma che bisognava, attraverso l’ubbidienza, farne il fondamento del proprio carattere. Chi costruisce su se stesso edifica sulla sabbia. L’edificio costruito su teorie e invenzioni umane cadrà, spazzato dai venti della prova e dalle tempeste della tentazione. Ma i princìpi divini rimarranno validi in eterno. Rivolse quindi ai suoi uditori l’invito ad accettare le sue parole e a costruire la casa della propria vita sul suo insegnamento. {GN 229.6}

“Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la roccia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno investito quella casa; ma essa non è caduta, perché era fondata sulla roccia”. Matteo 7:24, 25. {GN 230.1}



Capitolo 32: Il centurione

Gesù aveva detto al funzionario del re, di cui aveva guarito il figlio: “Se non vedete segni e miracoli, voi non crederete”. Giovanni 4:48. Gli dispiaceva che i suoi compatrioti gli chiedessero segni visibili della sua messianicità, e si stupiva per la loro persistente incredulità. Si rallegrò perciò per la fede del centurione che si rivolse a lui. Questi non mise in dubbio la potenza del Salvatore e non gli chiese neppure di andare personalmente a compiere il miracolo. Gli disse: “Di, soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”. Matteo 8:8. {GN 231.1}

Il servo del centurione, colpito da paralisi, stava per morire. I romani consideravano i servi come schiavi che venivano comprati, venduti e trattati spesso con crudeltà. Ma quel centurione amava teneramente il suo servo e ne desiderava la guarigione. Era convinto che Gesù avrebbe potuto guarirlo. Non aveva mai visto il Salvatore, ma ciò che aveva udito era stato sufficiente per alimentare la sua fede. Benché gli ebrei fossero caduti nel formalismo, questo romano era convinto che la loro religione fosse superiore alla sua. Aveva già abbattuto la barriera dell’odio e del pregiudizio nazionale, che separava i vincitori dai vinti, rispettava il servizio rituale israelitico e nutriva simpatia per gli ebrei che considerava adoratori del vero Dio. L’insegnamento di Gesù, che gli era stato riportato, rispondeva ai bisogni del suo spirito. Nel suo intimo accettava le parole del Salvatore, ma si sentiva indegno di presentarsi a lui; chiese perciò ad alcuni anziani degli ebrei di chiedere a Gesù di guarire il suo servo. Pensava che quegli uomini fossero in relazione con il grande Maestro e potessero più facilmente avvicinarlo e ottenerne i favori. {GN 231.2}

Giunto a Capernaum, Gesù incontrò gli anziani che gli riferirono il desiderio del centurione. Lo pregarono con insistenza dicendo: “Egli merita che tu gli conceda questo; perché ama la nostra nazione, ed è lui che ci ha costruita la sinagoga”. Luca 7:4, 5. {GN 231.3}

Gesù si incamminò subito verso la casa di quell’ufficiale, ma a causa della folla procedeva lentamente. La notizia del suo arrivo lo precedette e il centurione, appena lo venne a sapere, gli mandò a dire: “Signore, non darti questo incomodo, perche io non son degno che tu entri sotto il mio tetto”. Versetto 6. Ma Gesù proseguì; infine il centurione ebbe il coraggio di presentarsi e dirgli: “Perché non mi sono neppure ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io sono uomo sottoposto all’autorità altrui, e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: Vai, ed egli va; a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa”. Versetti 7, 8. Il centurione voleva dire: come i miei soldati riconoscono in me il rappresentante dell’autorità romana e ubbidiscono, così tu rappresenti l’autorità del Dio infinito, e tutte le cose create ubbidiscono alla tua parola. Tu puoi ordinare alla malattia di andarsene ed essa ti ubbidirà. Puoi chiamare i tuoi angeli ed essi realizzeranno la guarigione. Di’ solo una parola e il mio servo sarà guarito. {GN 231.4}

“Udito questo, Gesù restò meravigliato di lui; e, rivolgendosi alla folla che lo seguiva, disse: Io vi dico che neppure in Israele ho trovato una così gran fede”. Versetto 9. Poi, rivolgendosi al centurione: “Va’ e ti sia fatto come hai creduto. E il servitore fu guarito in quella stessa ora”. Matteo 8:13. {GN 232.1}

Gli anziani d’Israele, quando avevano raccomandato a Gesù il centurione, avevano manifestato uno spirito diverso da quello del Vangelo. Non si rendevano conto che l’unica via per beneficiare della misericordia di Dio era provarne un profondo desiderio. Convinti della propria giustizia, tessevano gli elogi del centurione per la benevolenza dimostrata nei confronti della nazione ebraica. Il centurione, invece, diceva di se stesso: “Io non sono degno”. Il suo cuore era stato toccato dalla grazia di Cristo ed egli si era reso conto della propria indegnità; ma ciò non gli impedì di chiedere aiuto. Non contava sulla propria bontà; il suo unico argomento era il suo grande bisogno. Per fede comprese il vero carattere di Cristo. Non lo considerò soltanto come qualcuno che compie miracoli, ma l’amico e il Salvatore dell’umanità. {GN 232.2}

È questa la via per la quale ogni peccatore può arrivare a Cristo. “Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia”. Tito 3:5. Quando Satana vi dice che siete dei peccatori e che non potete sperare nelle benedizioni di Dio, rispondetegli che Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori. Noi non abbiamo alcun merito davanti a Dio, ma possiamo sempre far valere la nostra situazione disperata che rende indispensabile l’intervento della sua potenza redentrice. Rinunciando a ogni fiducia in noi stessi, possiamo guardare alla croce del Calvario ed esclamare: “Io non ho pagato nessun riscatto; mi aggrappo soltanto alla tua croce”. {GN 232.3}

Sin dall’infanzia gli ebrei venivano istruiti sull’opera del Messia. {GN 232.4}

Conoscevano le dichiarazioni ispirate dei patriarchi e dei profeti e anche l’insegnamento simbolico dei sacrifici. Ma avevano disprezzato la luce ricevuta e non scorgevano in Gesù nulla di desiderabile. Il centurione, invece, benché nato nel paganesimo, cresciuto nell’idolatria della Roma imperiale, educato nella vita militare, apparentemente insensibile alla vita spirituale per l’ambiente in cui viveva, e per di più frenato dal fanatismo dei giudei e dal disprezzo dei suoi compatrioti nei confronti del popolo d’Israele, comprese le verità che i figli di Abramo non avevano accettato. Non aspettò di vedere se gli ebrei avrebbero accettato colui che si proclamava loro Messia. “La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo” (Giovanni 1:9), aveva brillato per lui, ed egli, sebbene lontano, aveva scorto la gloria del Figlio di Dio. {GN 233.1}

Per Gesù questa era un’anticipazione dell’azione del Vangelo fra i gentili. Previde con gioia l’incontro dei credenti di ogni nazione nel regno di Dio. E con profonda tristezza descrisse agli ebrei i risultati del rifiuto della sua grazia: “E io vi dico che molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abraamo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Là ci sarà pianto e stridor di denti”. Matteo 8:11, 12. Sono tanti quelli che si preparano per questa fatale delusione. Mentre nelle tenebre del paganesimo molti accettano la grazia di Cristo, altri nei paesi cristiani disprezzano la luce che brilla per loro. {GN 233.2}

A circa trenta chilometri da Capernaum, su un altipiano che domina la vasta e magnifica pianura di Esdraelon, sorgeva il villaggio di Nain verso il quale Gesù si diresse. Lo accompagnavano molti suoi discepoli e altre persone, e lungo il percorso la folla affluiva desiderosa di udire le sue parole d’amore e di pietà; gli portavano dei malati perché fossero guariti e accarezzavano sempre la speranza che quel Maestro così potente si proclamasse re d’Israele. La folla festosa e flduciosa gli si accalcava intorno, lungo il sentiero roccioso che conduceva sino al villaggio montano. {GN 233.3}

Giunti vicino al villaggio, videro un corteo funebre uscire dalla porta e procedere lentamente verso il cimitero. In testa al corteo, in una bara scoperta, giaceva il corpo del morto, mentre coloro che erano in lutto riempivano l’aria dei loro lamenti. Sembrava che tutta la popolazione del villaggio si fosse raccolta per rendere l’estremo saluto all’estinto e dimostrare la propria simpatia alla famiglia. {GN 233.4}

Lo spettacolo suscitava compassione. Il defunto era l’unico Aglio di una vedova. La povera donna accompagnava alla tomba il suo unico appoggio, la sua unica consolazione terrena. “E il Signore, veduta la, ebbe pietà di lei”. Luca 7:13. La madre piangeva e non aveva notato la presenza di Gesù, che le si avvicinò e disse con dolcezza: “Non piangere!” Gesù stava per trasformare in gioia il dolore di quella donna, eppure non mancò di esprimerle subito la sua simpatia. {GN 233.5}

“E, avvicinatosi, toccò la bara”. Versetto 14. Neanche la morte poteva contaminarlo. I portatori si fermarono. I lamenti cessarono. I due gruppi si strinsero intorno alla bara, sperando contro ogni evidenza. Era presente qualcuno che aveva vinto la malattia e i demoni; sarebbe stato capace anche di vincere la morte? {GN 234.1}

Con voce chiara e autorevole Gesù pronunciò queste parole: “Ragazzo, dico a te, àlzati!” Versetto 14. Questa voce colpì le orecchie del morto che aprì gli occhi. Gesù lo prese per mano e lo fece alzare. Il suo sguardo cadde su colei che piangeva accanto a lui; la madre e il Aglio si strinsero in un abbraccio lungo e felice. La folla guardava stupita e in silenzio. “Tutti furono presi da timore”. Versetto 16. Restarono silenziosi e in atteggiamento riverente, come in presenza di Dio. Poi “glorificavano Dio dicendo: Un grande profeta è sorto fra di noi; e: Dio ha visitato il suo popolo”. Versetto 16. Il corteo funebre tornò a Nain trasformato in una processione trionfale. “E questo dire intorno a Gesù si divulgò per tutta la Giudea e per tutto il paese intorno”. Versetto 17. {GN 234.2}

Colui che consolò la madre disperata alle porte di Nain è vicino a tutti coloro che piangono. Condivide il nostro dolore. Il suo cuore trabocca di tenerezza inalterabile. La sua parola, che richiamò quel giovane alla vita, non è meno potente oggi di allora. Gesù ha detto: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra”. Matteo 28:18. Questa potenza non è diminuita con il passare del tempo e neppure si è esaurita per l’incessante attività della sua grazia traboccante. Egli è tuttora un Salvatore vivente per tutti coloro che credono in lui. {GN 234.3}

Gesù trasformò in gioia il dolore della madre, quando le restituì il figlio. Ma il giovane tornava a questa vita terrena nella quale avrebbe affrontato ancora dolori, sofferenze e pericoli, per poi ricadere sotto il dominio della morte. Ma a coloro che piangono Gesù dice queste parole che infondono consolazione e speranza: “Io sono... il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dellAdes”. Apocalisse 1:18. “Poiché dunque i figli hanno in comune sangue e carne, egli pure vi ha similmente partecipato, per distruggere, con la sua morte, colui che aveva il potere sulla morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che dal timore della morte erano tenuti schiavi per tutta la loro vita”. Ebrei 2:14, 15. {GN 234.4}

Satana non può tenere in suo potere i morti quando il Figlio di Dio ordina loro di vivere. Egli non può neppure mantenere nella morte spirituale chi riceve per fede la potente parola di Cristo. A tutti coloro che sono morti nel peccato Dio dice: “Risvégliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti”. Efesini 5:14. Sono parole di vita eterna. La parola di Dio, che dette la vita al primo uomo, dà la vita anche a noi. Come le parole di Gesù “Giovinetto, io tel dico: lèvati!” ridiedero la vita al giovane di Nain, così le parole “risorgi da’ morti” comunicano la vita all’essere umano. Dio “ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio”. Colossesi 1:13. Tutto ci viene offerto nella sua Parola. Se l’accettiamo abbiamo la liberazione. {GN 234.5}

“Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi”. Romani 8:11. “Perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore”. 1 Tessalonicesi 4:16, 17. Sono queste le parole di consolazione con le quali siamo invitati a consolarci gli uni gli altri. {GN 235.1}



Capitolo 33: “Chi sono i miei fratelli?”

I figli di Giuseppe non approvavano l’opera di Gesù. Le notizie che ricevevano sulla sua vita e sulla sua missione li riempivano di stupore e sgomento. Sapevano che consacrava notti intere alla preghiera e che durante il giorno era talmente assediato dalla folla che non aveva neppure il tempo per mangiare. I suoi amici temevano che si esaurisse per quel lavoro continuo; non riuscivano a comprendere il suo atteggiamento nei confronti dei farisei, e alcuni temettero persino per il suo equilibrio psichico. {GN 236.1}

I suoi fratelli vennero a conoscenza di queste cose e anche dell’accusa dei farisei secondo cui cacciava i demoni con il potere di Satana. E sentirono che la parentela con Gesù costituiva un pericolo per la loro reputazione. Seppero dell’agitazione prodotta dalle sue parole e dalle sue azioni; si allarmarono per le sue dichiarazioni esplicite e si indignarono per le accuse che rivolgeva agli scribi e i farisei. Allora decisero, con la persuasione o con la forza, di indurlo a cambiare modo di agire, e convinsero Maria a unirsi a loro per far leva sul suo amore filiale e indurlo a una maggiore prudenza. {GN 236.2}

Non molto tempo prima Gesù aveva guarito per la seconda volta un indemoniato, cieco e sordo, e i farisei avevano ripetuto la loro accusa: “Egli scaccia i demòni con l’aiuto del principe dei demòni”. Matteo 9:34. Gesù disse chiaramente che attribuendo a Satana l’opera dello Spirito Santo, si separavano dalla fonte della grazia. Coloro che avevano parlato contro Gesù senza conoscerne il carattere divino potevano essere perdonati, perché lo Spirito Santo poteva rivelare i loro errori e spingerli al pentimento. Qualsiasi peccato, se un uomo si pente e crede, viene purificato tramite il sacrificio di Cristo. Ma se qualcuno respinge l’opera dello Spirito Santo, si pone dove il pentimento e la fede non possono giungere. Dio opera nei cuori attraverso lo Spirito Santo, e quando gli uomini lo respingono volontariamente, attribuiscono la sua opera a Satana e interrompono l’unico canale tramite il quale Dio può comunicare con loro. Quando alla fine lo Spirito è completamente respinto, Dio non può fare più nulla. {GN 236.3}

I farisei a cui Gesù rivolse questo avvertimento, non credevano all’accusa che avevano rivolto a Gesù. Tutti si erano sentiti attratti dal Salvatore. Avevano udito nei loro cuori la voce dello Spirito testimoniare che egli era l’Unto d’Israele e che li invitava a diventare suoi discepoli. Davanti a lui si erano resi conto delle loro colpe e avevano desiderato una giustizia che da soli non riuscivano a realizzare. Ma dopo averlo respinto sarebbe stato troppo umiliante riceverlo come Messia. Avendo ormai iniziato a percorrere la via dell’incredulità, erano troppo orgogliosi per confessare il loro errore. Per evitare di riconoscere la verità, cercarono con disperata violenza di confutare gli insegnamenti del Salvatore. La sua potenza e la sua misericordia li esasperavano. Non potevano impedire al Salvatore di compiere dei miracoli; non potevano ridurre al silenzio i suoi insegnamenti; ma fecero il possibile per screditare la sua persona e alterare le sue parole. Lo Spirito di Dio operava ancora in loro ed essi dovevano erigere molte barriere per resistere al suo potere. La più grande potenza che possa operare nel cuore dell’uomo era al lavoro, ma essi non volevano cedere. {GN 236.4}

Non è Dio che acceca gli occhi degli uomini e che indurisce i loro cuori. Egli offre la luce per correggere i loro errori e condurli per la via più sicura. Gli occhi si chiudono e i cuori si induriscono quando questa luce viene rigettata. Spesso questo processo è graduale e quasi impercettibile. La luce giunge allo spirito mediante la Parola di Dio, attraverso i suoi messaggeri e per azione diretta del suo Spirito. Ma quando anche un solo raggio viene respinto, si verifica un parziale intorpidimento della sensibilità spirituale, e il secondo raggio di luce viene avvertito meno chiaramente. Così le tenebre si addensano finché si fa notte nell’anima. Tutto ciò stava avvenendo per i capi del popolo. Essi erano convinti che una potenza divina operasse attraverso Cristo, ma resistettero alla potenza della verità e attribuirono a Satana l’opera dello Spirito Santo. Agendo così scelsero volontariamente l’inganno, si consegnarono a Satana e da quel momento caddero completamente sotto il suo controllo. {GN 237.1}

Intimamente connesso con l’esortazione di Gesù a proposito del peccato contro lo Spirito Santo, è l’insegnamento sulle parole oziose e malvagie. Le parole manifestano i sentimenti del cuore. “Poiché dall’abbondanza del cuore la bocca parla”. Matteo 12:34. Le parole, però, sono qualcosa di più di una manifestazione del carattere: esse agiscono sul carattere. Gli uomini subiscono l’influsso delle loro parole. Accade spesso che, momentaneamente indotti da Satana, esprimano sentimenti di invidia e gelosia senza nemmeno credervi; ma le parole pronunciate agiscono a loro volta sui loro pensieri. Così sono ingannati dalle loro stesse parole e giungono a credere vero ciò che hanno detto per istigazione di Satana. Avendo espresso un’opinione o manifestato una decisione, gli uomini sono spesso troppo orgogliosi per cambiarla, e cercano così di mostrare che è giusta, sino a convincersi che lo è realmente. È pericoloso esprimere parole di dubbio sulla luce divina e criticarla. L’abitudine a una critica leggera e irriverente reagisce sul carattere e alimenta la mancanza di rispetto e l’incredulità. Molti, indulgendo in questa abitudine, si sono posti in una situazione pericolosa, arrivando a criticare e a rigettare l’opera dello Spirito Santo. Gesù ha detto: “Io vi dico che di ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato, e in base alle tue parole sarai condannato”. Matteo 12:36, 37. {GN 237.2}

In seguito Gesù rivolse un’esortazione a coloro che erano stati colpiti dalle sue parole, che lo avevano ascoltato con piacere, ma che non avevano accolto nel loro cuore lo Spirito Santo. L’uomo si perde non solo resistendo, ma anche essendo negligente. “Quando lo spirito immondo esce da un uomo, si aggira per luoghi aridi cercando riposo e non lo trova. Allora dice: Ritornerò nella mia casa da dove sono uscito; e quando ci arriva, la trova vuota, spazzata e adorna. Allora va e prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui, i quali, entrati, vi prendono dimora”. Versetti 43-45. {GN 238.1}

Molti, ai giorni di Gesù — come anche oggi — sembravano essere sfuggiti al potere di Satana. Mediante la grazia di Dio si erano liberati dagli spiriti malvagi che avevano preso possesso del loro spirito. Si rallegrarono dell’amore di Dio ma, simili agli uditori del terreno pietroso della parabola, non restarono legati al suo amore. Non si consacrarono a Dio tutti i giorni in modo che Cristo potesse ispirarli; e quando lo spirito malvagio tornò con “altri sette spiriti peggiori di lui”, ricaddero completamente in balia della potenza del male. {GN 238.2}

Quando un uomo si consacra a Cristo, un potere nuovo prende possesso del suo cuore. Si verifica un cambiamento che l’uomo non potrebbe mai produrre da solo. Si tratta di un’opera soprannaturale che introduce nell’uomo un elemento soprannaturale. L’uomo che si è consacrato a Cristo diventa come una fortezza di cui il Signore ha il dominio in questo mondo in rivolta e non permette che nes-sun’altra autorità, oltre la sua, venga accettata. Quando lo spirito è guidato dagli agenti divini non può essere conquistato dagli assalti di Satana. Ma se non accettiamo il dominio di Cristo saremo in balia del male. Non possiamo sfuggire al controllo di uno dei due grandi poteri che si contendono il dominio del mondo. Non è necessario decidere di servire il regno delle tenebre per essere sotto il suo dominio: è sufficiente trascurare di schierarsi con il regno della luce. Se non collaboriamo con gli agenti divini Satana prenderà possesso del nostro cuore e ne farà la sua dimora. L’unica salvaguardia contro il male è far dimorare Cristo nel cuore mediante la fede nella sua giustizia. Se non ci uniamo intimamente con Dio, non possiamo resistere agli effetti dell’egoismo e dell’indulgenza verso noi stessi, e non possiamo resistere alla tentazione di peccare. Possiamo separarci da Satana e abbandonare molte cattive abitudini, ma senza una vitale comunione con Dio e una continua consacrazione a lui saremo inevitabilmente sopraffatti. Privi di una diretta conoscenza di Cristo e di una comunione continua, resteremo in balia del nemico e soggetti alla sua volontà. {GN 238.3}

“E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà anche a questa malvagia generazione”. Matteo 12:45. Nessuno ha il cuore più indurito di quelli che hanno disprezzato l’invito della misericordia e hanno opposto resistenza allo Spirito della grazia. La più frequente manifestazione del peccato contro lo Spirito Santo consiste nel rifiuto di accettare l’invito del cielo al pentimento. Ogni passo compiuto nel rigetto di Cristo è un passo verso il rigetto della salvezza e verso il peccato contro lo Spirito Santo. {GN 239.1}

Gli ebrei, quando rigettarono Cristo, commisero questo peccato imperdonabile. Noi, rifiutando l’invito della misericordia, possiamo commettere lo stesso errore. Quando ci rifiutiamo di ascoltare i suoi messaggeri e prestiamo invece attenzione agli agenti di Satana che vogliono strappare gli uomini a Cristo, insultiamo il Principe della vita e lo esponiamo alla vergogna davanti alla sinagoga di Satana e davanti all’intero universo. Chi agisce così non può nutrire speranze di perdono e perderà infine ogni desiderio di riconciliazione con Dio. {GN 239.2}

Mentre Gesù stava ancora parlando alla folla, i suoi discepoli gli riferirono che sua madre e i suoi fratelli erano fuori e desideravano vederlo. Egli conosceva i loro pensieri. “Ma egli rispose a colui che gli parlava: Chi è mia madre, e chi sono i miei fratelli? E, stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Poiché chiunque avrà fatto la volontà del Padre mio che è ne’ cieli, mi è fratello e sorella e madre”. Versetti 48-50. {GN 239.3}

Tutti coloro che accettano Cristo per fede si uniscono a lui con un legame più stretto di quello di una qualsiasi parentela umana. Essi diventano una stessa cosa con lui, come egli lo è con il Padre. Sua madre, credendo e mettendo in pratica le sue parole, si univa a lui con una parentela più intima di quanto non lo fosse quella na turale. I suoi fratelli non avrebbero ricevuto alcun beneficio dalla loro parentela con Gesù se non lo avessero accettato come personale Salvatore. {GN 239.4}

Sarebbe stata una grande consolazione per Cristo se i suoi parenti terreni avessero creduto in lui come inviato dal cielo e avessero collaborato con lui nel compiere l’opera di Dio. La loro incredulità gettò un’ombra sulla vita terrena di Gesù. Fu una parte dell’amara coppa di dolore che egli bevve sino in fondo. {GN 240.1}

Il Figlio di Dio avvertì profondamente l’ostilità nata nel cuore degli uomini contro il Vangelo e provò un dolore particolare quando sorse nella sua casa, perché il suo cuore traboccava di tenerezza e di amore per i suoi familiari. I suoi fratelli volevano che Gesù condividesse le loro idee, ma se le avesse accettate si sarebbe completamente allontanato dalla sua missione. Pensavano che avesse bisogno dei loro consigli; lo giudicavano dal loro punto di vista e ritenevano che se avesse predicato un messaggio gradito agli scribi e ai farisei, avrebbe potuto evitare tutte le polemiche che le sue parole facevano sorgere. Pensavano che fosse fuori di sé quando pretendeva di avere un’autorità divina e quando rimproverava le colpe dei rabbini. Sapevano che i farisei cercavano un pretesto per accusarlo e si erano accorti che Gesù aveva offerto sufficienti occasioni per permettere che lo facessero. {GN 240.2}

Con i loro criteri miopi non potevano valutare correttamente la missione che Cristo era venuto a compiere e perciò non potevano simpatizzare con lui nelle prove. Le loro parole sprezzanti e grossolane mostravano che non avevano un’esatta comprensione del suo carattere e non distinguevano la sua natura divina che si manifestava in quella umana. Spesso lo videro addolorato, ma invece di confortarlo lo ferirono con le loro parole e con il loro atteggiamento. Il suo animo era tormentato perché le sue motivazioni e la sua opera non erano compresi. {GN 240.3}

I suoi fratelli seguivano l’antica dottrina dei farisei e pensavano di poter insegnare a colui che comprendeva tutta la verità e tutti i misteri. Essi condannavano apertamente ciò che non potevano capire. I loro rimproveri colpirono Gesù, il cui animo fu ferito e afflitto. Facevano professione di fede in Dio e pensavano di sostenerlo, mentre il Signore era in mezzo a loro in carne e ossa senza che lo riconoscessero. {GN 240.4}

Tutte queste cose resero molto duro il lavoro di Gesù. L’incomprensione dei suoi familiari era un motivo di grande dolore che trovava sollievo nel recarsi altrove. C’era una casa che amava visitare: quella di Lazzaro, Maria e Marta. In quell’atmosfera di fede e amore, trovava riposo. Tuttavia, nessuno sulla terra avrebbe potuto comprendere la sua missione divina o rendersi conto del peso che portava per l’umanità. Spesso trovava conforto soltanto nella solitudine e nella comunione con il Padre. {GN 240.5}

Coloro che sono chiamati a soffrire per amore di Cristo, che devono sopportare incomprensioni e prove, perfino nella propria famiglia, possono consolarsi al pensiero che anche Gesù ha sopportato le stesse difficoltà. Egli ha compassione di loro. Offre loro la sua amicizia e li invita a consolarsi là dove egli stesso ha trovato consolazione: nella comunione con il Padre. {GN 241.1}

Coloro che accettano Cristo come Salvatore non rimangono orfani e non devono sopportare da soli le prove della vita. Egli li accoglie come membri della famiglia divina e dice loro di considerare suo Padre come loro Padre. Sono il suo “piccol gregge”, caro al cuore di Dio, unito a lui con il legame più tenero e duraturo. L’amore che egli nutre per loro è tanto più grande di quello dei genitori terreni, quanto il divino è superiore all’umano. {GN 241.2}

Nelle leggi date a Israele c’è una bella illustrazione della relazione di Cristo con il suo popolo. Quando un israelita era costretto per la miseria a vendere se stesso e il suo patrimonio, il parente più stretto aveva il dovere di salvarlo e riscattare i suoi beni. Cfr. Levitico 25:25, 47-49; Rut 2:20. Così il compito di redimerci e riscattare la nostra eredità perduta attraverso il peccato spetta a colui che è il “parente più prossimo”. Per redimerci Cristo divenne nostro parente. Gesù, nostro Salvatore, ha stabilito con noi un legame più profondo di quello del padre, della madre, del fratello, dell’amico o del fidanzato. Egli dice: “Non temere, perché io t’ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio!... Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo, io do degli uomini al tuo posto, e dei popoli in cambio della tua vita”. Isaia 43:1, 4. {GN 241.3}

Cristo ama gli angeli che circondano il suo trono. Ma che dire del grande amore con cui ci ha amati? Non possiamo comprenderlo, ma nella nostra esperienza ci accorgiamo della sua realtà. E se preserviamo la nostra parentela con lui, con quale tenerezza tratteremo coloro che sono i fratelli e le sorelle del Signore! Siamo pronti a riconoscere l’ampiezza della nostra parentela divina? Adottati nella famiglia di Dio, non dobbiamo onorare il nostro Padre e tutti i nostri fratelli? {GN 241.4}



Capitolo 34: L’invito

“Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo”. Matteo 11:28. {GN 242.1}

Queste parole di consolazione furono rivolte alla folla che seguiva Gesù. Il Salvatore aveva detto che era possibile conoscere Dio soltanto tramite lui e che solo ai suoi discepoli era stata concessa la conoscenza della realtà divina. Ma egli non volle escludere nessuno dal suo interessamento e dal suo amore. Tutti coloro che sono travagliati e aggravati possono avvicinarsi a lui. {GN 242.2}

Gli scribi e i rabbini non riuscivano con la loro scrupolosa osservanza delle cerimonie religiose a soddisfare quelle esigenze dell’animo che vanno al di là dei riti religiosi. I pubblicani e i peccatori potevano dichiarare di essere soddisfatti delle ricchezze materiali e terrene, ma nei loro cuori rimanevano la sfiducia e la paura. Gesù si rivolgeva a coloro che erano addolorati e stanchi, a coloro che avevano perso la speranza, a coloro che ricercavano invano l’appagamento dell’animo nelle gioie terrene, e li invitava a trovare riposo in lui. {GN 242.3}

Egli diceva con tenerezza alle persone affaticate: “Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre”. Versetto 29. {GN 242.4}

Gesù rivolge queste parole a ogni uomo. Tutti, che lo riconoscano o meno, sono travagliati e aggravati. Tutti sono oppressi da pesi che soltanto Cristo può togliere. Il carico più pesante che dobbiamo portare è quello del peccato. Se dovessimo portarlo da soli, esso ci schiaccerebbe. Ma colui che è senza peccato ha preso il nostro posto: “Il Signore ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti”. Isaia 53:6. Egli ha portato il peso del nostro peccato e solleverà il fardello dalle nostre spalle stanche. Egli ci darà riposo e porterà il peso degli affanni e del dolore. Ci invita a gettare su di lui tutte le nostre preoccupazioni, perché possa aver cura di noi. {GN 242.5}

Il nostro fratello maggiore è vicino al trono eterno. Egli ascolta chiunque si rivolge a lui come al Salvatore. Conosce per esperienza le debolezze dell’umanità; le nostre necessità e le nostre difficoltà di fronte alla tentazione; è stato tentato in ogni cosa come noi, ma senza peccare. Egli veglia su voi, tremanti figli di Dio. Siete tentati? Vi libererà. Siete deboli? Vi rafforzerà. Siete ignoranti? Vi darà sapienza. Siete feriti? Vi guarirà. Il Signore “conta il numero delle stelle, le chiama tutte per nome; egli guarisce chi ha il cuore spezzato e fascia le loro piaghe”. Salmi 147:4, 3. Il suo invito è: “Venite a me”. In qualunque ansietà o prova vi troviate, presentate il vostro caso al Signore. Sarete rafforzati e diverrete capaci di superarle. Potrete liberarvi delle prove e delle difficoltà. Quanto più vi sentite deboli e privi di aiuto, tanto più diverrete forti attraverso la sua forza. Quanto più sono pesanti i vostri fardelli, tanto più sarà dolce il riposo quando vi sarete affidati a colui che li porta per voi. Il riposo che Gesù offre dipende da alcune condizioni, esplicitamente indicate, che devono essere adempiute. Gesù spiega come il suo riposo può essere ottenuto. {GN 242.6}

Egli dice: “Prendete su voi il mio giogo”. Il giogo è uno strumento che si mette sui buoi perché lavorino ed è necessario affinché il lavoro risulti ben fatto. Con questa immagine Gesù ci insegna che siamo chiamati a servire per tutta la nostra vita. Dobbiamo prendere su di noi il suo giogo e diventare suoi collaboratori. {GN 243.1}

Il giogo che costringe al servizio è la legge di Dio. La grande legge di amore, rivelata in Eden, proclamata sul Sinai, scritta nei cuori al nuovo patto, lega il lavoratore umano alla volontà di Dio. Se seguissimo le nostre inclinazioni, se andassimo là dove la nostra volontà ci orienta, ci ritroveremmo tra le fila di Satana con un carattere simile al suo. Perciò Dio ci ordina di fare la sua volontà, nobile e purificatrice. Egli desidera che adempiamo con pazienza e saggezza i doveri del servizio. Cristo stesso ha portato nella sua umanità questo giogo del servizio. Egli ha detto: “Dio mio, desidero fare la tua volontà, la tua legge è dentro il mio cuore” (Salmi 40:8); “Perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”. Giovanni 6:38. Gesù è venuto su questa terra per soffrire e morire, motivato dall’amore per il Signore, dallo zelo per la sua gloria e dall’amore per l’umanità decaduta. Questo fu il principio dominante della sua vita. E vuole che lo sia anche della nostra. {GN 243.2}

Molti sono vittime delle preoccupazioni perché perseguono gli ideali del mondo. Hanno deciso di conformarsi alle sue esigenze, accettato le ansietà e adottato i costumi. In questo modo il loro carattere è squilibrato e la loro vita noiosa. Per soddisfare le ambizioni e i desideri mondani, mettono a tacere la coscienza e si addossano un peso supplementare di rimorso. L’ansia continua logora le loro forze vitali. Il Signore desidera che essi depongano questo giogo di schiavitù. Li invita a prendere il suo giogo: “Poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero”. Matteo 11:30. Li esorta a cercare innanzi tutto il regno dei cieli e la sua giustizia, e promette loro tutte le cose necessarie per questa vita. L’ansia è cieca e non vede il futuro, ma Gesù scorge la fine sin dal principio. Ci aiuta in ogni difficoltà. Il Padre ha mille modi, a noi ignoti, per aiutarci. Le perplessità svaniranno e un sentiero piano si aprirà davanti a coloro che accettano il servizio e l’onore di Dio come loro obiettivo supremo. {GN 243.3}

Gesù dice: “Imparate da me, perch’io son mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre”. Matteo 11:29. Dobbiamo seguire l’esempio di Cristo per imparare dalla sua mansuetudine e dalla sua umiltà. Mediante la redenzione, lo spirito viene preparato per il cielo. Questa preparazione significa conoscenza di Cristo; significa liberazione da idee, abitudini, costumi appresi dal principe delle tenebre. L’uomo deve essere liberato da tutto ciò che si oppone alla lealtà verso Dio. {GN 244.1}

Nel cuore di Cristo, in perfetta armonia con Dio, vi era anche una pace perfetta. Egli non conobbe mai né l’esaltazione per l’approvazione, né lo scoraggiamento per le critiche o le delusioni. Conservò sempre il suo coraggio tra i più grandi contrasti e le più feroci opposizioni. Ma molti, che si dicono suoi discepoli, sono ansiosi, hanno il cuore turbato perché temono di affidarsi a Dio, perché non si abbandonano completamente a lui, perché indietreggiano di fronte alle conseguenze di un simile abbandono, senza il quale è impossibile trovare la pace. {GN 244.2}

L’inquietudine nasce dall’egoismo. Se siamo nati da Dio abbiamo la stessa mente di Gesù, quella mente che lo spinse a umiliarsi perché fossimo salvati. Allora non ricercheremo i primi posti ma desidereremo sederci ai piedi di Gesù e imparare da lui; comprenderemo che il valore del nostro lavoro non consiste nell’ostentazione e nello scalpore che possiamo provocare con un’attività incessante. Il valore del nostro lavoro è proporzionato alla misura di Spirito Santo accordataci. La fiducia in Dio potenzia la mente per farci diventare, attraverso la pazienza, padroni di noi stessi. {GN 244.3}

Si pone il giogo sui buoi perché portino meglio il carico, perché pesi meno. Così è del giogo di Cristo. Quando la nostra volontà si fonde con quella di Cristo, quando usiamo i suoi doni come una benedizione per altri, troveremo che i pesi della vita sono più leggeri. Camminare nelle vie dei comandamenti di Dio vuol dire avanzare in compagnia di Cristo e godere del riposo nel suo amore. Quando Mosè chiese: “Deh, fammi conoscere le tue vie, ond’io ti conosca e possa trovar grazia agli occhi tuoi”, il Signore gli rispose: “La mia presenza andrà con te e io ti darò riposo”. Esodo 33:13, 14. Attraverso i profeti fu dato questo messaggio: “Così dice il Signore: Fermatevi sulle vie e guardate, domandate quali siano i sentieri antichi, dove sia la buona strada, e incamminatevi per essa; voi troverete riposo alle anime vostre!” Geremia 6:16. Egli dice ancora: “Se tu fossi stato attento ai miei comandamenti la tua pace sarebbe come un fiume, la tua giustizia, come le onde del mare”. Isaia 48:18. {GN 244.4}

Quelli che prendono Cristo in parola e si affidano alla sua guida e alla sua volontà, trovano pace e riposo. Niente nel mondo può renderli tristi quando Gesù li ha resi felici con la sua presenza. Nella perfetta ubbidienza c’è un riposo perfetto. Il Signore dice: “A colui che è fermo nei suoi sentimenti tu conservi la pace, la pace, perché in te confida”. Isaia 26:3. Le nostre vite possono sembrare un groviglio confuso, ma quando le affidiamo al saggio Architetto, egli ne ricaverà un modello di vita e di carattere ricco della sua gloria. Un carattere simile a quello di Cristo sarà accolto nel regno di Dio. Una nuova umanità camminerà con lui in vesti bianche perché ne sarà degna. {GN 245.1}

Il cielo inizia quaggiù quando, tramite Cristo, entriamo nel riposo. La vita eterna inizia quando rispondiamo al suo invito di andare a lui. Il cielo si trova nell’avvicinarsi continuamente a Dio attraverso Cristo. Più viviamo in questa atmosfera di felicità divina, più partecipiamo alla gloria. Quanto più ampia sarà la nostra conoscenza di Dio, tanto più intensa sarà la nostra felicità. Se camminiamo con Gesù in questa vita, saremo colmi del suo amore e soddisfatti della sua presenza. Possiamo ottenere tutto quello che la nostra natura può ricevere. Ma che cosa è tutto questo in confronto a ciò che avremo nella vita eterna? “Perciò sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte, nel suo tempio; e colui che siede sul trono stenderà la sua tenda su loro. Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura; perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”. Apocalisse 7:15-17. {GN 245.2}



Capitolo 35: La tempesta sedata

Era stato un giorno denso di avvenimenti per Gesù. Sulle rive del mar di Galilea aveva pronunciato le sue prime parabole; con immagini familiari aveva spiegato la natura del suo regno e il modo con cui sarebbe stato stabilito. Aveva paragonato il suo lavoro a quello del seminatore e lo sviluppo del suo regno alla crescita di un granello di senape e alla lievitazione della farina per opera di un po’ di lievito. Con la parabola della zizzania e quella della rete aveva illustrato la grande separazione finale dei giusti e degli empi. La parabola del tesoro nascosto e della perla di gran prezzo mettevano in risalto il grandissimo valore delle verità da lui insegnate, mentre la parabola del padrone di casa mostrava in che modo i suoi discepoli avrebbero dovuto lavorare come suoi rappresentanti. {GN 246.1}

Per tutto il giorno aveva insegnato e guarito, e al sopraggiungere della sera la folla si accalcava ancora intorno a lui. Giorno dopo giorno aveva svolto il suo ministero in loro favore, interrompendolo appena per mangiare e riposarsi. Le insinuazioni maligne e le calunnie dei farisei rendevano il suo lavoro più faticoso, e alla fine della giornata era così stanco che aveva deciso di ritirarsi sull’altra sponda del lago, in un luogo solitario. {GN 246.2}

Sulla riva orientale del lago di Gennezaret c’erano alcuni villaggi sperduti, ma la regione sembrava deserta rispetto alla popolosa riva occidentale. Era abitata da una popolazione più pagana che ebrea, che aveva scarsi rapporti con la Galilea. Questa località offriva a Gesù la tranquillità desiderata, e invitò i suoi discepoli a recarvisi insieme a lui. {GN 246.3}

Dopo che Gesù ebbe congedato la folla, i suoi discepoli presero il largo con il loro Maestro. Ma non partirono soli. Altre barche si riempirono di persone che volevano seguire Gesù per udirlo ancora. {GN 246.4}

Liberatosi infine della folla, stanco e affamato, Gesù si stese nella barca e si addormentò. La sera era calma e le acque tranquille. Ma all’improvviso le tenebre ricoprirono il cielo, il vento cominciò a soffiare impetuosamente attraverso le gole della costa orientale e sul lago si scatenò una tempesta terribile. {GN 246.5}

Il sole era tramontato e l’oscurità della notte era scesa sul lago in tempesta. Onde furiose si infrangevano contro la barca dei discepoli e minacciavano di sommergerla. Quei pescatori coraggiosi avevano passato lunghi anni sul lago e avevano affrontato più di una tempesta, ma in quel momento la loro forza e la loro abilità non servivano a nulla. Erano in balia delle onde, la barca si riempiva di acqua e cominciarono a disperarsi. {GN 247.1}

Assorbiti dalla lotta contro il naufragio, i discepoli si erano dimenticati che Gesù era nella barca. Vedendo l’inutilità dei loro tentativi e con la prospettiva della morte, si ricordarono del Maestro che aveva ordinato loro di attraversare il lago. In Gesù riposero la loro estrema speranza. Lo chiamarono disperatamente. Non riuscivano a vederlo per le fitte tenebre; le loro voci si perdevano nel fragore della tempesta e non udivano alcuna risposta. Furono presi allora dal dubbio e dalla paura. Gesù li aveva forse abbandonati? Colui che aveva vinto la malattia, i demoni e perfino la morte, ora non poteva aiutare i suoi discepoli? Li aveva dimenticati proprio mentre erano in difficoltà? {GN 247.2}

Chiamarono ancora Gesù, ma l’unica risposta fu l’urlo lacerante del vento. La barca stava per affondare. Ancora un momento e forse sarebbero stati inghiottiti dalle acque furiose. {GN 247.3}

Un lampo improvviso permise loro di scorgere Gesù che, nonostante l’uragano, dormiva placidamente. Stupiti e disperati gridarono: “Maestro, non ti curi tu che noi periamo?” Marco 4:38. Come poteva Gesù dormire tranquillo mentre essi si trovavano in pericolo di morte? {GN 247.4}

Le loro grida risvegliano Gesù. Alla luce di un lampo essi scorgono la pace celeste del suo volto. Il suo sguardo rivela altruismo e amore. I discepoli si rivolgono allora a lui con tutto il cuore, gridando: “Signore, salvaci, siamo perduti”. Matteo 8:25. {GN 247.5}

Mai un’invocazione simile è rimasta senza risposta. Mentre i discepoli compiono un ultimo tentativo con i remi, Gesù si alza. In piedi, mentre la tempesta infuria, le onde li assalgono e i lampi squarciano le tenebre, il Maestro stende la mano abituata a opere di misericordia e ordina al mare infuriato: “Taci, càlmati!” Marco 4:39. {GN 247.6}

La tempesta cessa. Le acque si calmano. Le nuvole si allontanano e le stelle riappaiono. La barca scivola su un mare tranquillo. Gesù, rattristato, chiede ai discepoli: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?” Versetto 40. {GN 247.7}

Questi tacciono. Perfino Pietro non tenta di esprimere il suo timore. Anche le barche che avevano seguito Gesù si erano trovate in mezzo alla tempesta e avevano corso il rischio di affondare, ma anche a loro l’ordine di Gesù aveva reso la tranquillità. Siccome la furia del vento aveva fatto avvicinare le barche, tutti poterono assistere al miracolo. Nella calma che seguì, ogni timore fu dimenticato. Le persone si dicevano: “Che uomo è mai questo che anche i venti e il mare gli ubbidiscono?” Matteo 8:27. {GN 247.8}

Gesù era pienamente sereno quando fu svegliato durante la tempesta. Non c’era alcun segno di paura nelle sue parole e sul suo volto; il suo cuore ignorava la paura. Era tranquillo non perché fosse il Signore della terra, dei mari e del cielo, dominio a cui aveva rinunciato, ma perché confidava nel Padre, credeva nel suo amore e nella sua potenza. Fu la potenza della parola di Dio che placò la tempesta. {GN 248.1}

Come Gesù confidò nella provvidenza del Padre, così noi dobbiamo confidare in quella del nostro Salvatore. Se i discepoli avessero avuto fiducia in lui si sarebbero mantenuti calmi. Il timore, nell’ora del pericolo, rivelava la loro scarsa fede. Nella lotta contro la tempesta si erano dimenticati di Gesù, e solo quando si volsero a lui disperati furono aiutati. {GN 248.2}

Spesso anche noi facciamo la stessa esperienza dei discepoli. Quando giunge la tempesta della tentazione, quando i lampi solcano il cielo e le onde si rovesciano su di noi, combattiamo soli, senza ricordarci che Gesù ci può aiutare. Confidiamo nelle nostre forze finché, perduta ogni speranza, arriviamo al punto di confrontarci con la morte. Allora ci ricordiamo di Gesù e invochiamo il suo aiuto. Anche se il Maestro ci rimprovera, addolorato per la nostra incredulità e per l’eccessiva fiducia in noi stessi, non manca mai di soccorrerci. In terra o sul mare non abbiamo nulla da temere se il Salvatore è con noi. Una fede vivente nel Redentore calmerà il mare della vita e ci libererà dal pericolo nel modo che egli riterrà opportuno. {GN 248.3}

Il miracolo della tempesta sedata contiene un’altra lezione spirituale. L’esperienza di ogni uomo conferma la verità delle parole delle Scritture: “Ma gli empi sono come il mare agitato, quando non si può calmare... Non c’è pace per gli empi, dice il mio Dio”. Isaia 57:20, 21. Il peccato ha distrutto la nostra pace. Se il nostro io non si sottomette, non possiamo trovare riposo. Nessuna potenza umana può dominare le prepotenti passioni del cuore. Nei loro confronti siamo impotenti come lo furono i discepoli di fronte al lago in tempesta. Ma colui che ha ordinato alle onde di calmarsi pronuncia parole di pace a ogni spirito. Per quanto sia violenta la tempesta, coloro che si rivolgono a Gesù e gli dicono: “Signore, salvaci”, saranno liberati. La sua grazia, che riconcilia l’uomo con Dio, acquieta la lotta delle passioni; nel suo amore il cuore trova riposo. “Egli riduce la tempesta al silenzio e le onde del mare si calmano. Si rallegrano alla vista delle acque calme, ed egli li conduce al porto tanto desiderato”. Salmi 107:29, 30. “Giustificati dunque per fede, abbiam pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore”. Romani 5:1. “L’opera della giustizia sarà la pace e l’azione della giustizia, tranquillità e sicurezza per sempre”. Isaia 32:17. {GN 248.4}

Nelle prime ore del mattino il Salvatore e i discepoli giunsero a riva, mentre la luce del sole nascente illuminava il mare e la terra come una benedizione di pace. Ma appena sbarcati videro qualcosa di più terribile di una violenta tempesta. Due pazzi, nascosti fra i sepolcri, si scagliarono su di loro come se volessero farli a pezzi. Dalle loro braccia pendevano le catene che avevano spezzato fuggendo dalla prigione. Le loro carni sanguinavano per i tagli che si erano prodotti. I loro occhi lampeggiavano attraverso i capelli lunghi e arruffati. Sembrava che i demoni che li possedevano avessero tolto loro ogni parvenza di umanità; assomigliavano più a belve che a uomini. {GN 249.1}

I discepoli e i loro compagni furono terrorizzati; ed essendosi accorti che Gesù non era con loro, tornarono indietro per cercarlo. Il Maestro era ancora là dove lo avevano lasciato. Colui che aveva placato la tempesta e che in precedenza aveva già affrontato e vinto Satana non fuggiva davanti ai demoni. Quando i due indemoniati si avvicinarono a lui con i denti digrignati e la schiuma alla bocca, Gesù stese la mano che aveva poco prima calmato le onde e quegli uomini, frementi di rabbia, si dovettero fermare impotenti. {GN 249.2}

Egli ordinò con autorità agli spiriti immondi di uscire da loro. Le sue parole penetrarono nelle menti ottenebrate di quei due disgraziati. Essi si resero conto, confusamente, che si trovavano di fronte a qualcuno che avrebbe potuto liberarli da quei demoni tormentatori. Caddero ai piedi del Salvatore per adorarlo, ma appena ebbero aperto le labbra per implorare la sua misericordia, i demoni fecero loro gridare con veemenza: “Che c’è fra me e te, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Io ti scongiuro, in nome di Dio, di non tormentarmi”. Marco 5:7. {GN 249.3}

Gesù chiese: “Qual è il tuo nome? Egli rispose: Il mio nome è Legione perché siamo molti”. Versetto 9. Servendosi di questi disgraziati come mezzi di comunicazione, i demoni supplicarono Gesù di non scacciarli dal paese. Non molto lontano, sul fianco del monte, pascolava un branco di porci. I demoni chiesero di poter entrare in loro e Gesù lo permise. Immediatamente il panico colse quegli animali che si precipitarono con furia nel lago dove morirono. {GN 249.4}

Un meraviglioso cambiamento era avvenuto in quei due uomini. Si era fatta luce nella loro mente. I loro occhi rivelavano intelligenza; i loro volti, a lungo deformati da Satana, avevano ritrovato la dolcezza; le mani macchiate di sangue ora erano tranquille. Con gioia lodavano Dio per la liberazione ottenuta. {GN 249.5}

Dal monte, i guardiani dei porci avevano visto tutto e si erano affrettati a raccontare l’accaduto ai loro padroni e alla gente. Tutta la popolazione, spaventata e stupita, accorse incontro a Gesù. I due indemoniati erano stati il terrore della contrada. Nessuno osava passare vicino al luogo in cui abitavano perché essi si precipitavano furiosi sui viandanti. Ora, invece, rinsaviti e con un aspetto normale, sedevano ai piedi di Gesù, ascoltavano le sue parole e glorificavano il loro Salvatore. Ma la gente che assisteva a quello straordinario spettacolo non si rallegrò. La perdita dei porci sembrava loro più importante della liberazione di quei prigionieri di Satana. {GN 250.1}

Gesù aveva permesso la perdita di quegli animali perché i loro proprietari imparassero una preziosa lezione. Erano così assorbiti dagli interessi terreni che non si curavano affatto dei beni spirituali. Gesù voleva rompere quell’indifferenza egoistica affinché accettassero la sua grazia. Ma il rammarico e l’indignazione per la perdita economica li indusse a respingere la misericordia del Salvatore. {GN 250.2}

La manifestazione di potenza soprannaturale risvegliò le superstizioni di quella gente e destò i loro timori. Temevano che la potenza di quello straniero potesse causare altre disgrazie e rovinarli economicamente. Per queste ragioni vollero liberarsi di lui. Quelli che avevano attraversato il lago con Gesù raccontarono inutilmente tutto ciò che era accaduto nella notte precedente: il pericolo della tempesta e la calma miracolosa che era subentrata. Le loro parole non ebbero alcun effetto. Quelle popolazioni, piene di spavento, si affollarono intorno a Gesù e lo supplicarono di andarsene. Egli acconsentì e subito si imbarcò per l’altra sponda. {GN 250.3}

Gli abitanti di Gadara avevano avuto il privilegio di godere della presenza di Cristo, del beneficio della sua potenza e della sua misericordia. Avevano visto la guarigione di due indemoniati ma, per l’eccessivo attaccamento ai beni terreni, trattarono come un intruso colui che aveva vinto davanti ai loro occhi il principe delle tenebre, e allontanarono dal loro territorio l’inviato del cielo. Noi non possiamo, come fecero i gadareni, allontanarci fisicamente dalla persona di Cristo, ma possiamo farlo rifiutandoci di ubbidire alla sua Parola, perché questa ubbidienza implica sacrificio di interessi terreni. Se la presenza di Cristo procura una perdita finanziaria, molti respingono la sua grazia e il suo Spirito. {GN 250.4}

Gli indemoniati guariti avevano sentimenti ben diversi. Desidera vano restare con Gesù perché in sua presenza si sentivano al sicuro dai demoni, causa del loro tormento e della loro rovina. Mentre Gesù saliva sulla barca, si inginocchiarono davanti a lui e gli chiesero che li portasse con sé perché potessero ascoltare sempre le sue parole. Ma Gesù gli ordinò di andare a casa e raccontare le grandi cose che il Signore aveva fatte. {GN 250.5}

Essi avevano una missione da compiere: recarsi tra i pagani e raccontare le benedizioni ricevute da Gesù. Era un grande sacrificio per loro separarsi dal Salvatore. Tornando in mezzo ai pagani avrebbero incontrato molte difficoltà, e l’isolamento prolungato nel quale erano vissuti pareva renderli inadatti ad assolvere il compito affidato loro da Gesù. Ma essi ubbidirono subito. Non solo parlarono di Gesù ai loro familiari e ai loro vicini, ma percorsero tutta la Decapoli parlando ovunque della sua potenza e del modo in cui erano stati liberati dai demoni. Nell’adempiere questo compito provarono maggior gioia che se fossero rimasti con Gesù per un qualsiasi vantaggio. Noi siamo vicini al Salvatore quando lavoriamo per diffondere la buona novella della salvezza. {GN 251.1}

I due indemoniati guariti furono i primi missionari che Cristo inviò a proclamare il messaggio del Vangelo nella regione della De-capoli. Essi avevano avuto il privilegio di ascoltare gli insegnamenti di Cristo solo per pochi momenti. Non avevano mai udito un suo sermone; non erano certo capaci di istruire la gente come i discepoli che vivevano tutti i giorni con Cristo. {GN 251.2}

Ma portavano sul loro corpo la prova che Gesù era il Messia. Potevano raccontare ciò che sapevano, ciò che avevano visto, udito, sentito, provato della potenza di Cristo. È tutto quello che può fare ogni persona che è stata toccata dalla grazia di Dio. Giovanni, il discepolo prediletto, ha scritto: “Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con gli occhi nostri, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola della vita. noi l’annunziamo anche a voi”. Giovanni 1:1, 3. {GN 251.3}

Come testimoni di Cristo dobbiamo raccontare quello che sappiamo, quello che abbiamo visto, ciò che abbiamo udito e quello che abbiamo sentito. Se abbiamo sempre seguito Gesù, possiamo testimoniare del modo in cui egli ci ha guidati. Possiamo raccontare che abbiamo sperimentato che le sue promesse sono vere. Possiamo testimoniare ciò che abbiamo conosciuto della grazia di Cristo. Questa è la testimonianza che il Signore si aspetta da noi, e senza la quale gli uomini moriranno per sempre. {GN 251.4}

Sebbene gli abitanti di Gadara non avessero ricevuto Gesù, egli

non li lasciò nelle tenebre. Quando lo invitarono ad allontanarsi dal loro territorio, non avevano ancora udito il suo insegnamento e non conoscevano ciò che rifiutavano. Per questo Gesù inviò loro nuovamente un messaggio mediante degli uomini che essi non avrebbero potuto fare a meno di ascoltare. {GN 252.5}

Provocando la morte dei porci, Satana si proponeva di distogliere la gente dal Salvatore e impedire la predicazione del Vangelo in quella regione. Ma quell’avvenimento scosse l’intera regione come niente altro avrebbe potuto fare e volse l’attenzione verso Cristo. Sebbene il Salvatore fosse partito, gli uomini che aveva guarito rimanevano a testimoniare della sua potenza. Coloro che erano stati strumento del principe delle tenebre, divennero strumenti di luce, messaggeri del Figlio di Dio. Gli uomini si stupivano nell’udire queste notizie meravigliose. In quella regione si aprì una porta al messaggio del Vangelo. {GN 252.1}

Quando Gesù tornò nella Decapoli la popolazione si riunì intorno a lui, e per tre giorni non solo gli abitanti di una città ma migliaia di persone provenienti da tutta la regione ascoltarono la predicazione del messaggio della salvezza. Persino la potenza dei demoni è sotto il controllo del nostro Salvatore e l’opera del male è dominata da quella del bene. {GN 252.2}

L’incontro con gli indemoniati di Gadara insegnò una lezione ai discepoli. Mostrava il grado di abbrutimento in cui Satana cerca di far precipitare tutta la razza umana e indicava in Cristo il liberatore degli uomini. Quei miserabili che vivevano fra le tombe, posseduti dai demoni, schiavi di passioni sfrenate e desideri odiosi, erano l’immagine del decadimento dell’umanità abbandonata a Satana. Egli mira a eccitare i sensi, a dirigere la mente verso il male, la violenza e il delitto. Vuole indebolire il corpo, oscurare l’intelligenza e avvilire lo spirito. {GN 252.3}

Quando gli uomini respingono l’invito del Salvatore cadono sotto il dominio di Satana. Molti oggi fanno questa stessa esperienza in famiglia, negli affari e persino nella chiesa. Per questo la violenza e il crimine dilagano sulla terra e le tenebre avvolgono gli uomini come un drappo funebre. {GN 252.4}

Con le sue astute tentazioni Satana trascina gli uomini sempre più in basso, fino alla corruzione e alla rovina totale. L’unica difesa contro la sua potenza si trova nella presenza di Gesù. Satana si è manifestato come il nemico e il distruttore degli uomini. Il Cristo si è rivelato come il loro amico e il loro liberatore. Il suo Spirito sviluppa nell’uomo tutto ciò che nobilita il carattere ed esalta la natura, per ristabilire completamente la gloria di Dio nell’uomo: nel corpo, nella mente e nello spirito. “Poiché Iddio ci ha dato uno spirito non di timidità, ma di forza e d’amore e di correzione”. 2 Timoteo 1:7. Egli ci ha chiamati “affinché otteniate la gloria del Signore nostro Gesù Cristo” (2 Tessalonicesi 2:14) “a essere conformi all’immagine del Figlio suo”. Romani 8:29. {GN 252.5}

La potenza di Cristo continua a trasformare in messaggeri di giustizia coloro che si sono lasciati degradare fino a essere strumenti di Satana. Il Figlio di Dio li invia poi a raccontare “le grandi cose che il Signore ti ha fatte, e come ha avuto pietà di te”. Marco 5:19. {GN 253.1}



Capitolo 36: Il tocco della fede

Di ritorno da Gadara, Gesù trovò sulla costa occidentale una folla che lo accolse con gioia. Si fermò un po’ di tempo sulla riva del mare per insegnare e guarire; poi si recò in casa di Levi Matteo per la festa dei pubblicani. Qui venne a trovarlo Iairo, il capo della sinagoga. {GN 254.1}

Questo anziano del popolo d’Israele era angosciato. Si gettò ai piedi di Gesù e gli disse: “La mia bambina sta morendo. Vieni a posare le mani su di lei, affinché sia salva e viva”. Marco 5:23. {GN 254.2}

Gesù si diresse subito verso quella casa. Benché i discepoli avessero visto molti dei suoi miracoli, rimasero sorpresi per la sua pronta risposta alla richiesta di quell’orgoglioso rabbino; ma accompagnarono il Maestro, e la folla li seguì curiosa. {GN 254.3}

La casa di Iairo non era molto lontana, tuttavia Gesù e i discepoli avanzavano lentamente a causa della folla. Quel padre era impaziente, ma Gesù provando pietà per la gente si fermava per alleviare i sofferenti e confortare gli scoraggiati. {GN 254.4}

Mentre erano ancora in cammino, un messaggero che si era fatto strada tra la folla annunciò a Iairo che sua figlia era morta e che era ormai inutile far venire il Maestro. Gesù udì quelle parole e disse: “Non temere; soltanto continua ad aver fede!” Versetto 36. {GN 254.5}

Iairo si accostò al Salvatore e insieme si affrettarono verso casa. Coloro che facevano cordoglio, insieme ai suonatori di flauto, erano già sul posto e riempivano l’aria di frastuono. Quella folla e il tumulto dispiacquero a Gesù, che li fece tacere, dicendo: “Perché piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. Versetto 39. A sentire quelle parole i presenti si indignarono e si fecero beffe di lui, perché avevano visto che la bambina era morta. Ma Gesù, dopo averli fatti uscire tutti, entrò nella stanza dove la fanciulla era stata posta, insieme ai genitori e a tre dei suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni. Gesù si avvicinò al letto, prese la bambina per mano e le disse con dolcezza: “Ragazza, ti dico: àlzati!” Versetto 41. {GN 254.6}

Un fremito percorse le membra inanimate. Il cuore ricominciò a pulsare, la bimba aprì gli occhi come se si svegliasse dal sonno e, sorridente, guardò con stupore coloro che le erano intorno. Si alzò, e i suoi genitori piangendo di gioia la strinsero fra le braccia. {GN 254.7}

Prima ancora che giungesse in quella casa, Gesù aveva incontrato tra la folla una donna disperata che da dodici anni soffriva di una malattia terribile. Aveva speso inutilmente tutti i suoi averi per medici e medicine, ma ricominciò a sperare quando udì parlare delle guarigioni di Gesù. Credeva che sarebbe guarita se soltanto fosse riuscita ad andare da lui. Nonostante la sua debolezza e le sue sofferenze, riuscì ad arrivare sulla riva dove Gesù insegnava, ma non le fu possibile farsi strada attraverso la folla. Lo seguì ancora sino alla casa di Levi Matteo senza però riuscire ad avvicinarsi a lui. Già stava per scoraggiarsi quand’egli, nel farsi largo tra la folla, le passò accanto. {GN 255.1}

Era giunta l’occasione preziosa: si trovava proprio davanti al grande Medico. Ma per il clamore della folla non poté parlargli e ne intravide appena la sagoma. Temendo di perdere la sua unica possibilità di guarigione si fece avanti pensando: “Se riesco a toccare almeno le sue vesti, sarò salva”. Marco 5:28. Mentre il Maestro passava, lo raggiunse e riuscì a sfiorare l’orlo della sua tunica. In quell’istante si sentì guarita. Aveva concentrato tutta la sua fede in quel contatto: subito il suo dolore e la sua debolezza si erano trasformati in vigore e guarigione. {GN 255.2}

Era piena di gratitudine, ma cercò di allontanarsi tra la folla. Invece Gesù si fermò, e insieme a lui la folla. Si guardò intorno chiedendo ad alta voce, perché tutti lo udissero: “Chi mi ha toccato le vesti?” Versetto 30. La folla si stupì di quella domanda, perché tutti lo premevano da ogni parte. {GN 255.3}

Pietro, sempre pronto a parlare, gli disse: “Tu vedi come la folla ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?” Versetto 31. Gesù rispose: “Qualcuno mi ha toccato, perché ho sentito che una potenza è uscita da me”. Luca 8:46. Il Salvatore sapeva distinguere il tocco della fede da quello casuale di una folla noncurante. Una tale fiducia non doveva passare inosservata. Voleva dire a quell’umile donna parole di conforto che sarebbero state una fonte di gioia per lei e una benedizione per i discepoli, sino alla fine dei tempi. {GN 255.4}

Guardando in direzione della donna, Gesù insistette per sapere chi l’avesse toccato. Non potendosi nascondere, la donna tremando si gettò ai suoi piedi. Raccontò con lacrime di riconoscenza le sue sofferenze e la sua guarigione. Gesù le disse con dolcezza: “Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace”. Versetto 34. Non volle concedere nessun appiglio all’idea superstiziosa secondo cui il semplice contatto fisico aveva potuto compiere il miracolo. La guarigione era dovuta non al contatto materiale, ma alla fede che si fonda sulla potenza divina. {GN 255.5}

La folla curiosa che si accalcava intorno a Gesù non riceveva alcuna comunicazione di potenza vitale. Ma quella donna sofferente, che lo aveva toccato certa della guarigione, beneficiò della potenza che guarisce. Lo stesso accade nella vita spirituale. Parlare di religione in circostanze occasionali, pregare senza un desiderio intenso e senza una fede vivente, non serve a nulla. Una fede formale in Cristo, che lo accetti soltanto come Salvatore del mondo, non può assicurare la salvezza all’uomo. La fede che salva non consiste in una semplice adesione intellettuale alla verità. Colui che aspetta di avere una piena conoscenza prima di credere, non può ricevere la benedizione di Dio. Non basta credere al messaggio di Cristo, bisogna credere in lui. La sola fede che salva è quella che lo accetta come Salvatore personale e si appropria dei suoi meriti. Alcuni riducono la fede a una semplice opinione. La fede vera, invece, è l’atto per il quale coloro che ricevono Cristo si uniscono a Dio con un patto. La vera fede è vita. Una fede vivente produce forza e fiducia che comunicano all’uomo una potenza vittoriosa. {GN 256.1}

Gesù volle che la donna, dopo aver ricevuto la guarigione, riconoscesse le benedizioni che le erano state accordate. I doni che sono frutto del messaggio del Vangelo non devono essere tenuti per sé o goduti in segreto. Il Signore ci invita a far conoscere agli altri la sua bontà: “Voi me ne siete testimoni, dice il Signore: io sono Dio”. Isaia 43:12. {GN 256.2}

Dio vuole che riveliamo Cristo al mondo e che riconosciamo la sua grazia che è stata manifestata nei santi uomini del passato. Ma la testimonianza più valida è quella della nostra esperienza. Noi siamo testimoni di Dio quando manifestiamo nella nostra vita la potenza trasformatrice di Dio. Ogni individuo vive una vita diversa da quella degli altri e compie un’esperienza diversa. Dio vuole che noi lo lodiamo conservando la nostra individualità. Questi preziosi riconoscimenti a lode della gloria della sua grazia, accompagnati da una vita cristiana, esercitano un potere irresistibile per la salvezza delle persone. {GN 256.3}

Ai dieci lebbrosi che andarono da Gesù per essere guariti, egli disse di mostrarsi ai sacerdoti. Guarirono mentre si dirigevano verso il tempio. Ma uno solo tornò per ringraziare. Gli altri si dimenticarono di chi li aveva guariti. Anche oggi molti si comportano nello stesso modo. Il Signore concede sempre i suoi beni agli uomini. Guarisce gli infermi che soffrono sul loro letto; salva gli uomini dai pericoli di cui non si rendono conto; manda gli angeli perché li liberino dalle avversità e li preservino dalla “peste che va vaga nelle tenebre” e dallo “sterminio che imperversa in pieno mezzogiorno”. Salmi 91:6. Ma i loro cuori restano insensibili. Sebbene egli abbia offerto tutte le ricchezze del cielo come prezzo del loro riscatto, essi non rispondono al suo grande amore. Con la loro ingratitudine chiudono il cuore alla grazia di Dio. Come l’erica nel deserto, non sanno quando ricevono il bene e il loro spirito è desolato. {GN 256.4}

Il ricordo delle benedizioni che il Signore concede ci reca un grande beneficio. In tal modo la nostra fede si fortifica e può chiedere e ottenere sempre di più. Ci incoraggia di più una piccola benedizione ricevuta da Dio che tutto quello che si racconta sulla fede e sulle esperienze degli altri. L’uomo che riconosce la grazia di Dio sarà come un giardino annaffiato: il suo vigore germoglierà rapidamente, la sua luce apparirà nelle tenebre e la gloria del Signore risplenderà su di lui. Ricordiamoci della tenera bontà del Signore e delle sue grazie innumerevoli. Come il popolo d’Israele, erigiamo delle pietre in testimonianza per scrivervi sopra il racconto prezioso di ciò che Dio ha fatto per noi. Ripensando ai doni che ci ha elargito nel nostro pellegrinaggio terreno, esclamiamo con il cuore traboccante di gratitudine: “Che potrò ricambiare al Signore per tutti i benefici che mi ha fatti? Io alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore. Scioglierò i miei voti al Signore e lo farò in presenza di tutto il suo popolo”. Salmi 116:12-14. {GN 257.1}



Capitolo 37: I primi evangelisti

Gli apostoli formavano con Gesù una famiglia. Lo avevano accompagnato nei suoi viaggi a piedi attraverso la Galilea, condiviso pene e privazioni, ascoltato i suoi discorsi, conversato con lui e imparato a lavorare per il bene dell’umanità. Mentre Gesù si occupava della folla, i discepoli lo aiutavano, pronti a fare ciò che diceva. Collaboravano perché la folla fosse disciplinata, conducevano al Salvatore gli ammalati e provvedevano al benessere di tutti. Spiegavano le Scritture agli ascoltatori più attenti e si impegnavano per la loro formazione spirituale. Trasmettevano ciò che avevano imparato da Gesù e arricchivano ogni giorno la loro esperienza. Ma era giunto il tempo in cui dovevano cominciare a lavorare da soli. Per questo avevano bisogno di istruirsi maggiormente e diventare più pazienti e mansueti. Per poter indicare i loro eventuali errori e quindi consigliarli, il Salvatore mentre era ancora in mezzo a loro li mandò da soli. {GN 258.1}

I discepoli si erano sentiti diverse volte imbarazzati di fronte all’insegnamento dei sacerdoti e dei rabbini, ma presentavano i loro dubbi a Gesù che li chiariva con le verità delle Scritture. Rafforzata la loro fiducia nella Parola di Dio, egli li liberava dal timore dei rabbini e dalla schiavitù della tradizione. Il suo esempio contribuì alla formazione dei discepoli molto più di qualsiasi insegnamento verbale. Quando Gesù non fu più in mezzo a loro, essi si ricordarono del suo sguardo, del tono della sua voce e delle sue parole. Quando erano in difficoltà a causa dei nemici del Vangelo, ripetevano le parole del Maestro e si rallegravano nel vedere quali effetti producessero nel popolo. {GN 258.2}

Gesù chiamò i dodici e li inviò a due a due nelle città e nei villaggi. Nessuno partì solo; il fratello andò con il fratello, l’amico con l’amico. Così potevano incoraggiarsi a vicenda, consigliarsi l’uno con l’altro, pregare insieme e aiutarsi. Più tardi, inviò nello stesso modo i settanta discepoli. Il Salvatore voleva che i messaggeri del Vangelo diventassero più uniti. Se questo esempio fosse seguito, l’opera dell’evangelizzazione porterebbe frutti abbondanti. {GN 258.3}

II messaggio dei discepoli era lo stesso che avevano annunciato già Giovanni il battista e Gesù. “Il regno dei cieli è vicino”. Matteo 10:7. {GN 258.4}

Non dovevano discutere sulla messianicità di Gesù di Nazaret, ma compiere nel suo nome le sue stesse opere di misericordia. Gesù dette loro quest’ordine: “Guarite gli ammalati, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni; gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Versetto 8. {GN 259.1}

Gesù dedicò più tempo alla guarigione degli ammalati che alla predicazione. I suoi miracoli attestavano la verità delle sue parole. Egli non era venuto per condannare gli uomini, ma per salvarli. La sua giustizia lo precedeva e la gloria del Signore era la sua retroguardia. Ovunque andasse lo precedeva l’annuncio delle sue opere di misericordia. Dopo il suo passaggio gli ammalati si rallegravano per la salute ritrovata e usavano le forze recuperate. La gente si radunava per sentire dalle loro labbra il racconto di ciò che il Signore aveva fatto. Per molti la sua voce era il primo suono che avessero mai udito, e il suo volto il primo che avessero mai contemplato. Come avrebbero potuto non amare Gesù e non celebrare le sue lodi? Egli passava per città e villaggi trasmettendo potenza vitale e diffondendo ovunque salute e gioia. {GN 259.2}

I discepoli di Cristo devono lavorare come il loro Maestro. Devono nutrire gli affamati, vestire gli ignudi, consolare i sofferenti e gli afflitti, aiutare i disperati e infondere speranza agli scoraggiati. Se lo fanno, anche per costoro si adempie la promessa: “La tua giustizia ti precederà e la gloria del Signore sarà la tua retroguardia”. Isaia 58:8. L’amore di Cristo, manifestato in un ministero disinteressato, sarà più efficace della spada o del tribunale per correggere i malfattori. Questi mezzi sono necessari per intimorire i violatori della legge, ma un missionario ispirato dall’amore farà molto di più. Accade spesso che un cuore indurito per i rimproveri ceda all’amore di Cristo. Il missionario può non solo soccorrere i malati, ma anche condurli al grande Medico che sa purificare lo spirito dalla lebbra del peccato. Dio vuole che gli ammalati e gli infelici odano la sua voce attraverso i suoi collaboratori e dare al mondo, mediante strumenti umani, una consolazione mai conosciuta prima. {GN 259.3}

Gesù inviò i discepoli, nel loro primo viaggio missionario, “verso le pecore perdute della casa d’Israele”. Matteo 10:6. Se avessero predicato il Vangelo ai pagani e ai samaritani, avrebbero perso il loro influsso sugli ebrei. Inoltre, suscitando i pregiudizi dei farisei, si sarebbero trovati invischiati in aspre polemiche proprio all’inizio del loro lavoro. D’altra parte anche gli apostoli compresero lentamente che il Vangelo doveva essere annunciato a tutte le nazioni. E non avrebbero potuto lavorare fra i gentili senza aver compreso questa verità. Gli ebrei stessi, secondo il piano di Dio, una volta accettato il Vangelo, dovevano diventare i suoi messaggeri presso i pagani; quindi spettava loro ascoltare per primi il messaggio. {GN 259.4}

Ovunque Cristo aveva realizzato la sua missione c’erano uomini coscienti delle loro necessità, affamati e assetati di verità. Era tempo di portare a quei cuori avidi l’annuncio del suo amore. I discepoli dovevano recarsi da loro come rappresentanti di Gesù, e così la gente a poco a poco li avrebbe considerati come maestri inviati dal Signore e ne avrebbe riconosciuta l’autorità anche dopo la partenza del Salvatore. {GN 260.1}

In questo primo viaggio i discepoli dovevano recarsi solamente nelle località già visitate da Gesù, dove si trovavano alcuni suoi amici. I loro preparativi dovevano essere molto sommari. Nulla doveva distoglierli da quella grande opera o provocare un’opposizione che avrebbe impedito la loro missione successiva. Non dovevano vestirsi come i dottori della legge, ma conservare l’aspetto della loro umile origine. Non dovevano parlare nelle sinagoghe, ma andare di casa in casa. Non dovevano perdere tempo in saluti inutili o intrattenimenti; in ogni luogo dovevano accettare l’ospitalità di coloro che erano degni. Ospitare i discepoli sarebbe stato come ospitare Cristo. Entrando nelle case dovevano pronunciare questo bel saluto: “Pace a questa casa!” Luca 10:5. La benedizione sarebbe scesa sulla casa insieme con le loro preghiere, i loro canti di lode, la lettura delle Scritture. {GN 260.2}

Così i discepoli avrebbero preparato la via al loro Maestro. Portavano il messaggio della vita eterna, dalla cui accettazione dipendeva il destino degli uomini. Per mettere in risalto la solennità di questo messaggio, Gesù disse ai discepoli: “Se qualcuno non vi riceve né ascolta le vostre parole, uscendo da quella casa o da quella città, sco-tete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico che il paese di Sodoma e di Gomorra, nel giorno del giudizio, sarà trattato con meno rigore di quella città”. Matteo 10:14, 15. {GN 260.3}

Il Salvatore ora volge il suo sguardo verso il futuro: scorge i campi più vasti in cui, dopo la sua morte, i discepoli avrebbero testimoniato. Il suo sguardo profetico coglie l’esperienza dei suoi collaboratori attraverso i secoli, sino al suo ritorno. Indica le lotte che incontreranno, dice loro come dovranno comportarsi, segnala i pericoli che dovranno affrontare e le rinunce richieste. Vuole che conoscano il prezzo della fedeltà, in modo che il nemico non li colga impreparati. Non è contro la carne e il sangue che dovranno lottare, ma “contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti”. Efesini 6:12. Nella lotta contro le forze soprannaturali possono però fare affidamento su un aiuto divino. L’esercito di Dio comprende non solo tutti gli angeli, ma anche lo Spirito Santo il quale, come rappresentante del Capo dell’esercito dell’Eterno, scende direttamente nella lotta. Le nostre debolezze possono essere numerose, i nostri peccati e i nostri errori possono essere gravi, ma la grazia di Dio è per tutti coloro che la ricercano con contrizione. La potenza infinita di Dio è a disposizione di coloro che confidano in lui. {GN 260.4}

Gesù ha detto: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”. Matteo 10:16. Cristo non ha mai nascosto una parte della verità, ma l’ha sempre detta con amore, mostrandosi prudente e pieno di tatto. Non è stato mai rude, non ha mai pronunciato senza ragione una parola severa né ha fatto soffrire inutilmente un’anima sensibile. Non ha censurato la debolezza umana, ma ha denunciato senza timore l’ipocrisia, l’incredulità e la malvagità. {GN 261.1}

Quando pronunciava i più severi rimproveri era però sempre commosso. Pianse su Gerusalemme, la sua amata città, perché si era rifiutata di ricevere lui che era la via, la verità e la vita. Avevano rifiutato il Salvatore, ma egli li considerava con tenera pietà e profondo dolore. Ogni anima è preziosa ai suoi occhi. Sebbene rivestito di dignità divina, nutriva la più tenera considerazione verso ogni membro della famiglia di Dio. In tutti gli uomini vedeva delle anime perdute che era venuto a salvare. {GN 261.2}

I discepoli di Cristo non devono seguire i loro impulsi, ma devono mantenere un’intima comunione con Dio affinché, quando sono offesi, l’amor proprio non li spinga a pronunciare un torrente di parole inopportune che non saranno certo né come la rugiada né come la pioggia che rinfresca le piante appassite. è a questo che li spinge Satana. Questi sono i suoi metodi. Il dragone si adira e il suo spirito si manifesta nella collera e nelle accuse. Ma i collaboratori di Dio, che lo rappresentano, devono usare solo la verità, la moneta del cielo che porta la sua effige e la sua iscrizione. La potenza con la quale devono vincere il male è quella di Cristo. La gloria di Cristo è la loro forza. Se fisseranno lo sguardo sulla sua amabilità, potranno presentare il Vangelo con tatto e dolcezza. Chi sa essere gentile, nonostante le ingiurie, rappresenterà l’argomento più convincente in favore della verità. {GN 261.3}

Coloro che discutono con i nemici della verità non lottano soltanto contro gli uomini ma anche contro Satana e i suoi seguaci. Ricordiamo le parole del Salvatore: “Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”. Luca 10:3. Confidando nell’amore di Dio il loro animo si manterrà calmo, nonostante i maltrattamenti. Il Signore li proteggerà con un’armatura divina. Il suo Spirito agirà sulla loro mente e sul loro cuore, affinché la loro voce sia calma e dolce. {GN 261.4}

Continuando a istruire i discepoli, Gesù disse: “Guardatevi dagli uomini”. Matteo 10:17. Non dovevano fidarsi di coloro che non conoscevano Dio né rivelare loro i propri progetti, per non favorire l’opera di Satana. Le azioni degli uomini spesso ostacolano i piani di Dio. Coloro che costruiscono il tempio del Signore devono farlo secondo il modello mostrato sul monte. Quando i servitori di Dio seguono i consigli di uomini che non sono guidati dallo Spirito Santo, Dio viene disonorato e il messaggio del Vangelo alterato. La sapienza del mondo è follia agli occhi di Dio. Coloro che si basano su di essa commettono molti errori. {GN 262.1}

“Perché vi metteranno in mano ai tribunali... e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per servire di testimonianza davanti a loro e ai pagani”. Versetti 17, 18. La persecuzione produrrà una maggiore diffusione della verità. Per questa ragione i discepoli di Gesù verranno condotti davanti agli uomini potenti di questo mondo, che diversamente non avrebbero mai potuto udire il Vangelo. {GN 262.2}

Spesso la verità del Vangelo, a causa delle false accuse rivolte contro i discepoli di Cristo, è stata presentata loro sotto una falsa luce. Spesso questi uomini importanti hanno la possibilità di conoscere la vera natura di questa fede solo tramite la testimonianza di coloro che vengono processati per causa sua. La grazia di Dio consentirà a tutti i suoi figli di affrontare ogni difficoltà, “perché in quel momento vi sarà dato ciò che dovrete dire. Poiché non siete voi che parlate, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”. Versetti 19, 20. {GN 262.3}

Lo Spirito di Dio illumina la mente dei suoi discepoli e la verità viene presentata con chiarezza e potenza divina. Quelli che respingono la verità li accuseranno e li opprimeranno, ma essi devono manifestare la dolcezza del loro divino Maestro anche in mezzo alle privazioni e alle sofferenze estreme. Allora apparirà chiara la differenza tra gli agenti di Satana e i rappresentanti di Cristo. Il Salvatore sarà così glorificato davanti ai capi e davanti al popolo. {GN 262.4}

I discepoli, finché non ce ne fu bisogno, non ricevettero il coraggio e la forza dei martiri. Ma nel momento della prova la promessa del Salvatore si adempì. Quando Pietro e Giovanni testimoniarono davanti al sinedrio, i suoi membri “si meravigliavano e riconoscevano che erano stati con Gesù”. Atti 4:13. Di Stefano è scritto che “tutti quelli che sedevano nel Sinedrio, fissati gli occhi su di lui, videro il suo viso simile al quello di un angelo”, “e non potevano resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava”. Atti 6:15, 10. Paolo, parlando del suo processo davanti a Cesare, scrisse: “Nella mia prima difesa nessuno si è trovato al mio fianco, ma tutti mi hanno abbandonato... Il Signore però mi ha assistito e mi ha reso forte, affinché per mezzo mio il messaggio fosse proclamato e lo ascoltassero tutti i pagani; e sono stato liberato dalle fauci del leone”. 2 Timoteo 4:16, 17. {GN 262.5}

I discepoli di Cristo non avevano bisogno di preparare in anticipo i discorsi in loro difesa davanti ai magistrati. La loro preparazione consisteva nell’accogliere giorno dopo giorno nei loro cuori, come un tesoro, le verità della Parola di Dio e nel rafforzare la loro fede con la preghiera. Al momento della prova lo Spirito Santo avrebbe ricordato loro le verità necessarie. {GN 263.1}

Un impegno quotidiano per una maggiore conoscenza di Dio e di Gesù Cristo rende saggi e forti. La conoscenza ottenuta mediante lo studio assiduo delle Scritture ritorna alla mente al momento opportuno. Ma chi trascura le parole di Cristo, chi non sperimenta mai nella prova la potenza della sua grazia, non può sperare che lo Spirito Santo gli ricordi la Parola di Dio. I discepoli devono servire Dio ogni giorno con tutto il cuore e poi confidare pienamente in lui. {GN 263.2}

L’odio per il Vangelo sarebbe stato così intenso da calpestare persino i più stretti legami terreni. I discepoli di Cristo sarebbero stati denunciati dagli stessi membri della loro famiglia. “Aarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi avrà perseverato sino alla fine, sarà salvato”. Marco 13:13. Gesù li esortò a non esporsi alla persecuzione senza necessità. Spesso egli passava da una zona a un’altra per sfuggire a coloro che volevano attentare alla sua vita. Quando fu cacciato da Nazaret, dove i suoi concittadini volevano ucciderlo, scese a Capernaum, e là tutti stupirono nell’udirlo, “perché parlava con autorità”. Luca 4:32. Nello stesso modo i suoi collaboratori non devono scoraggiarsi per la persecuzione, ma cercare un altro luogo dove continuare il loro lavoro per la salvezza degli uomini. {GN 263.3}

II servo non è più grande del suo Maestro. Il Principe del cielo è stato chiamato Belzebu e i suoi discepoli sarebbero stati calunniati nello stesso modo. Ma i discepoli di Cristo devono evitare la simulazione e confessare la loro fede, nonostante i pericoli. Non devono limitarsi ad annunciare la verità solo quando sono in condizioni di sicurezza. Sono sentinelle, devono mettere in guardia contro il male e far conoscere a tutti gratuitamente e chiaramente la verità ricevuta da Cristo. Gesù ha detto: “Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo voi nella luce; e quello che udite dettovi all’orecchio, predicatelo sui tetti”. Matteo 10:27. {GN 263.4}

Gesù non ha mai cercato la pace a prezzo del compromesso. Il suo cuore traboccava d’amore per tutti gli uomini, ma non fu mai accomo dante nei confronti dei loro peccati. Amava troppo gli uomini riscattati con il suo sacrificio per tacere quando correvano verso la rovina. Voleva che l’uomo rimanesse fedele ai suoi interessi più elevati ed eterni. I discepoli di Cristo devono svolgere la stessa opera e non sacrificare mai la verità nel tentativo di evitare la discordia. Essi sono chiamati a ricercare “le cose che contribuiscono alla pace”. Romani 14:19. {GN 263.5}

Ma una pace vera non la si può mai avere se si viene meno ai princìpi; e se si rimane fermi nei princìpi non si possono evitare le persecuzioni. Un cristianesimo genuino sarà contrastato dai figli della disubbidienza, ma Gesù ha detto ai discepoli: “Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima”. Matteo 10:28. Quelli che sono fedeli a Dio non devono temere né il potere degli uomini né l’odio di Satana. In Cristo è assicurata loro la vita eterna. La sola cosa che devono temere è l’abbandono della verità e il venir meno alla fiducia che Dio ha avuto in loro. {GN 264.1}

L’opera di Satana consiste nel seminare il dubbio nel cuore. Egli presenta Dio come un giudice implacabile. Induce gli uomini prima al peccato e poi alla disperazione, in modo che non osino più avvicinarsi al Padre e sperare nella sua misericordia. Il Signore comprende tutto ciò e assicura ai suoi discepoli che potranno sempre contare sull’amore di Dio e che saranno assistiti nelle loro necessità e debolezze. Non c’è né un sospiro né un tormento che non trovi eco nel cuore del Padre. {GN 264.2}

La Bibbia insegna che Dio vive in un luogo santo; non è inattivo nel silenzio e nella solitudine, ma circondato da miriadi di angeli pronti a fare la sua volontà. Egli domina tutto il suo immenso universo e ha dato il suo unico Figlio per gli uomini di questo misero mondo, sul quale si accentra il suo interesse e quello del cielo. Dall’alto del suo trono egli si china per udire il misero oppresso e risponde a ogni preghiera. Incoraggia e solleva gli angosciati e gli oppressi. Condivide tutte le nostre afflizioni. In ogni tentazione e prova l’angelo della sua presenza è vicino per liberarci. {GN 264.3}

Nemmeno un passero cade senza che il Padre lo sappia. Satana odia tutto ciò che è oggetto delle cure del Salvatore. Egli vuole distruggere il capolavoro di Dio e rovinare anche le creature inferiori. Ma grazie alla protezione divina gli uccelli possono rallegrarci con i loro canti di gioia. Egli non dimentica neanche i passeri. Nessuno di loro cade a terra senza il permesso del Padre. “Non temete dunque; voi valete più di molti passeri”. Versetto 31. {GN 264.4}

Gesù dice ancora: se mi riconoscerete davanti agli uomini, anch’io vi riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli. Voi siete i miei testimoni sulla terra, per mezzo vostro la mia grazia si deve spandere per la guarigione del mondo. Io sarò il vostro rappresentante in cielo. Il Padre non scorgerà le imperfezioni del vostro carattere, perché sarete rivestiti della mia perfezione. Grazie a me arriveranno sino a voi le benedizioni divine. E se qualcuno mi riconosce, prendendo parte al mio sacrificio in favore degli uomini perduti, anch’io lo riconoscerò e lo farò partecipare alla gloria e alla gioia dei riscattati. {GN 264.5}

Solo colui che ha Cristo con sé può riconoscerlo. Non si può dare ciò che non si è ricevuto. Si può discutere sulle dottrine; si possono persino ripetere le parole di Cristo, ma non lo si confessa veramente se non si ha un carattere dolce e amorevole come il suo. Se si ha uno spirito contrario al suo, lo si rinnega, qualunque sia la professione di fede. Si può rinnegare Cristo pronunciando parole malvagie, false, piene di sfiducia 0 rozze. Lo si può rinnegare schivando le responsabilità della vita e cercando di soddisfare piaceri e passioni. Si può rinnegare Cristo conformandosi al mondo, con un comportamento sgarbato, con una considerazione eccessiva per le proprie opinioni, tentando di giustificare se stessi, accarezzando il dubbio, fomentando le divisioni e amando le tenebre. Agendo in questo modo si dichiara che Cristo non è presente. E Gesù dice: “Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli”. Matteo 10:33. {GN 265.1}

Il Salvatore disse ai discepoli che l’odio del mondo per il Vangelo non sarebbe venuto meno: “Non son venuto a metter pace, ma spada”. Versetto 34. Questa lotta non è frutto del Vangelo, ma dell’opposizione contro di esso. La persecuzione più dura è il disaccordo con i membri della propria famiglia e l’allontanamento degli amici più cari. Ma Gesù ha detto: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me. Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me”. Versetti 37, 38. {GN 265.2}

La missione dei discepoli di Cristo rappresenta un grande onore. Egli dice: “Chi riceve voi riceve me; e chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato”. Versetto 40. Nessun atto di bontà compiuto nei loro riguardi passerà inosservato o resterà senza ricompensa. Anche i membri più deboli e più umili della famiglia di Dio sono oggetto della stessa tenera attenzione: “E chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli” — coloro che sono come bambini nella fede e nella conoscenza di Cristo — “perché è un mio discepolo, io vi dico in verità che non perderà affatto il suo premio”. Versetto 42. {GN 265.3}

Così il Salvatore concluse le sue istruzioni. I dodici partirono nel suo nome, andarono come egli stesso era andato “per evangelizzare i poveri. e ai ciechi il ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e a proclamare l’anno accettevole del Signore”. Luca 4:18, 19. {GN 265.4}



Capitolo 38: “Venite... e riposatevi un poco”

Ritornando dal loro viaggio missionario “gli apostoli, si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che aveano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: Venitevene ora in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco. Difatti, era tanta la gente che andava e veniva, che essi non aveano neppure tempo di mangiare”. Marco 6:30, 31. {GN 266.1}

I discepoli andarono da Gesù e gli raccontarono quello che avevano fatto. La fiducia in lui li indusse a comunicargli le loro esperienze: quelle positive e quelle negative, la gioia che avevano provato nel vedere i frutti della loro fatica, il dolore per gli insuccessi subìti, le loro mancanze, le loro debolezze. I discepoli avevano commesso degli errori in questa prima opera di evangelizzazione, e quando ebbero raccontato le loro esperienze, Gesù comprese che avevano bisogno di altri suggerimenti. Vide anche che erano stanchi e avevano bisogno di riposo. {GN 266.2}

Non potevano però riposarsi lì dove si trovavano. “Difatti, era tanta la gente che andava e veniva, che essi non aveano neppur tempo di mangiare”. Le persone si affollavano intorno a Cristo, desiderose di essere guarite e ascoltare le sue parole; gli si avvicinavano perché scorgevano in lui la fonte di ogni benedizione. Fra coloro che erano andati da Gesù per essere guariti molti lo accettavano anche come loro Salvatore; altri non lo confessavano per paura dei farisei, ma si convertirono alla discesa dello Spirito Santo e allora lo riconobbero come Figlio di Dio davanti ai sacerdoti e ai capi infuriati. {GN 266.3}

Ora Gesù desiderava un po’ di quiete per stare con i suoi discepoli e per istruirli. Nella loro missione avevano affrontato molte lotte e svariate opposizioni. Prima di allora in ogni cosa avevano chiesto consiglio a Gesù, ma durante quel viaggio si erano trovati soli e a volte non sapevano che cosa fare. Gesù li aveva mandati con la guida del suo Spirito, e per la fede in lui avevano compiuto molti miracoli e avuto soddisfazioni nel lavoro; ma ora avevano bisogno di nutrirsi con il pane della vita, avevano bisogno di appartarsi per essere in comunione con Gesù ed essere istruiti sul lavoro futuro. {GN 266.4}

Egli disse loro: “Venitevene ora in disparte, in luogo solitario, e riposatevi un poco”. Cristo è pieno di tenerezza e di compassione per tutti coloro che lavorano al suo servizio. Voleva dimostrare ai discepoli che Dio non vuole il sacrificio, ma la misericordia. Il grande impegno in favore degli altri aveva esaurito le loro forze fisiche e mentali, e ora avevano il dovere di riposarsi. {GN 266.5}

I successi ottenuti potevano esporre i discepoli al pericolo di attribuirsene il merito, di coltivare l’orgoglio e soccombere così alle tentazioni di Satana. La prima lezione che dovevano imparare, in vista dell’opera immensa che li attendeva, era che il loro successo dipendeva da Dio. Come Mosè al Sinai, come Davide sulle colline della Giudea, come Elia al torrente Kerith, i discepoli avevano bisogno di allontanarsi dai luoghi del loro lavoro per meditare in comunione con Cristo e con la natura. {GN 267.1}

Mentre i discepoli erano impegnati nel viaggio missionario, Gesù aveva visitato altre città e villaggi predicando il Vangelo del regno. In quell’occasione venne a conoscenza della morte del Battista. Quella dolorosa notizia lo indusse a pensare più intensamente alla fine verso la quale, anch’egli, si stava avviando. Ombre sempre più oscure si addensavano sul suo cammino. Sacerdoti e rabbini complottavano per farlo morire; spie lo seguivano sempre; ovunque si tramava per la sua sconfitta. La predicazione degli apostoli in Galilea aveva attratto l’attenzione su Gesù e sulla sua opera. Erode pensò che fosse Giovanni il battista risuscitato dai morti, per cui espresse il desiderio di conoscerlo. Egli viveva nel timore continuo di una cospirazione che rovesciasse il suo trono e spezzasse così il giogo dei romani. Fra il popolo si era diffuso uno spirito di malcontento e rivolta; era evidente che il ministero pubblico di Gesù in Galilea non poteva durare molto a lungo. Si avvicinava l’ora della passione e Cristo sentì il bisogno di stare per un po’ di tempo lontano dalla confusione della folla. {GN 267.2}

Con grande dolore i discepoli di Giovanni avevano accompagnato il suo corpo mutilato al sepolcro. Poi, avevano riferito a Gesù tutto ciò che era accaduto. Quei discepoli avevano provato un sentimento di invidia per Cristo quando sembrava che tutti lo seguissero, quella stessa folla che aveva seguito Giovanni il battista. Erano seduti accanto ai farisei quando questi accusavano Gesù al banchetto di Levi Matteo. Avevano dubitato della sua missione divina perché non aveva liberato Giovanni dalla prigione. Ma ora che il loro maestro era morto e che sentivano un gran bisogno di conforto, vennero da Gesù e si unirono a lui. Desideravano anch’essi un po’ di riposo, in comunione con il Salvatore. {GN 267.3}

Vicino a Betsaida, all’estremità settentrionale del lago, si esten deva una regione solitaria, bella e verdeggiante in quella stagione primaverile, che offriva a Gesù e ai discepoli un rifugio tranquillo. Si incamminarono in quella direzione e attraversarono il lago su una barca. Là si sarebbero trovati lontani dalle strade frequentate e dal frastuono della città. Lo spettacolo che la natura offriva costituiva in sé un riposo, un cambiamento salutare. Avrebbero potuto ascoltare le parole di Cristo senza essere turbati dalle interruzioni, dalle repliche e dalle accuse degli scribi e dei farisei. Per un po’ di tempo avrebbero potuto godere della compagnia del loro Salvatore. {GN 267.4}

Non era un riposo egoistico quello che Gesù stava per concedersi insieme ai suoi discepoli. Il tempo che essi avrebbero trascorso in quel ritiro non sarebbe stato dedicato alla ricerca del piacere; avrebbero parlato insieme dell’opera di Dio e dei mezzi per ottenere un miglior successo nel lavoro. I discepoli erano stati con Cristo e potevano comprenderne l’insegnamento. Egli non aveva bisogno di parlare loro in parabole. Corresse i loro errori e li istruì sul modo in cui parlare alla gente. Svelò loro in maniera più ampia i preziosi tesori della verità divina. Furono rinvigoriti dalla forza di Dio e la loro speranza e il loro coraggio si rinnovarono. {GN 268.1}

Benché Gesù potesse fare miracoli e avesse trasmesso anche ai discepoli quel potere, condusse in disparte i suoi collaboratori stanchi affinché si riposassero in mezzo alla natura. Quando diceva che la messe era grande ma che gli operai erano pochi, non intendeva dire che essi dovessero affaticarsi eccessivamente. Infatti, aggiunse: “Pregate dunque il Signore della mèsse che mandi degli operai nella sua mèsse”. Matteo 9:38. Dio ha assegnato a ognuno il suo compito, secondo le proprie capacità (cfr. Efesini 4:11-13), e non vuole che alcuni siano schiacciati dalle responsabilità mentre altri ne siano privi, insensibili alle esigenze del prossimo. {GN 268.2}

Cristo rivolge anche oggi ai suoi discepoli stanchi e affaticati le stesse parole affettuose: “Venitevene in disparte... e riposatevi un poco”. Non è saggio restare sempre impegnati nella tensione del lavoro, anche se ci si occupa delle necessità spirituali degli uomini. Se ci si lascia assorbire troppo si trascura la comunione personale con Dio e si affatica eccessivamente la mente, lo spirito e il corpo. I discepoli di Cristo sono chiamati alla rinuncia e al sacrificio, ma devono vegliare affinché l’eccesso di zelo non offra a Satana l’occasione di approfittare della debolezza umana e nuocere così all’opera di Dio. {GN 268.3}

I rabbini pensavano che l’attività intensa fosse la più alta espressione della religiosità la quale doveva manifestarsi in atti esteriori. Ma così si separavano da Dio e si esaltavano in una sempre maggiore fiducia in se stessi. Gli stessi pericoli esistono oggi. Quando l’impegno aumenta e si ha successo nell’opera di Dio, si rischia di confidare nei piani e nei metodi umani. Si è inclini a pregare meno e ad avere meno fede. Come ai discepoli, può capitare di non sentire più la propria dipendenza da Dio e considerare il proprio lavoro come un fattore di salvezza. Invece dobbiamo rivolgerci sempre a Cristo e ricordare che l’opera si compie mediante la sua potenza. Dobbiamo lavorare con impegno per la salvezza degli uomini, ma dobbiamo anche dedicare del tempo alla preghiera, alla meditazione, allo studio della Parola di Dio. Solo il lavoro accompagnato da molte preghiere e santificato dai meriti di Cristo sarà valido per il l’adempimento del bene. {GN 268.4}

Nessun’altra vita fu così piena di lavoro e carica di responsabilità come quella di Gesù; tuttavia egli dedicava molto tempo alla preghiera. Era costantemente in comunione con Dio. Spesso leggiamo nel Vangelo: “Poi, la mattina, mentre era ancora notte, Gesù, si alzò, uscì e se ne andò in un luogo deserto; e là pregava” (Marco 1:35); “in quei giorni egli andò sul monte a pregare, e passò la notte pregando Dio”; “moltissima gente si radunava per udirlo ed essere guarita dalle sue infermità. Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava”. Luca 6:12; 5:15, 16. {GN 269.1}

Benché la sua vita fosse interamente dedicata a compiere il bene, il Salvatore sentiva la necessità di allontanarsi dalle strade frequentate dalla folla che lo seguiva ogni giorno. Interrompeva la sua attività e il suo contatto con le miserie degli uomini per isolarsi e comunicare con il Padre. Vivendo come noi, partecipe delle nostre necessità e debolezze, dipendeva completamente da Dio e cercava, nella preghiera personale, la forza che gli consentisse di compiere il proprio dovere e superare le prove. Trovandosi in un mondo immerso nel peccato, Gesù sopportò angosce e tormenti; ma la comunione con Dio gli permise di deporre il peso del dolore e trovare conforto e gioia. {GN 269.2}

In Cristo il grido dell’umanità perveniva sino al Padre della misericordia. Egli, come uomo, supplicava Dio per ricevere una potenza che lo unisse con la divinità, e per la quale potesse offrire la vita al mondo. Anche noi possiamo compiere un’esperienza simile alla sua. {GN 269.3}

Egli ci ordina: “Venitevene in disparte. e riposatevi un poco”. Se ascoltassimo quelle parole saremmo più forti e più utili. I discepoli raccontarono a Gesù tutte le loro esperienze e ricevettero incoraggiamento e consigli. Anche noi, oggi, se trovassimo il tempo per rivolgerci a lui ed esporgli le nostre ansie, non saremmo delusi. Egli ci sarebbe vicino per aiutarci. Abbiamo bisogno di più semplicità e maggiore fiducia nel nostro Salvatore. Egli è il “Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace”, colui del quale è scritto “il dominio riposerà sulle sue spalle”. Isaia 9:5. Chiediamo a lui la sapienza; egli “dona a tutti generosamente senza rinfacciare”. Giacomo 1:5. {GN 269.4}

Tutti coloro che collaborano con Dio devono distinguersi dal mondo, dalle sue abitudini e dal suo spirito. Ognuno deve imparare per esperienza personale qual è la volontà di Dio. Ognuno deve sentire Dio che parla al proprio cuore. Quella voce sarà udita distintamente quando ci sarà silenzio nell’animo e ci si sarà fermati davanti a Dio. “Fermatevi, dice, e riconoscete che io sono Dio”. Salmi 46:10. Solo dove ci si prepara realmente a lavorare per Dio si può trovare il vero riposo. Nonostante la folla in tumulto e la tensione di un’attività intensa, lo spirito così rinvigorito vive in un’atmosfera di luce e di pace. Allora si sprigionerà una potenza divina capace di toccare i cuori. {GN 270.1}



Capitolo 39: “Date loro da mangiare”

Gesù si era appartato con i discepoli in un luogo solitario. Ma quel momento di tranquillità, contrariamente a quanto desideravano, fu ben presto interrotto. La folla, appena si accorse dell’assenza del Maestro, si mise a cercarlo. Alcuni avevano visto verso quale direzione Gesù e i discepoli si erano diretti e molti seguirono la costa, mentre altri attraversarono il lago con le barche. La Pasqua era vicina e gruppi di pellegrini in cammino verso Gerusalemme si fermarono per conoscere Gesù. Altri si unirono, fino a raggiungere il numero di cinquemila uomini, oltre alle donne e ai bambini. Prima ancora che Gesù avesse raggiunto la riva, già lo attendeva una folla. Tuttavia poté sbarcare inosservato e trascorrere un po’ di tempo in disparte con i discepoli. {GN 271.1}

Dall’alto di una collina vedeva quella folla e ne ebbe compassione. Benché ciò interrompesse il suo riposo, non se ne rammaricò. Si rese conto che quella gente aveva un gran bisogno della sua opera. “Ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”. Matteo 9:36. Lasciò il suo rifugio e cercò un luogo adatto per occuparsi di loro. Non avevano ricevuto nessun aiuto né dai sacerdoti né dagli anziani, ma ora potevano attingere liberamente all’acqua della vita che sgorgava dalle labbra di Cristo quando insegnava la via della salvezza. {GN 271.2}

La gente ascoltava le parole di grazia del Figlio di Dio. Quelle parole piene di comprensione erano un balsamo per il loro spirito. Il suo influsso divino rendeva la vita e la gioia ai morenti, la salute ai malati, la felicità agli afflitti. Agli uditori di Gesù sembrava che il cielo fosse sceso sulla terra, e si dimenticarono persino che erano rimasti senza mangiare da tanto tempo. {GN 271.3}

La giornata stava per concludersi; il sole calava all’orizzonte, ma la gente si attardava. Gesù aveva lavorato tutto il giorno senza poter né mangiare né riposarsi. Era stanco e aveva fame. I discepoli lo esortarono a riposarsi, ma non poteva sottrarsi alla folla che gli si accalcava intorno. {GN 271.4}

I dodici insistettero ancora perché congedasse tutti. Molti era no venuti da lontano e non avevano mangiato nulla sin dal mattino; avrebbero potuto procurarsi degli alimenti nelle città e nei villaggi vicini, ma Gesù rispose: “Date loro voi da mangiare”. Marco 6:37. Poi si volse a Filippo e gli chiese: “Dove compreremo del pane perché questa gente abbia da mangiare?” Giovanni 6:5. Gesù voleva mettere alla prova la fede del discepolo. Filippo guardò la grande folla e si rese conto che era impossibile procurarsi tanto cibo. Rispose che duecento denari non sarebbero bastati per dare un pezzo di pane a ciascuno. Gesù si informò sulla quantità di alimenti che avevano. Andrea disse: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cosa sono per tanta gente?” Versetto 9. Il Maestro ordinò che gli fossero portati. Poi, affinché vi fosse ordine e tutti potessero essere testimoni del miracolo, fece sedere la gente sull’erba in gruppi di cinquanta o di cento. Allora Gesù prese il cibo, “e alzati gli occhi verso il cielo, benedisse e spezzò i pani, e li dava ai discepoli, affinché li distribuissero alla gente. e tutti mangiarono e furono sazi; e si portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane, e anche i resti dei pesci”. Marco 6:41-43. {GN 271.5}

Colui che insegnava agli uomini la via della pace e della felicità, provvedeva non solo alle loro necessità spirituali, ma anche a quelle materiali. Gli uditori di Gesù erano stanchi e le loro forze venivano meno. Vi erano madri con i bambini in braccio e altri attaccati alle gonne. Molti erano rimasti in piedi per tante ore; le parole del Maestro erano così interessanti che non avevano neppure pensato di sedersi, e non avrebbero neanche potuto farlo a causa della calca così fitta. Vi era molta erba e Gesù li invitò a sedersi comodamente. {GN 272.1}

Gesù compiva miracoli solo per rispondere a reali necessità. Ognuno dei suoi miracoli mirava a rivolgere l’attenzione verso l’albero della vita, le cui foglie sono per la guarigione delle genti. Il cibo distribuito dai discepoli racchiudeva un tesoro di lezioni. Esso era molto semplice. I pesci e i pani d’orzo erano l’alimentazione ordinaria dei pescatori del mar di Galilea. Gesù avrebbe potuto offrire un pasto succulento; ma alimenti preparati unicamente per la soddisfazione del palato non avrebbero potuto insegnare nessuna lezione utile. Egli voleva ricordare quale fosse l’alimentazione naturale stabilita da Dio. Nessun banchetto ha mai potuto procurare tanta gioia quanta ne hanno suscitata il riposo e il pasto frugale offerti da Gesù a quella gente seduta sull’erba. {GN 272.2}

Se gli uomini vivessero in maniera più semplice, in armonia con le leggi della natura, come Adamo ed Eva, ci sarebbe la possibilità di soddisfare abbondantemente le necessità di tutti. Vi sarebbero meno esigenze artificiose e più occasioni per rendersi utili al servizio del Maestro. Ma l’egoismo e l’avidità hanno introdotto nel mondo il peccato e la miseria, e così alcuni hanno troppo mentre altri sono nel bisogno. {GN 272.3}

Gesù non attirava a sé la gente per soddisfare i loro piaceri. Quel pasto frugale fu offerto alla folla stanca e affamata al termine di un giorno lungo e movimentato, perché fosse una dimostrazione non solo della sua potenza ma anche della sua attenzione per le necessità comuni della vita. Il Salvatore non ha promesso a coloro che lo seguono le ricchezze del mondo. Il loro vitto può essere semplice e persino scarso; la povertà può essere la loro sorte; ma la sua promessa garantisce il soddisfacimento delle loro esigenze e, cosa più preziosa di tutti i beni terreni, la consolazione della sua presenza. {GN 273.1}

Nutrendo la folla Gesù ha sollevato il velo che ci nasconde il mondo naturale e ci ha mostrato la potenza che continuamente opera in nostro favore. Con il raccolto, Dio compie ogni giorno lo stesso miracolo servendosi dei mezzi naturali. L’uomo coltiva il suolo e sparge il seme, ma il Signore lo fa germogliare. La pioggia, l’aria e i raggi del sole mandati da Dio fanno sì che la terra dia il suo frutto, “prima l’erba; poi la spiga; poi nella spiga il grano ben formato”. Marco 4:28. Ogni giorno Dio nutre gli uomini mediante il raccolto dei campi. Poiché gli uomini, coltivando il grano e preparando il pane, sono chiamati a collaborare con Dio, perdono di vista l’intervento divino. La sua opera viene attribuita a cause naturali e a mezzi umani. L’uomo è glorificato al posto di Dio i cui doni generosi sono usati per fini egoistici e vengono tramutati in maledizione. Il Signore desidera che tutto questo cambi, che diventiamo capaci di scorgere la sua azione misericordiosa e lo glorifichiamo per le manifestazioni della sua potenza. Desidera che lo riconosciamo nei suoi doni affinché divengano per noi una fonte di benedizione. Gesù mirava a questo quando faceva dei miracoli. {GN 273.2}

Dopo che la folla si fu sfamata, avanzò molto cibo. Colui che disponeva di tutte le risorse della sua potenza infinita dette quest’ordine: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché niente si perda”. Giovanni 6:12. In quelle parole c’era una lezione che andava oltre la conservazione di quei pani. La lezione era che non si doveva sciupare nulla e che non si doveva trascurare nessuna cosa che potesse assicurare un beneficio a un’altra persona. Bisognava raccogliere tutto ciò che poteva servire per nutrire gli affamati. La stessa cura è necessaria per i beni spirituali. Quando i panieri furono riempiti con gli avanzi, i presenti pensarono agli amici rimasti a casa e conservarono per loro una parte di quel pane benedetto da Cristo. Il contenuto dei cesti fu distribuito alla folla che fu lieta di riceverlo e portarlo in tutta la regione circonvicina. Quelli che avevano partecipato alla festa dovevano distribuire ad altri il pane disceso dal cielo per placare la fame dello spirito. Essi dovevano ripetere quello che Dio aveva fatto per loro. Nulla doveva andare perso. Neppure una parola di quello che riguardava la salvezza eterna doveva restare inutilizzata. {GN 273.3}

Il miracolo dei pani ci insegna che dipendiamo da Dio. Quando Cristo nutrì la folla, non aveva cibo a disposizione. Apparentemente non aveva nulla. Era in un luogo solitario con cinquemila uomini, oltre alle donne e ai bambini. Non li aveva invitati; erano accorsi da soli; ma sapeva che, dopo aver ascoltato il suo insegnamento, erano stanchi e affamati. Egli simpatizzò con loro. Erano lontani da casa e la notte era vicina. Molti non avevano neppure il denaro per comprarsi del cibo. Colui che per amor loro aveva affrontato quaranta giorni di digiuno nel deserto non li avrebbe fatti tornare a casa senza mangiare. La provvidenza di Dio aveva posto Gesù là dove si trovava, ed egli dipendeva dal Padre per i mezzi con cui affrontare quella difficoltà. {GN 274.1}

Anche noi, quando ci troviamo in situazioni difficili, dobbiamo contare su Dio. Dobbiamo manifestare in ogni situazione della vita la saggezza e il giudizio per non cadere in gravi disagi con atteggiamenti sconsiderati. Se trascuriamo i mezzi che Dio ha provveduto e non ci serviamo delle facoltà che ci ha dato, possiamo trovarci sopraffatti dalle difficoltà. Coloro che lavorano con Cristo devono seguire pienamente le sue istruzioni. L’opera è di Dio, e se vogliamo fare del bene agli altri dobbiamo seguire le istruzioni che ci ha date. {GN 274.2}

Il proprio io non deve essere il centro della nostra vita e l’oggetto della nostra stima. Se agiamo secondo le nostre idee, il Signore ci abbandonerà ai nostri errori. Ma se dopo aver seguito le sue indicazioni ci troviamo in difficoltà, egli ci libererà. Non dobbiamo abbandonarci allo scoraggiamento, ma in ogni prova cercare l’aiuto di colui che ha a sua disposizione una potenza infinita. Possiamo spesso trovarci in difficoltà, ma dobbiamo avere piena fiducia nel Signore. Nessun’ani-ma che vuol fare la volontà di Dio rimarrà priva di soccorso. {GN 274.3}

Il Signore ci rivolge questo invito attraverso il profeta: “Che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra”. Isaia 58:7. Egli ci ha ordinato: “Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura”. Marco 16:15. Ma spesso i nostri cuori vengono meno e la nostra fede vacilla quando vediamo la grandezza delle nostre necessità e la piccolezza dei mezzi a nostra disposizione. Guardando i cinque pani e i due pesci siamo indotti a esclamare con Andrea: “Ma che cosa sono per tanta gente?” Giovanni 6:9. Spesso siamo indecisi, non vogliamo dare agli altri ciò che abbiamo, temiamo di spendere e spenderci per gli altri. Ma Gesù ci ordina: “Date lor voi da mangiare”. Il suo ordine è anche una promessa, e dietro c’è la stessa potenza che ha nutrito la folla lungo il mare. {GN 274.4}

Nel miracolo di Gesù c’è una profonda lezione spirituale per tutti i suoi collaboratori. Cristo affidò ai discepoli ciò che aveva ricevuto dal Padre; i discepoli distribuirono questo dono alla folla; e gli uni lo passarono agli altri. Così coloro che sono uniti a Cristo riceveranno da lui il pane della vita, il cibo divino, e lo distribuiranno agli altri. {GN 275.1}

Confidando pienamente in Dio, Gesù prese quella piccola quantità di pane, insufficiente per sfamare i discepoli, e la distribuì loro con l’ordine di dividerla fra i presenti. Il cibo si moltiplicò nelle sue mani, e le mani dei discepoli, tese verso Cristo, il pane della vita, non rimasero mai vuote. Quella piccola provvista fu sufficiente per tutti. Dopo che la gente si fu saziata, si raccolsero gli avanzi e Cristo poté mangiare insieme con i discepoli il prezioso cibo fornito dal cielo. {GN 275.2}

I discepoli furono i mezzi di comunicazione tra Gesù e la folla. C’è qui un grande incoraggiamento per i collaboratori di Dio oggi. Gesù è il grande fulcro, la fonte di ogni forza. Da lui i discepoli ricevono potenza. Anche i più intelligenti e spirituali possono dare solo nella misura in cui ricevono. Da soli non possono fare nulla per soddisfare la richiesta degli uomini. È possibile dare solo se riceviamo e, d’altra parte, possiamo ricevere solo se trasmettiamo agli altri. Riceviamo se diamo e nella misura in cui diamo. Così possiamo credere, avere fiducia, ricevere e dispensare. {GN 275.3}

Nonostante le difficoltà e gli ostacoli apparentemente insormontabili, il regno di Cristo si sviluppa. È l’opera di Dio, il quale provvede i mezzi necessari. I discepoli sinceri apriranno verso la folla affamata le mani pure e piene di cibo. Dio non si dimentica di coloro che con amore offrono la Parola della vita agli uomini che, a loro volta, trasmettono ad altri il cibo che sazia gli affamati. {GN 275.4}

Lavorando per il Signore si corre il pericolo di contare troppo sui propri talenti e sulle proprie capacità. Si perde così di vista l’Artefice divino. Troppo spesso chi lavora per Cristo non ha il senso della propria responsabilità. Egli rischia di appoggiarsi sulle strutture invece che su Gesù, fonte di ogni forza. È un grave errore, nell’opera di Dio, confidare nella saggezza umana o nel numero. Il successo dell’opera di Dio non dipende tanto dalla saggezza o dall’ingegno, quanto dalla purezza delle intenzioni e da una fede semplice, sincera e ardente. {GN 275.5}

Bisogna assumersi le proprie responsabilità, compiere i propri doveri, affaticarsi in favore di coloro che non conoscono Cristo. Invece di scaricare le proprie responsabilità su chi gode di maggiore stima, sarà bene lavorare secondo le proprie capacità. {GN 276.1}

Alla domanda: “Dove compreremo del pane perché questa gente abbia da mangiare?”, non si risponda con incredulità. Quando i discepoli udirono l’ordine del Salvatore: “Date loro voi da mangiare”, tante difficoltà si affacciarono alla loro mente. Pensavano di andare nei villaggi vicini per procurarsi degli alimenti. Così, in un tempo come il nostro in cui la gente è priva del pane di vita, i figli del Signore si chiedono: Faremo venire qualcuno da molto lontano per nutrire questa gente? Ma che cosa disse Cristo? Li fece sedere e li sfamò. Nello stesso modo, quando siete circondati da persone angosciate, sappiate che Cristo è presente. Comunicate con lui e portategli i vostri pani d’orzo. {GN 276.2}

I mezzi a disposizione sembrano insufficienti per l’opera, ma avremo abbondanti risorse se sapremo andare avanti con fede e fiducia nella potenza del Signore. Se l’opera è di Dio, egli stesso prov-vederà i mezzi per il suo compimento. Egli ricompenserà chi confida in lui con sincerità e semplicità. Il poco che sarà impiegato al servizio del Signore del cielo in maniera saggia ed equilibrata, crescerà nel momento stesso della distribuzione. L’esigua provvista di cibo che Cristo teneva fra le mani bastò finché la folla non fu sazia. Se ci rivolgiamo alla fonte di ogni potenza con le mani della fede tese per ricevere, saremo sostenuti nel nostro lavoro anche in mezzo alle circostanze più sfavorevoli, e saremo capaci di dare agli altri il pane della vita. {GN 276.3}

II Signore dice: “Date, e vi sarà dato”. Luca 6:38. “Chi semina scarsamente mieterà altresì scarsamente; e chi semina abbondantemente mieterà altresì abbondantemente. Dio è potente da far abbondare su di voi ogni grazia, affinché, avendo sempre in ogni cosa tutto quel che vi è necessario, abbondiate in ogni opera buona; come sta scritto: Egli ha profuso, egli ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno. Colui che fornisce al seminatore la semenza e il pane da mangiare, fornirà e moltiplicherà la semenza vostra e accrescerà i frutti della vostra giustizia. Così arricchiti in ogni cosa, potrete esercitare una larga generosità, la quale produrrà rendimento di grazie a Dio per mezzo di noi”. 2 Corinzi 9:6, 8-11. {GN 276.4}



Capitolo 40: Una notte sul lago

La folla seduta sull’erba, in quel crepuscolo di primavera, si nutriva del cibo che Cristo aveva provveduto. Nelle sue parole aveva riconosciuto una voce divina. Solo la potenza di Dio poteva compiere le guarigioni di cui erano stati testimoni. Per di più il miracolo dei pani aveva assicurato a tutti le sue benedizioni. Al tempo di Mosè il Signore aveva nutrito Israele nel deserto con la manna. Chi poteva essere colui che li aveva nutriti in quel giorno se non il Messia annunciato da Mosè? Nessun uomo avrebbe potuto, con cinque pani d’orzo e due pesci, fornire il cibo sufficiente a migliaia di persone affamate. Dicevano gli uni agli altri: “Questi è certo il profeta che deve venire nel mondo”. Giovanni 6:14. {GN 277.1}

Durante la giornata quella convinzione si era rafforzata e quel miracolo l’aveva trasformata in certezza: il Liberatore tanto atteso era in mezzo a loro. Le speranze del popolo si consolidavano. Egli avrebbe trasformato la Giudea in un paradiso terrestre, in un paese di latte e miele. Avrebbe potuto appagare ogni desiderio, annientare la potenza degli odiati romani e liberare Giuda e Gerusalemme. Poteva guarire i soldati feriti, procurare cibo a interi eserciti, sottomettere le nazioni e assicurare a Israele il sospirato dominio. {GN 277.2}

Pieni di entusiasmo, vogliono immediatamente proclamarlo re. Si accorgono però che Gesù non cerca di attirare l’attenzione su di sé e non aspira agli onori. È totalmente diverso dai sacerdoti e dagli anziani, e si teme che non voglia rivendicare i suoi diritti sul trono di Davide. Perciò si consultano e decidono di impadronirsi di lui con la forza e proclamarlo re d’Israele. I discepoli sono subito d’accordo con la folla nel ritenere che il loro Maestro sia l’erede del trono di Davide, e aggiungono che si sottrae a questo onore per modestia. Se il popolo avesse esaltato il suo Liberatore, i sacerdoti e gli anziani sarebbero stati costretti a onorare colui che veniva rivestito dell’autorità di Dio. {GN 277.3}

Con molto impegno si preparavano ad attuare il loro piano; ma Gesù si rese conto del loro progetto e ne vide i risvolti che a loro sfuggivano. Persino in quel momento i sacerdoti e gli anziani tramavano contro la sua vita, accusandolo di disorientare il popolo. Al tentativo di metterlo sul trono sarebbe seguita una violenta insurrezione che avrebbe ostacolato l’affermazione del regno spirituale. Bisognava frenare subito quel progetto. Gesù chiamò i discepoli e ordinò loro di imbarcarsi e ritornare a Capernaum mentre lui avrebbe licenziato {GN 277.4}

la folla. {GN 278.1}

Mai era parso così difficile eseguire un ordine del Maestro. I discepoli attendevano da tempo un movimento popolare che ponesse Gesù sul trono, e non si rassegnavano all’idea che invece tutto si risolvesse nel nulla. La folla, riunita per la Pasqua, era ansiosa di vedere il nuovo profeta. Ai discepoli sembrava che quella sarebbe stata l’occasione favorevole perché il loro Maestro salisse sul trono d’Israele. Esaltati da quell’ambizione, era difficile per loro andarsene e lasciare Gesù su quella riva deserta. Mossero delle obiezioni, ma Gesù parlò con un insolito tono di autorità. Vedendo inutile ogni opposizione, si diressero in silenzio verso il lago. {GN 278.2}

Gesù ordinò alla folla di disperdersi; lo fece con tale autorità che nessuno osò resistergli. Le espressioni di lode e di esaltazione si spegnevano sulle labbra. Si fermarono nel momento in cui stavano per rapirlo; la gioia che rischiarava i loro volti svanì. L’aspetto maestoso di Gesù e le sue poche e autorevoli parole placarono il tumulto e fecero fallire i piani più decisi. Riconobbero in lui una potenza superiore e vi si sottomisero senza discutere. {GN 278.3}

Rimasto solo Gesù “se ne andò sul monte a pregare”. Marco 6:46. Per ore intercedette presso Dio, non per sé, ma per gli uomini. Chiese al Padre la capacità di rivelare loro chiaramente il carattere divino della sua missione, affinché Satana non li accecasse e non pervertisse la loro capacità di giudizio. Il Salvatore sapeva che la sua missione terrena sarebbe ben presto terminata e pochi lo avrebbero accettato come Redentore. Con l’animo angosciato pregò per i suoi discepoli che avrebbero dovuto affrontare una prova difficile. {GN 278.4}

Le speranze a lungo accarezzate, fondate su errori popolari, sarebbero cadute nella maniera più penosa e umiliante. Invece che sul trono di Davide lo avrebbero visto sulla croce. Quella sarebbe stata la sua incoronazione. Non comprendendo il valore di tutto ciò, sarebbero caduti in forti tentazioni. Se lo Spirito Santo non avesse illuminato la loro mente e non avesse dato loro una visione più ampia, la fede dei discepoli sarebbe svanita. Gesù soffrì perché la loro concezione del regno si limitava a una dimensione terrena. Un peso doloroso opprimeva il suo cuore e con le lacrime agli occhi innalzava a Dio le sue preghiere. {GN 278.5}

I discepoli non si erano subito allontanati dalla riva come Gesù aveva ordinato loro, ma avevano aspettato un po’, sperando che egli li raggiungesse. Siccome le tenebre scendevano, “montati in una barca, si dirigevano all’altra riva, verso Capernaum”. Giovanni 6:17. Da quando seguivano Gesù non avevano ancora sperimentato un momento di scoraggiamento così profondo. Si rammaricavano amaramente dell’occasione persa. Si pentivano per avere ubbidito subito all’ordine del Maestro, e pensavano che con un po’ di insistenza avrebbero potuto attuare il loro progetto. {GN 279.1}

Dubitavano perché l’ambizione li aveva accecati. Sapevano dell’odio dei farisei e volevano che Gesù fosse onorato come meritava. Non potevano accettare l’idea che, pur essendo discepoli di un Maestro così potente, dovessero essere disprezzati come impostori. Fino a quando sarebbero stati considerati discepoli di un falso profeta? Gesù quando avrebbe affermato la sua autorità regale? Perché possedendo una così grande potenza non si manifestava e non rendeva la loro missione meno difficile? Perché non aveva strappato a una morte violenta Giovanni il battista? Facendo questi ragionamenti i discepoli si trovarono immersi nelle tenebre spirituali e arrivarono a chiedersi se Gesù non fosse davvero un impostore, come pretendevano i farisei. {GN 279.2}

Quel giorno i discepoli avevano visto le opere meravigliose di Cristo. Era parso che il cielo fosse sceso sulla terra. Il ricordo di quel giorno glorioso avrebbe dovuto riempirli di fede e speranza. Se avessero parlato di queste cose non avrebbero certo offerto occasioni alla tentazione. Ma, delusi, non avevano ascoltato le parole di Cristo: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché niente si perda”. Versetto 12. Erano state ore benedette per i discepoli, però le avevano dimenticate. Intanto le acque del lago si agitavano. Siccome i loro pensieri erano tetri e deprimenti, il Signore occupò le loro menti con qualcos’altro. Spesso Dio agisce così con gli uomini che si creano pesi e difficoltà. Non era il momento di porsi dei problemi perché un pericolo reale li minacciava. {GN 279.3}

Una violenta tempesta si stava avvicinando. Era impensabile dopo la bellissima giornata, e i discepoli, impreparati, ebbero paura. Si dimenticarono del malcontento, dell’incredulità e dell’impazienza, e si dettero da fare perché la barca non affondasse. Betsaida non distava molto dalla località dove pensavano di incontrare Gesù. Di solito bastavano poche ore di barca. Ma questa volta, sbattuti dalle onde e dal vento, si affaticarono con i remi fino alla quarta vigilia della notte. Infine, sfiniti, pensarono che tutto fosse perduto. Non erano riusciti a vincere il lago infuriato e desiderarono ardentemente la presenza del Maestro. {GN 279.4}

Ma Gesù non li aveva dimenticati. Egli vegliava, e dalla riva vide quegli uomini spaventati che lottavano contro la tempesta. Non li perse di vista un solo istante. Premuroso, seguiva con lo sguardo la barca sbattuta dalle onde. Quegli uomini sarebbero stati la luce del mondo. Il Maestro vegliava sui suoi discepoli come una madre sul suo piccino. Appena il loro cuore si fu sottomesso, l’ambizione fu abbandonata e in tutta umiltà implorarono il suo aiuto; e vennero soccorsi. {GN 280.1}

Nel momento della disperazione un raggio di luce permise loro di scorgere una figura misteriosa che si avvicinava sulle acque. Non sapevano che si trattava di Gesù; scambiarono per un nemico colui che veniva a soccorrerli ed ebbero paura. Ecco che le mani abbandonano i remi; la barca è in balia delle onde; tutti gli sguardi sono fissi su quell’uomo che cammina sui flutti spumeggianti del lago agitato. {GN 280.2}

Pensando che si tratti di un fantasma, presagio della loro rovina, gridano di terrore. Gesù avanza come se volesse sorpassarli; allora lo riconoscono e lo invocano. Il loro Maestro si volta e con la sua voce placa i loro timori: “Coraggio, sono io; non abbiate paura!” Matteo 14:27. Appena si rendono conto del fatto prodigioso, Pietro, fuori di sé dalla gioia, come se stentasse a credere, supplica: “Signore, se sei tu, comandami di venir a te sulle acque”. Gesù gli risponde: “Vieni!” Versetti 28, 29. {GN 280.3}

Guardando Gesù, Pietro avanza con sicurezza; ma appena, per un sentimento di vanità, volge lo sguardo verso i compagni rimasti nella barca, non vede più il Salvatore. Il vento è impetuoso. Onde alte si innalzano fra lui e il Maestro; ha paura. Per un istante Gesù rimane nascosto ai suoi occhi e la fede lo abbandona. Comincia ad affondare. Mentre sembra che i flutti lo inghiottano, Pietro alza gli occhi al di sopra delle acque sconvolte e fissandoli su Gesù, grida: “Signore, salvami!” Subito Gesù afferra la sua mano tesa e gli dice: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” Versetti 30, 31. {GN 280.4}

Camminando l’uno a fianco dell’altro, stretti per mano, entrano nella barca. Pietro si sente umiliato e tace, non ha nulla di cui vantarsi con i compagni. La sua incredulità e il suo orgoglio gli sono quasi costati la vita. Appena aveva allontanato lo sguardo da Gesù, subito i flutti stavano per sommergerlo. {GN 280.5}

Quando sorgono delle difficoltà, spesso anche noi assomigliamo a Pietro. Invece di tenere gli occhi fissi sul Salvatore, guardiamo le onde: i piedi vacillano e le acque tumultuose ci sommergono. Gesù non aveva detto a Pietro di andare da lui per farlo affondare. Egli non ci chiama a essere suoi discepoli per farci morire. Non si dimentica di noi dopo averci invitati a seguirlo. Ma dice: “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, essi non ti sommergeranno; quando camminerai nel fuoco non sarai bruciato e la fiamma non ti consumerà, perché io sono il Signore, il tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore”. Isaia 43:1-3. {GN 280.6}

Gesù conosceva il carattere dei suoi discepoli. Sapeva che la loro fede sarebbe stata duramente messa alla prova. La sua apparizione sul lago aveva lo scopo di mostrare a Pietro la sua debolezza e fargli comprendere che l’unica via di salvezza stava in una costante dipendenza dalla potenza divina. Poteva avanzare con sicurezza tra le tempeste della tentazione solo se, diffidando di sé, si fosse appoggiato sul Salvatore. Pietro era debole proprio in ciò per cui si reputava forte, e finché non si fosse reso conto della sua debolezza, non avrebbe potuto comprendere l’ampiezza della sua dipendenza da Cristo. Se avesse compreso la lezione che Gesù gli dette sul lago non sarebbe poi caduto nell’ora della grande prova. {GN 281.1}

Giorno dopo giorno Gesù istruisce i suoi figliuoli. Li prepara attraverso le vicissitudini quotidiane affinché siano capaci di svolgere i compiti che ha assegnato loro. L’esito di queste prove è molto importante per la vittoria o per la sconfitta nella grande lotta della vita. {GN 281.2}

Coloro che non hanno il senso della loro costante dipendenza da Dio, saranno vinti dalla tentazione. Possiamo pensare che i nostri passi siano sicuri e che nulla potrà scuoterci. Possiamo dire con fiducia: so in chi ho creduto; nulla potrà scuotere la mia fede in Dio e nella sua Parola. Ma dobbiamo ricordare che Satana approfitta delle lacune del nostro carattere e fa di tutto per non farci vedere i nostri difetti e le nostre imperfezioni. Possiamo camminare sicuri solo se, consapevoli della nostra debolezza, guardiamo continuamente verso Gesù. {GN 281.3}

Appena Gesù entrò nella barca il vento cessò “e subito la barca toccò terra là dove erano diretti”. Giovanni 6:21. Un’alba luminosa seguì a quella notte di terrore. I discepoli e altre persone, che li accompagnavano, si gettarono riconoscenti ai piedi di Gesù, esclamando: “Veramente tu sei Figlio di Dio!” Matteo 14:33. {GN 281.4}



Capitolo 41: La crisi in Galilea

Quando Cristo impedì alla folla di proclamarlo re, si rese conto di essere giunto a una svolta della sua vita. La folla che voleva innalzarlo al trono, domani si sarebbe allontanata da lui; delusa nelle proprie ambizioni egoistiche, avrebbe trasformato l’amore in odio e la lode in maledizione. Pur essendo consapevole di tutto questo, Gesù non fece nulla per allontanare la crisi. Sin dal principio non aveva offerto ai discepoli alcuna speranza di ricompensa terrena. A qualcuno che voleva diventare suo discepolo aveva detto: “Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Matteo 8:20. Se fosse possibile ottenere insieme a Cristo anche i vantaggi terreni, grandi folle accetterebbero di seguirlo, ma egli non vuole un discepolato con queste motivazioni. Fra coloro che lo seguivano molti erano stati attratti dalla speranza di un regno terreno. Non dovevano farsi illusioni; essi non avevano compreso bene il profondo insegnamento spirituale del miracolo dei pani. La rivelazione del suo significato sarebbe stata una prova più rigorosa di discepolato. {GN 282.1}

La notizia del miracolo dei pani si sparse ovunque. Il mattino dopo, molto presto, una folla si raccolse a Betsaida per vedere Gesù. Vennero in tanti, per terra e per mare. Coloro che si erano allontanati la sera precedente tornarono sperando di trovarlo ancora lì, perché non vi erano barche con cui sarebbe potuto passare all’altra sponda. Ma la loro ricerca fu infruttuosa e molti si recarono a Capernaum per cercarlo. {GN 282.2}

Nel frattempo Gesù era giunto a Gennezaret, dopo un’assenza di un giorno. Appena sbarcato, venne riconosciuto; “subito la gente, riconosciutolo, corse per tutto il paese e cominciarono a portare qua e là i malati sui loro lettucci, dovunque sentivano dire che egli si trovasse”. Marco 6:54, 55. {GN 282.3}

Poi si recò nella sinagoga, dove lo trovarono quelli che erano venuti da Betsaida. Essi seppero dai discepoli in che modo aveva attraversato il lago. La folla stupita ascoltò il racconto della tempesta, delle ore in cui avevano remato inutilmente contro i venti contrari, dell’apparizione di Gesù che camminava sulle acque, delle angosce, delle sue parole di consolazione, dell’avventura di Pietro, della tempesta placata e della barca giunta a riva. Tuttavia molti, non contenti di queste spiegazioni, si raccolsero intorno a Gesù e gli chiesero: “Maestro, quando sei giunto qui?” Giovanni 6:25. Essi speravano di ascoltare dalle sue labbra un ulteriore racconto del suo miracolo. {GN 282.4}

Ma Gesù non aveva intenzione di soddisfare la loro curiosità. Rispose tristemente: “In verità, in verità vi dico che voi mi cercate, non perché avete veduto dei segni miracolosi, ma perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati”. Versetto 26. Essi non lo cercavano per un obiettivo spirituale, ma perché avevano mangiato del pane e speravano, seguendolo, di ricevere ancora dei benefici materiali. Il Salvatore disse loro: “Adopratevi non per il cibo che perisce, ma per il cibo che dura in vita eterna”. Versetto 27. Non cercate soltanto beni materiali. Il vostro impegno maggiore non si limiti alla vita presente, ma si orienti verso il cibo spirituale, verso quella saggezza che può procurare la vita eterna. Tutto questo lo può dare soltanto il Figlio di Dio? “Poiché su lui il Padre, cioè Dio, ha apposto il proprio sigillo”. Versetto 27. {GN 283.1}

Queste parole risvegliarono l’interesse degli uditori che chiesero: “Che dobbiam fare per compiere le opere di Dio?” Versetto 28. Essi si erano sottoposti a molte opere faticose per ottenere il favore di Dio ed erano pronti a compierne altre, anche più gravose, per potersi assicurare un merito maggiore. La loro domanda significa: Che cosa possiamo fare per meritare il cielo? Quale prezzo dobbiamo pagare per ricevere la vita eterna? {GN 283.2}

“Gesù rispose loro: Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”. Versetto 29. Gesù è il prezzo del cielo. La via per il cielo attraverso la fede si trova nell’“Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo”. Giovanni 1:29. {GN 283.3}

Ma il popolo non volle accogliere la verità divina. Gesù aveva compiuto esattamente l’opera preannunciata dai profeti per il Messia, ma esso non aveva trovato quell’opera in sintonia con le proprie aspettative. Cristo aveva sfamato una volta la folla con pani di orzo, ma ai tempi di Mosè il popolo d’Israele era stato nutrito con la manna per quarant’anni; perciò si aspettavano dal Messia benefici molto più grandi. Quei cuori insoddisfatti si chiedevano perché quel Gesù che aveva compiuto tante opere stupende non concedesse al suo popolo salute, forza, ricchezza, liberazione dagli oppressori e la gloria della potenza e dell’onore. Era un mistero impenetrabile che egli pretendesse di essere l’inviato di Dio e nello stesso tempo si rifiutasse di diventare re d’Israele. Il suo rifiuto fu frainteso. {GN 283.4}

Molti ritennero che non osasse esporsi perché dubitava del carattere divino della sua missione. Così aprirono il cuore al dubbio, e il seme sparso da Satana portò frutti di malcontento e indifferenza. {GN 284.1}

Un rabbino chiese con ironia: “Quale segno miracoloso fai, dunque, perché lo vediamo e ti crediamo? Che operi? I nostri padri man-giaron la manna nel deserto, come è scritto: Egli diede loro da mangiare del pane venuto dal cielo”. Giovanni 6:30, 31. {GN 284.2}

Dimenticando che Mosè non era stato che un semplice strumento e perdendo di vista il vero autore del miracolo, gli ebrei attribuivano a lui il merito di aver dato la manna. I loro padri avevano mormorato contro Mosè e dubitato della sua missione divina. Ora, con lo stesso spirito, i figli respingevano colui che portava loro il messaggio di Dio. “Gesù disse loro: In verità, in verità vi dico che non Mosè vi ha dato il pane che viene dal cielo”. Versetto 32. Colui che aveva dato la manna era in mezzo a loro. Cristo stesso aveva guidato gli israeliti attraverso il deserto e li aveva nutriti quotidianamente con il pane divino. Quel cibo era un tipo del vero pane che viene dal cielo. La vera manna è lo Spirito che impartisce la vita, che sgorga dall’infinita pienezza di Dio. Gesù disse: “Poiché il pane di Dio è quello che scende dal cielo, e dà vita al mondo”. Versetto 33. {GN 284.3}

Alcuni ascoltatori, pensando sempre che Gesù parlasse del cibo materiale, gli chiesero: “Signore, dacci sempre di codesto pane”. Gesù disse loro: “Io sono il pane della vita”. Versetti 34, 35. {GN 284.4}

Le immagini di cui Gesù si era servito erano familiari agli israeliti. Mosè, ispirato dallo Spirito Santo, aveva detto: “L’uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore”. Deuteronomio 8:3. E il profeta Geremia aveva scritto: “Appena che ho trovato le tue parole, io le ho divorate; le tue parole sono state la mia gioia, la delizia del mio cuore”. Geremia 15:16. I rabbini stessi dicevano che mangiare il pane, nel senso spirituale, significava studiare la legge e praticare le buone opere. E spesso si affermava che alla venuta del Messia tutto Israele sarebbe stato nutrito. L’insegnamento dei profeti faceva chiaramente comprendere la profonda lezione spirituale contenuta nel miracolo della moltiplicazione dei pani. Gesù cercò di fare capire questa lezione ai suoi ascoltatori nella sinagoga. Se essi avessero compreso le Scritture, avrebbero compreso anche le sue parole quando disse: “Io sono il pan della vita”. Il giorno precedente quella grande folla, debole e stanca, era stata nutrita con il pane che egli aveva dato loro. Come da quel pane avevano ricevuto ristoro e forza, così Cristo poteva dare loro vigore spirituale in vista della vita eterna: “Chi viene a me non avrà fame, e chi crede in me non avrà mai più sete”. Quindi aggiunse: “Voi mi avete visto, eppure non credete!” Giovanni 6:35, 36. {GN 284.5}

Essi avevano visto Cristo mediante la testimonianza dello Spirito Santo e la rivelazione di Dio. La prova evidente della sua potenza era stata davanti a loro giorno dopo giorno, e tuttavia avevano chiesto ancora un segno. Anche se questo fosse stato dato sarebbero rimasti increduli come prima. Se non si erano convinti con ciò che avevano visto e udito, era inutile mostrare loro altre opere meravigliose. L’incredulità trova sempre scuse per dubitare e respingere le prove più sicure. {GN 285.1}

Di nuovo Cristo rivolse un appello a quei cuori induriti: “E colui che viene a me, non lo caccerò fuori”. Versetto 37. Chiunque lo riceverà con fede avrà la vita eterna. Nessuno di loro si perderà. Non c’è bisogno che i farisei e i sadducei discutano sulla vita futura. Non c’è più bisogno che gli uomini piangano i loro morti con un dolore senza speranza. “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nessuno di quelli che egli mi ha dati, ma che li risusciti nell’ultimo giorno”. Versetto 39. {GN 285.2}

I capi del popolo si scandalizzarono. “Dicevano:Non è costui Gesù, il figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre? Come mai ora dice: Io sono disceso dal cielo?” Versetto 42. Cercarono di suscitare pregiudizi contro di lui, ricordando con disprezzo le sue umili origini. Allusero sdegnosamente alla sua vita di operaio in Galilea e alla sua famiglia povera e umile. Le pretese di un carpentiere ignorante, dicevano, non meritavano la loro attenzione. A proposito della sua nascita misteriosa insinuarono un dubbio sui suoi genitori, come se quelle circostanze gettassero discredito sulla sua vita. {GN 285.3}

Gesù non volle spiegare il mistero della sua nascita. Non rispose alla domanda sulla sua discesa dal cielo, come non aveva risposto alla domanda su come aveva attraversato il lago. Non volle attirare l’attenzione sui miracoli che caratterizzavano la sua vita. Aveva rinunciato spontaneamente a difendere la sua reputazione e aveva assunto l’aspetto di un uomo qualsiasi. Ma le sue parole e le sue azioni rivelavano il suo carattere. Tutti i cuori che si aprivano alla luce divina avrebbero riconosciuto in lui “l’Unigenito venuto da presso al Padre”. Giovanni 1:14. {GN 285.4}

I pregiudizi dei farisei avevano radici ben più profonde di quanto non apparisse dalle loro domande; si radicavano nella perversità dei loro cuori. Ogni parola e ogni atto di Gesù suscitava in loro l’antagonismo; non vi era nulla in comune tra lui e lo spirito che animava i farisei. {GN 285.5}

“Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. È scritto nei profeti: Saranno tutti istruiti da Dio. Ogni uomo che ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me”. Giovanni 6:44, 45. Nessuno andrà a Cristo eccetto coloro che risponderanno all’appello d’amore del Padre. Ma Dio chiama a sé tutti i cuori e solo coloro che resistono a quell’appello si rifiuteranno di andare a Cristo. {GN 286.1}

Con le parole: “E saranno tutti istruiti da Dio”, Gesù si riferisce al profeta Isaia: “Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore e grande sarà la pace dei tuoi figli”. Isaia 54:13. Gli ebrei riferivano a se stessi questa profezia. Pretendevano che Dio fosse il loro maestro. Ma Gesù disse loro quanto fosse inutile questa pretesa. Egli affermò: “Ogni uomo che ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me”. Essi potevano avere una conoscenza del Padre solo tramite Cristo. Gli uomini non possono sopportare la visione diretta della sua gloria. Quelli che conoscono Dio, lo conoscono mediante suo Figlio, e in Gesù di Nazaret riconoscono colui che attraverso la natura e la rivelazione manifesta il Padre. {GN 286.2}

“In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha vita eterna”. Giovanni 6:47. Tramite Giovanni che ascoltò queste parole lo Spirito Santo ha detto alle chiese: “E la testimonianza è questa: Dio ci ha data la vita eterna, e questa vita è nel Figlio suo. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita”. Giovanni 5:11, 12. Gesù aggiunse: “E io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Giovanni 6:54. Cristo è diventato una stessa carne con noi, affinché noi potessimo diventare uno stesso spirito con lui. In virtù di questa unione possiamo risuscitare. Tutto questo non solo come manifestazione della potenza di Cristo, ma per il fatto che mediante la fede la sua vita è diventata la nostra. Coloro che vedono Cristo nella sua vera dimensione e lo ricevono nel cuore hanno la vita eterna. Attraverso lo Spirito, Cristo vive in noi. E lo Spirito di Dio, ricevuto nel cuore grazie alla fede, è il principio della vita eterna. {GN 286.3}

Il popolo aveva ricordato la manna che i loro padri avevano mangiato nel deserto, come se il fornire quel cibo fosse stato un miracolo più grande di quello di Gesù; ma Cristo mostrò quanto piccolo fosse quel dono rispetto alle benedizioni che egli era venuto ad accordare. La manna poteva nutrire solo per questa esistenza terrena, non preservava dalla morte, non assicurava l’immortalità, mentre il vero pane del cielo avrebbe nutrito l’uomo per la vita eterna. Il Salvatore disse: “Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il pane che discende dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”. Giovanni 6:48-51. A questa immagine Gesù ne aggiunse un’altra. Egli poteva impartire la vita agli uomini solo con la morte, e nelle parole che seguono indica la sua morte come il mezzo della salvezza: “E il pane che io darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo”. Versetto 51. {GN 286.4}

Gli israeliti stavano celebrando la Pasqua in Gerusalemme per commemorare la notte della liberazione d’Israele, quando l’angelo distruttore colpì i primogeniti d’Egitto. Dio voleva che nell’agnello pasquale scorgessero l’Agnello di Dio e, attraverso quel simbolo, accettassero colui che avrebbe dato se stesso per la vita del mondo. Ma gli israeliti attribuirono tutta l’importanza al simbolo trascurando la realtà. Non scorgevano il corpo del Signore. Le parole di Cristo insegnavano la stessa verità simboleggiata dal servizio pasquale. Ma ancora una volta non se ne resero conto. {GN 287.1}

I rabbini chiesero allora con ira: “Come può costui darci da mangiare la sua carne?” Versetto 52. Essi finsero di intendere alla lettera le sue parole, come aveva fatto Nicodemo quando chiese: “Come può un uomo nascere quand’è vecchio?” Giovanni 3:4. Compresero in parte il significato di quelle parole, ma non vollero riconoscerlo. Fraintendendo quello che Gesù aveva detto speravano di suscitare nel popolo l’ostilità nei suoi confronti. {GN 287.2}

Ma Cristo non rinunciò al simbolismo, anzi ripeté la stessa verità con un linguaggio ancora più forte. “In verità, in verità vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui”. Giovanni 6:53-56. {GN 287.3}

Mangiare la carne di Cristo e berne il sangue significa riceverlo come Salvatore, credere che perdona i peccati e che siamo resi completi in lui. Contemplando il suo amore, vivendo in lui, attingendo da lui diventiamo partecipi della sua natura. Cristo è per lo spirito ciò che il cibo è per il corpo. Come il cibo non ci può arrecare benefici se non lo mangiamo e non lo assimiliamo, così Cristo non ha alcun valore per noi se non lo consideriamo come un Salvatore personale. Una conoscenza teorica è inutile. Dobbiamo nutrirci di lui, riceverlo nel cuore in modo che la sua vita diventi la nostra e il suo amore e la sua grazia siano accolti in noi. {GN 287.4}

Ma anche queste immagini sono insufficienti per rappresentare il privilegio della relazione del credente con Cristo. Gesù ha detto: “Come il vivente Padre mi ha mandato e io vivo a cagion del Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli a cagion di me”. Versetto 57. Come il Figlio di Dio visse per la sua fede nel Padre, così noi viviamo per la nostra fede in Cristo. Gesù era così pienamente sottomesso alla volontà di Dio, che solo il Padre appariva nella sua vita. Benché tentato in ogni cosa come lo siamo noi, rimase saldo nei suoi principi senza essere travolto dal male che lo circondava. Anche noi possiamo vincere come Cristo ha vinto. {GN 287.5}

Volete seguire il suo esempio? Allora tutto ciò che è scritto sulla vita spirituale è scritto per voi e potete ottenerlo se vi unite a Gesù. Il vostro zelo langue? Il vostro primo amore si è intiepidito? Accogliete ancora l’amore che Cristo vi offre. Mangiate la sua carne, bevete il suo sangue, e diverrete una stessa cosa con il Padre e con il Figlio. {GN 288.1}

Gli israeliti increduli si rifiutarono di scorgere qualcosa al di là del senso immediatamente letterale delle parole del Salvatore. Le leggi cerimoniali proibivano di mangiare il sangue, così essi dettero alle parole di Gesù un significato sacrilego e polemizzarono fra loro. Perfino molti discepoli dissero: “Questo parlare è duro; chi lo può ascoltare?” Versetto 60. {GN 288.2}

Il Salvatore rispose loro: “Questo vi scandalizza? E che sarebbe se vedeste il Figliuol dell’uomo ascendere dov’era prima? È lo spirito quel che vivifica; la carne non giova nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita”. Versetti 61-63. {GN 288.3}

La vita di Cristo che dà vita al mondo si trova nella sua parola. Con la sua parola Gesù guarì gli ammalati e cacciò i demoni; con la sua parola placò il mare e risuscitò i morti. E il popolo testimoniava della potenza di quella parola. Annunciava la Parola di Dio come l’aveva annunciata mediante i profeti e i maestri dell’Antico Testamento. Tutte le Scritture sono una manifestazione di Cristo, e il Salvatore voleva che i suoi discepoli manifestassero fiducia in esse. Quando non sarebbe stato più in mezzo a loro, la Parola sarebbe rimasta la fonte della loro potenza. Come il Maestro, anch’essi dovevano vivere “di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio”. Matteo 4:4. {GN 288.4}

Come la nostra vita fisica è sostenuta dal cibo, così la nostra vita spirituale è nutrita dalla Parola di Dio. Ogni uomo riceve personalmente la vita dalla Parola di Dio. Come mangiamo per nutrire il nostro corpo, così riceviamo la Parola per il nostro spirito. Non possiamo riceverla attraverso l’intermediario di un’altra mente. Dobbiamo studiare con attenzione la Bibbia, chiedere a Dio l’aiuto dello Spirito Santo per poter comprendere la sua Parola. Dovremmo soffermarci su un testo e cercare di scorgere il messaggio che Dio ha rivelato per noi. Dovremmo meditare su di esso finché non diventi nostro da poter dire: Così dice il Signore. {GN 288.5}

Gesù con le sue promesse ed esortazioni si rivolge a ognuno di noi. Dio ha così tanto amato il mondo che ha dato il suo unico Figlio, affinché “io” credendo in lui non muoia, ma abbia vita eterna. Le esperienze contenute nella Parola di Dio devono diventare le mie esperienze; le preghiere, i precetti e le esortazioni devono diventare miei. “Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me”. Galati 2:20. Quando la fede riceve in questo modo i princìpi della verità e se ne appropria, allora essi diventano una parte dell’essere e la nota dominante della vita. La Parola di Dio plasma i pensieri e ha un ruolo determinante nella formazione del carattere. Rivolgendoci costantemente a Gesù con fede, saremo rafforzati. Dio farà le rivelazioni più preziose ai suoi fedeli affamati e assetati che considereranno Cristo come loro Salvatore personale. Nutrendosi della sua Parola, essi vi troveranno spirito e vita. La Parola cambia l’essere naturale e terreno e infonde una nuova vita in Cristo Gesù. {GN 289.1}

Lo Spirito Santo scende nell’animo come un consolatore. Attraverso questo agente della grazia si riproduce l’immagine di Dio nel discepolo che diventa una nuova creatura. L’amore sostituisce l’odio e l’uomo rinasce a immagine divina. Questo significa vivere “d’ogni parola che procede dalla bocca di Dio” e mangiare il pane che discende dal cielo. {GN 289.2}

Gesù aveva enunciato una verità sacra ed eterna sulla relazione con i suoi discepoli. Conosceva il carattere di coloro che pretendevano di esserlo, e le sue parole misero alla prova la loro fede. Disse che dovevano credere e agire sulla base dei suoi insegnamenti. Tutti coloro che lo accettavano avrebbero dovuto condividere la sua natura e conformarsi al suo carattere. Questo implicava la rinuncia alle loro più care ambizioni. Significava una consacrazione completa a Gesù; voleva dire avere un cuore ricolmo di abnegazione, mansuetudine e umiltà. Se volevano partecipare al dono della vita e alla gloria del cielo, dovevano percorrere lo stretto sentiero che avrebbe percorso l’Uomo del Calvario. {GN 289.3}

La prova era troppo ardua. L’entusiasmo di coloro che lo avevano cercato per costringerlo a farsi eleggere re si raffreddò. Quel discorso nella sinagoga, dicevano, aveva aperto i loro occhi, e ora vedevano chiaro. A loro giudizio le sue parole erano la chiara confessione che non era il Messia e che nessuna affermazione terrena sarebbe stata possibile con lui. Avevano ammirato con entusiasmo i suoi miracoli, desideravano essere liberati dalla malattia e dalla sofferenza, ma si rifiutavano di condividere la sua vita caratterizzata da spirito di abnegazione. Non si interessavano al misterioso regno spirituale di cui parlava. Le persone non sincere ed egoiste che lo avevano seguito non lo desideravano più. Se non avesse usato il suo potere e il suo ascendente per liberarli dai romani si sarebbero allontanati da lui. {GN 289.4}

Gesù disse loro chiaramente: “Ma tra di voi ci sono alcuni che non credono”. Giovanni 6:64. E aggiunse: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre”. Versetto 65. Egli voleva far loro capire che se non erano attratti dal suo messaggio dipendeva dal fatto che i loro cuori non erano aperti allo Spirito Santo. “Ma l’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché esse sono pazzia per lui; e non le può conoscere, perché devono essere giudicate spiritualmente”. 1 Corinzi 2:14. L’uomo contempla, mediante la fede, la gloria di Gesù. Questa gloria è nascosta finché non si manifesta attraverso lo Spirito Santo. {GN 290.1}

Il rimprovero pubblico della loro incredulità fece allontanare ancora di più quei discepoli da Gesù. Molto amareggiati, sentivano il desiderio di criticare il Salvatore e lodare la malizia dei farisei; perciò tornarono indietro abbandonandolo con sdegno. Avevano fatto la loro scelta. Avevano preferito la forma priva dello spirito, il guscio privo del seme. Avendo abbandonato Gesù, non tornarono più sulla loro decisione. {GN 290.2}

“Egli ha il suo ventilabro in mano, ripulirà interamente la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio”. Matteo 3:12. Si era giunti a uno di questi momenti. Le parole della verità separavano la pula dal grano. Erano troppo vanitosi e superbi per ricevere un rimprovero; amavano troppo il mondo per accettare una vita umile, perciò molti si allontanarono da Gesù. Anche oggi molti ripetono la stessa esperienza. Questi uomini sono messi alla prova come lo furono i discepoli nella sinagoga di Carpernaum. Quando vengono in contatto con la verità, si rendono conto che la loro vita non è in armonia con la volontà di Dio. Allora sentono la necessità di un cambiamento radicale, ma non vogliono percorrere la strada del sacrificio. Perciò si adirano quando i loro peccati vengono sottolineati. Si allontanano offesi, come i discepoli che lasciarono Gesù, e dicono: “Questo parlare è duro; chi lo può ascoltare?” {GN 290.3}

A questi uomini farebbe più piacere udire parole di lode e adulazione. Non amano ascoltare la verità. Pronunciano parole di ammirazione quando le folle accorrono e sono nutrite, quando si odono grida di trionfo. Ma quando lo Spirito di Dio rivela i loro peccati, quando li esorta a ravvedersi, allora si allontanano dalla verità e non seguono più Gesù. {GN 290.4}

Quando questi discepoli si allontanarono da Cristo, il loro spirito cambiò. Non provavano alcun interesse in colui che prima li aveva tanto entusiasmati. Si riavvicinarono ai suoi nemici perché simpatizzavano con il loro spirito e la loro opera. Non interpretarono correttamente le sue parole, falsificarono le sue dichiarazioni e ne fraintesero le intenzioni. Per giustificarsi raccolsero con cura tutte le argomentazioni che potevano essere usate contro di lui, e l’indignazione popolare fu fomentata a tal punto che la vita stessa di Cristo era ormai in pericolo. {GN 291.1}

Si diffuse rapidamente la notizia che Gesù di Nazaret, per sua stessa dichiarazione, non era il Messia. Così nella Galilea l’opinione popolare si volse contro di lui come era accaduto l’anno precedente nella Giudea. Fu una disgrazia per Israele! Rigettarono il loro Salvatore perché attendevano un conquistatore che assicurasse loro un potere terreno. Preferivano un cibo che si deteriora a quello che assicura la vita eterna. {GN 291.2}

Con cuore afflitto Gesù vide che coloro che erano stati suoi discepoli si allontanavano da lui, luce e vita degli uomini. Al pensiero che la sua compassione non era apprezzata, il suo amore non ricambiato, la sua misericordia disprezzata, il suo cuore si riempì di profonda tristezza. Queste esperienze contribuirono a fare di lui un uomo che conosceva bene il dolore e la sofferenza. {GN 291.3}

Senza cercare di trattenere coloro che stavano per abbandonarlo, Gesù si rivolse ai dodici e disse: “Non volete andarvene anche voi? Simon Pietro gli rispose: Signore, da chi andremmo noi?” E aggiunse: “Tu hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. Giovanni 6:67-69. {GN 291.4}

“A chi ce ne andremmo noi?” I maestri d’Israele erano schiavi del formalismo. I farisei e i sadducei erano continuamente in lotta fra loro. Abbandonare Gesù significava seguire i sostenitori dei riti e delle cerimonie, uomini ambiziosi che ricercavano la loro gloria. Nel seguire Gesù i discepoli avevano provato una pace e una gioia nuove. Come potevano ora unirsi a coloro che avevano beffato e perseguitato l’amico dei peccatori? Essi avevano atteso a lungo il Messia. Ora che era venuto, non potevano allontanarsi da lui e diventare seguaci di coloro che attentavano alla sua vita e lo perseguitavano. {GN 291.5}

“A chi ce ne andremmo noi?” Non si tratta di rinunciare all’insegnamento di Cristo, alle sue parole di amore e misericordia per le tenebre dell’incredulità e della malvagità del mondo. Mentre il Salvatore veniva abbandonato da molti che avevano visto le sue opere meravigliose, Pietro espresse la fede dei discepoli: “Tu sei il Santo di Dio”. Il solo pensiero di perdere quell’àncora di salvezza riempiva i loro cuori di paura e dolore. Essere privati del Salvatore significava trovarsi alla deriva su un mare buio e in tempesta. {GN 291.6}

Molte parole e azioni di Gesù appaiono incomprensibili alle menti limitate; ma ogni parola e ogni azione ha il suo scopo preciso nell’opera della salvezza: tutto viene compiuto in vista di un risultato preciso. Se fossimo capaci di comprendere i suoi obiettivi, tutto apparirebbe importante, perfetto e in piena armonia con la sua missione. {GN 292.1}

Se adesso non possiamo comprendere le vie del Signore, possiamo però scorgere il suo grande amore che ispira il suo comportamento nei confronti degli uomini. Chi vive vicino a Gesù comprenderà gran parte del mistero della bontà e saprà riconoscere la misericordia che dispensa i rimproveri, foggia i caratteri e svela i segreti del cuore. {GN 292.2}

Quando Gesù pronunciò quelle verità che avrebbero provocato l’allontanamento di molti suoi discepoli, sapeva quale sarebbe stato il risultato delle sue parole; ma doveva ugualmente compiere la sua opera. Sapeva che nell’ora della tentazione tutti i suoi discepoli sarebbero stati severamente messi alla prova. La sua agonia al Getsemani, il tradimento e la crocifissione sarebbero stati per loro una prova durissima. Se non vi fossero state difficoltà da superare molti, spinti esclusivamente da motivi egoistici, si sarebbero uniti a lui. {GN 292.3}

Quando il loro Signore fu condannato nel sinedrio, quando la folla che lo aveva invocato come re lo insultava, ingiuriava e scherniva gridando: “Sia crocifisso”, quando le loro speranze terrene erano deluse, quei seguaci egoisti, rinnegando Gesù, avrebbero suscitato nei discepoli un dolore amaro e profondo che si sarebbe sommato al tormento per la caduta delle loro più care speranze. In quell’ora difficile l’esempio di coloro che si allontanavano da lui avrebbe potuto influire negativamente su altri. Ma Gesù suscitò la prova nel momento in cui con la sua presenza poteva rafforzare la fede dei veri discepoli. {GN 292.4}

Il Redentore compassionevole, nella piena consapevolezza della sorte che lo aspettava, appianò teneramente la via ai discepoli, li preparò ad affrontare positivamente le difficoltà e li rafforzò per il trionfo finale. {GN 292.5}



Capitolo 42: La tradizione

Gli scribi e i farisei avevano teso una trappola a Gesù in occasione della Pasqua. Ma egli, conoscendo i loro piani, non si presentò alla festa. “Allora vennero a Gesù da Gerusalemme dei farisei e degli scribi”. Matteo 15:1. Poiché Gesù non era andato da loro, essi andarono da lui. Per un certo tempo era parso che la popolazione della Galilea avrebbe accolto Gesù come il Messia, respingendo il potere dei sacerdoti. La missione dei dodici, rivelando l’ampiezza dell’opera di Gesù e mettendo i discepoli direttamente in conflitto con i rabbini, aveva suscitato l’invidia dei capi di Gerusalemme. Le spie inviate a Capernaum avevano cercato di raccogliere le prove della sua trasgressione del sabato, ma non c’erano riuscite. I rabbini però non rinunciarono per questo al loro piano e inviarono un’altra delegazione per sorvegliare i suoi movimenti e trovare qualche pretesto per accusarlo. {GN 293.1}

Come la prima volta, gli venne rimproverato di non riconoscere i precetti della tradizione che appesantivano la legge di Dio. Questi precetti erano stati fissati per favorire l’osservanza della legge, ma a poco a poco ne avevano offuscato la sacralità. E quando erano in contrasto con la legge di Dio, si accordava loro addirittura la preferenza. {GN 293.2}

Un precetto scrupolosamente osservato era quello della puriflca-zione cerimoniale. Trascurare di compiere certi riti prima dei pasti era considerato un grave peccato, punibile in questo mondo e nell’altro. Si riteneva giusto uccidere il trasgressore. {GN 293.3}

La purificazione era regolamentata da innumerevoli prescrizioni. Occorreva una vita intera per conoscerle tutte. Coloro che volevano seguire le prescrizioni rabbiniche dovevano continuamente lottare contro il pericolo delle contaminazioni cerimoniali e della non osservanza di una serie lunghissima di purificazioni e abluzioni. {GN 293.4}

Così, mentre la mente si orientava verso distinzioni e osservanze di scarsissima importanza, non richieste da Dio, venivano dimenticati i grandi princìpi della legge divina. {GN 293.5}

Gesù e i suoi discepoli non seguivano le abluzioni cerimoniali; le spie li accusarono proprio di questo. Non attaccarono direttamente Gesù ma i suoi discepoli, e chiesero a lui, in presenza della folla: “Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo”. Matteo 15:1, 2. {GN 293.6}

Quando il messaggio della verità produce una profonda impressione, Satana ricorre a tutti i mezzi per impegnare gli uomini in dispute su questioni di secondaria importanza. Ottiene così il risultato di distogliere l’attenzione da ciò che è essenziale. {GN 294.1}

Appena viene iniziata una buona opera sorgono cavillatori che intavolano discussioni su questioni marginali e puramente formali per cercare di allontanare la mente dalle realtà viventi. Quando si vede che Dio opera in modo particolare in favore del suo popolo, non ci si deve impelagare in controversie che producono solo la rovina degli uomini. Le domande che invece dovremmo farci sono: Credo sinceramente nel Figlio di Dio? La mia vita è in armonia con la legge divina? “Chi crede nel Figlio ha vita eterna; chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita”. Giovanni 3:36. “Da questo sappiamo che l’ab-biam conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti”. Giovanni 2:3. {GN 294.2}

Gesù non difese né se stesso né i suoi discepoli. Non alluse neppure alle accuse che gli erano state rivolte, ma indicò la natura dello spirito dal quale erano animati quegli accesi sostenitori di riti puramente umani. Mostrò loro con un esempio quello che essi facevano continuamente e che avevano fatto anche poco prima di venire da lui. “Come sapete bene annullare il comandamento di Dio per osservare la tradizione vostra! Mosè infatti ha detto: Onora tuo padre e tua madre; e: Chi maledice padre o madre sia condannato a morte. Voi, invece, se uno dice a suo padre o a sua madre: Quello con cui potrei assisterti è Corban, (vale a dire, un’offerta a Dio), non gli lasciate più far niente per suo padre o sua madre”. Marco 7:9-12. {GN 294.3}

Trasgredivano il quinto comandamento come cosa priva di importanza, ma erano molto rigorosi nell’osservanza delle antiche tradizioni! Insegnavano che donare i propri beni al tempio era un dovere più sacro del mantenimento dei genitori e che dare al padre o alla madre — anche se in grandi ristrettezze — una parte di ciò che era stato così consacrato significava commettere un sacrilegio. Era sufficiente che un Aglio ingrato pronunciasse la parola “corban” sui suoi beni, consacrandoli così a Dio, per avere il diritto di goderne finché era in vita e lasciarli dopo la sua morte al servizio del tempio. Era quindi permesso durante la propria vita e sino alla morte trattare indegnamente i genitori e privarli del necessario con il pretesto di una falsa devozione. {GN 294.4}

Gesù non ha mai, né con la parola né con l’esempio, sminuito il dovere dei doni e delle offerte. Egli stesso ha dato disposizioni che riguardano le decime e le offerte e ha elogiato la povera vedova che aveva messo tutti i suoi averi nella cassa delle offerte. Ma lo zelo che i sacerdoti e i rabbini ostentavano verso Dio era un pretesto per dissimulare la loro avidità di denaro. Ingannavano il popolo imponendo pesanti fardelli che Dio non aveva richiesto. Gli stessi discepoli di Cristo non erano completamente liberi dal giogo dei pregiudizi tramandati e poi confermati dall’autorità dei rabbini. Evidenziando la natura del loro spirito, Gesù voleva liberare dalla schiavitù della tradizione tutti coloro che erano realmente desiderosi di servire Dio. {GN 295.1}

Rivolgendosi a quelle vili spie, disse: “Ipocriti, ben profetò Isaia di voi quando disse: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti d’uomini”. Matteo 15:7-9. Queste parole di Gesù erano un atto di accusa contro il sistema farisaico che ponendo i loro regolamenti al di sopra della legge di Dio, ponevano se stessi al di sopra di Dio. {GN 295.2}

I delegati di Gerusalemme si infuriarono. Non potevano più accusare Gesù di essere trasgressore della legge data al Sinai perché l’aveva difesa contro le loro tradizioni. Ma i grandi precetti che aveva ricordati erano in aperto contrasto con le regole meschine inventate dagli uomini. {GN 295.3}

Gesù mostrò, prima alla folla e poi in modo più esauriente ai discepoli, che la contaminazione non viene dall’esterno ma dall’interno. La purezza e l’impurità riguardano lo spirito. Ciò che contamina l’uomo sono il comportamento, le parole malvagie, i pensieri cattivi, la trasgressione della legge di Dio e non la mancata osservanza di riti esteriori inventati dagli uomini. {GN 295.4}

I discepoli notarono la rabbia delle spie quando Gesù denunciò pubblicamente i loro falsi insegnamenti. Scorsero gli sguardi crucciati e udirono le parole di vendetta mormorate a mezza voce. Dimenticando che Cristo sapeva leggere nei cuori, gli mostrarono l’effetto che le sue parole avevano prodotto in loro. I discepoli, sperando che riuscisse a calmare quegli emissari ostili, gli dissero: “Sai che i farisei, quando hanno udito questo discorso, ne sono rimasti scandalizzati? Egli rispose loro: Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantata, sarà sradicata”. Matteo 15:12, 13. I precetti della tradizione, così considerati dai rabbini, erano terreni e non divini. Per quanto avessero presa sul popolo non potevano resistere alla prova di Dio. Ogni tradizione umana, che sostituisce i comandamenti di Dio, appa rirà senza valore nel giorno in cui “Dio infatti farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male”. Ecclesiaste 12:16. {GN 295.5}

Lo stesso errore è stato ripetuto nei tempi successivi. I precetti umani hanno sostituito i comandamenti di Dio. Esistono anche tra i cristiani istituzioni e usi che non hanno altro fondamento che le tradizioni dei padri. Queste regole, fondate unicamente su un’autorità umana, hanno sostituito ciò che Dio aveva stabilito. Gli uomini si affezionano alle loro tradizioni, rispettano le loro abitudini e odiano coloro che cercano di indicare loro l’errore che commettono. Oggi, quando richiamiamo l’attenzione sui comandamenti di Dio e la fede di Gesù, vediamo nascere la stessa ostilità del tempo di Cristo. È scritto: “Allora il dragone s’infuriò contro la donna e andò a far guerra a quelli che restano della discendenza di lei che osservano i comandamenti di Dio e custodiscono la testimonianza di Gesù”. Apocalisse 12:17. {GN 296.1}

“Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantata, sarà sradicata”. Dio ci esorta ad accettare la Parola del Padre, Signore del cielo e della terra, anziché l’autorità degli uomini più stimati. In queste parole c’è la verità senza errori. Il salmista diceva: “Io ho più conoscenza di tutti i miei maestri, perché le tue testimonianze sono la mia meditazione. Ho più sagezza dei vecchi, perché ho osservato i tuoi precetti”. Salmi 119:99, 100. Coloro che accettano un’autorità umana, sia consuetudini della chiesa sia tradizioni, ascoltino l’avvertimento di Cristo: “Ma invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che son precetti d’uomini”. {GN 296.2}



Capitolo 43: Barriere infrante

Dopo l’incontro con i farisei, Gesù si allontanò da Capernaum, attraversò la Galilea e si rifugiò nella regione montuosa ai confini con la Fenicia. Verso occidente poteva vedere, nella pianura, le antiche città di Tiro e Sidone, con i templi pagani, i magnifici palazzi, i mercati e i porti brulicanti di navi. Sullo sfondo, l’azzurra distesa del Mediterraneo che i messaggeri del Vangelo avrebbero attraversato per recare la buona novella nei centri del grande impero. Ma quel tempo non era ancora giunto. La sua opera consisteva nel preparare i discepoli per la loro missione. In quella regione sperava di trovare la tranquillità che non aveva potuto avere a Betsaida. Questo non era, però, l’unico scopo del suo viaggio. {GN 297.1}

“Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio”. Matteo 15:22. Gli abitanti del luogo discendevano dall’antica stirpe cananea e per la loro idolatria erano disprezzati e odiati dagli ebrei. La donna che si presentava a Cristo apparteneva a quella razza. Era pagana e quindi esclusa dai privilegi di cui gli ebrei godevano ogni giorno. Molti di essi abitavano in quella regione e le notizie dell’opera di Cristo erano giunte fin là. Alcuni avevano ascoltato le parole del Salvatore e avevano assistito alle sue opere meravigliose. La donna aveva sentito che quel profeta guariva ogni specie di malattia, e la speranza si risvegliò nel suo cuore. Spinta dall’amore materno volle presentare a Gesù il caso di sua figlia; era decisa a comunicargli il suo dolore. Egli doveva guarire sua figlia. Quella madre aveva implorato invano le divinità pagane e dapprima aveva dubitato anche delle capacità di guarigione di quel Maestro ebreo. Ma le era stato assicurato che guariva ogni specie di malattia, senza riguardo alla condizione economica, e non volle rinunciare a quell’unica speranza. {GN 297.2}

Gesù conosceva le condizioni di quella donna. Sapendo che desiderava ardentemente vederlo, volle incontrarla. Aiutandola nella sua sofferenza, avrebbe anche impartito un’eloquente lezione. Per questo aveva condotto i suoi discepoli in quella zona. Voleva che ve dessero l’ignoranza in cui vivevano le città e i villaggi vicini a Israele. Il popolo eletto di Dio ignorava completamente le condizioni dei suoi confinanti e quindi non faceva nulla per aiutare coloro che si trovavano nelle tenebre. Il muro di separazione che l’orgoglio ebreo aveva eretto impediva agli stessi discepoli di provare simpatia verso il mondo pagano. Ma quelle barriere stavano per essere infrante. {GN 297.3}

Gesù non rispose immediatamente alla richiesta della donna. Ella apparteneva a una razza disprezzata, e l’accolse proprio come avrebbe fatto un ebreo. Così prima avrebbe mostrato ai discepoli la freddezza e l’insensibilità con cui gli ebrei si sarebbero comportati in un caso simile; ed esaudendo la richiesta avrebbe poi dato l’esempio della compassione che i discepoli dovevano manifestare di fronte a queste miserie. {GN 298.1}

Benché Gesù non avesse risposto, la donna non perse la fede. Mentre egli proseguiva il cammino, come se non l’avesse neppure udita, essa lo seguì, rinnovando le sue suppliche. I discepoli, infastiditi, chiesero a Gesù di mandarla via; e vedendo che il loro Maestro la trattava con indifferenza, pensavano che condividesse i pregiudizi degli ebrei nei confronti dei cananei. Ma Cristo era un Salvatore compassionevole e rispose così alla richiesta dei discepoli: “Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele”. Matteo 15:24. Benché questa risposta sembrasse in accordo con i pregiudizi degli ebrei, conteneva un rimprovero per i discepoli. Essi lo compresero solo più tardi ripensando a tutte le volte in cui aveva detto loro che era venuto nel mondo per salvare tutti quelli che lo avrebbero accettato. {GN 298.2}

La donna insistette ancora, e prostrata ai piedi di Cristo gridava: “Signore, aiutami!” Versetto 25. Sembrava che Gesù respingesse ancora le sue preghiere. Infatti, secondo la mentalità degli ebrei, rispose: “Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini”. Versetto 26. Voleva dire che non era giusto distribuire a degli estranei e a dei nemici d’Israele le benedizioni che Dio aveva concesso al suo popolo. Questa risposta avrebbe scoraggiato un ricercatore meno perseverante, ma la donna si rese conto che il suo momento era giunto. {GN 298.3}

Dietro all’apparenza, intravedeva una compassione che non era del tutto nascosta. Rispose: “Dici bene, Signore; eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Versetto 27. Quando i bambini mangiano alla tavola del padre, i cani non vengono dimenticati. Possono cibarsi delle briciole che cadono da una tavola riccamente imbandita. Se vi erano tante benedizioni per Israele, non ve ne sarebbe stata una anche per lei? Poiché la si consi derava un cane, non aveva il diritto di cibarsi delle briciole? {GN 298.4}

Gesù aveva appena lasciato il suo campo di lavoro perché gli scribi e i farisei cercavano di togliergli la vita. Mormoravano e accusavano. Increduli e invidiosi, respingevano la salvezza così generosamente offerta. E ora Gesù incontrava una creatura appartenente a una razza infelice e disprezzata, non favorita dalla luce della Parola di Dio, ma che accoglieva subito il divino influsso di Cristo e credeva nella sua capacità di accordarle la grazia richiesta. Supplicava per avere le briciole della tavola del Maestro. Purché le si accordino i privilegi di un cane, è disposta a essere considerata tale. Nessun pregiudizio, nessun orgoglio nazionale o religioso influiscono sulla sua condotta, ed essa riconosce subito in Gesù il Redentore, colui che può fare tutto ciò che gli viene chiesto. {GN 299.1}

Il Salvatore è soddisfatto. Ha messo alla prova la fede di quella donna; le ha mostrato che non è più una straniera, indegna di partecipare alle benedizioni accordate a Israele, ma è diventata una figlia della casa di Dio. Come gli altri Agli ha diritto ai doni del Padre. Gesù esaudisce la sua richiesta, concludendo così la lezione destinata ai discepoli. Volgendosi a lei con sguardo tenero e compassionevole, le dice: “Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi”. Matteo 15:28. In quello stesso istante la figlia fu guarita. Il demone cessò di tormentarla. La donna se ne andò lodando il Salvatore, felice per l’esaudimento ottenuto. {GN 299.2}

Questo fu l’unico miracolo che Gesù fece in quel viaggio. Fu proprio per compierlo che si recò nei pressi di Tiro e Sidone. Desiderava aiutare quella donna afflitta e nello stesso tempo lasciare un esempio della sua opera di misericordia nei confronti di un popolo disprezzato, affinché i suoi discepoli imparassero quella lezione per il tempo in cui non sarebbe stato più in mezzo a loro. Egli voleva che essi ampliassero la concezione esclusivista degli ebrei e pensassero al loro ministero presso altri popoli. {GN 299.3}

Gesù voleva svelare il profondo mistero della verità che era stata nascosta da secoli, secondo cui i pagani sarebbero stati eredi con gli ebrei e “partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante il vangelo”. Efesini 3:6. I discepoli comprendevano con molta lentezza questo concetto e il divino Maestro ripeté più volte quella lezione. Ricompensando la fede del centurione di Capernaum e predicando il messaggio del Vangelo agli abitanti di Sichar, aveva già mostrato di non condividere l’intolleranza degli ebrei. Ma i samaritani avevano una certa conoscenza di Dio e il centurione aveva dimostrato benevolenza verso Israele. Ora, invece, Gesù li mise in relazione con una donna pagana che, secondo i discepoli, non aveva alcun diritto di aspettarsi di essere esaudita da lui e che era del tutto estranea al popolo eletto. Egli dette l’esempio di come bisognava trattare queste persone. I discepoli avevano pensato che Gesù dispensasse troppo liberamente i doni della sua grazia, ma egli avrebbe dimostrato che il suo amore non era circoscritto a una razza e a una nazione. {GN 299.4}

Quando disse: “Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele”, disse la verità e nella sua opera in favore di quella donna cananea adempiva la sua missione. Quella donna era una delle pecore perdute che Israele avrebbe dovuto ricercare. Cristo stava svolgendo l’opera che Israele aveva trascurato. {GN 300.1}

Questo miracolo fece comprendere meglio ai discepoli l’opera che avrebbero dovuto compiere fra i pagani. Essi videro il vasto campo di lavoro al di fuori della Giudea; videro uomini e donne soffrire per dolori ignorati dai popoli privilegiati. Fra coloro che gli ebrei disprezzavano vi erano uomini che imploravano l’aiuto del grande Medico e che avevano bisogno di quella verità che Israele aveva ricevuto in abbondanza. {GN 300.2}

Più tardi, quando gli ebrei si allontanarono decisamente dai discepoli perché confessavano che Gesù era il Salvatore del mondo, e quando il muro di separazione fra ebrei e pagani fu abbattuto dalla morte di Cristo, questa lezione e altre analoghe sulla diffusione del Vangelo a tutte le razze e nazioni esercitarono un grandissimo influsso sui discepoli e sul loro lavoro. {GN 300.3}

La visita del Salvatore in Fenicia e il miracolo compiuto in questa regione avevano uno scopo ancora più ampio. Quel miracolo fu fatto non soltanto per quella donna sofferente, non soltanto per i discepoli, ma “affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome”. Giovanni 20:31. Gli stessi elementi che tenevano gli uomini lontano da Cristo diciotto secoli fa, sono all’opera anche oggi. Lo spirito che eresse il muro di divisione fra ebrei e pagani è ancora presente. L’orgoglio e il pregiudizio hanno eretto mura poderose fra gli uomini. Cristo e la sua missione sono stati travisati, e intere folle non beneficiano dell’opera del Vangelo. Ma non credano di essere separate da Cristo. Non vi sono barriere che gli uomini o Satana possano erigere e che la fede non possa abbattere. {GN 300.4}

La donna fenicia si gettò con fede contro le barriere erette fra ebrei e pagani. Essa confidò nell’amore del Salvatore, nonostante la sua apparente freddezza. Gesù desidera che anche noi abbiamo fl-ducia in lui. La benedizione della salvezza è per ogni anima. Solo il rifluto dell’uomo può far perdere il privilegio di partecipare in Cristo alla promessa del Vangelo. Dio non vuole divisioni fra gli uomini. Ai suoi occhi tutti hanno lo stesso valore. “Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia luntano da ciascuno di noi”. Atti 17:26, 27. Tutti, senza distinzione di età, condizione sociale, nazionalità o religione, sono invitati a rivolgersi a lui per avere la vita. “Chiunque crede in lui, non sarà deluso. Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato”. Romani 10:11-13. “Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero”. Galati 3:28. “Il ricco e il povero s’incontrano; il Signore li ha fatti tutti e due”. Proverbi 22:2. {GN 300.5}



Capitolo 44: Il vero segno

“Gesù partì di nuovo dalla regione di Tiro e, passando per Sidone, tornò verso il mar di Galilea attraversando il territorio della Decapo- {GN 302.1}

li”. Marco 7:31. {GN 302.2}

Nella regione della Decapoli gli indemoniati erano stati guariti e gli abitanti, allarmati per la perdita dei porci, avevano chiesto a Gesù di allontanarsi. Ma avevano poi ascoltato i messaggeri che egli aveva lasciato, ed era sorto in loro il desiderio di conoscere meglio quel Maestro. Al suo ritorno, una grande folla si raccolse intorno a lui, e gli portarono un uomo che era sordo e muto. Gesù, diversamente dalle sue abitudini, non guarì quest’uomo servendosi soltanto della parola. Lo portò in disparte, gli mise le dita nelle orecchie e gli toccò la lingua. Levando poi gli occhi al cielo, trasse un sospiro al pensiero delle tante orecchie che si rifiutavano di ascoltare la verità e delle tante lingue che non volevano proclamarlo Redentore. Alla parola: “Apriti!” (Versetto 34) quell’uomo recuperò la capacità di parlare e di udire, e senza tener conto del divieto di raccontare, parlò ovunque della sua guarigione. {GN 302.3}

Gesù salì su un monte e una gran folla si avvicinò a lui portando ai suoi piedi malati e zoppi. Egli li guarì tutti e la folla, benché pagana, glorificava il Dio d’Israele. Per tre giorni si accalcò intorno al Salvatore, dormiva all’aperto e di giorno accorreva per ascoltare le parole di Gesù e vedere i suoi miracoli. Poi il cibo mancò. Gesù non voleva congedare quelle persone affamate e disse ai discepoli di dare loro da mangiare. Ma la loro fede era ancora scarsa. Essi avevano visto come a Betsaida la loro piccola provvista, grazie alla benedizione di Gesù, fosse stata sufficiente per sfamare tanta gente; tuttavia non portarono tutto ciò che avevano a Gesù perché con la sua potenza lo moltiplicasse per la folla. Non bisogna dimenticare che coloro che Gesù aveva nutrito a Betsaida erano ebrei, mentre questi erano pagani. {GN 302.4}

Il pregiudizio ebraico aveva ancora ampia presa sul cuore dei discepoli che risposero a Gesù: “Donde potremmo trovare, in un luogo deserto, tanti pani da saziare una così gran folla?” Matteo 15:33. Nondi meno, ubbidendo all’ordine ricevuto, gli portarono ciò che avevano: sette pani e due pesci. La folla fu saziata e ne avanzarono sette grandi panieri pieni. Furono nutriti quattromila uomini, oltre alle donne e ai bambini. Poi Gesù li congedò e se ne andarono lieti e riconoscenti. {GN 302.5}

Gesù, con i discepoli, attraversò il lago in barca, diretto a Ma-gdala, nell’estremità meridionale della pianura di Gennezaret. Sul confine di Tiro e Sidone la fiducia della donna siro-fenicia lo aveva riempito di consolazione. Anche la popolazione pagana della Deca-poli lo aveva accolto con gioia. Ora in Galilea, dove la sua potenza si era manifestata in maniera più evidente, dove era stata compiuta la maggior parte delle sue opere di misericordia e aveva insegnato, incontrava una sprezzante incredulità. {GN 303.1}

Una rappresentanza dei ricchi e potenti sadducei si era aggiunta agli emissari dei farisei. I sadducei costituivano l’aristocrazia della nazione e a questa categoria appartenevano i sacerdoti. Sadducei e farisei si odiavano mortalmente. I sadducei, per mantenere la loro posizione e autorità, collaboravano con Roma. I farisei invece, impazienti di scuotere il giogo dell’invasore, fomentavano nel popolo uno spirito di ribellione contro i romani. Si unirono però contro Cristo: i simili si attraggono e il male fa sempre lega con il male quando si tratta di lottare contro il bene. {GN 303.2}

I farisei e i sadducei si avvicinarono a Gesù e gli chiesero un segno dal cielo. Al tempo di Giosuè, quando Israele combatteva contro i cananei a Beth-horon, il sole si era fermato all’ordine del condottiero sino al conseguimento della vittoria, e molti altri prodigi simili erano accaduti durante la loro storia. Ora si chiedeva a Gesù un segno di questo genere. Ma gli ebrei non avevano bisogno di segni. Le manifestazioni esteriori non potevano essere di nessuna utilità. Non avevano bisogno di una maggiore comprensione, ma di un rinnovamento spirituale. {GN 303.3}

A loro, che esaminando il cielo sapevano riconoscere il tempo futuro, Gesù disse: “L’aspetto del cielo lo sapete dunque discernere, e i segni dei tempi non riuscite a discernerli?” Matteo 16:3. Le parole di Gesù, accompagnate dalla potenza dello Spirito Santo che convince di peccato, erano il segno dato da Dio per la loro salvezza. Segni del cielo erano già stati dati per provare la missione divina di Cristo. Il canto degli angeli uditi dai pastori; la stella che guidava i magi; la colomba e la voce dal cielo al momento del suo battesimo: erano tutte testimonianze in suo favore. {GN 303.4}

“Ma egli, dopo aver sospirato nel suo spirito, disse: Perché questa generazione chiede un segno?” (Marco 8:12) “Segno non le sarà dato se non quello di Giona”. Matteo 16:4. Come Giona aveva passato tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così Cristo sarebbe rimasto per la stessa durata di tempo “nel cuore della terra”. Matteo 12:40. Come la predicazione di Giona era stata un segno per i niniviti, così quella di Cristo era un segno per la sua generazione. Ma vi era una grande differenza nel modo in cui la predicazione veniva accolta. La popolazione di quella grande città pagana aveva tremato nell’udire gli avvertimenti divini. Il re e i nobili si erano umiliati, persone di tutti i ceti avevano implorato Dio e ne avevano ottenuto la grazia. “I Niniviti compariranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui vi è più che Giona!” Versetto 41. {GN 303.5}

Ogni miracolo compiuto da Gesù era un segno della sua divinità. Egli svolgeva l’opera del Messia proprio come era stata rivelata dai profeti. Ma per i farisei quelle opere di misericordia erano una colpa. I capi della nazione ebraica erano indifferenti verso le sofferenze degli uomini. In molti casi erano stati proprio il loro egoismo e la loro ingiustizia a causare quei dolori che Cristo alleviava. Così i suoi miracoli erano un rimprovero indiretto per loro. {GN 304.1}

Gli ebrei respinsero l’opera del Salvatore in base alle prove più evidenti della sua natura divina. Il grande significato dei suoi miracoli lo si scorge proprio nel fatto che miravano al bene dell’umanità. La prova più grande della sua origine divina è la rivelazione del carattere di Dio nella sua vita. Egli compiva le opere di Dio e pronunciava le parole di Dio. Una tale vita è il più grande miracolo. {GN 304.2}

Anche oggi molti, come gli ebrei, quando viene presentato il messaggio della verità, dicono: Mostrateci un segno; fateci un miracolo. Ma Gesù non fece nessun miracolo per i farisei. Non ne aveva fatti neppure nel deserto, in risposta alle insinuazioni di Satana. Egli ci comunica la sua potenza non perché ce ne serviamo per affermare noi stessi o per soddisfare le richieste degli increduli. Il Vangelo ha in sé i segni della sua origine divina. Non è forse un miracolo la liberazione dalla schiavitù di Satana? L’ostilità verso Satana non nasce naturalmente nel cuore, ma è il prodotto della grazia di Dio. Si compie un miracolo ogni volta che qualcuno, prima dominato da una volontà ostinata e ribelle, ne è liberato e accetta la volontà di Dio e ogni volta che un uomo, vittima di un’amara delusione, giunge a comprendere la verità. Quando un essere umano si converte, impara ad amare Dio e a osservare i suoi comandamenti; si adempie così la promessa del Signore: “E vi darò un cuor nuovo, e metterò dentro di voi uno spirito nuovo”. Ezechiele 36:26. Il cambiamento del cuore e la tra sformazione del carattere sono miracoli che attestano che c’è un Salvatore vivente, pronto a salvare gli uomini. Una vita fedele in Cristo è un grande miracolo. Il segno che dovrebbe accompagnare sempre la predicazione della parola di Dio è la presenza dello Spirito Santo che conferisce alla Parola una potenza rigeneratrice per tutti coloro che l’ascoltano. È questa la prova che Dio dà al mondo della divina missione di suo Figlio. {GN 304.3}

Coloro che chiedevano un segno a Gesù si erano talmente induriti nell’incredulità che non distinguevano nel suo carattere la somiglianza con Dio. Essi non vedevano che la sua missione era l’adempimento delle Scritture. Nella parabola del ricco e del povero Lazzaro, Gesù disse, alludendo ai farisei: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse”. Luca 16:31. Nessun segno né in cielo né in terra li avrebbe potuti aiutare. {GN 305.1}

Gesù “dopo aver sospirato nel suo spirito” ed essersi allontanato da quei cavillatori, salì sulla barca con i suoi discepoli. Attraversarono il lago silenziosi e tristi. Non tornarono nel luogo che avevano lasciato, ma si diressero verso Betsaida, la località in cui cinquemila persone erano state sfamate. Vicino alla riva, Gesù disse loro: “Vedete di guardarvi dal lievito dei Farisei e de’ Sadducei”. Matteo 16:5. Sin dal tempo di Mosè, al sopraggiungere della Pasqua gli ebrei toglievano tutto il lievito dalle loro case perché lo consideravano simbolo del peccato. Ma i discepoli non compresero che cosa Gesù volesse dire. Nella loro repentina partenza da Magdala, si erano dimenticati di prendere del pane. Pensavano che Gesù alludesse a questo fatto e che li invitasse a non comprare pane né dai farisei né dai sadducei. Spesso, a causa della loro scarsa fede e della limitata visione spirituale, avevano frainteso le sue parole. Gesù li rimproverò per aver pensato che colui che aveva nutrito cinquemila persone con pochi pani e pochi pesci, con quel solenne avvertimento potesse riferirsi soltanto al cibo materiale. C’era il pericolo che gli astuti ragionamenti dei farisei e dei sadducei facessero nascere il dubbio nella mente dei discepoli, inducendoli a non fare attenzione alle opere di Cristo. {GN 305.2}

I discepoli pensavano che il loro Maestro avrebbe dovuto rispondere alla richiesta di un segno del cielo. Credevano che potesse farlo e ritenevano che ciò avrebbe fatto tacere i suoi nemici. Non si rendevano conto dell’ipocrisia delle loro argomentazioni. {GN 305.3}

Alcuni mesi più tardi, “essendosi la moltitudine radunata a migliaia”, Gesù rivolse ai suoi discepoli la stessa esortazione: “Guardatevi dal lievito dei farisei, che è ipocrisia”. Luca 12:1. {GN 305.4}

Il lievito opera in maniera impercettibile, ma trasforma tutta la pasta. Così l’ipocrisia accolta nel cuore permea il carattere e la vita. Gesù aveva già indicato un esempio notevole dell’ipocrisia dei farisei, quando aveva condannato la loro tradizione detta “corban”, con la quale si camuffava la trasgressione di un dovere nei confronti dei genitori con il pretesto della generosità verso il tempio. Gli scribi e i farisei proponevano princìpi che generavano inganno. Dissimulavano il vero scopo delle loro dottrine e approfittavano di ogni occasione per inculcarle nella mente dei loro ascoltatori. Quei falsi princìpi, una volta accettati, operavano come il lievito nella pasta, permeando e trasformando il carattere. Quell’insegnamento sbagliato rese ancora più difficile l’accettazione da parte del popolo della parola di Cristo. {GN 306.1}

Un influsso analogo lo esercitano oggi coloro che presentano la legge di Dio conciliandola con le loro abitudini. Essi non attaccano direttamente la legge, ma formulano teorie che ne minano i princìpi e ne indeboliscono il vigore. {GN 306.2}

L’ipocrisia dei farisei era il frutto dell’amore per se stessi. Lo scopo della loro vita era l’esaltazione della loro persona. Quel sentimento li aveva spinti a travisare le Scritture e aveva impedito loro di comprendere l’obiettivo della missione di Cristo. Anche i discepoli correvano il rischio di cadere nello stesso errore. Coloro che si dichiaravano discepoli di Gesù, ma che non avevano cambiato la loro mentalità, erano in gran parte orientati da quel modo di ragionare dei farisei. Vacillavano spesso tra la fede e l’incredulità e non sapevano distinguere i tesori della sapienza nascosti in Cristo. Persino i discepoli, sebbene avessero abbandonato tutto per amore di Gesù, in cuor loro non avevano cessato di aspirare a posizioni elevate. {GN 306.3}

Era quello lo spirito che produceva le discussioni su chi fosse il più importante, che ostacolava la comprensione fra loro e Cristo e li rendeva lenti a comprendere la sua missione e il mistero della redenzione. Come il lievito, completando la sua opera, produce corruzione, così lo spirito egoistico, se accarezzato, porta l’uomo alla rovina. {GN 306.4}

Anche oggi fra i discepoli del Signore è ampiamente diffuso quello stesso peccato subdolo e ingannatore. Spesso, il segreto desiderio della propria esaltazione deturpa il nostro servizio verso Cristo e le nostre relazioni fraterne. Come si desiderano la lode e l’approvazione degli uomini! {GN 306.5}

È proprio l’amore di sé, la ricerca di una via facile per giungere sino a Dio che induce a mettere teorie e tradizioni umane al posto dei comandamenti di Dio. Gesù rivolge ai suoi discepoli queste pa role di avvertimento: “Guardatevi bene dal lievito dei farisei e dei sadducei”. {GN 306.6}

La religione di Cristo è sincerità. Lo zelo per la gloria di Dio è il movente che lo Spirito Santo ci infonde e che solo lui può suscitare. Solo la potenza di Dio può allontanare l’amore per se stessi e l’ipocrisia. Questo cambiamento è il segno della sua opera. Quando la fede distrugge l’egoismo, quando induce a cercare la gloria di Dio e non la propria, si può essere certi di trovarsi sulla giusta strada. La nota dominante della vita di Cristo espressa nelle sue parole: “Padre, glorifica il tuo nome!” (Giovanni 12:28), deve esserlo anche della nostra. Egli ci ordina di camminare come lui stesso camminò. “Da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti”. Giovanni 2:3. {GN 307.1}



Capitolo 45: L’ombra della croce

L’opera di Cristo sulla terra stava per concludersi. Gesù scorgeva a forti tratti le ultime scene della sua vita. Prima dell’incarnazione aveva visto tutto il cammino che avrebbe percorso per la salvezza degli uomini, dalla mangiatoia fino al Calvario. Prima ancora di lasciare il cielo aveva contemplato le angosce che avrebbe provato, gli insulti che avrebbe ricevuto, le privazioni che avrebbe sopportato. Tuttavia disse al Padre: “Ecco, io vengo! Sta scritto di me nel rotolo del libro. Dio mio, desidero fare la tua volontà, la tua legge è dentro il mio cuore”. Salmi 40:7, 8. {GN 308.1}

Egli aveva sempre presente quali sarebbero stati i risultati della sua missione. Nelle sofferenze e nelle rinunce lo confortava il pensiero che il suo sacrificio non sarebbe stato inutile. Offrendo la vita per gli uomini, li avrebbe ricondotti a Dio. Però, prima di questo, ci sarebbe stato il peso dei peccati del mondo; sulla sua anima innocente sarebbe scesa l’ombra di un dolore indescrivibile. Ma per la gioia riservatagli volle sopportare la croce e accettare la vergogna della sua morte. {GN 308.2}

I discepoli non scorgevano quelle scene future. Si stava avvicinando il tempo in cui avrebbero assistito alla sua agonia. Avrebbero visto, tra le mani dei suoi nemici e inchiodato sulla croce del Calvario, colui che avevano amato e in cui avevano confidato. Presto Gesù li avrebbe lasciati privi del conforto della sua presenza visibile. Sapeva che sarebbero stati oggetto di odio e persecuzione e voleva che fossero pronti ad affrontare la prova. {GN 308.3}

Gesù si trovava con i discepoli in una cittadina vicino a Cesarea di Filippo, oltre i confini della Galilea, in una regione dove prevaleva l’idolatria. I discepoli, in più stretto contatto con il paganesimo, potevano vedere le forme di superstizione diffuse in tutto il mondo e sentire maggiormente la loro responsabilità verso i pagani. Durante il suo soggiorno in questa regione, più che istruire la folla, si dedicò ai suoi discepoli. {GN 308.4}

Gesù voleva parlare loro delle sofferenze future, ma preferì appartarsi in preghiera affinché il loro cuore fosse pronto a ricevere le sue parole. In seguito, prima di rivelare le sue sofferenze future, offrì loro l’occasione di confessare la loro fede per rafforzarli in vista della prova. Fece questa domanda: “Chi dice la gente che sia il Figlio {GN 308.5}

dell’uomo?” Matteo 16:13. {GN 309.1}

I discepoli ammisero con tristezza che Israele non aveva riconosciuto il Messia. Alcuni avevano visto i suoi miracoli e lo avevano proclamato Figlio di Davide. Le folle sfamate a Betsaida volevano proclamarlo re d’Israele. Molti, disposti ad accoglierlo come profeta, non credevano però che fosse il Messia. Gesù chiese allora direttamente ai discepoli: “E voi, chi dite che io sia?” Pietro rispose: “Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Versetti 14, 16. {GN 309.2}

Sin dal principio Pietro aveva creduto in Gesù come Messia. Molti altri, convinti dalla predicazione di Giovanni il battista, avevano accettato l’Agnello di Dio. Ma poi avevano dubitato della missione di Giovanni quando l’avevano visto in prigione e decapitato; e ora si chiedevano se Gesù fosse veramente il Messia lungamente atteso. Molti discepoli che avevano aspettato con impazienza che Gesù salisse sul trono di Davide, lo abbandonarono quando videro che non aveva quell’intenzione. Ma Pietro e gli altri discepoli gli restarono fedeli. L’incostanza di coloro che prima lo acclamavano e poi lo condannavano non influì sulla fede di quell’apostolo di Cristo. Egli dichiarò: “Tu sei Cristo, il Figliuol dell’Iddio vivente”. Non attese che il suo Signore fosse rivestito di onori regali, ma l’accettò nell’umiliazione. {GN 309.3}

Pietro aveva espresso la fede dei dodici. Ma i discepoli erano ancora lontani dal comprendere la missione di Gesù. L’opposizione e le accuse dei sacerdoti e degli anziani non li avevano allontanati da lui, ma li avevano lasciati perplessi. Non vedevano chiaro davanti a sé. A causa degli insegnamenti ricevuti dai rabbini e della forza della tradizione, non riuscivano a distinguere la verità. Ogni tanto preziosi raggi di luce, provenienti da Gesù, risplendevano su loro, ma nonostante ciò brancolavano spesso nel buio. Quel giorno però, di fronte alla suprema prova della loro fede, lo Spirito Santo riposava su di loro con potenza. Per un istante il loro sguardo si volse dalle “cose che si vedono” verso quelle “che non si vedono”. 2 Corinzi 4:18. E ravvisarono, sotto le sembianze umane, la gloria del Figlio di Dio. {GN 309.4}

Gesù rispose a Pietro: “Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli”. Matteo 16:17. {GN 309.5}

La verità confessata da Pietro è il fondamento della fede. In ciò, secondo Gesù, consiste la vita eterna. Ma questa conoscenza non deve essere un motivo di vanto. Essa non fu rivelata a Pietro per una sua sapienza o per bontà personale. L’umanità non potrà mai con i soli suoi mezzi pervenire alla conoscenza delle realtà divine. “Si tratta di cose più alte del cielo; tu che faresti? Di cose più profonde del soggiorno de’ morti; come le conosceresti?” Giobbe 11:8. Solo lo Spirito di adozione ci rende capaci di discernere le cose profonde di Dio, cose “che occhio non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell’uomo, sono quelle che Dio ha preparate per coloro che lo amano. Perché lo spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio”. 1 Corinzi 2:9, 10. “Il segreto del Signore è rivelato a quelli che lo temono”. Salmi 25:14. Il fatto che Pietro abbia riconosciuto la gloria divina di Cristo attesta che era stato ammaestrato da Dio. Cfr. Giovanni 6:45. Gesù gli disse: “Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli”. {GN 309.6}

Gesù continuò: “E anch’io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dellAdes non la potranno vincere”. Matteo 16:18. Il nome Pietro significa pietra, sasso che rotola. Pietro non era dunque la roccia su cui la chiesa è stata fondata. Le porte dell’Ades prevalsero su di lui quando rinnegò il Signore con giuramenti e imprecazioni. Ma la chiesa è stata fondata su colui contro il quale le porte dell’Ades non possono prevalere. {GN 310.1}

Secoli prima che nascesse il Salvatore, Mosè aveva parlato della “Rocca” della salvezza d’Israele (cfr. Deuteronomio 32:4); il salmista aveva cantato alla sua “forte ròcca” (cfr. Salmi 62:7); Isaia aveva scritto: “Perciò così parla il Signore, DIO: Ecco, io ho posto come fondamento in Sion una pietra, una pietra provata, una pietra angolare preziosa, un fondamento solido”. Isaia 28:16. Anche Pietro, scrivendo per ispirazione, applica a Gesù questa profezia: “Se davvero avete gustato che il Signore è buono. Accostandovi a lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale”. 1 Pietro 2:3-5. {GN 310.2}

“Poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù”. 1 Corinzi 3:11. Gesù ha detto: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. In presenza di Dio e di tutto l’universo, Cristo ha fondato la sua chiesa sopra la Rocca vivente. Egli stesso è la Rocca, egli che è stato ferito e straziato per noi. Contro la chiesa costruita su questo fondamento le porte dell’Ades non potranno prevalere. {GN 310.3}

La chiesa sembrava ancora molto debole quando Gesù pronunciò queste parole. Non vi era che un pugno di credenti contro cui si sarebbero scatenate tutte le potenze del male, umane e diaboliche; ma i discepoli non dovevano temere. Fondati sulla Rocca potente non sarebbero stati travolti. {GN 310.4}

Per seimila anni la fede ha costruito su Cristo. Per seimila anni i flutti e le tempeste della collera satanica si sono accaniti contro la Rocca della nostra salvezza, ma essa è rimasta incrollabile. {GN 311.1}

Pietro aveva confessato la verità che è il fondamento della fede della chiesa, per questo Gesù lo onorò come il rappresentante di tutti i credenti. Gli disse: “Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che leggherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli”. Matteo 16:19. {GN 311.2}

Le chiavi del regno dei cieli sono gli insegnamenti stessi di Cristo. Questa espressione comprende tutte le Scritture che ci sono state date da Cristo. Le parole che indicano la via della salvezza hanno il potere di aprire o chiudere il cielo. Coloro che predicano la Parola di Dio sono un profumo di vita per la vita o di morte per la morte. La loro missione produce risultati eterni. {GN 311.3}

Il Salvatore non affidò l’opera della proclamazione del Vangelo solo a Pietro. Egli ripeté più tardi quelle stesse parole a tutta la chiesa. La stessa autorità fu conferita anche ai dodici, come rappresentanti dei credenti. Se Gesù avesse dato a un solo discepolo un’autorità preminente, gli altri non avrebbero discusso a lungo per sapere chi fosse il maggiore, ma si sarebbero sottomessi alla sua volontà e avrebbero rispettato il prescelto. {GN 311.4}

Non avendo nessuna intenzione di porre uno dei discepoli a capo degli altri, Cristo disse loro: “Ma voi non vi fate chiamar Maestro e non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra Guida, il {GN 311.5}

Cristo”. Matteo 23:8, 10. {GN 311.6}

“Il capo di ogni uomo è Cristo”. 1 Corinzi 11:3. Dio, che ha messo ogni cosa sotto i piedi del Salvatore, “lo ha dato per capo supremo alla chiesa, che è il corpo di lui, il compimento di colui che porta a compimento ogni cosa in tutti”. Efesini 1:22, 23. Essa deve ubbidirgli come al suo capo. La chiesa non dipende dall’uomo e non deve essere dominata da lui. Molti pretendono che la posizione di fiducia che occupano nella chiesa dia loro il diritto di definire quello che gli altri devono credere e fare. Dio non approva queste pretese. Gesù dice: “Voi siete tutti fratelli”. Matteo 23:8. Tutti sono esposti alla tentazione e soggetti all’errore. Non dobbiamo lasciarci guidare da nessun essere Anito. La Rocca della fede è la presenza vivente di Cristo nella chiesa. Su di essa possono appoggiarsi tutti; ma coloro che si reputano i più forti diventano i più deboli se la loro capacità non viene da Cristo. “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della carne il suo braccio”. Geremia 17:5. “Egli è la Rocca, l’opera sua è perfetta”. Deuteronomio 32:4. “Beati tutti quelli che si confidano in lui!” Salmi 2:12. {GN 311.7}

Dopo la confessione di Pietro, Gesù proibì ai discepoli di dire a chiunque che era il Messia. Lo proibì per l’irriducibile opposizione degli scribi e dei farisei. Il popolo e gli stessi discepoli avevano una concezione sbagliata del Messia, e se Gesù avesse reso pubblico quel titolo non avrebbero ben compreso il carattere della sua opera. Invece egli si rivelava loro giorno dopo giorno come il Salvatore e voleva che acquistassero un concetto esatto della sua messianicità. {GN 312.1}

I discepoli speravano sempre in Cristo come in un principe terreno. Pensavano che, sebbene per tanto tempo avesse nascosto le sue intenzioni, non sarebbe rimasto nella povertà e nell’ombra e presto avrebbe istituito il suo regno. Non avevano mai pensato che l’odio dei sacerdoti e dei rabbini fosse invincibile, che Gesù sarebbe stato respinto dalla sua nazione, condannato come seduttore e crocifisso come malfattore. Ma l’ora della potenza delle tenebre si stava avvicinando, e Gesù voleva che i discepoli conoscessero la lotta imminente. Il presentimento della prova lo rattristava. {GN 312.2}

Non aveva ancora detto nulla ai discepoli della sua sofferenza e della sua morte. Solo nel colloquio con Nicodemo aveva alluso alla croce. “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna”. Giovanni 3:14, 15. Ma i discepoli non avevano udito quelle parole, e anche se le avessero udite non le avrebbero capite. {GN 312.3}

Tuttavia, dopo aver ascoltato le sue parole, dopo aver contemplato le sue opere, nonostante le sue umili origini e l’opposizione dei sacerdoti e del popolo, potevano associarsi alla testimonianza di Pietro: “Tu sei Cristo, il Figliuol dell’Iddio vivente”. Era giunto il momento di sollevare il velo del futuro. “Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molte cose da parte degli anziani, dai capi sacerdoti e dagli scribi, ed essere ucciso, e risuscitare il terzo giorno”. Matteo 16:21. {GN 312.4}

I discepoli ascoltavano muti per il dolore e lo stupore. Gesù aveva appena accettato la testimonianza di Pietro sulla sua divinità. L’allusione che ora faceva alle sue sofferenze e alla sua morte parve loro incomprensibile. Pietro non poté tacere. Si rivolse al Maestro, come se volesse strapparlo alla sorte da cui era minacciato, ed esclamò: “Signore! Questo non ti avverrà mai”. Versetto 22. {GN 312.5}

Pietro amava il Signore, ma Gesù non lo lodò per aver espresso il suo desiderio di risparmiargli le sofferenze. Le parole di Pietro non erano fatte per incoraggiare e consolare Gesù in vista della grande prova. Esse non erano in armonia né con il piano divino della salvezza del mondo né con l’esempio di abnegazione dato da Gesù, e potevano produrre nei discepoli uno stato d’animo opposto a quello che Gesù voleva. Per queste ragioni il Salvatore pronunciò uno dei più severi rimproveri mai usciti dalle sue labbra: “Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini”. Versetto 23. {GN 312.6}

Satana faceva il possibile per scoraggiare Gesù e distoglierlo dalla sua missione. Pietro con il suo amore cieco collaborava inconsapevolmente con lui. Il principe del male gli aveva ispirato quel pensiero e quel desiderio. Nel deserto Satana aveva offerto a Cristo il dominio del mondo, a condizione che rinunciasse a percorrere il sentiero dell’umiliazione e del sacrificio; ora rivolgeva al discepolo di Cristo la stessa tentazione. Voleva che gli occhi di Pietro contemplassero la gloria terrena, rifiutando la croce che Gesù indicava. Tramite Pietro Satana tentava ancora Gesù. Ma il Salvatore non lo ascoltò. Pensò al suo discepolo, di fronte al quale Satana si era posto per impedire che il suo cuore fosse toccato dal sacrificio di Cristo per lui. Le parole di Gesù non erano tanto dirette a Pietro quanto a colui che le aveva ispirate per separarlo dal suo Redentore. “Vattene via da me, Satana”. Gesù lo invitava a non intromettersi fra lui e il suo discepolo, affinché potesse rivelargli direttamente il mistero del suo amore. {GN 313.1}

Fu un’amara lezione per Pietro che lentamente comprese che la strada di Cristo, sulla terra, passava attraverso la sofferenza e l’umiliazione. L’apostolo era riluttante a partecipare alle sofferenze di Cristo. Ma poi, davanti alla prova, avrebbe apprezzato quei momenti di dialogo. Molto tempo dopo, quando il suo corpo si era già curvato sotto il peso degli anni e delle fatiche, scriverà: “Diletti, non vi stupite della fornace accesa in mezzo a voi per provarvi, quasiché vi avvenisse qualcosa di strano. Anzi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevene, affinché anche alla rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi giubilando”. 1 Pietro 4:12, 13. {GN 313.2}

Gesù disse ai discepoli che dovevano seguire il suo esempio di abnegazione. Chiamando accanto a sé anche la folla, disse: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Matteo 16:24. La croce, un supplizio in uso presso i romani, era uno strumento di morte crudele e infamante. I maggiori criminali erano costretti a portare la croce sino al luogo dell’esecuzione, e resistevano disperatamente quando la si voleva porre sulle loro spalle, finché non venivano domati e lo strumento di tortura posto loro addosso. Ma Gesù invitò i suoi discepoli a prendere spontaneamente la croce e a portarla dietro a lui. Le sue parole, benché comprese solo in parte, significavano che i discepoli avrebbero dovuto affrontare le più profonde umiliazioni e persino la morte per amore di Cristo. Le parole del Salvatore esprimevano una rinuncia totale. Già Gesù l’aveva accettata per loro. Non era rimasto in cielo mentre noi eravamo perduti. Lo aveva lasciato per una vita fatta di sofferenze e insulti, fino alla morte più vergognosa. Egli, che godeva delle inestimabili ricchezze del cielo, era diventato povero affinché noi diventassimo ricchi per la sua povertà. Dobbiamo seguirlo sul sentiero che egli ha già calcato. {GN 313.3}

Crocifiggere il proprio io significa amare gli uomini per cui Cristo è morto. Ogni figlio di Dio deve considerarsi un anello della catena lanciata dal cielo per salvare il mondo; deve sentirsi unito a Cristo nel suo piano di misericordia e andare con lui alla ricerca di coloro che si sono perduti. Il cristiano deve ricordarsi che si è consacrato a Dio e che con il suo carattere deve rivelare Cristo al mondo. L’abnegazione, la simpatia, l’amore di Gesù, devono riprodursi nella vita dei suoi discepoli. {GN 314.1}

“Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà”. Versetto 25. L’egoismo è morte. Nessun organo del corpo può vivere se si isola. Il cuore che cessasse di mandare sangue vitale alla mano e al capo perderebbe subito la sua forza. {GN 314.2}

Come il sangue si diffonde in tutto il corpo, così l’amore di Cristo pervade tutta la chiesa. Noi siamo membra gli uni degli altri, e colui che si rifiuta di servire, muore. “Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l’anima sua? O che darà l’uomo in cambio dell’anima sua?” Versetto 26. {GN 314.3}

Al di là della povertà e dell’umiliazione presente, Gesù mostrò ai discepoli il suo ritorno glorioso, non nello splendore di un trono terreno, ma nella gloria di Dio e delle schiere del cielo. Allora renderà a ciascuno secondo la sua opera. Poi li incoraggiò con questa promessa: “In verità vi dico che alcuni di coloro che sono qui presenti non gusteranno la morte, finché non abbiano visto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno”. Versetto 28. I discepoli non compresero le sue parole. La gloria sembrava loro troppo lontana. I loro occhi guardavano più vicino: una vita nella povertà, nell’umiliazione e nella sofferenza. Avrebbero dovuto rinunciare alla consolante speranza di un regno messianico. Non avrebbero visto il loro Signore salire sul trono di Davide. Ma era possibile che il Messia dovesse vivere come un povero vagabondo, disprezzato, respinto, condannato a morte? Erano tristi perché amavano il Maestro. Dubitavano perché non potevano comprendere come il Figlio di Dio dovesse subire un’umiliazione così atroce. Come poteva rassegnarsi a un destino simile e abbandonarli in tenebre ancora più fitte di quelle che li circondavano prima che egli si rivelasse loro? {GN 314.4}

I discepoli pensavano che nella regione di Cesarea di Filippi, dove si trovavano, il Messia fosse fuori dal potere di Erode e di Caiafa, e che non avesse nulla da temere dall’odio degli ebrei e dalla potenza dei romani. Perché non continuare lì il suo ministero, lontano dai farisei? Perché esporsi alla morte? Se fosse stato ucciso, come avrebbe potuto il suo regno stabilirsi così solidamente da non essere vinto dalle porte dell’Ades? Tutto ciò era per i discepoli un vero mistero. {GN 315.1}

Camminavano lungo le rive del mar di Galilea, dirigendosi verso la città in cui tutte le loro speranze sarebbero cadute. Non osavano protestare con Cristo, ma parlavano a voce bassa del futuro. Si aggrappavano alla speranza che una circostanza imprevista scongiurasse la sventura che sembrava minacciare il loro Signore. Così, durante sei lunghi e tristi giorni, i discepoli restarono in quella condizione di dolore, dubbio, speranza e timore. {GN 315.2}



Capitolo 46: La trafigurazione

Scendeva la sera quando Gesù condusse tre suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, prima attraverso i campi, poi per un sentiero scosceso, sul fianco solitario di una collina. Avevano insegnato e viaggiato tutto il giorno, e quella salita accrebbe la loro stanchezza. Gesù aveva alleviato il corpo e lo spirito di molte persone e aveva trasmesso la vita ai loro corpi indeboliti. Ma, essendo uomo, condivideva con i discepoli la fatica dell’ascesa. {GN 316.1}

La luce del sole indugiava ancora sulla sommità del monte e rischiarava il sentiero con i suoi ultimi raggi. Ben presto esso sparì all’orizzonte, e i viaggiatori solitari si trovarono avvolti nelle tenebre della notte. Il cupo spettacolo si accordava con la tristezza della loro vita, sulla quale oscure nubi si stavano addensando. {GN 316.2}

I discepoli non osavano chiedere a Gesù dove volesse andare e cosa volesse fare. Spesso egli aveva trascorso notti intere in preghiera sui monti. Colui che aveva creato le montagne e le valli si sentiva a suo agio in mezzo alla natura e godeva della sua quiete. I discepoli seguivano Gesù, ma si chiedevano come mai egli li facesse salire per quell’aspra china, quando sia loro sia il Maestro erano stanchi e avevano bisogno di riposo. {GN 316.3}

Infine Gesù disse loro di fermarsi. Si allontanò un po’e pregò Dio supplicandolo con grida e lacrime. Chiese al Padre la forza di sopportare la prova in favore degli uomini. Per affrontare il futuro sentiva il bisogno dell’aiuto dell’Onnipotente. Pregò anche per i discepoli, affinché nell’ora della potenza delle tenebre la loro fede non si affievolisse. La rugiada scendeva copiosa sul suo corpo prostrato, ma egli non vi badava. Le ombre della notte lo avvolgevano, ma egli non se ne curava. Le ore scorrevano lente. I discepoli dapprima pregarono insieme con il loro Maestro, ma poi furono sopraffatti dalla stanchezza e, nonostante i loro tentativi, si addormentarono. {GN 316.4}

Gesù aveva parlato loro delle sue sofferenze e li aveva condotti con sé perché si unissero alle sue preghiere, e in quel momento pregava per loro. Aveva visto la tristezza dei suoi discepoli e desiderava alleviarne il dolore infondendo in loro la certezza che la loro fede non era stata vana. Non tutti i dodici avrebbero potuto comprendere la rivelazione che egli desiderava comunicare loro; per questo ne aveva scelti solo tre perché lo accompagnassero sul monte; gli stessi che sarebbero poi stati testimoni delle sue angosce nel Getsemani. Gesù chiedeva che venisse loro concessa una manifestazione della gloria che egli aveva presso il Padre prima della creazione del mondo. Chiedeva che il suo regno fosse rivelato loro e che i discepoli ricevessero forza da una tale visione. Chiedeva che assistessero alla manifestazione della sua divinità affinché nell’ora dell’angoscia avessero la certezza che egli era il Figlio di Dio e che la sua morte infamante faceva parte del piano della redenzione. {GN 316.5}

La sua preghiera venne esaudita. Mentre era inginocchiato sul suolo pietroso, i cieli si aprirono, le porte d’oro della città di Dio si spalancarono e un santo splendore circondò il monte e illuminò il Salvatore. La sua divinità rifulse attraverso l’umanità e si congiunse con la gloria che scendeva dall’alto. Cristo si sollevò alla maestà divina. L’agonia della sua anima era cessata, il suo viso risplendeva come il sole e le sue vesti erano bianche di luce. {GN 317.1}

I discepoli si svegliarono e contemplarono il torrente di gloria che inondava il monte. Pieni di stupore e paura, ammirarono la figura luminosa del loro Maestro. Quando i loro occhi si furono abituati a quella luce soprannaturale, si accorsero che Gesù non era solo. Accanto a lui c’erano due esseri celesti, in intimo colloquio con lui: Mosè che già aveva parlato con Dio sul Sinai ed Elia che aveva ricevuto il grande privilegio, accordato solo a un altro dei figli di Adamo, di non passare attraverso la morte. {GN 317.2}

Quindici secoli prima, sul monte Pisga, Mosè aveva contemplato la terra promessa. Ma per il peccato commesso a Meriba, non vi era potuto entrare. Non ebbe il privilegio di condurre il popolo nell’eredità dei padri. La sua angosciosa preghiera: “Ti prego, lascia che io passi e veda il bel paese che è oltre il Giordano, la bella regione montuosa e il Libano!” (Deuteronomio 3:25), non fu esaudita. Cadde così la speranza che per quarant’anni aveva illuminato le tenebre del suo pellegrinaggio nel deserto. Una tomba nel deserto concluse quegli anni di sofferenze e preoccupazioni. Ma “colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di quello che domandiamo o pensiamo” (Efesini 3:20) aveva risposto, in un certo modo, alle sue preghiere. Mosè subì la morte, ma non restò nella tomba. Cristo stesso lo richiamò alla vita, Satana aveva chiesto il corpo di Mosè a causa del suo peccato, ma Cristo, il Salvatore, lo fece uscire dal sepolcro. Cfr. Giuda 9. {GN 317.3}

Mosè comparve sul monte della trasfigurazione come un testi mone della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Rappresentava coloro che usciranno dalla tomba al momento della risurrezione dei giusti. Elia, trasportato in cielo senza vedere la morte, simboleggiava quelli che saranno vivi al ritorno di Cristo e che saranno “trasformati, in un momento, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità”. 1 Corinzi 15:51, 52, 54. Gesù era rivestito di luce come lo sarà al suo ritorno, quando “apparirà una seconda volta, senza peccato, a coloro che lo aspettano per la loro salvezza”. Ebrei 9:28. Egli verrà “nella gloria del Padre suo con i santi angeli”. Marco 8:38. Si adempiva così la promessa che Gesù aveva fatta ai suoi discepoli. Il futuro regno di gloria apparve in miniatura sul monte: Cristo il Re, Mosè il rappresentante dei santi risuscitati, Elia quello dei santi trasformati. {GN 317.4}

I discepoli non comprendevano quella scena. Erano felici di vedere che il loro Maestro tanto paziente, dolce e umile, che aveva vagato qua e là come uno straniero, veniva onorato dagli eletti del cielo. Pensavano che Elia fosse venuto per annunciare il regno del Messia e che il regno di Cristo si sarebbe stabilito sulla terra. Erano pronti a scacciare per sempre il ricordo del loro timore e della loro delusione e avrebbero desiderato restare là, dove si manifestava la gloria di Dio. Pietro esclamò: “Maestro, è bene che stiamo qui; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia”. Luca 9:33. I discepoli immaginavano che Mosè ed Elia fossero stati inviati per proteggere il Maestro e per affermarne l’autorità. {GN 318.1}

Ma la croce deve precedere la corona. L’argomento della loro conversazione non era l’incoronazione ma la sua prossima morte a Gerusalemme. Nella debolezza dell’umanità, con il peso del dolore e del peccato, Gesù era rimasto solo in mezzo agli uomini. Mentre le tenebre della prova si addensavano, sentiva una grande solitudine in un mondo che lo ignorava. Persino i suoi discepoli, assorbiti dai loro dubbi, dai loro dolori e dalle loro ambizioni, non avevano compreso il mistero della sua missione. Dopo essere vissuto nell’amore e nella comunione del cielo, si trovava solo, in un mondo che egli stesso aveva creato. Ora il cielo aveva inviato a Gesù i suoi messaggeri: non angeli, ma uomini che avevano affrontato la sofferenza e le afflizioni, capaci di simpatizzare con il Salvatore nella dura prova della sua vita terrena. {GN 318.2}

Mosè ed Elia erano stati collaboratori di Cristo e avevano condiviso il suo desiderio di lavorare per la salvezza degli uomini. Mosè, intercedendo in favore d’Israele, aveva detto: “Nondimeno, perdona

ora il loro peccato! Se no, ti prego, cancellami dal tuo libro che hai scritto!” Esodo 32:32. Elia aveva anche sperimentato la solitudine spirituale quando, durante tre anni e mezzo di carestia, aveva portato il peso dell’odio del suo popolo e ne aveva condiviso le calamità. Era stato il solo a essere dalla parte di Dio sul monte Carmelo. Era fuggito solo nel deserto, in preda all’angoscia e alla disperazione. Questi uomini, in tale circostanza più adatti degli angeli che circondano il trono di Dio, erano venuti per parlare con Gesù delle sue sofferenze, e lo confortavano assicurandogli la simpatia del cielo. L’argomento del loro colloquio era la speranza del mondo e la salvezza di ogni essere umano. {GN 318.3}

I discepoli, vinti dal sonno, udirono solo una parte del colloquio tra Cristo e i messaggeri del cielo. Siccome avevano trascurato di vegliare e pregare, non poterono udire tutto quello che Dio desiderava far conoscere loro sulle sofferenze di Cristo e sulle glorie che sarebbero seguite. Persero così le benedizioni collegate con lo spirito di sacrificio. Quei discepoli erano lenti a credere e ad apprezzare il tesoro di cui il cielo voleva arricchirli. {GN 319.1}

Nonostante ciò, ricevettero una grande rivelazione. Ebbero la certezza che il cielo conosceva il grande peccato che stava commettendo la nazione ebraica nel rifiutare Cristo, e compresero meglio l’opera del Redentore. Videro e udirono cose che superano la comprensione umana. Furono “testimoni oculari della sua maestà” (2 Pietro 1:16) e si convinsero che Gesù era veramente il Messia riconosciuto dall’universo intero, di cui avevano reso testimonianza i patriarchi e i profeti. {GN 319.2}

Mentre erano ancora assorti nella contemplazione, una nuvola avvolse Mosè ed Elia, li coprì con la sua ombra, e una voce dalla nuvola disse: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto”. Matteo 3:17. Dopo aver contemplato la nube di gloria, più luminosa di quella che precedeva le tribù d’Israele nel deserto, dopo avere udito la voce di Dio che parlava con una solennità tale da far tremare la montagna, i discepoli caddero a terra. Restarono prostrati, con il viso nascosto, finché Gesù si avvicinò a loro e li toccò, dissipando i timori con la sua voce tanto familiare: “Alzatevi, e non temete”. Matteo 17:7. Essi allora osarono alzare gli occhi, e videro che la gloria si era dileguata. Mosè ed Elia erano scomparsi. Si ritrovarono sulla montagna, soli con Gesù. {GN 319.3}



Capitolo 47: Una missione da compiere

Gesù e i tre discepoli trascorsero tutta la notte sul monte, all’alba scesero verso la pianura. I discepoli erano assorti nei loro pensieri e tacevano. Persino Pietro non aveva nulla da dire. Sarebbero rimasti volentieri in quel luogo reso sacro dalla luce celeste, dove il Figlio di Dio aveva manifestato la sua gloria; ma bisognava lavorare in favore del popolo, che già cercava Gesù. {GN 320.1}

Una folla numerosa si era raccolta ai piedi del monte. La guidavano gli altri discepoli che non avevano accompagnato il Maestro, ma che sapevano dove si era recato. Il Salvatore raccomandò ai tre di non parlare di ciò che avevano visto. “Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo sia risuscitato dai morti”. Matteo 17:9. I discepoli dovevano meditare sulla rivelazione accordata loro, ma senza divulgarla. Se lo avessero fatto, la folla li avrebbe derisi o provato un’inutile curiosità. Anche gli altri nove apostoli non avrebbero compreso quell’apparizione finché Gesù non fosse risuscitato dai morti. Perfino i tre privilegiati erano così lenti a comprendere che, nonostante la spiegazione che Gesù aveva data sul suo futuro, si chiedevano che cosa significasse risuscitare dai morti. Però non domandarono nulla a Gesù. Le sue parole li avevano riempiti di tristezza, e non chiesero altro su ciò che, secondo loro, non poteva accadere. {GN 320.2}

Appena la folla vide scendere Gesù, gli corse incontro e lo accolse con rispetto e gioia. Ma egli si accorse subito della loro grande perplessità. I discepoli sembravano turbati; era appena successo qualcosa che aveva prodotto in loro una delusione e un’umiliazione profonda. {GN 320.3}

Mentre attendevano ai piedi del monte, un padre aveva condotto là il proprio figlio perché fosse liberato da uno spirito che lo tormentava. Gesù aveva conferito ai dodici il potere di cacciare gli spiriti, quando li aveva inviati a predicare in Galilea. In quell’occasione avevano ubbidito ai discepoli pieni di fede. Anche questa volta essi ordinarono allo spirito, in nome di Cristo, di lasciare la sua vittima, ma questi si beffò di loro dando una dimostrazione ulteriore della propria potenza. I discepoli, incapaci di spiegare la loro sconfitta, sentirono che ciò che era accaduto disonorava loro e il Maestro stesso. {GN 320.4}

Tra la folla si trovavano degli scribi che approfittarono di questo fatto per umiliarli. Si raccolsero intorno ai discepoli e cercarono di dimostrare che sia essi sia il loro Maestro erano degli impostori. I rabbini trionfanti dicevano che si trattava di uno spirito malefico che né i discepoli né Cristo potevano scacciare. La folla appoggiava gli scribi e presto condivise i loro sentimenti di disprezzo e derisione. {GN 321.1}

Ma improvvisamente le accuse cessarono. Gesù con i tre discepoli si stava avvicinando e la folla, abbandonando le sue polemiche, andò loro incontro. La notte trascorsa in comunione con la gloria divina aveva lasciato le sue tracce sui loro volti ed emanavano una luce che suscitava riverenza. Gli scribi si tennero indietro, mentre la folla accoglieva Gesù con gioia. {GN 321.2}

Il Salvatore, come se fosse stato testimone di ciò che era accaduto, si avvicinò al luogo della controversia e fissando gli scribi domandò: “Di che cosa discutete con loro?” Marco 9:16. {GN 321.3}

Le voci, prima tanto baldanzose, ora tacevano. Si fece silenzio. Il padre afflitto, facendosi strada tra la folla, si prostrò ai piedi di Gesù e gli raccontò le sue difficoltà e la sua delusione. {GN 321.4}

“Maestro, ho condotto da te mio figlio che ha uno spirito muto; e, quando si impadronisce di lui, dovunque sia, lo fa cadere per terra... Ho detto ai tuoi discepoli che lo scacciassero, ma non hanno potuto”. Versetti 17, 18. {GN 321.5}

Gesù guardò la folla intimorita, gli scribi sempre pronti a cercar cavilli, i discepoli imbarazzati. Vide l’incredulità di tutti quei cuori ed esclamò con tristezza: “O generazione incredula! Fino a quando sarò io con voi? Fino a quando vi sopporterò?” Poi aggiunse, rivolgendosi al padre angosciato: “Portatelo qui da me”. Versetto 19. {GN 321.6}

Il ragazzo gli venne portato e, appena il Salvatore lo guardò, lo spirito malvagio lo gettò a terra provocandogli terribili convulsioni. Si rotolava schiumando e riempiendo l’aria di grida disumane. {GN 321.7}

Ancora una volta il Principe della vita e quello delle tenebre si incontravano sul campo di battaglia. Cristo compiva la sua missione che consisteva nel “bandir liberazione ai prigionieri... rimettere in libertà gli oppressi” (Luca 4:18); Satana, invece, voleva mantenere il dominio sulla sua vittima. Angeli e spiriti malvagi si avvicinarono, invisibili, per assistere alla lotta. Gesù permise allo spirito malefico di manifestare per un po’ la sua potenza, affinché ai presenti apparisse più chiara la liberazione che stava per compiere. {GN 321.8}

La folla guardava con l’animo sospeso, mentre il padre era an gosciato tra speranza e timore. Gesù chiese: “Da quanto tempo gli avviene questo?” Marco 9:21. Il padre parlò dei lunghi anni di sofferenza, e poi, non potendosi più trattenere, supplicò: “Se ci puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. Versetto 22. Il padre, dicendo “Se fare qualcosa”?, rivelava ancora di dubitare della potenza di Cristo. {GN 321.9}

Gesù rispose: “Se puoi! Ogni cosa è possibile per chi crede”. Versetto 23. La mancanza di potenza non risiede in Cristo. La guarigione del fl-glio dipendeva dalla fede del padre. Scoppiando in lacrime, cosciente della propria debolezza, il padre si affidò alla misericordia di Cristo, e gridò: “Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità”. Versetto 24. {GN 322.1}

Gesù, rivolto verso il ragazzo sofferente, disse: “Spirito muto e sordo, io te lo comando, esci da lui e non rientrarvi più”. Versetto 25. Si udì un grido e si scatenò una lotta violenta. Andandosene, pareva che il demone volesse strappare la vita alla sua vittima. Poi il bambino rimase immobile, apparentemente esanime, mentre la folla mormorava: “È morto”. Versetto 26. Ma Gesù lo prese per mano, lo sollevò e lo presentò a suo padre in piena salute di corpo e di mente. Il padre e il Aglio lodarono allora il loro Liberatore. La folla rimase colpita dalla “grandezza di Dio”, mentre gli scribi sconfitti e confusi se ne andarono imbronciati. {GN 322.2}

“Se puoi fare qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. Molti uomini, oppressi dal peso del peccato, hanno ripetuto questa preghiera. Il Salvatore, traboccante di pietà, risponde a tutti: “Ogni cosa è possibile a chi crede”. La fede ci mette in comunione con il cielo e ci infonde la forza necessaria per resistere alla potenza delle tenebre. In Cristo, Dio ci offre il mezzo per vincere ogni peccato e resistere alle più forti tentazioni. Ma molti sentono di avere poca fede e si tengono lontani da Gesù. Queste anime, vinte dal sentimento della propria indegnità, si abbandonino alla misericordia del loro compassionevole Salvatore. Non guardino a se stesse, ma a lui. Colui che guariva i malati e cacciava i demoni, è oggi lo stesso potente Redentore. La fede scaturisce dalla Parola di Dio. Confidate in questa promessa: “colui che viene a me, non lo caccerò fuori”. Giovanni 6:37. Gettatevi ai suoi piedi gridando: “Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità”. Se farete così, non morirete. {GN 322.3}

In breve tempo i discepoli avevano visto il culmine della gloria e quello dell’umiliazione. Avevano contemplato l’umanità trasfigurata a immagine di Dio e poi degradata a somiglianza di Satana. Quel Gesù che sulla montagna si era intrattenuto con i messaggeri del cielo, e che la voce della gloria aveva proclamato Figlio di Dio, era sceso per assistere a una scena angosciosa e ripugnante: un bam bino dal viso stravolto, che digrignava i denti in preda a una follia furiosa, straziato da convulsioni a cui nessuna forza umana poteva trovare rimedio. Quel potente Redentore, che solo poche ore prima era apparso glorificato davanti ai discepoli stupiti, ora si chinava per rialzare una vittima di Satana e la restituiva sana di corpo e di mente al padre e alla famiglia. {GN 322.4}

Questo miracolo era un’immagine magnifica dell’opera di redenzione: l’essere divino, proveniente dalla gloria del Padre, che si chinava per salvare i perduti. Esso rappresentava anche la missione che dovevano svolgere i discepoli, i quali non devono trascorrere la loro vita unicamente nella contemplazione di Gesù sulla cima della montagna, ma ricordarsi anche dell’opera che li attende in pianura. Uomini prigionieri di Satana aspettano parole di fede e preghiere che li libereranno. {GN 323.1}

I nove discepoli riflettevano con amarezza sul loro insuccesso; quando si trovarono soli con Gesù, gli posero questa domanda: “Perché non l’abbiam potuto cacciar noi?” Gesù rispose: “A causa della vostra poca fede; perché in verità io vi dico: Se avete fede quanto un granello di senape, potrete dire a questo monte: Passa da qui a là, e passerà; e niente vi sarà impossibile”. Matteo 17:19-21. “Questa specie di spiriti non si può far uscire in altro modo che con la preghiera”. Marco 9:29. L’incredulità, che impediva una più profonda comunione con Cristo, e la negligenza nel compito loro affidato, avevano determinato l’insuccesso nella lotta contro le potenze delle tenebre. {GN 323.2}

Le parole di Cristo, a proposito della sua morte, li avevano fatti precipitare nella tristezza e nel dubbio; poi la scelta dei tre discepoli che dovevano accompagnare Gesù sul monte aveva suscitato l’invidia degli altri nove. Invece di rafforzare la loro fede mediante la preghiera e la meditazione delle parole di Cristo, essi si erano soffermati sui motivi di scoraggiamento e sulle afflizioni personali. Con questo stato d’animo avevano intrapreso la lotta contro Satana. {GN 323.3}

Se volevano riuscire in quella lotta, dovevano operare con un altro spirito. La loro fede doveva rafforzarsi con preghiere ferventi, con digiuni e umiliazione del cuore. Dovevano vuotarsi di sé e riempirsi dello spirito e della potenza di Dio. Soltanto la preghiera fervente e perseverante, rivolta a Dio con fede, con quella fede che rivela la piena dipendenza da Dio e la completa consacrazione a lui, può assicurare all’uomo l’aiuto dello Spirito Santo nella battaglia contro i principati e le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male. {GN 323.4}

“Se avete fede quanto un granel di senape, potrete dire a questo monte: Passa di qua là, e passerà”. Benché così piccolo, il grano di senape contiene lo stesso misterioso principio vitale che fa crescere gli alberi più alti. Gettato nel terreno, il piccolo seme si impadronisce di tutti gli elementi che Dio ha previsto per il suo nutrimento e rapidamente si sviluppa. Se aveste una fede grande quanto questo granello, accettereste la Parola di Dio e vi servireste di tutti i mezzi che Dio vi offre. Così la fede fortificata vi consentirebbe di ricevere l’aiuto della potenza divina. Gli ostacoli che Satana pone sul vostro sentiero e che sembrano insormontabili come montagne, spariranno di fronte alla vostra fede: “Niente vi sarà impossibile”. {GN 323.5}



Capitolo 48: Chi è il più grande?

Tornando a Capernaum, Gesù non passò nei luoghi dove aveva insegnato al popolo, ma cercò con i suoi discepoli, senza clamore, una casa per risiedervi temporaneamente. In questo periodo del suo soggiorno in Galilea, voleva istruire i discepoli piuttosto che lavorare per la folla. {GN 325.1}

Nel viaggio attraverso la Galilea, Gesù aveva cercato ancora di preparare l’animo dei discepoli agli avvenimenti che stavano per accadere. Disse loro che sarebbe salito a Gerusalemme dove l’avrebbero condannato a morte e poi sarebbe risuscitato. Preannunciò loro l’evento straordinario e solenne della sua consegna nelle mani dei nemici. Neppure in quel momento i discepoli compresero le sue parole. Sebbene l’ombra di un gran dolore si proiettasse su di loro, uno spirito di rivalità sorse nei loro cuori, ed essi discutevano fra loro per stabilire chi sarebbe stato il più importante nel regno. {GN 325.2}

Non volevano che Gesù sapesse di questo contrasto; diversamente dal solito, non camminavano al suo fianco, ma lo seguivano. Quando entrarono in Carpernaum, egli li precedette. Gesù, conoscendo i loro pensieri, volle consigliarli e istruirli, e attese un momento tranquillo in cui i loro cuori sarebbero stati disposti a ricevere le sue parole. {GN 325.3}

Appena entrati nella città, l’esattore delle imposte del tempio si rivolse a Pietro con questa domanda: “Il vostro maestro non paga e didramme?” Matteo 17:24. Non si trattava di un’imposta civile ma religiosa, che ogni ebreo doveva pagare una volta l’anno per il mantenimento del tempio. Il rifiuto di pagarla sarebbe stato considerato come un atto di slealtà verso il tempio, una gravissima colpa agli occhi dei rabbini. L’atteggiamento del Salvatore verso le leggi dei rabbini e il suo esplicito biasimo nei confronti dei difensori della tradizione avrebbero offerto un pretesto per accusarlo di voler abolire il servizio del tempio. I suoi nemici avevano individuato un’occasione per screditarlo e trovarono così un pronto alleato nell’esattore delle imposte. {GN 325.4}

Pietro scorse nella domanda dell’esattore un’insinuazione contro la lealtà di Cristo verso il tempio. Desideroso di difendere l’onore del Maestro, rispose subito, senza consultarlo, che Gesù pagava l’imposta. Ma Pietro aveva capito solo in parte l’intenzione dell’esattore. Alcune categorie di persone erano esentate dal pagamento di quell’imposta. Al tempo di Mosè, i leviti furono assegnati al servizio del santuario e non ricevettero nessuna eredità tra il popolo. Il Signore disse: “Perciò Levi non ha parte né eredità con i suoi fratelli; il Signore è la sua eredità”. Deuteronomio 10:9. {GN 325.5}

Anche ai tempi di Gesù i sacerdoti e i leviti erano considerati consacrati al tempio, e non si chiedeva loro alcun contributo per il suo mantenimento. Anche i profeti non erano tenuti a questo pagamento. Chiedendo a Gesù questa imposta, i rabbini lo respingevano come profeta e come maestro, e lo trattavano come una persona comune. Un rifiuto da parte sua di pagare il tributo avrebbe significato slealtà verso il tempio; mentre il pagamento sarebbe stato la prova che egli non era un profeta. {GN 326.1}

Solo poco prima Pietro aveva riconosciuto in Gesù il Figlio di Dio; ma in quel momento si lasciava sfuggire l’opportunità di far conoscere il carattere del suo Maestro. Dicendo all’esattore che Gesù pagava l’imposta, aveva virtualmente sanzionato la falsa idea di Gesù a cui i sacerdoti e i capi cercavano di fare riferimento. {GN 326.2}

Quando Pietro entrò in casa, il Salvatore, senza alludere a ciò che era successo, chiese: “Che te ne pare, Simone? i re della terra da chi prendono i tributi o il censo? dai loro figliuoli o dagli stranieri?” Pietro rispose: “Dagli stranieri”. Gesù gli disse: “Ifigli, dunque, ne sono esenti”. Matteo 17:25, 26. I figli del re sono esenti dal pagamento delle imposte dovute dal popolo per il mantenimento dei re. In questo modo Israele, che si professava popolo di Dio, doveva mantenere il suo servizio; mentre Gesù, il Figlio di Dio, non era soggetto a questo obbligo. Se i sacerdoti e i leviti erano esentati dal pagamento per il loro rapporto con il tempio, quanto più doveva esserlo colui per il quale il tempio era la casa del Padre. {GN 326.3}

Se Gesù avesse pagato l’imposta senza protestare, avrebbe riconosciuto la validità di quella pretesa e avrebbe rinnegato la sua divinità. Ma, sebbene ritenesse opportuno accogliere quella richiesta, respinse la motivazione sulla quale si basava. Provvedendo al pagamento dell’imposta, dette una prova della sua divinità. Manifestò di essere una stessa cosa con Dio, e quindi di non essere obbligato al pagamento come un suddito del regno. {GN 326.4}

“Ma, per non scandalizzarli” disse a Pietro “va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che verrà su. Aprigli la bocca: troverai uno statère. Prendilo, e dàllo loro per me e per te”. Versetto 27. {GN 326.5}

Sebbene la sua divinità avesse rivestito l’umanità, questo miracolo manifestò la sua gloria. Egli era colui che attraverso Davide aveva detto: “Sono mie infatti tutte le bestie della foresta, mio è il bestiame che sta sui monti a migliaia. Conosco tutti gli uccelli dei monti, e quel che si muove per la campagna è a mia disposizione. Se avessi fame, non lo direi a te, perché mio è il mondo, con tutto quel che contiene”. Salmi 50:10-12. {GN 327.1}

Gesù affermò chiaramente che non aveva nessun obbligo di pagare l’imposta, tuttavia non entrò in polemica con i giudei su questo punto. Essi avrebbero ritorto contro di lui le sue parole. Per evitare di offenderli, fece ciò che non era tenuto a fare. Era questa una lezione di grande valore per i discepoli. Per la loro fede sarebbero avvenuti notevoli mutamenti nelle loro relazioni con i servizi del tempio, ma Cristo insegnò loro di non mettersi, senza necessità, in contrasto con l’ordine stabilito. Nei limiti del possibile dovevano evitare di suscitare false interpretazioni della loro fede. I cristiani non devono sacrificare neppure un punto fondamentale della verità, ma nella misura del possibile dovrebbero evitare le polemiche. {GN 327.2}

Mentre Pietro era andato al mare, Gesù chiamò intorno a sé gli altri discepoli e chiese loro: “Di che discorrevate per strada?” Marco 9:33. La presenza di Gesù e la sua domanda posero il problema in una luce diversa da come era apparso mentre discutevano lungo la strada. Per un senso di vergogna e di colpa rimasero silenziosi. Gesù aveva detto che doveva morire per loro e le loro ambizioni egoistiche si ponevano in contrasto con il suo amore disinteressato. {GN 327.3}

Quando Gesù disse che sarebbe stato ucciso e poi sarebbe risorto, voleva che i discepoli si esprimessero su questa grande prova di fede. Se fossero stati pronti a comprendere ciò che egli voleva che conoscessero, avrebbero potuto evitare la disperazione e un’amara angoscia. Le sue parole sarebbero state loro di conforto nell’ora del lutto e della delusione. Sebbene Gesù avesse parlato con molta chiarezza di ciò che lo aspettava, il riferimento a un suo prossimo viaggio a Gerusalemme accese di nuovo le loro speranze sul ristabilimento del regno. Perciò avevano discusso su chi avrebbe occupato le cariche più importanti. Al ritorno di Pietro dal mare, i discepoli lo informarono sulla domanda del Salvatore e così qualcuno osò chiedere a Gesù: “Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?” Matteo 18:1. {GN 327.4}

Il Salvatore raccolse i discepoli intorno a sé, e disse loro: “Se qualcuno vuol essere il primo, sarà l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Marco 9:35. C’era in queste parole una solennità e una forza che i discepoli erano ben lontani dal comprendere. Non potevano vedere quello che Cristo vedeva, e non compresero la natura del regno di Cristo. Quell’ignoranza fu la causa apparente della loro contesa. Ma la causa reale era più profonda. Cristo poteva calmare momentaneamente le loro dispute spiegando la natura del suo regno, ma la causa profonda sarebbe rimasta. Il problema del primo posto avrebbe fatto sorgere delle questioni anche dopo aver ricevuto una completa conoscenza. Quello spirito sarebbe stato disastroso per la chiesa dopo l’ascensione di Cristo. La lotta per il posto più importante era la manifestazione di quello stesso spirito che stava all’origine della grande lotta nei cieli, a causa della quale Cristo discese dal cielo per morire. Lassù, quello spirito sorse in Lucifero, “astro mattutino”, superiore nella gloria a tutti gli angeli che circondavano il trono di Dio, e unito da stretti legami con il Figlio di Dio. Lucifero aveva detto: “Sarò simile all’Altissimo”. Isaia 14:12, 14. {GN 327.5}

Il desiderio dell’affermazione di sé aveva provocato una lotta in cielo ed era stato la causa dell’allontanamento di tanti angeli di Dio. Se Lucifero avesse realmente desiderato essere simile all’Altissimo, non avrebbe mai abbandonato il suo posto in cielo. Lo spirito dell’Altissimo si manifesta nel servizio disinteressato. Lucifero desiderava la potenza di Dio, non il suo carattere. Cercò per sé il posto più importante, e ogni essere animato dal suo stesso spirito agisce nello stesso modo. Diventano inevitabili l’odio, la discordia e la guerra. Il potere viene considerato come il premio più ambito. Il regno di Satana è il regno della prepotenza; ciascuno considera l’altro come un ostacolo alla propria affermazione o uno strumento del quale servirsi per accedere a posizioni più elevate. {GN 328.1}

Mentre Lucifero considerava di gran valore poter diventare uguale a Dio, Cristo, “non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte della croce”. Filippesi 2:6-8. Ora la croce era proprio davanti a lui; ma i suoi discepoli erano così pieni di egoismo — il principio che è alla base del regno di Satana — che non potevano né simpatizzare con il loro Signore né comprenderlo quando parlava della sua umiliazione per loro. {GN 328.2}

Con tenerezza, ma con chiarezza, Gesù cercò di correggere la loro concezione errata. Indicò il principio più importante del regno dei cieli, e mostrò in che cosa consiste la vera grandezza secondo l’ideale divino. Coloro che sono animati dall’orgoglio e dall’amore del primato pensano a se stessi e alla ricompensa che dovranno ri cevere piuttosto che ringraziare Dio per i doni ricevuti. Essi non troveranno posto nel regno dei cieli, perché hanno militato nelle file di Satana. {GN 328.3}

L’umiltà precede la gloria. Per svolgere un compito importante davanti agli uomini, Dio chiama dei collaboratori che, come Giovanni il battista, scelgano un posto umile davanti a lui. Il discepolo il cui spirito è simile a quello dei fanciulli, è il più efficiente nel servizio per il Signore. Gli angeli collaborano con chi cerca di salvare gli uomini anziché esaltare se stesso. Colui che sente più profondamente il bisogno dell’aiuto divino, pregherà per ottenerlo e lo Spirito Santo gli concederà la stessa visione di Gesù, capace di rafforzare ed elevare l’animo. Nella comunione con Cristo, opererà per coloro che periscono nei loro peccati. Se riceverà l’unzione divina, avrà successo là dove molti uomini intelligenti e colti non sono riusciti. Ma quando gli uomini si esaltano, sentendosi indispensabili per il successo del piano di Dio, il Signore li mette da parte: egli non dipende da loro. L’opera non si arresta per la loro esclusione ma, al contrario, progredisce con maggiore potenza. {GN 329.1}

Non era sufficiente che i discepoli di Gesù fossero istruiti circa la natura del suo regno. Avevano bisogno di un cambiamento del cuore per sentirsi in armonia con quei princìpi. Gesù chiamò vicino a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e dopo averlo abbracciato, disse: “In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. Matteo 18:3. Le doti che il cielo apprezza sono la semplicità, il disinteresse e l’amore fiducioso dei fanciulli: queste sono le caratteristiche della vera grandezza. {GN 329.2}

Gesù spiegò ancora ai discepoli che il suo regno non consiste in ostentazione e fasto. Ai piedi di Gesù tutte queste distinzioni vengono dimenticate. Il ricco e il povero, il dotto e l’ignorante si incontrano senza nessun pregiudizio di casta o di preminenza terrena. Tutti si incontrano come uomini riscattati dal sacrificio di Cristo, ugualmente dipendenti da colui che li ha acquistati a Dio. {GN 329.3}

L’uomo sincero e pentito è prezioso agli occhi di Dio. Egli pone il suo suggello sugli uomini, non per la loro dignità, non per la loro ricchezza, non per la loro sapienza, ma per la loro unione con Cristo. Il Signore della gloria si compiace di coloro che sono mansueti e umili di cuore. “Tu m’hai anche dato lo scudo della tua salvezza, la tua destra mi ha sostenuto, la tua bontà mi ha reso grande”. Salmi 18:35. {GN 329.4}

“E chiunque riceve un bambino come questo nel nome mio” dice Gesù “riceve me”. Matteo 18:5. “Così parla il Signore: Il cielo è il mio trono, e la terra è lo sgabello dei miei piedi. Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito afflitto, e trema alla mia parola”. Isaia 66:1, 2. Le parole del Salvatore suscitarono nei discepoli un sentimento di sfiducia in sé. Sebbene esse non avessero colpito nessuno direttamente, Giovanni sottopose a Gesù un’azione che avevano compiuto, per sapere se avevano agito bene. Con lo spirito di un bambino, gli disse: “Maestro, noi abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome, e non ci segue; e glielo abbiamo vietato perché non ci seguiva”. Marco 9:38. {GN 329.5}

Giacomo e Giovanni avevano pensato di difendere l’onore di Dio ordinando a quest’uomo di non cacciare più i demoni. Ma sospettavano di essere stati gelosi dei loro privilegi. Riconobbero il loro errore e accettarono il rimprovero di Gesù. “Non glielo vietate, perché non cè nessuno che faccia qualche opera potente nel mio nome, e subito dopo possa parlar male di me”. Versetto 39. Nessuno che manifestasse in qualche modo simpatia verso Cristo doveva essere ostacolato. Molti erano stati toccati dal carattere e dall’opera di Gesù; i loro cuori si erano aperti a lui in fede. I discepoli, che non potevano leggere i veri moventi del cuore, dovevano stare attenti a non scoraggiarli. Quando Gesù li avrebbe lasciati e l’opera sarebbe stata affidata a loro, avrebbero dovuto manifestare la stessa simpatia che avevano visto nel Maestro, senza uno spirito gretto ed esclusivo. {GN 330.1}

Noi non possiamo proibire a nessuno di lavorare per il Signore solo perché non si conforma in tutto alle nostre idee e alle nostre opinioni. Cristo è il grande Maestro e il nostro compito non consiste nel giudicare o comandare, ma nel sedersi con umiltà ai piedi di Gesù e imparare da lui. Ogni spirito rigenerato dal Signore è un mezzo attraverso il quale Cristo rivela il suo amore e il suo perdono. Dovremmo stare attenti a non scoraggiare nessuno che trasmette la luce di Dio, per non offuscare quei raggi di luce che dovrebbero risplendere nel mondo. {GN 330.2}

La severità o la freddezza di un discepolo verso qualcuno che Cristo sta attirando a sé — un atto come quello di Giovanni che aveva impedito di operare miracoli nel nome di Cristo — può spingere un’anima nel sentiero del nemico e causarne la perdita. Gesù dice che “meglio sarebbe per lui che gli fosse messa al collo una macina da mulino, e fosse gettato in mare”. E aggiunge: “Se la tua mano ti fa cadere in peccato, tagliala; meglio è per te entrare monco nella vita, che avere due mani e andartene nella geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti fa cadere in peccato, taglialo; meglio è per te entrare zoppo nella vita, che avere due piedi ed essere gettato nella geenna”. Versetti 43-45. {GN 330.3}

Perché questo linguaggio così deciso? “Perché il Figlio dell’uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto”. Luca 19:10. I discepoli dimostreranno per gli uomini un minor riguardo di quanto ne ha dimostrato il re dei cieli? Ogni anima è costata un prezzo infinito, ed è un terribile peccato allontanarla da Cristo e rendere inutile l’amore, l’umiliazione e l’agonia del Salvatore. {GN 331.1}

“Guai al mondo a causa degli scandali! perché, è necessario che avvengano degli scandali; ma guai all’uomo per cui lo scandalo avviene!” Matteo 18:7. Il mondo, guidato da Satana, si opporrà certamente ai discepoli di Cristo e cercherà di distruggerne la fede; ma guai a colui che, pur professando il nome di Cristo, compie l’opera di Satana. Il nostro Signore è disonorato da coloro che pretendono di servirlo ma che travisano il suo carattere. Agendo così ingannano gli uomini e li inducono a sbagliare. {GN 331.2}

A nessun costo deve essere compiuta un’azione che possa portare al peccato e disonorare Cristo. Ciò che disonora Dio non può assicurare benefici. Le benedizioni del cielo non possono essere accordate a nessun uomo che viola gli eterni princìpi della legge. Un solo peccato accarezzato è sufficiente a degradare il carattere e sviare altre persone. Se per salvare il corpo dalla morte vale la pena mozzare una mano o un piede e anche togliere un occhio, a maggior ragione varrà la pena estirpare il peccato che provoca la morte spirituale! {GN 331.3}

Durante il servizio rituale si aggiungeva del sale a ogni sacrificio, e significava, come l’offerta dell’incenso, che solo la giustizia di Cristo può rendere accettevole quell’offerta a Dio. Riferendosi a questa consuetudine, Gesù disse: “E ogni sacrificio deve esser salato con sale”. Marco 9:49 (Diodati). Aggiunse: “Abbiate del sale in voi stessi, e state in pace gli uni con gli altri”. Versetto 51 (Diodati). Tutti coloro che presentano se stessi “in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio” (Romani 12:1) ricevono il sale che preserva: la giustizia del nostro Salvatore. Essi allora diventano “il sale della terra” e frenano il male fra gli uomini, come il sale preserva dalla corruzione. Cfr. Matteo 5:13. Ma se il sale ha perso il suo sapore, se vi è soltanto una professione di pietà senza l’amore di Cristo, allora manca il potere del bene. Quella vita non può esercitare sul mondo un influsso di preservazione. Gesù dice ai discepoli che la loro forza e la loro efficienza nel costruire il suo regno dipendono dal dono dello Spirito. Devono essere partecipi della sua grazia per poter diventare un profumo di vita per la vita. Allora cesseranno le rivalità, il desiderio di affermare se stessi, la ricerca dei primi posti. Saranno animati da quell’amore che non ricerca il proprio bene, ma il benessere dell’altro. {GN 331.4}

Il peccatore pentito rivolga il suo sguardo su “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” (Giovanni 1:29); in quella contemplazione sarà trasformato. Il suo timore si muterà in gioia, il suo dubbio in speranza. Nascerà in lui la riconoscenza, il cuore di pietra si spezzerà e un flusso di amore inonderà l’animo. Cristo diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna. Quando contempliamo Gesù, l’uomo che ha sperimentato dolore e sofferenza mentre opera per la salvezza dei perduti, disprezzato, schernito, deriso, pronto ad andare da una città a un’altra, Ano al compimento della sua missione; quando noi lo contempliamo nel Getsemani mentre suda gocce di sangue, sulla croce nell’agonia della morte; quando lo contempliamo così, allora il nostro io non cerca più la propria esaltazione. Guardando Gesù ci vergogniamo della nostra freddezza, del nostro torpore, del nostro egoismo. Siamo lieti di essere qualsiasi cosa o anche niente, per adempiere con tutto il cuore il servizio del Maestro. Ci rallegriamo di portare la croce dietro a Gesù e sopportare prove, offese e persecuzioni per il suo amore. {GN 332.1}

“Or noi che siamo forti, dobbiamo sopportare le debolezze dei deboli e non compiacere a noi stessi”. Romani 15:1. Nessun uomo che crede in Cristo, per quanto la sua fede sia debole e i suoi passi incerti come quelli di un bambino, deve essere disprezzato. Noi siamo debitori verso i meno privilegiati per quello che abbiamo in più rispetto agli altri: nella cultura, nell’educazione, nel carattere, nel servizio cristiano, nell’esperienza religiosa e, per quanto ci è possibile, dobbiamo metterlo al loro servizio. Se siamo forti, dobbiamo sollevare le mani dei deboli. Gli angeli della gloria che contemplano continuamente il nostro Padre compiono con gioia il loro servizio in favore dei più deboli. Essi si occupano in particolare di coloro che sono incerti e hanno grossi difetti di carattere. Gli angeli sono sempre presenti dove c’è più bisogno, vicino a coloro che combattono le più dure battaglie e vivono nell’ambiente più difficile. Il vero discepolo di Cristo collaborerà a quell’opera. {GN 332.2}

Se uno di questi deboli si lascia sopraffare dal male e commette un errore nei vostri confronti, dovrete aiutarlo a rialzarsi. Non aspettate che sia lui a fare il primo passo per la riconciliazione. Gesù dice: “Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e una di queste si smarrisce, non lascerà egli le novantanove sui monti per andare in cerca della smarrita? E se gli riesce di ritrovarla, in verità vi dico che egli si rallegra più per questa che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro che è nei cieli vuole che neppure uno di questi piccoli perisca”. Matteo 18:12-14. {GN 332.3}

Con dolcezza, badando a voi stessi affinché non siate tentati, andate da chi ha sbagliato e parlategli a tu per tu, senza che altri siano presenti. Cfr. Galati 6:1. Non svergognate chi ha peccato raccontando ad altri le sue colpe; non arrecate disonore a Cristo rendendo pubblico il peccato e l’errore di qualcuno che porta il suo nome. Spesso la verità deve essere detta al peccatore con chiarezza affinché egli sia indotto a riconoscere il proprio errore e se ne possa emendare. Ma voi non dovete né giudicare né condannare. Che tutti i vostri tentativi mirino al recupero, senza soddisfazioni per il proprio orgoglio. Quando si trattano le ferite dell’anima si deve possedere molto tatto e grande sensibilità. In questo caso può giovare soltanto l’amore che sgorga da colui che ha sofferto sul Calvario. Il fratello tratti il fratello con tenerezza, ricordando che se avrà successo “salverà l’anima del peccatore dalla morte e coprirà una gran quantità di peccati”. Giacomo 5:20. {GN 333.1}

Ma anche questo tentativo potrebbe risultare infruttuoso. Allora, dice Gesù, “prendi con te ancora una o due persone”. Matteo 18:16. Forse l’accordo di alcuni potrà riuscire dove uno solo non è riuscito. Non essendo implicati nella questione, essi agiranno con maggiore imparzialità, e il loro consiglio sarà più facilmente ascoltato da colui che ha sbagliato. {GN 333.2}

Se non vorrà ascoltare neppure quelli, allora, e non prima di allora, la questione dovrà essere presentata davanti all’assemblea dei credenti. I membri di chiesa, come rappresentanti di Cristo, si uniscano in preghiera e agiscano con amore affinché colui che ha sbagliato si ravveda. Lo Spirito Santo parlerà attraverso i suoi servitori e opererà in quell’anima affinché ritorni a Dio. L’apostolo Paolo, ispirato dal Signore, scrive: “Come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio”. 2 Corinzi 5:20. Colui che respinge queste azioni rompe il legame che lo unisce a Cristo e si separa dalla comunione della chiesa. Per questo Gesù dice: “Sia per te come il pagano e il pubblicano”. Matteo 18:17. Però che non lo si consideri come definitivamente escluso dalla misericordia di Dio. Quelli che sono stati suoi fratelli non lo disprezzino e non lo trascurino, ma lo trattino con tenerezza e compassione, come una pecora perduta che Cristo cerca ancora di portare all’ovile. {GN 333.3}

Le istruzioni di Gesù sul modo di trattare i peccatori riprendono in modo più specifico gli insegnamenti dati a Israele attraverso Mosè. “Non odierai tuo fratello nel tuo cuore; rimprovera pure il tuo prossimo, ma non ti caricare di un peccato a causa sua”. Levitico 19:17. Questo può accadere se uno non adempie il dovere indicato da Cristo. Chi non cerca di sollevare coloro che sono caduti nell’errore e nel pec cato, diventa partecipe del peccato. Siamo responsabili del male che avremmo potuto impedire, come se lo avessimo compiuto noi stessi. {GN 333.4}

Ma dobbiamo parlare del peccato solo con colui che lo ha commesso. Non dobbiamo fare di questo errore un argomento di discussione o di critica. Neppure dopo che il caso è stato presentato alla chiesa. Conoscere gli errori dei cristiani è per i non credenti solo un motivo di intoppo, e soffermandoci su questi argomenti possiamo riceverne solo un danno. Noi siamo trasformati secondo l’immagine di quello che contempliamo. Quando cerchiamo di correggere gli errori di un fratello, lo Spirito di Cristo ci spinge a difenderlo il più possibile dalle critiche dei suoi fratelli e maggiormente dalla censura del mondo incredulo. Noi stessi sbagliamo e abbiamo bisogno della pietà e del perdono di Cristo, ed egli ci ordina di trattare gli altri nello stesso modo in cui vogliamo essere trattati da lui. {GN 334.1}

“Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo”. Matteo 18:18. Voi siete gli ambasciatori del cielo, e il risultato della vostra opera si proietta nell’eternità. {GN 334.2}

Ma noi non dobbiamo portare da soli questa grande responsabilità. Cristo è presente ovunque la sua parola è seguita sinceramente. Non solo nella chiesa, ma ovunque i suoi discepoli, per quanto pochi, si incontrano nel suo nome. Egli dichiara: “Se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli”. Versetto 19. {GN 334.3}

Gesù dice “Padre mio che è nei cieli” per ricordare ai suoi discepoli che mentre con la sua umanità è legato ad essi, partecipa alle loro prove e simpatizza con le loro sofferenze, con la sua divinità è legato al trono dell’Infinito. Una promessa meravigliosa! Gli angeli si uniscono agli uomini con la loro simpatia e la loro opera in favore della salvezza dei perduti. Tutta la potenza del cielo collabora con l’uomo per condurre altri a Cristo. {GN 334.4}



Capitolo 49: Alla festa delle capanne

Gli israeliti dovevano recarsi tre volte l’anno a Gerusalemme per le celebrazioni religiose. Il Signore, dalla colonna di nuvole, aveva dato istruzioni per questi incontri. L’osservanza delle feste fu sospesa durante la cattività; ma quando gli israeliti tornarono in patria, ne venne ripresa la celebrazione. Il Signore voleva che il popolo in queste occasioni si ricordasse di lui. Ma sacerdoti e anziani, salvo poche eccezioni, avevano perso di vista questo obiettivo. Proprio colui che aveva ordinato queste feste e ne aveva stabilito il significato, osservava fino a che punto fossero degenerate. {GN 335.1}

La festa delle Capanne era l’ultima dell’anno. Dio voleva che in quell’occasione gli israeliti meditassero sulla sua bontà e sulla sua misericordia. Tutto il popolo, durante l’anno trascorso, era stato guidato dal Signore e aveva ricevuto la sua benedizione. Giorno e notte egli aveva vegliato. Il sole e la pioggia avevano reso fertile la terra; si era mietuto il grano nelle valli e nelle pianure della Palestina; si erano raccolte le olive, e l’olio prezioso riempiva i vasi; le palme avevano offerto il loro frutto e i grappoli purpurei dell’uva erano già passati sotto il torchio. {GN 335.2}

Quella festa durava sette giorni e gli abitanti della Palestina, oltre ai numerosi israeliti dispersi nella diaspora, lasciavano le loro case vicine o lontane e salivano a Gerusalemme manifestando la loro esultanza. Giovani e vecchi, ricchi e poveri, portavano doni come ringraziamento al Signore che aveva coronato l’anno con le sue benedizioni e aveva concesso loro l’abbondanza. Si raccoglievano nei boschi rami e piante per rallegrare l’ambiente ed esprimere la gioia di tutti; la città assumeva l’aspetto di un magnifico giardino. {GN 335.3}

Quella festa non manifestava soltanto la riconoscenza per il raccolto, ma ricordava anche le attenzioni del Signore per Israele nel deserto. Gli israeliti riproducevano il loro soggiorno sotto le tende, dimorando in capanne fatte di rami verdi, che venivano innalzate nelle strade, nei cortili del tempio e sulle terrazze delle case. Anche le colline e le valli intorno a Gerusalemme si coprivano di quelle abitazioni di foglie e formicolavano di gente. Si celebrava la festa con

canti sacri e ringraziamenti. Poco prima che iniziasse, c’era il giorno delle espiazioni in cui il popolo, dopo la confessione dei peccati, si riconciliava con Dio. Così la gioia era completa. “Celebrate il Signore, perch’egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno”. Salmi 106:1. Si cantavano queste parole in coro con l’accompagnamento di ogni genere di strumenti i cui suoni si mescolavano con gli osanna della folla. Il tempio, dove si svolgevano i riti di espiazione, era il centro dell’esultanza generale. Lungo i due lati della scalinata di marmo bianco dell’edificio sacro, il coro dei leviti dirigeva il canto. Gli adoratori, agitando rami di palma e mirto, ripetevano il ritornello, mentre la melodia riecheggiava in altre voci vicine e lontane sino a far risuonare come un concerto di lodi tutte le colline circostanti. {GN 336.4}

Di notte il tempio e il cortile venivano illuminati. La musica, i rami di palma agitati, gli osanna festosi, la grande folla, l’illuminazione delle lampade, le file di sacerdoti, la solennità delle cerimonie: tutto questo produceva una profonda impressione sui partecipanti. Ma la più suggestiva e la più lieta cerimonia della festa era quella che commemorava il soggiorno nel deserto. {GN 336.1}

Alle prime luci del giorno s’udiva il suono squillante e prolungato delle trombe d’argento dei sacerdoti; ad esso rispondevano altre trombe il cui suono mescolato a grida di gioia riecheggiava per le colline e le vallate. Era il primo saluto al giorno festivo. Il sacerdote riempiva una brocca con l’acqua del torrente Cedron, la sollevava al suono delle trombe e saliva gli spaziosi gradini del tempio, con passo lento e misurato, a suon di musica, cantando: “I nostri passi si sono fermati alle tue porte, o Gerusalemme”. Salmi 122:2. {GN 336.2}

Poggiava poi la brocca sull’altare, al centro del cortile dei sacerdoti. L’acqua della brocca veniva versata in un catino d’argento mentre in un altro si versava il vino di un’altra brocca. Vino e acqua, poi, scorrevano attraverso un condotto, nel torrente Cedron, per finire nel mar Morto. L’acqua consacrata che veniva versata ricordava come per ordine divino una sorgente era sgorgata da una roccia per dissetare i figli d’Israele. Poi il popolo prorompeva in canti di gioia: “Il Signore è la mia forza e il mio cantico... Voi attingerete con gioia l’acqua dalle fonti della salvezza”. Isaia 12:2, 3. {GN 336.3}

I figli di Giuseppe, mentre si preparavano per recarsi alla festa delle Capanne, notarono con sorpresa che Gesù non manifestava l’intenzione di andarvi. Lo osservavano attentamente e sapevano che non aveva più partecipato ad assemblee nazionali sin dal tempo della guarigione di Betesda. Gesù infatti, per evitare inutili contrasti con i capi di Gerusalemme, aveva limitato il suo ministero alla Galilea. {GN 336.4}

Sembrava trascurare le grandi feste religiose e ciò, insieme all’avversione manifestata dai sacerdoti e dai rabbini, lasciava perplessi coloro che lo circondavano, persino i suoi discepoli e i suoi familiari. {GN 337.1}

Gesù, che aveva più volte parlato dell’importanza della legge di Dio, sembrava ora indifferente ai servizi divini. Sembrava che tutto lo mettesse in contrasto con le autorità religiose e lo esponesse alle critiche: la sua amicizia con i pubblicani e con le persone di cattiva reputazione, il suo disinteresse per le cerimonie dei rabbini, la sua critica alla tradizione sabatica. I suoi fratelli ritenevano che commettesse un errore a inimicarsi i grandi e i savi della nazione. Pensavano che essi avessero ragione e che Gesù avesse sbagliato a mettersi in contrasto con loro. Pur non essendosi schierati tra le file dei suoi discepoli, erano rimasti profondamente colpiti dalla sua vita irreprensibile e dalla potenza delle sue opere. La popolarità di cui Gesù godeva in Galilea lusingava la loro ambizione ed essi speravano sempre che una manifestazione della sua potenza inducesse i farisei a riconoscerlo per quello che diceva di essere. Accarezzavano con orgoglio l’idea che fosse veramente il Messia, il principe d’Israele. {GN 337.2}

Ansiosi di vedere l’adempimento dei loro desideri, insistettero perché Gesù salisse a Gerusalemme. “Parti di qua e va’ in Giudea, affinché i tuoi discepoli vedano anch’essi le opere che tu fai. Poiché nessuno agisce in segreto, quando cerca di essere riconosciuto pubblicamente. Se tu fai queste cose, manifèstati al mondo”. Giovanni 7:3, 4. Il se metteva in evidenza il dubbio e l’incredulità. Gli attribuivano codardia e debolezza. Se sapeva di essere il Messia, perché quella strana riservatezza e inattività? Se realmente possedeva una tale potenza, perché non si recava con coraggio a Gerusalemme per farsi riconoscere? Perché non compiva in Gerusalemme le opere straordinarie che aveva compiuto in Galilea? Gli dissero di non rimanere nascosto in un’oscura provincia e di non limitare le sue opere potenti a contadini e pescatori ignoranti. Lo invitarono a recarsi nella capitale, a conquistare l’appoggio dei sacerdoti e dei capi, e a unire tutta la nazione nel tentativo di stabilire il nuovo regno. {GN 337.3}

I fratelli di Gesù ragionavano così perché erano spinti da un motivo egoistico, presente spesso nel cuore di coloro che hanno l’ambizione di farsi notare. È lo stesso spirito che domina nel mondo. Si erano offesi perché Gesù, invece di cercare un trono terreno, aveva detto di essere il pane della vita. Furono amaramente delusi quando molti discepoli lo abbandonarono. Essi stessi si erano staccati da lui per evitare di riconoscerlo come inviato di Dio, secondo la testimonianza delle sue opere. {GN 337.4}

“Gesù quindi disse loro: Il mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo, invece, è sempre pronto. Il mondo non può odiare voi; ma odia me, perché io testimonio di lui che le sue opere sono malvagie. Salite voi alla festa; io non salgo ancora a questa festa, perché il mio tempo non è ancora compiuto. Dette queste cose, rimase in Galilea”. Versetti 6-9. I suoi fratelli gli avevano parlato con tono autoritario, imponendogli quello che avrebbe dovuto fare. Egli respinse il rimprovero e lo rivolse contro di loro dicendo che non facevano parte dei suoi discepoli, ma del mondo. “Il mondo non può odiar voi; ma odia me, perché io testimonio di lui che le sue opere sono malvagie”. Il mondo non odia coloro che hanno uno spirito simile al suo; anzi li ama come sua proprietà. {GN 338.1}

Gesù non era venuto in questo mondo per il desiderio di una vita comoda o di grandi onori e non cercava l’occasione per impadronirsi della potenza e della gloria. Egli non ambiva a tutto ciò. Questo mondo era il luogo dove il Padre lo aveva inviato. Egli era venuto per dare vita al mondo, per attuare il grande piano della redenzione. Stava operando in favore di una razza decaduta; non doveva né essere presuntuoso né esporsi senza necessità al pericolo per non anticipare così la crisi finale. C’era un tempo stabilito per ogni evento del suo ministero, ed egli lo aspettava pazientemente. Il mondo lo avrebbe odiato, la sua opera si sarebbe conclusa con la morte, ma il Padre non voleva che vi si esponesse prematuramente. {GN 338.2}

La fama dei miracoli di Gesù si era diffusa da Gerusalemme in tutti i luoghi dove gli ebrei erano dispersi e, sebbene Gesù avesse evitato per vari mesi di partecipare alle feste, quella fama non era diminuita. Molti, accorsi dalla diaspora in occasione della festa delle Capanne con il desiderio di vederlo, chiesero subito informazioni sul suo conto. {GN 338.3}

Anche i farisei e gli anziani lo attendevano, ma con la speranza di trovare un pretesto di condanna. Chiedevano con ansietà dove fosse, ma nessuno lo sapeva. Gesù era al centro dei pensieri di tutti. Nessuno osava riconoscerlo come Messia per timore dei sacerdoti e degli anziani; ma ovunque si discuteva segretamente e appassionatamente su di lui. Molti credevano che fosse stato inviato da Dio, mentre altri lo ritenevano un seduttore. {GN 338.4}

Nel frattempo Gesù era giunto a Gerusalemme. Vi si era recato attraverso una via poco frequentata per evitare il flusso dei pellegrini. Infatti, se si fosse unito a una delle carovane, non sarebbe potuto entrare in città inosservato e ci sarebbe stato il rischio di una dimostrazione popolare in suo favore e la conseguente opposizione delle autorità. Per evitare tutto ciò, Gesù volle fare il viaggio da solo. {GN 338.5}

Nel mezzo della festa, Gesù entrò nel cortile del tempio tra la folla. Alcuni avevano detto che non avrebbe osato mostrarsi ai sacerdoti e agli anziani, perciò la sua presenza fu una grande sorpresa per tutti. Essi tacquero e rimasero colpiti dalla sua dignità e dal suo contegno sicuro in mezzo a nemici potenti che cospiravano contro la sua vita. {GN 339.1}

Gesù parlò alla folla attonita come nessun uomo aveva mai fatto. Le sue parole rivelavano un’ampia conoscenza delle leggi e delle istituzioni d’Israele, del sistema dei sacrifici e degli insegnamenti dei profeti, molto superiore a quella dei sacerdoti e dei rabbini. Egli abbatté le barriere del formalismo e della tradizione. La vita futura sembrava dischiusa ai suoi occhi. Parlava con una grande autorità delle realtà terrene e di quelle del cielo, delle realtà umane e di quelle divine, come se vedesse l’invisibile. Le sue parole erano chiare e convincenti e, come era accaduto a Capernaum, il popolo rimase attonito nell’ascoltare il suo insegnamento, “perché parlava con autorità”. Luca 4:32. Con varie immagini avvertì i suoi ascoltatori annunciando loro le sciagure che avrebbero colpito chi rifiutava le benedizioni che era venuto ad accordare. Aveva dato loro ogni prova possibile per dimostrare che veniva da Dio e li esortò con insistenza al pentimento. Egli non sarebbe stato rigettato e ucciso dalla sua nazione se fosse riuscito a farli ravvedere da una colpa simile. {GN 339.2}

Tutti stupivano per la sua conoscenza della legge e dei profeti, e dicevano: “Come mai conosce così bene le Scritture, senza aver fatto studi?” Giovanni 7:15. Per essere autorizzati a impartire insegnamenti religiosi, bisognava avere studiato nelle scuole dei rabbini. Gesù e Giovanni il battista furono considerati ignoranti perché non avevano ricevuto questo tipo di istruzione. Coloro che li avevano ascoltati erano rimasti stupiti per la loro conoscenza delle Scritture. Essi non si intendevano di “lettere”; non avevano certo imparato dagli uomini, ma il Dio del cielo era il maestro che aveva trasmesso loro la più alta sapienza. {GN 339.3}

Mentre Gesù parlava nel cortile del tempio, la folla pendeva dalle sue labbra. Coloro che si erano mostrati più violenti, si sentivano disarmati. Per il momento ogni altro interesse era dimenticato. {GN 339.4}

Egli continuò a insegnare nei giorni seguenti sino a quando giunse l’“ultimo giorno, il giorno più solenne della festa”. Versetto 37. La mattina di quel giorno, mentre il popolo era stanco per quel succedersi di cerimonie, si udì la voce di Gesù nei cortili del tempio: “Se alcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. Versetti 37, 38. Lo stato d’animo del popolo conferiva una forza particolare a questo invito. Le persone avevano assistito a molte cerimonie fastose, i loro occhi erano stati abbagliati da luci e colori, le loro orecchie deliziate da musica melodiosa. Nulla però, in tutto il ciclo delle cerimonie, aveva soddisfatto le necessità dello spirito e appagato quelle anime assetate di realtà eterne. Gesù le invitò a dissetarsi alla fonte della vita, perché sgorgassero dal loro seno fiumi d’acqua per la vita eterna. {GN 339.5}

Quella mattina il sacerdote aveva appena celebrato il rito che ricordava la roccia colpita nel deserto. Quella roccia era il simbolo di Gesù che con la sua morte avrebbe fatto zampillare fonti di salvezza per tutti gli assetati. Le parole di Cristo erano acqua di vita. In presenza della folla egli si offriva per essere percosso affinché l’acqua della vita sgorgasse nel mondo. Percuotendo Gesù, Satana pensava di distruggere il Principe della vita, ma dalla roccia zampillò un’acqua viva. Mentre Gesù parlava così al popolo, uno strano timore fece fremere i loro cuori e molti, come la samaritana, erano sul punto di esclamare: “Dammi di cotest’acqua, affinché io non abbia più sete”. Giovanni 4:15. {GN 340.1}

Gesù conosceva i desideri dello spirito, desideri che né ricchezze né pompa né onori possono soddisfare. “Se alcuno ha sete, venga a me”. Ricchi e poveri, grandi e piccoli, tutti sono accolti. Egli promette di sollevare lo spirito oppresso, consolare l’afflitto e infondere speranza nello scoraggiato. Molti uditori di Gesù erano tristi per le loro speranze deluse, altri erano amareggiati da tormenti segreti, altri ancora cercavano di placare le loro inquietudini con i beni del mondo e le lodi degli uomini; ma, una volta attuati i loro desideri, si rendevano conto di aver attinto a cisterne rotte, incapaci di estinguere la sete. Nonostante lo sfarzo della festa, rimanevano scontenti e tristi. Quell’invito improvviso: “Se alcuno ha sete”, li riscosse dalle loro malinconiche riflessioni, e le parole che seguirono ravvivarono in loro la speranza. Lo Spirito Santo si servì di quel simbolo perché essi comprendessero il dono inestimabile della salvezza. {GN 340.2}

L’invito di Cristo alle anime assetate echeggia oggi ancora più forte che in quel giorno nel tempio, in quell’ultimo giorno della festa. La fonte è accessibile a tutti. L’acqua fresca della vita eterna è per tutti coloro che si sentono stanchi ed esausti. Gesù ripete: “Se alcuno ha sete, venga a me e beva”; “Chi ha sete venga; chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita” (Apocalisse 22:17); “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò, diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna”. Giovanni 4:14. {GN 340.3}



Capitolo 50: Insidie e difficoltà

Gesù, durante la festa a Gerusalemme, fu sempre tenuto d’occhio dalle spie che cercavano ogni giorno nuovi espedienti per ridurlo al silenzio. Sacerdoti e anziani volevano coglierlo in fallo. Prima di catturarlo con la forza, volevano umiliarlo davanti al popolo. {GN 341.1}

Sin dal primo giorno del suo arrivo a Gerusalemme, i capi si erano recati da Gesù per chiedergli con quale autorità insegnasse. Volevano che l’attenzione del popolo si distogliesse da lui e si soffermasse sul diritto in base al quale insegnava, e quindi sulla loro importanza e autorità. {GN 341.2}

Gesù disse: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Se uno vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina è da Dio o se io parlo di mio”. Giovanni 7:16, 17. Gesù affrontò le loro domande non rispondendo direttamente, ma presentando le verità fondamentali per la salvezza degli uomini. Disse che la conoscenza e l’apprezzamento della verità non dipendono tanto dalla mente quanto dal cuore. La verità deve essere ricevuta nell’animo e accettata dalla volontà. Se la conoscenza della verità dipendesse soltanto dalla mente, l’orgoglio non sarebbe un impedimento per la sua acquisizione. {GN 341.3}

Ma la verità si riconosce attraverso l’opera della grazia nel cuore e si accoglie solo quando si rinuncia a tutti i peccati manifestati dall’azione dello Spirito di Dio. Per conoscere la verità non è sufficiente percepirne l’utilità, ma è necessario che il cuore si apra, nella decisione di abbandonare ogni azione e abitudine contrastante. La verità si manifesta come potenza di Dio per la salvezza solo di coloro che si avvicinano a lui con il sincero desiderio di conoscerlo e fare la sua volontà. Essi potranno distinguere chiaramente la voce di Dio da quella degli uomini. I farisei non avevano conformato la loro volontà a quella di Dio; non cercavano la verità, ma solo pretesti per non seguirla. Gesù disse loro che con questo spirito non avrebbero mai compreso i suoi insegnamenti. {GN 341.4}

Insegnò loro anche come riconoscere un vero maestro da un impostore: “Chi parla di suo cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che l’ha mandato, è veritiero e non v’è ingiustizia in lui”. Versetto 18. Colui che cerca la propria gloria parla solo di se stesso. Lo spirito egoistico rivela la sua origine. Ma Gesù cercava la gloria di Dio e perciò pronunciava le parole di Dio. Era questa la prova della sua autorità come maestro di verità. {GN 341.5}

Gesù dette ai rabbini una dimostrazione della sua divinità dimostrando che sapeva leggere nei loro cuori. Fin dal tempo della guarigione di Betesda, essi avevano complottato per farlo morire. In questo modo infrangevano quella legge che pretendevano di difendere. “Mosè non vi ha forse dato la legge? Eppure nessuno di voi mette in pratica la legge! Perché cercate d’uccidermi?” Versetto 19. {GN 342.1}

Queste parole, come un lampo, rivelarono ai rabbini l’abisso nel quale stavano per cadere. Per un momento furono presi da un gran timore e sentirono di essersi messi in lotta con la potenza infinita; tuttavia non ne tennero conto. Per mantenere la loro autorità sul popolo, dovevano tenere nascoste le loro macchinazioni; perciò, evitando la domanda di Gesù, gli dissero: “Tu hai un demonio! Chi cerca di ucciderti?” Versetto 20. Con queste parole volevano insinuare che le opere prodigiose di Gesù erano ispirate da uno spirito demoniaco. {GN 342.2}

Gesù non tenne conto di quell’insinuazione. Spiegò che la sua opera di guarigione a Betesda era in armonia con la legge del sabato e concordava anche con l’interpretazione che gli ebrei stessi ne davano. “Mosè vi ha dato la circoncisione. e voi circoncidete l’uomo in giorno di sabato”. Versetto 22. Secondo la legge, ogni bambino doveva essere circonciso l’ottavo giorno, anche se quel giorno era sabato. A maggior ragione era più conforme con lo spirito della legge guarire in quel giorno “un uomo tutto intero”. Versetto 23. Gesù li esortò così: “Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate secondo giustizia”. Versetto 24. {GN 342.3}

I capi tacquero, mentre molti tra la folla dissero: “Non è questi colui che cercano di uccidere? Eppure, ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono nulla. Che i capi abbiano riconosciuto per davvero che {GN 342.4}

egli è il Cristo?” Versetti 25, 26. {GN 342.5}

Molti fra gli uditori di Gesù vivevano a Gerusalemme e conoscevano le insidie che i capi avevano ordito, perciò si sentirono attratti verso di lui da un potere irresistibile. Sorse in loro la convinzione di trovarsi di fronte al Figlio di Dio, ma Satana insinuò prontamente in loro dei dubbi servendosi delle false concezioni sul Messia e sulla sua venuta. Si credeva comunemente che Cristo sarebbe nato a Betlemme, ma che subito dopo sarebbe scomparso per riapparire una seconda volta senza che nessuno sapesse da dove venisse. Di versi pensavano che il Messia non avrebbe avuto nessun legame di parentela con gli uomini. Siccome Gesù di Nazaret non corrispondeva alla concezione popolare della gloria del Messia, molti prestarono fede a quest’affermazione: “Eppure, costui sappiamo di dov’è; ma quando il Cristo verrà, nessuno saprà di dove egli sia”. Versetto 27. {GN 342.6}

Mentre essi erano incerti tra il dubbio e la fede, Gesù, rendendosi conto del loro stato d’animo, affermò: “Voi certamente mi conoscete e sapete di dove sono; però non sono venuto da me, ma colui che mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete”. Versetto 28. Pretendevano di conoscere le origini di Cristo, mentre in realtà le ignoravano. Se fossero vissuti secondo la volontà di Dio, avrebbero riconosciuto suo Figlio che in quel momento si manifestava a loro. {GN 343.1}

Gli ascoltatori non potevano capire le parole di Cristo. Erano una chiara ripetizione della sua affermazione fatta molti mesi prima davanti al sinedrio, quando aveva dichiarato di essere il Figlio di Dio. Come allora i capi avevano cercato di ucciderlo, ora cercavano di catturarlo. Ma una potenza invisibile pose un limite alla loro ira, impedendo l’attuazione di quel piano. {GN 343.2}

Molti credettero in lui, e dicevano: “Quando il Cristo sarà venuto, farà più segni miracolosi di quanti ne abbia fatto questi?” Versetto 31. I capi dei farisei, che osservavano attentamente lo svolgersi degli eventi, colsero quel moto di simpatia della folla per Gesù e si precipitarono dai principali sacerdoti a cui sottoposero i loro piani per arrestarlo. Progettarono di catturarlo quando era solo, perché non osavano farlo alla presenza del popolo. Gesù rivelò con le sue parole che conosceva i loro piani. “Io sono ancora con voi per poco tempo; poi me ne vado a colui che mi ha mandato. Voi mi cercherete e non mi troverete; e dove io sarò, voi non potete venire”. Versetti 33, 34. Ben presto avrebbe trovato un rifugio sicuro contro il loro sdegno e il loro odio. Sarebbe asceso al cielo, per essere di nuovo oggetto dell’adorazione degli angeli, dove i suoi assassini non sarebbero potuti andare. {GN 343.3}

Con aria canzonatoria i rabbini replicarono: “Dove andrà dunque che noi non lo troveremo? Andrà forse da quelli che sono dispersi tra i greci, a insegnare ai greci?” Versetto 35. Non pensavano minimamente che con le loro parole beffarde annunciavano la missione di Cristo. Egli aveva steso a lungo la sua mano benefica verso un popolo disubbidiente e ribelle; ma poi sarebbe stato trovato da quelli che non lo cercavano e conosciuto da quelli che non chiedevano di lui. Cfr. Romani 10:20, 21. {GN 343.4}

Molti fra coloro che erano convinti che Gesù fosse il Figlio di Dio, vennero fuorviati dai falsi ragionamenti dei sacerdoti e dei rabbini. {GN 343.5}

Quei maestri avevano ottenuto un certo effetto ripetendo le profezie intorno al Messia secondo le quali egli avrebbe regnato “sul monte Sion e in Gerusalemme, fulgido di gloria in presenza dei suoi anziani” (Isaia 24:23) e “Egli dominerà da un mare all’altro, e dal fiume fino all’estremità della terra”. Salmi 72:8. Poi, con tono sprezzante, avevano confrontato la gloria descritta con l’umile aspetto di Gesù, e le parole della profezia in questo modo vennero usate per sanzionare un errore. Se il popolo avesse studiato personalmente e con sincerità la Parola, non sarebbe stato fuorviato. Il Capitolo sessantunesimo di Isaia presenta l’opera che Cristo compì realmente, il Capitolo cinquantatreesimo predice il suo rifiuto e le sue sofferenze e il cinquan-tanovesimo descrive il carattere dei sacerdoti e dei rabbini. {GN 344.1}

Dio non costringe gli uomini a rinunciare alle proprie convinzioni. Egli pone davanti a loro la luce e le tenebre, la verità e l’errore. Sta a loro scegliere. La mente è capace di riconoscere la verità. Dio vuole che gli uomini decidano non sulla base degli impulsi, ma su quella dell’evidenza, attraverso uno studio attento di tutte le Scritture. Se gli ebrei avessero abbandonato i loro pregiudizi e avessero accostato gli eventi della vita di Gesù alle profezie, avrebbero scorto una magnifica armonia tra le profezie e il loro adempimento nella vita e nel ministero dell’umile galileo. {GN 344.2}

Molti oggi si ingannano come si ingannarono gli ebrei. I teologi leggono la Bibbia e la comprendono alla luce della loro mentalità e delle tradizioni, mentre il popolo non investiga per conto proprio le Scritture e non ricerca la verità, ma rinuncia al proprio giudizio e affida il proprio spirito ai capi. La predicazione e l’insegnamento della Parola è uno dei mezzi scelti da Dio per la diffusione della luce, ma ogni insegnamento degli uomini si deve provare con le Scritture. Chiunque studia la Bibbia, con spirito di preghiera, con il desiderio di conoscere la verità e seguirla, comprenderà le Scritture e riceverà la luce divina. “Se uno vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina è da Dio o se io parlo di mio”. {GN 344.3}

Nell’ultimo giorno della festa, le guardie inviate dai sacerdoti e dai capi per arrestare Gesù ritornarono senza averlo preso. I capi chiesero loro con ira: “Perché non l’avete portato?” Queste risposero con gravità: “Nessun uomo parlò mai come quest’uomo!” Giovanni 7:45, 46. {GN 344.4}

Per quanto le guardie avessero un cuore duro, furono colpite dalle sue parole. Avevano ascoltato Gesù mentre parlava nel cortile del tempio e gli si erano avvicinate per cercare qualche sua dichiarazione che potesse essere usata contro di lui. Ma mentre ascoltavano, si dimenticarono dello scopo per cui erano venute. Rimasero come rapite in estasi. Cristo si rivelava al loro cuore. Videro quello che né sacerdoti né rabbini volevano vedere: la gloria della divinità manifestata nella sua umanità. Tornarono così prese da quel pensiero, così impressionate per quelle parole, che alla domanda: “Perché non l’avete portato?”, non avevano potuto rispondere altro che: “Nessun uomo parlò mai come quest’uomo!” {GN 344.5}

Anche i sacerdoti e i capi avevano provato la stessa sensazione quando si erano trovati per la prima volta di fronte a Cristo. Avevano sentito una profonda commozione ed erano stati costretti a esclamare: “Nessun uomo parlò mai come quest’uomo”. Ma soffocarono poi quella convinzione prodotta dallo Spirito Santo e, pieni di collera perché gli stessi esecutori della legge erano rimasti affascinati da quell’odiato galileo, dissero alle guardie: “Siete stati sedotti anche voi? Ha qualcuno dei capi o dei farisei creduto in lui? Ma questo popolino, che non conosce la legge, è maledetto!” Giovanni 7:47-49. {GN 345.1}

Coloro a cui viene presentato il messaggio della verità, raramente chiedono se è vero, ma piuttosto chi è che lo sostiene. Moltissimi lo giudicano in base al numero delle persone che lo accettano e si chiedono se qualcuno fra gli intellettuali e le autorità religiose ha creduto in esso. Gli uomini non sono oggi più favorevoli alla verità di quanto lo fossero al tempo di Gesù. Si ricercano anche oggi intensamente i beni terreni e si trascurano le ricchezze eterne. Non è un argomento valido contro la verità il fatto che essa non sia accettata da un gran numero di persone o dalle persone più importanti, o persino dai capi religiosi. {GN 345.2}

Di nuovo i sacerdoti e i capi decisero di fare dei piani per arrestare Gesù. Erano convinti che se lo avessero lasciato ancora libero, avrebbe sviato il popolo. Per questo pensarono che l’unico rimedio consistesse nel ridurlo il più presto possibile al silenzio. Mentre erano infervorati nella discussione, qualcuno improvvisamente li interruppe. Era Nicodemo che poneva questa domanda: “La nostra legge giudica forse un uomo prima che sia stato udito e che si sappia quello che ha fatto?” Versetto 51. Le parole di Nicodemo penetrarono nelle coscienze e tutti tacquero. Non potevano condannare un uomo senza prima averlo ascoltato. Ma non solo per quella ragione quei capi orgogliosi rimasero silenziosi e fissarono colui che aveva osato pronunciare quelle parole in favore della giustizia. Li stupiva e li riempiva di sgomento il fatto che uno di loro fosse stato così favorevolmente impressionato dal carattere di Gesù sino al punto da parlare in sua difesa. Dopo un attimo di sbigottimento rivolsero a Nicodemo queste parole sarcastiche: “Sei anche tu di Galilea? Esamina, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta”. Versetto 52. {GN 345.3}

L’intervento di Nicodemo ebbe il risultato di far rinviare la decisione. I capi non poterono attuare il loro piano di condannare Gesù prima di averlo ascoltato. Per il momento dovevano subire una sconfitta. “E ognuno se ne andò a casa sua. Gesù andò al monte degli Ulivi”. Versetto 53-81. {GN 346.1}

Gesù si ritirò nella pace di un uliveto dove poteva essere solo con Dio, lontano dalla confusione eccitante della città, dalla folla impaziente e dai rabbini malvagi. La mattina dopo, molto presto, tornò al tempio, si sedette e insegnò alla folla che si era radunata intorno a lui. {GN 346.2}

Ben presto fu interrotto. Un gruppo di farisei e di scribi si avvicinò trascinando una donna terrorizzata. L’accusavano con grida violente di avere violato il settimo comandamento. Dopo averla spinta davanti a Gesù, gli chiesero con aria di falso rispetto: “Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?” Giovanni 8:5. {GN 346.3}

Dietro l’atteggiamento rispettoso c’era un tranello. Si servivano di quella occasione per cogliere Gesù in fallo. Se avesse assolto quella donna, lo avrebbero accusato di disprezzare la legge di Mosè. Se invece l’avesse condannata, lo avrebbero accusato presso i romani di arrogarsi un’autorità che apparteneva solo a loro. {GN 346.4}

Gesù guardò per un momento quella scena: la vittima tremante nella sua confusione, quei capi dal volto indurito, privi di ogni compassione. Uno spettacolo simile era ripugnante per la sua purezza immacolata. Sapeva molto bene per quale ragione gli era stata portata quella donna. Leggeva nei cuori e conosceva il carattere e tutta la vita di coloro che gli stavano davanti. Quei pretesi custodi della giustizia avevano essi stessi indotto quella donna a peccare per preparare un tranello a Gesù. Come se non avesse udito la loro domanda, rimase immobile e, con gli occhi fissi al suolo, cominciò a scrivere nella polvere. {GN 346.5}

Impazienti per quel ritardo e per quell’apparente indifferenza, quegli accusatori si avvicinarono a Gesù, richiamando ancora la sua attenzione su quel fatto. Ma quando i loro occhi, seguendo quelli di Gesù, si soffermarono su ciò che aveva scritto, rimasero esterrefatti. Gesù aveva elencato i peccati segreti di ciascuno. La folla circostante si accorse di quell’improvviso mutamento di espressione e si avvicinò per scoprire che cosa avesse causato un tale stupore e un tale smarrimento. {GN 346.6}

Nonostante tutto il rispetto che i rabbini professavano per la leg ge, avevano fatto finta di non conoscerne i principi presentando le loro accuse contro quella donna. Spettava al marito della donna iniziare il processo di accusa e le due parti colpevoli dovevano essere ugualmente punite. L’azione promossa da quegli accusatori non era affatto corretta. Ma Gesù li affrontò sul loro terreno. La legge precisava che in caso di condanna alla lapidazione, il testimone scagliasse per primo la pietra. Gesù si alzò, fissò gli occhi su quegli impostori e disse: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Versetto 7. Poi si chinò ancora e continuò a scrivere in terra. {GN 346.7}

Con la sua risposta Gesù non aveva né trasgredito la legge data attraverso Mosè e neppure usurpato l’autorità di Roma. Gli accusatori furono sconfitti. Privati della loro pretesa santità, apparvero colpevoli e condannati di fronte alla purezza infinita. Tremavano al pensiero che i loro peccati nascosti fossero fatti conoscere alla folla, e ad uno ad uno, con il capo chino e gli occhi a terra, se ne andarono lasciando la loro vittima sola con il Salvatore misericordioso. {GN 347.1}

Gesù si alzò e, vedendo la donna sola, disse: “Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata? Ella rispose: Nessuno, Signore. E Gesù le disse: Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più”. Versetti 10, 11. {GN 347.2}

La donna era rimasta in piedi, intimorita davanti a Gesù. Le parole: “Chi di voi è senza peccato, scagli il primo la pietra contro di lei”, erano risuonate come una sentenza di morte. Non aveva osato sollevare gli occhi sul volto di Gesù e, in silenzio, aveva atteso la condanna. Sbigottita, aveva visto che i suoi accusatori si erano allontanati zitti e confusi, e le parole di speranza erano echeggiate nelle sue orecchie: “Neppure io ti condanno; va’ e non peccar più”. Commossa, si gettò ai piedi di Gesù esprimendo con singhiozzi il suo amore riconoscente e confessando con le lacrime i suoi peccati. {GN 347.3}

Per lei, questo fu l’inizio di una nuova vita, di una vita pura e tranquilla, consacrata al servizio di Dio. Sollevando quell’anima caduta, Gesù compì un miracolo più grande ancora della guarigione della più grave malattia del corpo. Egli guarì l’anima da una malattia che porta alla perdizione eterna. Quella donna pentita divenne una sua fedelissima seguace e manifestò, in un amore fatto di sacrificio e devozione, la sua grande riconoscenza per il suo perdono misericordioso. {GN 347.4}

Il carattere di Gesù brilla nella bellezza della perfetta giustizia, nel perdono concesso a quella donna e nell’incoraggiamento a vivere una vita migliore. Gesù non scusa il peccato e non diminuisce il senso della colpa; tuttavia non vuole condannare, ma salvare. Il mondo nutriva per quella donna peccatrice solo disprezzo e condanna, mentre Gesù le rivolse parole di consolazione e speranza. Colui che è senza peccato comprende le debolezze del peccatore e gli offre aiuto. Mentre i farisei ipocriti accusano, Gesù dice: “Va’ e non peccar più”. {GN 347.5}

Il discepolo di Cristo non allontana il suo sguardo da coloro che sbagliano, non li lascia proseguire verso l’abisso. Coloro che sono pronti ad accusare gli altri, a promuovere giudizi, sono spesso i più colpevoli. Di solito gli uomini odiano i peccatori mentre amano il peccato. Cristo, invece, odiava il peccato ma amava il peccatore. Tutti coloro che lo seguono devono avere questo stesso spirito. L’amore cristiano è lento nel condannare, pronto a scorgere il pentimento, pronto a perdonare, a incoraggiare, a guidare e sostenere chi sbaglia nel sentiero della santità. {GN 348.1}



Capitolo 51: “La luce della vita”

“Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. Giovanni 8:12. {GN 349.1}

Quando Gesù pronunciò queste parole, si trovava nel cortile del tempio, che era stato preparato per la festa delle Capanne. Al centro di questo cortile si innalzavano due alti piedistalli, che sostenevano grandi lampade. Dopo il sacrificio della sera, tutte le lampade venivano accese e diffondevano la loro luce su Gerusalemme. Questa illuminazione ricordava la colonna di fuoco che guidò Israele nel deserto ed era anche considerata come un annuncio della venuta del Messia. Di sera, quando le lampade venivano accese, si diffondeva nel cortile un’atmosfera festosa. I sacerdoti del tempio e i capi del popolo, uomini già con i capelli grigi, partecipavano alle danze al suono degli strumenti musicali che accompagnavano il canto dei leviti. {GN 349.2}

Con questa illuminazione della città di Gerusalemme, il popolo esprimeva la speranza nella venuta del Messia che avrebbe accordato la sua luce su Israele. Ma per Gesù quella scena aveva un significato ancora più ampio. Come quelle splendide lampade del tempio diffondevano la loro luce intorno, così Cristo, fonte di luce spirituale, illumina le tenebre del mondo. Tuttavia quel simbolo non era perfetto. La grande luce che aveva posto in cielo rappresentava meglio la gloria della sua missione. {GN 349.3}

Era mattino; il sole, appena sorto sul monte degli Ulivi, rifletteva i suoi raggi sottolineando lo splendore abbagliante del marmo dei palazzi e illuminava l’oro delle mura del tempio. Gesù, indicando quella luminosità intensa, disse: “Io son la luce del mondo”. {GN 349.4}

Questa stessa dichiarazione di Gesù riecheggiò molto tempo dopo nella bellissima testimonianza di qualcuno che in quel momento era presente. “In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini. La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno sopraffatta. La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo”. Giovanni 1:4, 5, 9. Molto tempo dopo l’ascesa al cielo, anche Pietro, per ispirazione dello Spirito Santo, ricordò il simbolo usato da Cristo: “Abbiamo inoltre la pa rola profetica più salda: farete bene a prestarle attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, fino a quando spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori”. 2 Pietro 1:19. {GN 349.5}

Nella rivelazione di Dio, la luce è sempre stata considerata come un simbolo della sua presenza. Alla creazione la parola fece scaturire la luce dalle tenebre. La luce era nella nuvola di giorno e nella colonna di fuoco di notte. Così il Signore guidava il popolo d’Israele. La luce brillò con terribile intensità intorno al Signore sul monte Sinai. La luce circondava il trono della misericordia nel tabernacolo. La luce riempì il tempio di Salomone in occasione della cerimonia di consacrazione. La luce risplendeva sulle colline di Betlemme quando gli angeli annunciarono il messaggio della salvezza ai pastori che vegliavano. {GN 350.1}

Dio è luce, e con le parole: “Io son la luce del mondo”, Cristo ha proclamato la sua unità con Dio e la sua relazione con tutta la famiglia umana. Fu lui che al principio disse: “Splenda la luce fra le tenebre”. 2 Corinzi 4:6. Egli è la luce del sole, della luna e delle stelle. Egli era la luce spirituale che brillò su Israele nei simboli e nei tipi della profezia. Ma la luce non fu data soltanto alla nazione ebraica. Come i raggi del sole giungono fin nei più remoti angoli della terra, così la luce del Sole di giustizia brilla su ogni uomo. {GN 350.2}

“La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo”. Giovanni 1:9. Il mondo ha avuto i suoi grandi maestri, uomini di grande intelligenza e straordinaria cultura, uomini la cui dottrina ha dato un impulso al pensiero e ha aperto vasti orizzonti di conoscenza. Questi uomini sono stati onorati come guide e benefattori dell’umanità. Ma vi è qualcuno che è più in alto di loro. “Ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio. Nessuno ha mai veduto Dio; l’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere”. Giovanni 1:12, 18. Noi possiamo risalire a tutti i grandi maestri che hanno lasciato una traccia nella storia; ma la Luce era prima di loro. Come la luna e i pianeti del sistema solare splendono riflettendo la luce del sole, così, nella misura in cui il loro insegnamento è vero, i grandi pensatori del mondo riflettono la luce del Sole della giustizia. Ogni pensiero eccelso, ogni lampo dell’intelletto scaturiscono dalla Luce del mondo. Oggi si parla molto di educazione superiore. Ma la vera educazione superiore è quella che viene impartita da colui “nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti”. Colossesi 2:3. “In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini”. Giovanni 1:4. {GN 350.3}

“Chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. Giovanni 8:12. Con le parole “Io sono la luce del mondo”, Gesù si è proclamato Messia. Il vecchio Simeone, nel tempio in cui Gesù stava insegnando, aveva parlato di lui come di colui che il Signore aveva inviato “per esser luce da illuminare le genti, e gloria del tuo popolo Israele”. Luca 2:32. Con quelle parole egli riferiva a Gesù una profezia molto nota in Israele. Tramite il profeta Isaia lo Spirito Santo aveva detto: “È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d’Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra”. Isaia 49:6. Questa profezia fu sempre riferita al Messia e quando Gesù disse: “Io son la luce del mondo”, il popolo non poteva non comprendere che egli si presentava come colui che era stato promesso. {GN 350.4}

Ai farisei e ai capi quest’affermazione parve arrogante presunzione. Non potevano accettare che un uomo come loro avanzasse una simile pretesa. Facendo finta di ignorare le sue parole, essi chiesero: “Chi sei tu?” Volevano costringerlo a dichiarare che era Cristo. Il suo aspetto e le sue opere erano in pieno disaccordo con le aspettative del popolo, tanto che — come essi astutamente pensavano — se egli si fosse annunciato come Messia, sarebbe stato rigettato come un impostore. {GN 351.1}

Ma alla loro domanda: “Chi sei tu?” Gesù rispose loro: “Sono per l’appunto quel che vi dico”. Giovanni 8:25. Ciò che era stato rivelato dalle sue parole era stato rivelato anche dal suo carattere. Egli era l’incarnazione delle verità che insegnava. Continuò: “Non faccio nulla da me, ma dico queste cose come il Padre mi ha insegnato. E Colui che mi ha mandato è con me; egli non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli piacciono”. Versetti 28, 29. Gesù non cercò di dimostrare la sua affermazione messianica, ma dichiarò la sua unione con Dio. Se le loro menti fossero state aperte all’amore di Dio, avrebbero accettato Gesù. {GN 351.2}

Fra i suoi uditori, molti ebbero fede in lui, ed egli, rivolgendosi a loro, disse: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Versetti 31, 32. {GN 351.3}

Queste parole offesero i farisei che si erano dimenticati del lungo periodo di schiavitù della loro nazione a un governo straniero ed esclamarono indignati: “Noi siamo discendenti d’Abraamo, e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi tu dire: Voi diverrete liberi?” Versetto 33. Gesù guardò quegli uomini vittime della malizia, i cui pensieri erano rivolti alla vendetta, e rispose con tristezza: “In verità, in verità vi dico che chi commette il peccato è schiavo del peccato”. Versetto 34. Essi erano soggetti alla peggiore schiavitù: erano dominati dal male. {GN 351.4}

Ogni uomo che si rifiuta di accettare Cristo vive sotto il dominio di un altro potere e non è pienamente libero. Può parlare di libertà, ma è soggetto alla peggiore forma di schiavitù. Non può percepire la bellezza della verità perché la sua mente è sotto il controllo di Satana. Si illude di esercitare il proprio giudizio, mentre in realtà ubbidisce alla volontà del principe delle tenebre. Cristo è venuto per liberare l’anima dalle catene della schiavitù del peccato. “Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi”. Versetto 36. “Perché la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte”. Romani 8:2. {GN 352.1}

Nell’opera della salvezza non vi sono imposizioni. Non si usa nessuna coercizione. Sotto l’influsso dello Spirito di Dio l’uomo è libero di scegliere chi vuole servire. Quando l’anima si consacra a Cristo, lo fa con la più ampia libertà. Il rifiuto del peccato è un atto spontaneo. Naturalmente, da soli non abbiamo la capacità di emanciparci dal dominio di Satana; ma quando desideriamo liberarci dal peccato e nei momenti difficili imploriamo l’aiuto di una forza superiore, allora le facoltà dello spirito sono investite dalla potenza divina dello Spirito Santo e attuano le decisioni della nostra volontà che è in sintonia con il volere di Dio. {GN 352.2}

La libertà dell’uomo è possibile a una sola condizione: quella di unirsi a Cristo. “E la verità vi farà liberi”. Cristo è la verità. Il peccato può trionfare soltanto indebolendo la mente e distruggendo la libertà dell’uomo. Sottomettersi a Cristo significa ristabilire in sé la vera gloria della dignità dell’uomo. La legge divina a cui dobbiamo ubbidire è la “legge di libertà”. Giacomo 2:12. {GN 352.3}

I farisei avevano detto di essere figli di Abramo. Gesù rispose che ciò sarebbe stato vero soltanto se essi avessero compiuto le opere di Abramo. Il vero Aglio di Abramo vivrà, come lui, una vita di ubbidienza a Dio. Essi non avrebbero dovuto cercare di uccidere colui che annunciava loro la verità che aveva ricevuto da Dio. Complottando contro Cristo, i rabbini non compivano le opere di Abramo. Una semplice discendenza genealogica da Abramo non aveva alcun valore; essi non potevano considerarsi suoi Agli senza una comunione spirituale con lui, comunione che si manifestava avendo il suo stesso spirito e compiendo le sue stesse opere. {GN 352.4}

Questo principio si può applicare con uguale validità a un problema che per molto tempo ha interessato il mondo cristiano: quello della successione apostolica. La discendenza da Abramo non consisteva nell’appartenenza alla sua stirpe, ma nella somiglianza al suo carattere. Così la successione apostolica non consiste nella trasmissione dell’autorità ecclesiastica, ma in una precisa relazione spirituale. La prova della successione apostolica si evidenzia in una vita vissuta secondo lo spirito degli apostoli, nell’accettazione e nella predicazione della verità che essi hanno insegnato. Tutto questo rende gli uomini successori dei primi predicatori del Vangelo. {GN 352.5}

Gesù negò che gli ebrei fossero figli di Abramo. Disse: “Voi fate le opere del padre vostro”. Con tono di scherno essi risposero: “Noi non siam nati da fornicazione; abbiamo un solo Padre: Dio”. Giovanni 8:41. Queste parole contenevano un’allusione alle circostanze della sua nascita, ed erano state dette per denigrare Cristo davanti a coloro che credevano in lui. Gesù non prese in considerazione quella vile insinuazione, ma disse: “Se Dio fosse vostro Padre, mi amereste, perché io son proceduto e vengo da Dio”. Versetto 42. {GN 353.1}

Le loro opere testimoniavano loro parentela con colui che è stato bugiardo e assassino fin dal principio. “Voi siete figli del diavolo” disse Gesù “che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. A me, perché dico la verità, voi non credete”. Versetti 44, 45. Ma la vera ragione per cui i capi non lo accolsero era dovuta al fatto che diceva la verità e la diceva con autorità. La verità offendeva quegli uomini orgogliosi, smascherava l’inganno dell’errore, condannava i loro insegnamenti e il loro comportamento, e per queste ragioni non era bene accetta. Essi preferivano chiudere i loro occhi alla verità piuttosto che umiliarsi e confessare di avere sbagliato. Non amavano la verità, non la desideravano, sebbene fosse la verità. {GN 353.2}

“Chi di voi mi convince di peccato? Se vi dico la verità, perché non mi credete?” Versetto 46. Giorno dopo giorno, per tre anni, i suoi nemici avevano seguito Cristo, lo avevano spiato per trovare qualche difetto nel suo carattere. Satana e i suoi seguaci avevano cercato di vincerlo, ma non trovarono in lui niente di cui accusarlo. Perfino i demoni erano stati costretti a confessare che egli era il Santo di Dio. Cfr. Marco 1:24. Cristo visse secondo la legge davanti al cielo, ai mondi non caduti nel peccato e agli uomini peccatori. Davanti agli angeli, agli uomini e ai demoni pronunciò con naturalezza parole che su qualsiasi altra bocca avrebbero avuto un sapore di bestemmia: “Faccio sempre le cose che gli piacciono”. Giovanni 8:29. Il fatto che gli ebrei, nonostante non trovassero nessuna colpa in Cristo, non lo accettassero, dimostrava che non erano in comunione con Dio. Non riconoscevano la sua voce nel messaggio del Figlio. Pensarono addirittura di sottoporre a giudizio Cristo ma, rigettandolo, pronunciarono una condanna su loro stessi. “Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate; perché non siete da Dio”. Versetto 47. {GN 353.3}

Questa lezione è valida in tutti i tempi. Molti che amano cavillare e criticare, cercando nella Parola di Dio spunti di polemica, pensano di dimostrare indipendenza di pensiero e acutezza mentale. Presumono di valutare la Bibbia, mentre in realtà giudicano se stessi. Dimostrano di essere incapaci di apprezzare le verità divine relative all’eternità. Davanti alla grandezza della giustizia di Dio non provano alcun rispetto. Si affannano per ricercare ciò che non ha valore, manifestano una mentalità ristretta, una natura terrena e un cuore che non hanno la capacità di apprezzare Dio. Chi ha risposto all’appello divino, ricercherà ciò che permette di sviluppare la conoscenza di Dio, elevare e affinare il carattere. Come un fiore si volge verso il sole affinché i suoi raggi lo illuminino accordandogli bellissime sfumature, così lo spirito si volge al Sole di giustizia affinché la sua luce migliori il carattere con la grazia di Cristo. {GN 354.1}

Gesù continuò, tracciando un netto contrasto tra la posizione degli ebrei e quella di Abramo: “Abraamo, vostro padre, ha gioito nell’attesa di vedere il mio giorno; e l’ha visto, e se ne è rallegrato”. Versetto 56. {GN 354.2}

Abramo aveva tanto desiderato vedere il Salvatore promesso, aveva chiesto ardentemente di poter contemplare il Messia prima della sua morte e la sua preghiera venne esaudita. Gli fu concessa una visione in cui poté contemplare il carattere divino di Cristo. Vide il tempo della sua venuta e se ne rallegrò; poté scorgere il sacrificio divino per il peccato ed ebbe un esempio di questo sacrificio tramite la sua stessa esperienza. Gli era stato dato quest’ordine: “Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che ami... e offrilo là in olocausto”. Genesi 22:2. Pose sull’altare del sacrificio il figlio della promessa, il figlio nel quale si concentravano tutte le sue speranze. E mentre davanti all’altare alzava il coltello per ubbidire a Dio, udì una voce dal cielo che diceva: “Non stendere la mano contro il ragazzo, e non fargli male! Ora so che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato il tuo figlio, l’unico tuo”. Versetto 12. Abramo affrontò questa prova terribile e comprese la venuta di Cristo e il grande amore di Dio per il mondo, un amore così grande che per salvarlo permise che suo Figlio affrontasse una morte terribile. {GN 354.3}

Abramo imparò da Dio la più grande lezione mai appresa da un mortale. La sua preghiera di poter vedere Cristo prima della sua morte venne esaudita. Egli vide Cristo, vide tutto quello che un mortale può vedere e sopravvivere. Grazie all’ubbidienza incondizionata riuscì a comprendere la visione dell’esperienza di Cristo a cui aveva assistito. Gli fu mostrato che offrendo il suo unico Figlio per la salvezza dei peccatori, Dio compiva il più grande sacrificio che mai un uomo avrebbe potuto fare. {GN 354.4}

L’esperienza di Abramo era una risposta alla domanda: “Con che verrò in presenza del Signore e mi inchinerò davanti al Dio eccelso? Verrò in sua presenza con olocausti, con vitelli di un anno? Gardirà il Signore le migliaia di montoni, le miriadi di fiumi d’olio? Dovrò offrire il mio primogenito per la mia trasgressione, il frutto delle mie viscere per il mio peccato”. Michea 6:6, 7. Nelle parole di Abramo: “Figlio mio, Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto” (Genesi 22:8), e nel sacrificio sostitutivo, al posto di Isacco, si proclamava che nessun uomo può redimere se stesso. Dio non accettava il sistema pagano dei sacrifici. Nessun padre doveva offrire il proprio figlio o la propria figlia come sacrificio per il peccato. Il Figlio di Dio soltanto poteva espiare le colpe del mondo. {GN 355.1}

Attraverso il suo sacrificio, Abramo poté contemplare la missione e il sacrificio del Salvatore. Ma gli israeliti non capivano ciò che il loro cuore orgoglioso non gradiva. Le parole di Cristo relative ad Abramo non avevano nessun profondo significato per i suoi ascoltatori. I farisei trovarono in esse soltanto una nuova occasione per cavillare. Risposero con un sogghigno, come per mostrare che Gesù era fuori di sé: “Tu non hai ancora cinquant’anni e hai veduto Abramo?” Con solennità Gesù rispose: “In verità, in verità vi dico: prima che Abraamo fosse nato, io sono”. Giovanni 8:57, 58. {GN 355.2}

Ci fu un profondo silenzio. Il maestro di Galilea si era appropriato del nome di Dio, rivelato a Mosè per esprimere l’idea di una presenza eterna. Egli aveva dichiarato di essere colui che esiste per sé, colui che era stato promesso a Israele, “le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni”. Michea 5:1. {GN 355.3}

Di nuovo i sacerdoti e i rabbini accusarono Gesù di essere un bestemmiatore. La sua pretesa di essere una stessa cosa con Dio li aveva già spinti nel passato ad attentare alla sua vita, mentre alcuni mesi dopo essi diranno chiaramente: “Non ti lapidiamo per una buona opera, ma per bestemmia; e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”. Giovanni 10:33. Siccome era il Figlio di Dio, e dichiarava di esserlo, lo volevano uccidere. In quel momento molti, che parteggiavano per i sacerdoti e per i rabbini, raccolsero delle pietre per lapidarlo. “Ma Gesù si nascose ed uscì dal tempio”. Giovanni 8:59. “La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno sopraffatta”. Giovanni 1:5. {GN 355.4}

“Passando vide un uomo che era cieco fin dalla nascita. I suoi discepoli lo interrogarono, dicendo: Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco? Gesù rispose: Né lui ha peccato, né i suoi genitori; ma è così, affinché le opere di Dio siano manifestate in lui. Detto questo, sputò in terra, fece del fango con la saliva e ne spalmò gli occhi del cieco, e gli disse: Va’, lavati nella vasca di Siloe (che significa: mandato). Egli dunque andò, si lavò, e tornò che ci vedeva”. Giovanni 9:1-3, 6-7. {GN 355.5}

Gli ebrei generalmente credevano che il peccato fosse punito in questa vita. Ogni sofferenza era considerata come la punizione di qualche errore compiuto o da colui che soffriva o dai suoi genitori. È vero che ogni sofferenza è la conseguenza della trasgressione della legge di Dio, ma questa verità era stata alterata. Satana, l’autore del peccato e delle sue conseguenze, ha indotto gli uomini a pensare che la malattia e la morte siano state volute da Dio come una punizione arbitraria del peccato. Così chi soffriva molto, colpito da qualche grave sventura, doveva portare anche il peso di essere considerato un grande peccatore. {GN 356.1}

Questa concezione predisponeva gli ebrei a rifiutare Gesù. Colui che portava i nostri dolori e le nostre malattie, era spregiato, “pari a colui dinanzi al quale ciascuno si nasconde la faccia”. Isaia 53:3. {GN 356.2}

Eppure Dio aveva offerto un esempio perché il popolo non cadesse in questo errore. L’esperienza di Giobbe aveva dimostrato che l’autore della sofferenza è Satana, e che Dio la trasforma nella sua misericordia. Ma Israele non comprese quella lezione. Gli ebrei, rigettando Cristo, commisero lo stesso errore che Dio aveva rimproverato agli amici di Giobbe. {GN 356.3}

I discepoli condividevano l’opinione degli ebrei sulla relazione esistente tra peccato e sofferenza. Nel correggere questa concezione sbagliata, Gesù non spiegò le cause della sofferenza, ma ne indicò il risultato: affinché le opere di Dio fossero manifestate. Egli disse: “Mentre sono nel mondo, io sono la luce del mondo”. Giovanni 9:5. Poi, dopo aver spalmato gli occhi del cieco, lo mandò alla vasca di Siloe affinché si lavasse, e quell’uomo recuperò la vista. Così Gesù aveva risposto alla domanda dei discepoli in modo concreto, come spesso faceva per le domande che erano dettate esclusivamente dalla curiosità. I discepoli non dovevano discutere per sapere chi avesse peccato o chi non avesse peccato, ma semplicemente comprendere la potenza della misericordia di Dio che concedeva la vista ai ciechi. Era chiaro che il fango non possedeva nessuna virtù terapeutica, e neppure l’acqua con cui il cieco si era lavato. Questa virtù si trovava soltanto in Cristo. {GN 356.4}

Quella guarigione fece restare perplessi i farisei; ma essi manife starono ancora più il loro odio perché il miracolo era stato compiuto in giorno di sabato. {GN 356.5}

I vicini del giovane e coloro che sapevano della sua cecità, dicevano: “Non è questo colui che stava seduto a chieder l’elemosina?” Giovanni 9:8. Lo guardavano increduli, perché adesso ci vedeva; il suo aspetto era cambiato così tanto che sembrava un altro uomo. Tutti si ponevano la stessa domanda. Alcuni dicevano: “È lui”. Altri invece: “No, ma gli somiglia”. Ma colui che aveva ricevuto la grande grazia risolse il dubbio affermando: “Sono io”. Egli parlò allora di Gesù, della maniera in cui lo aveva guarito. “Ed essi gli dissero: Dov’è costui? Egli rispose: Non so”. Versetti 9-12. {GN 357.1}

Allora lo condussero dai farisei. Di nuovo gli fu chiesto come avesse recuperato la vista. “Ed egli disse loro: Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo. Perciò alcuni dei farisei dicevano: Quest’uomo non è da Dio perché non osserva il sabato”. Versetto 15. I farisei volevano dimostrare che Gesù era un peccatore e che quindi non poteva essere il Messia. Non sapevano che colui che aveva guarito quel cieco aveva anche stabilito l’osservanza del sabato. Essi, pur così zelanti, non avevano nessuno scrupolo di macchinare un assassinio in quel giorno. Ma molti, venendo a conoscenza di quel miracolo, si commossero e si convinsero che colui che aveva aperto gli occhi del cieco non poteva essere un uomo comune. In risposta all’accusa secondo cui Gesù era un peccatore, perché non osservava il sabato, essi dissero: “Come può un uomo peccatore far tali miracoli?” Di nuovo i rabbini si rivolsero al cieco miracolato e gli chiesero: “E tu, che dici di lui, dell’averti aperto gli occhi? Egli rispose: È un profeta”. I farisei allora dubitarono che fosse nato cieco e che avesse recuperato la vista. Fecero chiamare i suoi genitori e domandarono loro: “È questo vostro figlio che dite esser nato cieco?” Versetti 16-19. {GN 357.2}

Quell’uomo era davanti a loro, diceva di essere stato cieco e di aver recuperato la vista, ma i farisei preferivano negare l’evidenza piuttosto che ammettere di essersi sbagliati. Il pregiudizio può deformare la verità. {GN 357.3}

I farisei potevano ricorrere ancora a un altro stratagemma: quello di intimidire i genitori di quell’uomo. Con apparente ingenuità chiesero: “Com’è dunque che ora ci vede?” Versetto 19. I genitori temevano di compromettersi. Era stato detto che chiunque avesse riconosciuto Gesù come Cristo sarebbe stato espulso dalla sinagoga, cioè sarebbe stato escluso dalla sinagoga per trenta giorni. In quel periodo la famiglia dell’escluso non poteva né far circoncidere i bambini né onorare i morti. Quell’esclusione veniva considerata come una disgra zia e, se non sopraggiungeva il pentimento, si prevedeva una pena ancora maggiore. Il grande miracolo compiuto nel loro figlio aveva convinto quei genitori che, però, risposero: “Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda, non sappiamo, né sappiamo chi gli abbia aperti gli occhi; domandatelo a lui; egli è adulto, parlerà lui di sé”. Versetti 20, 21. Così essi scaricarono sul figlio tutta la responsabilità, perché non osavano riconoscere Cristo. {GN 357.4}

Davanti al dilemma in cui si dibattevano i farisei, di fronte al loro investigare, ai loro pregiudizi e alla loro incredulità, di fronte a questo evento molti, specialmente tra il popolo comune, cominciarono ad aprire gli occhi. Gesù aveva spesso compiuto dei miracoli in pubblico, e la sua opera mirava sempre ad alleviare la sofferenza. Molti si chiedevano come poteva essere corretta l’opinione dei farisei secondo cui Dio compiva opere potenti attraverso un impostore. La discussione diventava molto animata. {GN 358.1}

I farisei si resero conto che in questo modo pubblicizzavano l’opera compiuta da Gesù. Non potevano negare il miracolo. Il cieco manifestava gioia e gratitudine. Ora egli poteva contemplare le meraviglie della natura e riempirsi gli occhi delle bellezze della terra e del cielo. Siccome raccontava a tutti liberamente la sua esperienza, essi cercarono nuovamente di farlo tacere, e gli dissero: “Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quell’uomo è un peccatore”. Ciò significava: non dire più che quell’uomo ti ha dato la vista; è stato Dio che lo ha fatto. Ma il cieco rispose: “Se egli sia un peccatore, non so; una cosa so, che ero cieco e ora ci vedo. Essi allora gli dissero: Che cosa ti ha fatto? Come ti aprì gli occhi?” Versetti 24-26. Con tutte queste parole cercavano di confonderlo perché si disorientasse. Satana e i suoi angeli erano dalla parte dei farisei e unirono le loro forze e la loro astuzia ai ragionamenti umani per annullare l’efficacia dell’opera di Cristo. Essi volevano indebolire le convinzioni che si stavano formando in molte menti. Ma anche gli angeli di Dio erano presenti per incoraggiare l’uomo che aveva recuperato la vista. {GN 358.2}

I farisei pensavano di avere a che fare soltanto con quell’uomo ignorante che era nato cieco; non vedevano colui contro il quale lottavano. Una luce divina brillò nell’animo del miracolato. Mentre quegli ipocriti cercavano di indurlo all’incredulità, il Signore lo aiutò a mostrare con la forza e la prontezza delle sue risposte che non era stato ingannato. Egli disse: “Ve l’ho già detto e voi non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventar suoi discepoli anche voi? Essi lo insultarono e dissero: Sei tu discepolo di costui! Noi siamo discepoli di Mosè. Noi sappiamo che a Mosè Dio ha parlato; ma quanto a costui, non sappiamo di dove sia”. Giovanni 9:27-29. Il Signor Gesù sapeva che quell’uomo stava affrontando una dura prova; perciò gli accordò la sua grazia e la capacità di esprimersi in modo da essere un suo testimone. Egli rispose ai farisei con parole che costituivano un duro rimprovero alle loro domande. Pretendevano di essere gli interpreti delle Scritture, le guide religiose della nazione, mentre davanti a loro c’era qualcuno che compiva miracoli ed essi non ne riconoscevano né la potenza per la quale li compiva né il suo carattere né le sue dichiarazioni. {GN 358.3}

“Questo poi è strano” aggiunse quell’uomo “che voi non sappiate di dove sia; eppure mi ha aperto gli occhi! Si sa che Dio non esaudisce i peccatori; ma se uno è pio e fa la volontà di Dio, egli lo esaudisce. Da che mondo è mondo non si è mai udito che uno abbia aperto gli occhi a uno nato cieco. Se quest’uomo non fosse da Dio, non potrebbe far nulla”. Versetti 30-33. {GN 359.1}

Quell’uomo aveva affrontato i suoi inquisitori sul loro stesso terreno. Il suo ragionamento era irrefutabile. I farisei rimasero attoniti e silenziosi di fronte alle sue parole tanto sensate. Per alcuni attimi regnò un profondo silenzio. Poi i sacerdoti e i rabbini infuriati, come se temessero una contaminazione dal suo contatto, si cinsero le vesti, si scossero la polvere dai calzari e gridarono contro di lui: “Tu sei tutto quanto nato nel peccato e insegni a noi? E lo cacciaron fuori”. Versetto 34. {GN 359.2}

Gesù venne a sapere ciò che era accaduto. Trovò subito quell’uomo e gli disse: “Credi tu nel Figlio di Dio?” Versetto 35. {GN 359.3}

Per la prima volta quell’uomo, che era stato cieco, vide il volto di chi l’aveva guarito. Prima aveva visto i suoi genitori turbati e perplessi, poi le facce aggrottate dei rabbini, ora i suoi occhi scorgevano il volto affettuoso e sereno di Gesù. Aveva già riconosciuto, a suo rischio, che egli deteneva una potenza divina; adesso gli veniva offerta una rivelazione più ampia. {GN 359.4}

Alla domanda del Salvatore “Credi nel Figlio dell’uomo?”, quell’uomo rispose con un’altra domanda: “Chi è Signore, perché io creda in lui? Gesù gli disse: Tu l’hai già visto; è colui che parla con te, è lui”. Versetti 36, 37. E quell’uomo si gettò ai suoi piedi e l’adorò. Non solo aveva recuperato uno dei cinque sensi, ma anche la vista dello spirito. Aveva conosciuto Cristo e lo aveva accettato come l’inviato di Dio. {GN 359.5}

Un gruppo di farisei si era fermato nelle vicinanze. Nel vederli, Gesù pensò al diverso effetto delle sue parole e delle sue opere. Disse: “Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi”. Versetto 39. Cristo era venuto per aprire gli occhi ai ciechi, per offrire la luce a coloro che sono nelle tenebre. Egli aveva dichiarato di essere la luce del mondo e il miracolo appena compiuto era una testimonianza della sua missione. La folla che contemplava il Salvatore godeva della più completa manifestazione della presenza divina mai concessa prima al mondo. La conoscenza di Dio fu rivelata in modo perfetto. Ma questa rivelazione rappresentava un giudizio sugli uomini. Il loro carattere era messo alla prova e il loro destino fissato. {GN 359.6}

La manifestazione della potenza divina che aveva concesso al cieco la vista naturale e quella spirituale, aveva lasciato i farisei nelle tenebre più profonde. Alcuni fra gli ascoltatori, sentendo che le parole di Cristo si riferivano a loro, chiesero: “Siamo ciechi anche noi? Gesù rispose loro: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato”. Se Dio vi avesse resi incapaci di vedere la verità, la vostra ignoranza non implicherebbe colpa. “Ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”. Versetti 40, 41. Pensate di essere in grado di vedere e respingete i soli mezzi attraverso i quali potete ricevere la vista; mentre a tutti quelli che si rendono conto del loro stato di peccatori, Cristo offre il suo aiuto infinito. Ma i farisei non confessavano alcuna mancanza; si rifiutavano di rivolgersi a Cristo e quindi rimanevano nella cecità, una cecità della quale essi stessi erano responsabili. Gesù disse loro: “Il vostro peccato rimane”. {GN 360.1}



Capitolo 52: Il buon pastore

“Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre e do la mia vita per le {GN 361.1}

pecore”. Giovanni 10:11, 14, 15. {GN 361.2}

Gesù riuscì nuovamente a farsi comprendere dai suoi uditori servendosi di immagini a loro familiari. Egli aveva paragonato l’azione dello Spirito all’acqua fresca e dissetante. Aveva presentato se stesso come la luce, la fonte della vita e della felicità. Ora, con un magnifico quadro pastorale, illustrava le sue relazioni con coloro che credevano in lui e associava per sempre alla sua persona quella scena così familiare. In questo modo i suoi discepoli, ogni volta in cui avrebbero visto dei pastori, si sarebbero ricordati dell’insegnamento del Salvatore. Avrebbero scorto Cristo in ogni fedele pastore e avrebbero riconosciuto se stessi in ogni gregge bisognoso di aiuto e di guida. {GN 361.3}

Già il profeta Isaia aveva applicato quest’immagine alla missione del Messia e aveva usato parole piene di consolazione: “Tu che porti la buona notizia a Sion, sali sopra un alto monte! Tu che porti la buona notizia a Gerusalemme, alza forte la voce! Alzala, non temere! Di’ alle città di Giuda: Ecco il vostro Dio! Come un pastore, egli pascerà il suo gregge; raccoglierà gli agnelli in braccio, li porterà sul petto”. Isaia 40:9, 11. Davide aveva cantato: “Il Signore è il mio pastore, nulla mi manca”. Salmi 23:1. Lo Spirito Santo aveva dichiarato tramite Ezechiele: “Porrò sopra di esse un solo pastore che le pascolerà. Io cercherò la perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, rafforzerò la malata. Stabilirò con esse un patto di pace. Non saranno più preda delle nazioni. ma se ne staranno al sicuro, senza che nessuno più le {GN 361.4}

spaventi”. Ezechiele 34:23, 16, 25, 28. {GN 361.5}

Gesù applicò a se stesso quelle profezie e sottolineò il contrasto tra il suo carattere e quello dei capi d’Israele. I farisei avevano appena allontanato dal gregge un uomo che aveva osato rendere testimonianza alla potenza di Cristo e che il vero Pastore aveva cercato di attirare a sé. Dimostravano così di ignorare l’opera loro affidata e di essere indegni della fiducia riposta in loro come pastori del gregge. {GN 361.6}

Gesù parlò dell’atteggiamento diverso del buon pastore e indicò se stesso come il vero custode del gregge del Signore. Prima ancora di parlare di ciò aveva applicato a se stesso un’immagine diversa. {GN 362.1}

Aveva detto che: “chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore”. Giovanni 10:1, 2. I farisei non compresero che quelle parole erano rivolte a loro. Mentre stavano pensando al loro significato, Gesù disse chiaramente: “Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato, entrerà e uscirà, e troverà pastura. Il ladro non viene se non per rubare, ammazzare e distruggere; io son venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Versetti 9, 10. {GN 362.2}

Cristo è la porta dell’ovile divino. Per quella porta sono entrati tutti i suoi figli, in tutte le epoche. In Gesù, raffigurato nei tipi e nei simboli, rivelato dai profeti e annunciato negli insegnamenti impartiti ai discepoli e nei miracoli compiuti per gli uomini, essi hanno potuto contemplare “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” (Giovanni 1:29), grazie al quale sono entrati nell’ovile della grazia. Molti altri hanno cercato di orientare altrove la fede del mondo, escogitando cerimonie e sistemi attraverso i quali gli uomini potessero ricevere la giustificazione e la pace con Dio ed entrare così a far parte del suo gregge. Ma l’unica porta è Cristo, e tutti quelli che tentano di sostituirlo ed entrare nell’ovile in un altro modo, sono ladri e briganti. {GN 362.3}

I farisei non erano entrati attraverso la porta. Non essendo entrati nell’ovile attraverso Cristo, non stavano facendo l’opera del vero pastore. I sacerdoti, i capi, gli scribi e i farisei distruggevano i pascoli verdeggianti e inquinavano le sorgenti dell’acqua della vita. La parola profetica descrive con chiarezza quei falsi pastori: “Voi non avete fortificato le pecore deboli, non avete guarito la malata, non avete fasciato quella che era ferita, non avete ricondotto la smarrita. ma avete dominato su di loro con violenza e con asprezza”. Ezechiele 34:4. {GN 362.4}

In tutti i tempi, filosofi e pensatori hanno formulato delle teorie per soddisfare l’animo umano. Ogni popolo pagano ha avuto i suoi grandi maestri e i suoi sistemi religiosi per offrire agli uomini una salvezza diversa da quella di Cristo, per distogliere l’attenzione degli uomini da Dio e per sostituire, nei loro cuori, la fiducia con la paura. Lo scopo di quei sistemi è togliere a Dio ciò che gli appartiene per diritto di creazione e redenzione. Quei falsi maestri impoveriscono gli uomini. Milioni di esseri umani sono oppressi da false religioni, schiavi di un timore servile e di una stolta indifferenza, mentre faticano come bestie da soma prive, nel presente, di speranza, gioia e aspirazioni, e sopraffatte da una vaga inquietudine per il futuro. Solo il Vangelo della grazia di Dio può elevare lo spirito. La contemplazione dell’amore di Dio, manifestato attraverso suo Figlio, riesce più di ogni altra cosa a toccare il cuore e a ridestare le forze spirituali. Gesù è venuto per ristabilire nell’uomo l’immagine di Dio e chiunque distoglie gli uomini da lui, li distoglie dalla fonte del vero sviluppo, li priva della speranza, dello scopo e della gloria della vita, egli è un ladro e un brigante. {GN 362.5}

“Colui che entra per la porta è pastore delle pecore”. Gesù è la porta e il pastore. Egli entra passando attraverso se stesso. Tramite il suo sacrificio diventa il pastore del gregge. “A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce”. Giovanni 10:3, 4. {GN 363.1}

La pecora è uno degli animali più timidi e indifesi e in Oriente il pastore ha una cura instancabile per il suo gregge. Un tempo non si era molto al sicuro fuori dalle mura delle città. Predoni appartenenti a tribù nomadi o bestie feroci nascoste nelle tane fra le rocce stavano sempre in agguato per assalire il gregge. Il pastore vegliava sulle pecore a rischio della propria vita. Giacobbe diceva, parlando del duro lavoro compiuto quando custodiva le greggi di Labano: “Di giorno, mi consumava il caldo; di notte, il gelo; il sonno fuggiva dagli occhi miei”. Genesi 31:40. Mentre si occupava del gregge del padre, Davide strappò con le sue mani al leone e all’orso l’agnello che gli avevano rubato. {GN 363.2}

Il pastore identifica a poco a poco la sua vita con quella delle pecore quando le conduce sulle colline rocciose, nei prati erbosi, lungo i fiumi, attraverso boschi e gole selvagge, e quando le custodisce sui monti durante le notti solitarie, difendendole dai briganti e curando teneramente quella malata e quella debole. Si sente unito da un legame forte e tenero a quegli animali che sono oggetto delle sue cure. Anche se il gregge è numeroso, il pastore conosce tutte le pecore. Ognuna ha il suo nome e risponde al richiamo del pastore. {GN 363.3}

Come un pastore terreno conosce le sue pecore, così il divino Pastore conosce il suo gregge sparso in tutto il mondo. “Voi, pecore mie, pecore del mio pascolo, siete uomini. Io sono il vostro Dio, dice il Signore”. Ezechiele 34:31. Gesù può dire: “Ti ho chiamato per nome; tu sei mio!” (Isaia 43:1); “Io ti ho scolpito sulle palme delle mie mani”. Isaia 49:16. {GN 363.4}

Gesù conosce ognuno di noi personalmente e simpatizza con le nostre debolezze. Egli ci conosce per nome. Conosce la casa in cui viviamo e il nome di tutti coloro che vi abitano. A volte ha inviato i suoi discepoli in una determinata città, in una certa strada, in una certa casa per trovare una pecora del suo gregge. {GN 363.5}

Gesù conosce ogni anima così bene, come se fosse la sola per la quale è morto. Il dolore per ognuna di loro colpisce il suo cuore e l’invocazione di aiuto perviene alle sue orecchie. Egli è venuto per attirare tutti gli uomini a sé; li invita, mentre il suo Spirito opera nei loro cuori affinché lo seguano. Molti, purtroppo, rifiutano e Gesù li conosce. Ma conosce anche coloro che ascoltano volentieri la sua voce e sono pronti ad affidarsi alla sua cura pastorale. “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Giovanni 10:27. Egli si occupa di ognuna di loro, come se fosse l’unica su tutta la faccia della terra. {GN 364.1}

“Egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce”. Versetti 3, 4. Il pastore in Oriente non sospinge le pecore e non ricorre alla forza o alla paura, ma va avanti e le chiama. Esse conoscono la sua voce e ubbidiscono al suo richiamo. Il buon Pastore agisce nella stessa maniera verso le pecore. Le Scritture affermano: “Tu guidasti il tuo popolo come un gregge, per mano di Mosè e d’Aaronne”. Salmi 77:20. Gesù dichiara tramite i profeti: “Io ti amo d’un amore eterno; perciò ti prolungo la mia bontà”. Geremia 31:3. Non costringe nessuno a seguirlo, ma afferma: “Io li attiravo con corde umane, con legami d’amore”. Osea 11:4. {GN 364.2}

Chi segue Gesù non lo fa per paura del castigo o per la speranza della ricompensa eterna. Egli contempla l’amore puro del Salvatore come si è manifestato nella sua vita terrena, dalla mangiatoia di Betlemme sino alla croce del Calvario, e quella visione intenerisce e conquista il cuore. Così nasce l’amore. Ha udito la sua voce e lo segue. {GN 364.3}

Come il pastore precede il gregge e affronta per primo i pericoli del cammino, così Gesù si comporta con il suo popolo. “Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro”. Giovanni 10:4. La via che conduce al cielo è stata consacrata dalle impronte del Salvatore. Il sentiero può essere ripido e difficile, ma Gesù ha già percorso quella strada; i suoi piedi hanno calpestato le spine affinché il cammino fosse più agevole per noi. Egli stesso ha già portato ogni peso che noi siamo chiamati a portare. {GN 364.4}

Gesù, sebbene sia asceso al cielo alla presenza di Dio e condivida il trono dell’universo, nutre la stessa compassione che aveva in passato. Anche oggi considera tutte le sventure dell’umanità con la stessa tenerezza e simpatia. Quella mano che è stata trafitta, è aperta per riversare con abbondanza le sue benedizioni sul suo popolo di sperso nel mondo. “Non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano”. Giovanni 10:28. Gesù considera chi si affida a lui più prezioso del mondo intero. Il Salvatore sarebbe disposto, per salvare un uomo e introdurlo nel suo regno, a passare di nuovo attraverso l’agonia del Calvario. Non abbandonerà mai nessuno per il quale è morto. Finché i suoi discepoli non decidono di lasciarlo, egli li sostiene. {GN 364.5}

In tutte le prove abbiamo un Salvatore il cui aiuto non verrà mai meno. Egli non ci lascia soli nella lotta contro la tentazione, nella battaglia contro il male e non permette che siamo schiacciati dalle preoccupazioni e dai dolori. Sebbene gli occhi terreni non possano vederlo, l’orecchio della fede può udirlo, mentre ci incoraggia a non avere paura perché egli è con noi. “Io sono. il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli”. Apocalisse 1:18. Io ho provato i vostri dolori, ho affrontato le vostre lotte e le vostre tentazioni. Conosco le vostre lacrime, perché anch’io ho pianto. Conosco i tormenti interiori che non si possono raccontare a nessuno. Non abbattetevi al pensiero della solitudine. Sebbene nessuno sulla terra possa comprendere il vostro dolore, pensate a me e vivrete. “Anche se i monti si allontanassero e i colli fossero rimossi, l’amore mio non si allontanerà da te, né il mio patto di pace sarà rimosso, dice il Signore, che ha pietà {GN 365.1}

di te”. Isaia 54:10. {GN 365.2}

Per quanto un pastore ami il suo gregge, prova però un amore più grande per i suoi figli e le sue figlie. Gesù non è soltanto il nostro pastore, ma è anche il nostro “Padre eterno”. Egli dice: “Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie mi conoscono, come il Padre mi conosce ed io conosco il Padre”. Quale consolante dichiarazione! La comunione che esiste fra lui — il Figlio unico, che è una cosa sola con il Padre, colui che Dio ha chiamato “l’uomo che mi è compagno” (Zaccaria 13:7) — e il Dio eterno, è considerata come un’immagine della comunione fra Cristo e i suoi figli sulla terra. {GN 365.3}

Gesù ci ama perché noi siamo il dono di suo Padre e la ricompensa della sua opera. Egli ci ama come figli. Lettore, lui ti ama. Il cielo intero non può accordare niente di più grande, niente di più bello. Perciò abbi fiducia. {GN 365.4}

Gesù pensa a tutti gli uomini che sulla terra sono stati sviati dai falsi pastori. Riferendosi a coloro che vorrebbe raccogliere nel suo ovile e che sono dispersi fra i lupi, egli dice: “Ho anche altre pecore, che non sono di quest’ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita, per riprenderla {GN 365.5}

poi”. Giovanni 10:16, 17. {GN 365.6}

Con queste parole Gesù voleva dire che il Padre ha tanto amato gli uomini e ama ancora di più suo Figlio che ha dato la sua vita per la loro redenzione. Diventando il loro sostituto e il loro garante, rinunciando alla sua vita, prendendo su di sé le loro debolezze e le loro trasgressioni, egli è diventato più caro allo stesso Padre. {GN 366.1}

“Io depongo la mia vita, per riprenderla poi. Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla”. Versetti 17, 18. Gesù, come membro della famiglia umana, era mortale; ma come Dio, era fonte di vita per tutto il mondo. Egli sarebbe potuto sfuggire alla morte e rifiutarsi di sottoporsi al suo dominio, ma volontariamente rinunciò alla propria vita per offrire l’immortalità. Egli portò il peccato del mondo, ne accettò la maledizione, rinunciò alla vita, affinché gli uomini non subissero la morte eterna. “Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui s’era caricato. Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il Signore ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti”. Isaia 53:4-6. {GN 366.2}



Capitolo 53: La partenza definitiva dalla Galilea

Siccome si avvicinava la fine del suo ministero, Gesù cambiò metodo di lavoro. Nel passato aveva cercato di evitare le manifestazioni di entusiasmo da parte della folla e, quando non gli era possibile contenerle, se ne andava in un altro luogo. Più volte aveva raccomandato di non far sapere che era Cristo. In occasione della festa delle Capanne era salito a Gerusalemme in segreto. Quando i suoi fratelli insistettero perché si manifestasse pubblicamente come Messia, rispose: “Il mio tempo non è ancora venuto”. Giovanni 7:6. Per questa ragione fece il viaggio fino a Gerusalemme senza farsi notare, ed entrò nella città senza preavviso e senza ricevere onori dalla folla. Ma non fu così in occasione del suo ultimo viaggio. Aveva lasciato Gerusalemme per un periodo di tempo, a causa dell’odio dei sacerdoti e dei rabbini. Ma ora viaggiava senza nascondersi, passando dai centri principali e facendosi preannunciare, cosa che non aveva mai fatto in passato. Si dirigeva verso la scena del suo grande sacrificio, a cui tutto il popolo doveva volgere la propria attenzione. “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato”. Giovanni 3:14. {GN 367.1}

Come gli occhi di tutti gli israeliti si erano volti verso il serpente innalzato nel deserto, simbolo della loro guarigione, così tutti gli occhi dovevano volgersi verso Cristo, la vittima che con il suo sacrificio assicura la salvezza al mondo. I suoi fratelli, poiché avevano una concezione sbagliata dell’opera del Messia e non credevano nella divinità di Gesù, avevano insistito perché egli si presentasse pubblicamente al popolo durante la festa delle Capanne. Con uno spirito simile i discepoli, ricordando le sue parole intorno a ciò che gli sarebbe accaduto e conoscendo l’ostilità irriducibile dei capi religiosi, volevano dissuadere il loro Maestro ad andarvi. Era penoso per Gesù andare avanti nonostante i timori, le delusioni e l’incredulità dei suoi discepoli. Era duro condurli verso l’angoscia e la disperazione che li attendevano a Gerusalemme. Satana era anche vicino per rivolgere la sua tentazione contro il Figlio dell’uomo. Perché andare a Gerusalemme incontro a una morte certa? Ovunque vi erano persone desiderose del pane della vita. Ovunque i sofferenti attendevano le sue parole di guarigione. L’opera di diffusione del Vangelo della grazia era appena iniziata ed egli era ancora nel pieno vigore delle sue forze. Perché non portare le sue parole di grazia e la sua potenza di guarigione nei vasti paesi del mondo? Perché non assaporare la gioia di offrire la luce e la felicità a quei milioni di esseri che vivevano nelle tenebre e nel dolore? Perché lasciare la cura del raccolto solo ai discepoli, così deboli nella fede, così duri a comprendere, così lenti ad agire? Perché andare incontro alla morte e abbandonare l’opera appena iniziata? Il nemico che aveva affrontato Cristo nel deserto riproponeva in quel momento le sue forti e sottili tentazioni. Se Gesù avesse ceduto solo per un attimo, se per salvarsi avesse modificato il suo atteggiamento, gli emissari di Satana avrebbero trionfato e il mondo sarebbe stato perduto. {GN 367.2}

Ma “Gesù si mise risolutamente in cammino per andare a Gerusalemme”. Luca 9:51. La sola legge della sua vita era la volontà del Padre. Nella visita che fece al tempio quand’era bambino, disse a Maria: “Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?” Luca 2:49. A Cana, quando Maria desiderava che egli manifestasse la sua straordinaria potenza, rispose: “L’ora mia non è ancora venuta”. Giovanni 2:4. Con le stesse parole rispose ai fratelli che insistevano perché andasse alla festa. Nel grande piano di Dio era stata fissata un’ora in cui Gesù avrebbe offerto se stesso per i peccati degli uomini, e quell’ora sarebbe presto suonata. Allora, non si sarebbe tirato indietro e non avrebbe vacillato. I suoi passi si dirigevano verso Gerusalemme dove i suoi nemici avevano a lungo complottato contro la sua vita; là l’avrebbe sacrificata. Si diresse con coraggio verso la persecuzione, il rinnegamento, il rigetto, la condanna, la morte. {GN 368.1}

“Mandò davanti a sé de’ messaggeri, i quali, partiti, entrarono in un villaggio dei Samaritani per preparargli un alloggio”. Luca 9:52. Ma gli abitanti si rifiutarono di riceverlo perché era diretto verso Gerusalemme. Si rifiutarono perché Gesù manifestava preferenza per i giudei, verso cui essi nutrivano un odio profondo. Se Gesù fosse venuto per restaurare il loro tempio e adorare sul monte Garizim, lo avrebbero accolto volentieri; ma siccome andava a Gerusalemme, non vollero ospitarlo. Non si rendevano conto che respingevano dalla loro città il più eccelso dono del cielo. Gesù chiedeva agli uomini ospitalità, domandava loro un favore per essere più vicino a loro e per riversare su loro le sue ricche benedizioni. Per ogni favore ricevuto, egli contraccambiava con una preziosissima grazia. Ma i samaritani, per i loro pregiudizi e il loro fanatismo, persero tutte quelle benedizioni. {GN 368.2}

Giacomo e Giovanni, che Gesù aveva inviato come suoi messaggeri, si indignarono moltissimo per l’affronto rivolto al loro Signore. Non potevano ammettere che Cristo venisse trattato così duramente da quei samaritani che aveva onorato con la sua presenza. Quei discepoli erano stati poco prima con lui sul monte della trasfigurazione; lo avevano visto mentre la gloria di Dio scendeva su lui e riceveva gli onori di Mosè ed Elia. Pensarono che si doveva punire severamente quel disprezzo così apertamente manifestato. Riferirono a Gesù che quei samaritani si erano rifiutati di ospitarlo anche per una sola notte. Ritenevano che gli fosse stato fatto un grave torto e, scorgendo in distanza il monte Carmelo dove Elia aveva sgozzato i falsi profeti, chiesero: “Vuoi che diciamo che un fuoco scenda dal cielo e li consumi?” Luca 9:54. Si stupirono vedendo il dolore di Gesù per quelle parole e più ancora per il suo rimprovero: “Voi non sapete di quale spirito voi siete. Conciossiaché il Figliuol dell’uomo non sia venuto per perder le anime degli uomini, anzi per salvarle. E andarono in un altro castello”. Versetti 55, 56 (Diodati). Gesù non costringe mai gli uomini ad accettarlo. {GN 369.1}

Solo Satana e gli uomini guidati dal suo spirito opprimono le coscienze. Con il pretesto dello zelo per la giustizia, fanno soffrire altri uomini per convertirli alle loro idee religiose, mentre Cristo dimostra sempre misericordia e cerca di conquistare gli uomini con la manifestazione del suo amore. Gesù non tollera nessun rivale nella sua opera in favore degli uomini; inoltre non accetta un servizio parziale, ma desidera un servizio volontario, la spontanea consacrazione del cuore motivato dell’amore. La tendenza a danneggiare e a distruggere coloro che non apprezzano la nostra opera o agiscono contro le nostre idee, è la prova più evidente che possediamo lo spirito di Satana. {GN 369.2}

Ognuno, nella totalità del suo essere, anima e spirito, è proprietà di Dio. Cristo è morto per redimere tutti. Niente addolora di più Dio del vedere uomini che per fanatismo religioso fanno soffrire coloro che sono stati riscattati con il grande sacrificio del Salvatore. “Poi, partì di là e se ne andò nei territori della Giudea e oltre il Giordano. Di nuovo si radunarono presso di lui delle folle; e di nuovo egli insegnava loro come era solito fare”. Marco 10:1. {GN 369.3}

Gesù trascorse la maggior parte degli ultimi mesi del suo ministero in Perea, una provincia che si trovava, rispetto alla Giudea, “oltre il Giordano”. Si riunivano intorno a lui folle come all’inizio del suo ministero in Galilea; e Gesù ripeteva gran parte dei suoi primi insegnamenti. {GN 369.4}

Come aveva inviato i dodici, “il Signore designò altri settanta discepoli e li mandò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove egli stesso stava per andare”. Luca 10:1. Quei discepoli erano stati per un po’ di tempo con lui e così si erano preparati per il ministero. Quando i dodici vennero inviati per la prima missione, altri discepoli accompagnarono Gesù nel suo viaggio attraverso la Galilea, così ebbero il privilegio di trovarsi intimamente associati con lui e ascoltare i suoi insegnamenti. Quel gruppo più numeroso doveva andare a svolgere un’altra missione. {GN 370.1}

Le indicazioni date ai settanta erano simili a quelle già rivolte ai dodici, con la differenza che non venne loro vietato di entrare in alcuna città dei pagani o dei samaritani. Sebbene Gesù fosse stato appena respinto dai samaritani, il suo amore per loro restava immutato. Quando i settanta partirono nel suo nome, si recarono innanzi tutto a visitare le città della Samaria. {GN 370.2}

I discepoli ricordavano, come eventi molto importanti, la visita di Gesù in Samaria, l’elogio del buon samaritano e la gioia riconoscente di quel lebbroso che, il solo dei dieci guariti, tornò per ringraziare Cristo. Quella lezione era penetrata profondamente nei loro cuori. Nel mandato che dette loro prima dell’ascensione, Gesù citò la Samaria con Gerusalemme e la Giudea come i luoghi dove innanzi tutto doveva essere predicato il messaggio del Vangelo. Il suo insegnamento li aveva preparati ad adempiere quel mandato. E quando si recarono in Samaria in nome del Maestro, trovarono che il popolo era pronto a riceverli. {GN 370.3}

I samaritani avevano udito le parole di lode di Gesù e avevano visto le sue opere di misericordia in favore di uomini del loro popolo; si erano accorti che, nonostante la durezza con cui lo avevano trattato, egli nutriva nei loro confronti sentimenti di amore, e così i loro cuori furono conquistati. Dopo l’ascensione di Gesù accolsero con gioia i suoi messaggeri e i discepoli poterono raccogliere una messe abbondante fra coloro che una volta erano stati loro nemici accaniti. “Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante; manifesterà la giustizia secondo verità” (Isaia 42:3); “E nel nome di lui le genti spereranno”. Matteo 12:21. {GN 370.4}

Quando Gesù inviò i settanta, ordinò loro, come aveva fatto ai dodici, di non restare dove la loro presenza non era gradita. “Ma in qualunque città entriate, se non vi ricevono, uscite sulle piazze e dite: Perfino la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scotiamo contro di voi; sappiate tuttavia questo, che il regno di Dio si è avvicinato a voi”. Luca 10:10, 11. Non dovevano agire così per ché mossi da risentimenti o da dignità offesa, ma solo per mostrare la gravità del rifiuto dei messaggi del Signore e dei suoi messaggeri. Respingere i messaggeri del Signore è come respingere Cristo stesso. {GN 370.5}

Gesù aggiunse: “Io vi dico che in quel giorno la sorte di Sodoma sarà più tollerabile della sorte di quella città”. Luca 10:12. Poi pensò alle città della Galilea dove aveva trascorso molto tempo del suo ministero, e con parole di profondo dolore esclamò: “Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida; perché se in Tiro e in Sidone fossero state fatte le opere potenti compiute tra di voi, già da tempo si sarebbero ravvedute, prendendo il cilicio e sedendo nella cenere. Perciò, nel giorno del giudizio, la sorte di Tiro e di Sidone sarà più tollerabile della vostra. E tu, o Capernaum, sarai forse innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino {GN 371.1}

all’Ades!” Versetti 13-15. {GN 371.2}

Le più ricche benedizioni del cielo erano state generosamente offerte a quelle operose città che sorgevano intorno al mar di Galilea. Giorno dopo giorno il Principe della vita si era trattenuto in mezzo a loro. La gloria di Dio che profeti e re avevano desiderato vedere, aveva brillato sulle folle che si raccoglievano intorno al Salvatore. Ma esse avevano rigettato il dono del cielo. {GN 371.3}

Con molta prudenza i rabbini avevano avvertito il popolo contro le dottrine insegnate da quel nuovo maestro che, essi dicevano, erano contrarie alle tradizioni trasmesse dai padri. Il popolo aveva fiducia in quello che insegnavano i sacerdoti e i farisei e trascurava lo studio diretto della Parola di Dio. Anteponevano il rispetto dei sacerdoti e dei capi a quello di Dio e, pur di conservare le proprie tradizioni, respingevano la verità. Molti avevano ricevuto un’impressione favorevole delle nuove dottrine ma, sebbene quasi convinti, non agirono di conseguenza e non si schierarono per Gesù. Satana inoltre offuscò la loro comprensione tanto che non riuscivano a riconoscere la luce. Così molti respinsero la verità che avrebbe assicurato loro salvezza. {GN 371.4}

Il Testimone fedele dice: “Ecco, io sto alla porta e picchio”. Apocalisse 3:20. Ogni esortazione e ogni rimprovero rivolti dalla Parola di Dio o dai suoi messaggeri sono simboleggiati dal gesto del bussare alla porta del cuore. È la voce di Gesù che chiede di entrare. Ogni rifiuto rende sempre più scarse le possibilità di aprire. Se la voce dello Spirito non viene ascoltata, sarà sempre meno avvertita. Il cuore perderà la sua sensibilità e sarà inconsapevole della brevità della vita e dell’eternità futura. Se saremo condannati nel giorno del giudizio, lo saremo non per la nostra ignoranza, ma per la trascuratezza delle occasioni offerte dal cielo per conoscere la verità. I settanta, come gli apostoli, avevano ricevuto una potenza divina come segno della loro missione. Alla fine del loro lavoro, tornarono con gioia dicendo: “Signore, anche i demòni ci sono sottoposti nel tuo nome”. Ed egli disse loro: “Io vedevo Satana cadere dal cielo come folgore”. Luca 10:18. {GN 371.5}

Gesù contemplò con la sua mente gli eventi del passato e quelli del futuro. Rivide Lucifero quando per la prima volta fu scacciato dal cielo. Contemplò le scene future della sua stessa agonia, quando il carattere di quell’impostore si sarebbe manifestato davanti a tutto l’universo. Sentì il grido: “È compiuto!” (Giovanni 19:30), testimonianza che la redenzione dell’umanità perduta era ormai assicurata e che il cielo era per sempre al sicuro contro le accuse, gli inganni e le pretese di Satana. Oltre alla croce del Calvario, con il suo obbrobrio e la sua sofferenza, Gesù contemplò il grande giorno del giudizio finale quando il principe della potenza delle tenebre sarebbe stato distrutto sulla terra, a lungo contaminata dalla sua ribellione. Gesù vide la fine del male e il trionfo della pace di Dio sulla terra e nel cielo. Da quel momento i discepoli di Cristo dovevano considerare Satana come un nemico vinto. Sulla croce Gesù avrebbe riportato per loro la vittoria, quella vittoria che essi dovevano accettare come propria. Disse loro: “Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e su tutta la potenza del nemico; nulla potrà farvi del male”. Luca 10:19. L’onnipotenza dello Spirito Santo è la salvaguardia di ogni uomo pentito. Gesù non permetterà che chi si pente e con fede implora la sua protezione, cada in potere del nemico. Il Salvatore è accanto a coloro che si trovano nella tentazione e nella prova. Con la sua presenza non c’è da temere né insuccesso né perdita né difficoltà né sconfitta. Tutto può essere fatto con la sua potenza che fortifica. Quando la tentazione e le prove sopraggiungono, non cercate di fare tutto da soli, ma rivolgetevi a Gesù, il liberatore. {GN 372.1}

Vi sono dei cristiani che si preoccupano e parlano troppo della potenza di Satana. Pensano al loro avversario, lo citano nelle preghiere, parlano di lui, e la sua figura si ingrandisce nella loro immaginazione. È vero che Satana è potente ma, grazie a Dio, noi abbiamo un Salvatore ancora più potente che ha scacciato il male dal cielo. Satana è lieto quando noi esaltiamo la sua potenza, ma perché non parliamo piuttosto di Gesù? Perché non esaltiamo la sua potenza e il suo amore? {GN 372.2}

L’arcobaleno della promessa che circonda il trono divino è una testimonianza eterna del fatto che “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”. Giovanni 3:16. Esso è una testimonianza per l’universo intero del fatto che Dio non dimentica mai il suo popolo nella lotta contro il male. Esso ci assicura forza e protezione per tutto il tempo in cui durerà il trono stesso di Dio. Gesù aggiunse: “Tuttavia, non vi rallegrate perché gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Luca 10:20. Non rallegratevi per la potenza che possedete, che potrebbe farvi correre il rischio di dimenticarvi della vostra dipendenza da Dio. Vegliate affinché non sorga in voi un sentimento di autosufficienza e non lavoriate confidando nelle vostre forze piuttosto che nello Spirito e nella forza del vostro Maestro. Il proprio io è sempre pronto ad attribuirsi il merito del successo e in tal caso si affievolisce il concetto dell’onnipotenza di Dio. L’apostolo Paolo afferma: “Quando sono debole, allora sono forte”. 2 Corinzi 12:10. {GN 372.3}

Quando ci rendiamo conto della nostra debolezza, impariamo a confidare in un potere che non risiede in noi. Niente può maggiormente agire sul nostro cuore del senso costante della nostra responsabilità di fronte a Dio. Niente influisce di più sul nostro comportamento della certezza del perdono offerto dall’amore di Cristo. Noi dobbiamo entrare in comunione con Dio per essere riempiti del suo Santo Spirito e diventare capaci di amare il nostro prossimo. {GN 373.1}

Rallegratevi perché attraverso Cristo avete comunione con Dio e diventate membri della famiglia divina. Se guardate in alto, acquistate una maggiore consapevolezza della debolezza umana; pensate meno al vostro io e maggiormente all’eccellenza del vostro Salvatore. Più vi accosterete alla Fonte della luce e della potenza, più grande sarà la luce e la potenza che riceverete per compiere l’opera di Dio. Rallegratevi di essere uno con Dio, con Cristo e con l’intera famiglia del cielo. Mentre i settanta ascoltavano le parole di Gesù, lo Spirito Santo inculcava nelle loro menti le realtà viventi e scriveva nei loro cuori le verità di Dio. Benché fossero circondati dalla folla, si sentivano in comunione intima con Dio. Avendo visto che avevano compreso lo spirito del suo insegnamento, “Gesù, mosso dallo Spirito Santo, esultò e disse: Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli! Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno sa chi è il Figlio, se non il Padre; né chi è il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo”. Luca 10:21, 22. {GN 373.2}

Gli uomini che il mondo onora, quelli considerati grandi e sapienti, non hanno potuto, nonostante la loro saggezza, comprendere il carattere di Cristo. Essi lo hanno giudicato dalla sua apparenza, dall’umiltà che lo caratterizzava come uomo. Ma ai pescatori e ai pubblicani era concesso il privilegio di scorgere l’Invisibile. Persino i discepoli non riuscivano a comprendere tutto quello che Gesù voleva rivelare loro; ma di tanto in tanto, quando beneficiavano della potenza dello Spirito Santo, le loro menti s’illuminavano. Comprendevano che il Dio onnipotente, rivestito di umanità, era in mezzo a loro. Gesù si rallegrava perché quella conoscenza non era stata rivelata ai savi e agli intelligenti, ma agli umili. Quando Gesù presentava le profezie dell’Antico Testamento e ne dimostrava l’adempimento nella sua persona e nella sua opera, si sentivano scossi dal suo Spirito e introdotti nell’atmosfera del cielo. Capivano le verità spirituali annunciate dai profeti addirittura meglio di come le avevano comprese i loro stessi autori. Così leggevano gli scritti dell’Antico Testamento non come le dottrine degli scribi e dei farisei, non come le dichiarazioni di antichi saggi, ma come una nuova rivelazione di Dio. Lo contemplavano come colui “che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in {GN 373.3}

voi”. Giovanni 14:17. {GN 374.1}

L’unico modo per giungere a una piena conoscenza della verità è di avere un cuore sensibile e sottomesso allo Spirito di Cristo. È necessario che lo spirito si purifichi dalla vanità e dall’orgoglio, che si liberi da tutto ciò che lo avvilisce, e che Cristo vi si stabilisca come Signore. La mente umana è troppo limitata per comprendere pienamente la natura del piano della salvezza che ha una portata troppo vasta per essere spiegato dalla filosofia. I ragionamenti più profondi non potranno comprenderlo pienamente. La scienza della salvezza non può essere spiegata, ma si può conoscerla tramite l’esperienza. Solo coloro che si rendono conto della propria colpevolezza possono apprezzare il Salvatore nel suo giusto valore. Gesù impartì ai discepoli lezioni utilissime mentre percorreva lentamente il cammino verso Gerusalemme. La folla ascoltava attentamente le sue parole. Gli abitanti della Perea e della Galilea erano meno oppressi, di quelli della Giudea, dal fanatismo ebraico e accolsero spontaneamente gli insegnamenti del Maestro. {GN 374.2}

Durante quegli ultimi mesi del suo ministero, Gesù insegnò molte delle sue parabole. Siccome i sacerdoti e i rabbini lo perseguitavano con sempre maggiore asprezza, nascose i suoi avvertimenti tramite il simbolismo. Essi non potevano non afferrare il significato di quello che diceva, ma nello stesso tempo le sue parole non offrivano nessun appiglio alle loro accuse. Nella parabola del fariseo e del pubblicano, l’orgogliosa preghiera: “O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini” era in stridente contrasto con la supplica del peccatore pentito: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!” Luca 18:11, 13. Così Gesù rimproverava l’ipocrisia degli ebrei. Con l’immagine del fico sterile e quella del gran convito, predisse il giudizio che si sarebbe abbattuto su quella nazione impenitente. Coloro che con disprezzo avevano respinto l’invito del Vangelo, avrebbero udito queste parole di condanna: “Perché io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati, assaggerà la mia cena”. Luca 14:24. Gesù dette ai discepoli preziosi insegnamenti. Le parabole della vedova importuna e dell’amico che andò a chiedere del pane a mezzanotte illustravano con forza le sue parole: “Chiedete, e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate, e vi sarà aperto”. Luca 11:9. {GN 374.3}

Spesso la loro fede incerta venne rafforzata da queste parole di Gesù: “Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? Io vi dico che renderà giustizia con prontezza”. Luca 18:7, 8. Gesù ripeté la bella parabola della pecora perduta ed estese questa lezione parlando della dramma smarrita e del figlio prodigo. I discepoli non potevano comprendere subito il significato di quelle lezioni; ma quando, dopo l’effusione dello Spirito Santo, videro la conversione dei gentili e la collera degli ebrei, allora compresero meglio la lezione della parabola del figlio prodigo e poterono partecipare alla gioia di Gesù espressa con queste parole: “Ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”. Luca 15:32. {GN 375.1}

Quando nel nome del Maestro affrontavano ingiurie, povertà e persecuzione, si incoraggiavano ripetendosi quello che Gesù aveva detto loro nel suo ultimo viaggio: “Non temere, piccolo gregge; perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno. Vendete i vostri beni, e dateli in elemosina; fatevi delle borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nel cielo, dove ladro non si avvicina e tignola non rode. Perché dov’è il vostro tesoro, lì sarà anche il vostro cuore”. Luca 12:32-34. {GN 375.2}



Capitolo 54: Il buon samaritano

Con la parabola del buon samaritano Gesù illustra la natura della vera religione, che non consiste in sistemi teologici, in credi o in cerimonie, ma in atti d’amore per il bene degli altri, compiuti con uno spirito di sincera bontà. {GN 376.1}

Mentre Gesù insegnava alla folla, “un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, e gli disse: Maestro, che dovrò fare per ere-dar la vita eterna?” Luca 10:25. I numerosi uditori attendevano con ansia la risposta di Gesù. I sacerdoti e i rabbini pensavano che Gesù si sentisse in imbarazzo a rispondere a una simile domanda, ma il Salvatore non iniziò nessuna polemica. Decise invece che la risposta fosse data proprio da colui che aveva posto la domanda. “Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?” Versetto 26. Gli ebrei dicevano che Gesù si curava poco della legge data sul Sinai. Era un’accusa infondata; infatti egli orientò la domanda della salvezza proprio sull’osservanza dei comandamenti di Dio. {GN 376.2}

Il dottore della legge rispose: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso. Gesù gli disse: Tu hai risposto rettamente; fa’ questo, e vivrai”. Versetti 27, 28. {GN 376.3}

Quel dottore della legge non era soddisfatto delle idee e del comportamento dei farisei e aveva studiato le Scritture con il desiderio sincero di conoscerne il vero significato. Quel problema era per lui di interesse vitale e, sinceramente, aveva chiesto: “Che dovrò fare?” Quando Gesù lo interrogò sulle richieste della legge, lasciò completamente da parte tutti i precetti cerimoniali e rituali, li considerò privi di valore e presentò i due grandi princìpi sui quali si basavano la legge e i profeti. Gesù approvò quella risposta e si trovò così in vantaggio di fronte ai rabbini, che non potevano certo riprenderlo per aver approvato la risposta data da un dottore della legge. Gesù disse: “Fa’ questo, e vivrai”. Presentò la legge come un insieme indivisibile e insegnò che non era possibile osservarne un precetto e infrangerne un altro, perché lo stesso principio è alla base di tutti. Il destino dell’uomo dipende dalla completa ubbidienza a tutta la legge. I princìpi da attuarsi sono quelli di un supremo amore per il Signore e di un amore imparziale per tutti gli uomini. {GN 376.4}

Il dottore si rese conto, grazie alle penetranti parole di Gesù, di essere un trasgressore della legge. Egli non aveva messo in pratica quella giustizia che diceva di conoscere: non amava gli altri. Ma invece di pentirsi, cercò di giustificarsi. Invece di riconoscere la verità, disse che è difficile osservare i comandamenti, sperando così di evitare di seguire le proprie convinzioni e insieme riabilitarsi agli occhi del popolo. Le parole del Salvatore mostrarono che la domanda del dottore era superflua, dal momento stesso che egli ne aveva dato la risposta; ma egli chiese ancora: “E chi è il mio prossimo?” Versetto 29. {GN 377.1}

Gli ebrei discutevano senza fine su questo argomento. Erano d’accordo nel considerare i pagani e i samaritani come stranieri e nemici. Ma restava il problema della distinzione fra le persone del loro popolo e fra le diverse classi della società. I sacerdoti, i rabbini e gli anziani chi dovevano considerare come loro prossimo? Passavano la vita a compiere cerimonie destinate a purificarli e pensavano che il contatto con la folla, ignorante e trascurata, avrebbe prodotto in loro una contaminazione difficile da eliminare. Dovevano considerare come prossimo anche la persona “impura”? {GN 377.2}

Gesù evitò ancora la polemica. Non denunciò il fanatismo di coloro che cercavano di condannarlo, ma delineò con un semplice racconto un quadro dell’amore divino per commuovere i cuori e indurre il dottore della legge a riconoscere la verità. {GN 377.3}

Per dissipare le tenebre basta far risplendere la luce. La maniera migliore per confutare l’errore consiste nel presentare la verità. La manifestazione dell’amore di Dio mette in luce il peccato di un cuore egoista. {GN 377.4}

Gesù disse: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’irm batté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada; e vedutolo, passò oltre dal lato opposto. Così pure un Levita, giunto in quel luogo e vedutolo, passò oltre dal lato opposto”. Versetti 30-32. Gesù non stava raccontando una storia immaginaria, ma un fatto realmente accaduto. Il sacerdote e il levita che erano passati dall’altro lato della strada si trovavano in mezzo alla folla che ascoltava le parole di Gesù. {GN 377.5}

Il viaggiatore che scendeva da Gerusalemme a Gerico, doveva attraversare una parte del deserto della Giudea. La strada scendeva in una gola selvaggia, fiancheggiata da rocce, infestata da ladroni ed era spesso teatro di scene di violenza. In quel tratto di strada il viaggiatore venne assalito, ferito, spogliato di tutto quello che aveva e lasciato mezzo morto. Mentre giaceva in quella condizione, passò il sacerdote che si limitò a guardarlo. Poi passò il levita che, incuriosito, si fermò e dette uno sguardo a quello sventurato. Sapeva che cosa avrebbe dovuto fare, ma non era un dovere piacevole. Si rammaricò di essere passato per quella strada e aver visto quella scena, ma si convinse che la questione non era di sua competenza. {GN 377.6}

Quei due uomini svolgevano una professione sacra ed erano maestri delle Scritture. Appartenevano alla classe che doveva rappresentare Dio davanti al popolo. Erano tenuti ad “avere compassione verso gli ignoranti e gli erranti” (Ebrei 5:2), per far conoscere agli uomini il grande amore di Dio. Erano stati chiamati a compiere la stessa opera che Gesù aveva descritto come sua, quando disse: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunziare la liberazione ai prigionieri, e ai ciechi il ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi”. Luca 4:18. {GN 378.1}

Gli angeli del cielo vedono la sofferenza della famiglia di Dio sulla terra e sono pronti a collaborare con gli uomini per alleviare gli oppressi e i sofferenti. La Provvidenza divina aveva condotto il sacerdote e il levita sulla strada dove quel viaggiatore giaceva ferito, affinché potessero soccorrere colui che aveva bisogno di aiuto e compassione. Il cielo si aspettava che quegli uomini provassero pietà per tanta sventura. Lo stesso Salvatore aveva ammaestrato gli ebrei nel deserto e, dalla colonna di nuvola e di fuoco, aveva impartito un insegnamento molto diverso da quello che i sacerdoti e i rabbini trasmettevano al popolo. La legge si occupava benevolmente perfino degli animali, incapaci di esprimere i loro bisogni e le loro sofferenze. Tramite Mosè, il Signore aveva dato queste disposizioni ai figli d’Israele. “Se incontri il bue del tuo nemico o il suo asino smarrito, non mancare di ricondurglielo. Se vedi l’asino di colui che ti odia caduto a terra sotto il carico, guardati bene dall’abbandonarlo, ma aiuta il suo padrone a scaricarlo”. Esodo 23:4, 5. Ma Gesù nel suo racconto presentò il caso di un fratello in difficoltà, nei confronti del quale si doveva provare una compassione maggiore di quella per le bestie da soma. Il Signore, loro Dio, aveva detto tramite Mosè: “Il Signore, il vostro Dio, è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e tremendo, che non ha riguardi personali e non accetta regali, che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero e gli dà pane e vestito”. Deuteronomio 10:17-19. “Tratterete lo straniero che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso”. Levitico 19:34. {GN 378.2}

Giobbe aveva detto: “Lo straniero non passava la notte fuori; le mie porte erano aperte al viandante”. Giobbe 31:32. E quando due angeli sotto forma umana entrarono a Sodoma, Lot si prostrò davanti a loro e disse: “Signori miei, vi prego, venite in casa del vostro servo, fermatevi questa notte, e lavatevi i piedi; poi domattina vi alzerete per tempo e continuerete il vostro cammino”. Genesi 19:2. {GN 378.3}

I sacerdoti e i leviti conoscevano bene tutti questi principi, ma non li mettevano in pratica. Educati alla scuola del fanatismo nazionale erano diventati egoisti, gretti e superbi. Avendo dato una rapida occhiata a quel ferito, non potevano sapere se apparteneva alla loro nazione. Forse pensarono che fosse un samaritano e proseguirono per la loro strada. {GN 379.1}

Nel comportamento descritto da Gesù, il dottore della legge non scorse nulla di contrario a quello che gli era stato insegnato sulle richieste della legge. Ma Gesù continuò. {GN 379.2}

Un samaritano che passava per quella stessa strada, vide il ferito e ne ebbe compassione. Non indagò sulla sua nazionalità; non volle sapere se si trattava di un ebreo o di un pagano. Nel primo caso il samaritano sapeva molto bene che se le parti si fossero invertite, quell’uomo gli avrebbe sputato in viso e sarebbe passato oltre con disprezzo. Tuttavia si interessò di lui, senza pensare al pericolo di essere assalito fermandosi in quel posto. Sapeva soltanto che era di fronte a un uomo in difficoltà e sofferente. Si tolse il proprio vestito e lo coprì; rinfrescò le sue ferite con l’olio e con il vino che aveva con sé come provviste per il viaggio. Lo adagiò sulla sua cavalcatura e si mosse piano piano in modo che le sofferenze non aumentassero per le scosse. Lo portò in un albergo e ne ebbe cura durante la notte. Al mattino il ferito stava meglio e il samaritano riprese il viaggio. Prima di farlo, lo raccomandò all’albergatore, pagò le spese, lasciò del denaro per lui; poi, pensando anche a eventuali necessità future, disse all’oste: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”. Luca 10:35. {GN 379.3}

Gesù guardò il dottore negli occhi penetrando nel suo animo e chiese: “Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?” Versetto 36. {GN 379.4}

II dottore della legge non aveva il coraggio di pronunciare il nome del samaritano neppure dopo quello che aveva sentito e rispose: “Colui che gli usò misericordia. Gesù gli disse: Va’, e fa’ tu la stessa cosa”. Versetto 37. {GN 379.5}

In questo modo, la domanda: “Chi è il mio prossimo?”, ebbe una risposta definitiva. Gesù spiegò che il nostro prossimo non è soltanto colui che appartiene alla nostra chiesa o condivide la nostra fede, e non è limitato alla stessa razza, allo stesso colore o alla stessa classe. Il nostro prossimo è ogni persona che ha bisogno del nostro aiuto, è ogni anima ferita e colpita dall’avversario, è chiunque appartiene a {GN 379.6}

Dio. {GN 380.1}

Nella parabola del buon samaritano, Gesù ha rappresentato se stesso e la sua missione. L’uomo è stato ingannato, spogliato, ferito da Satana e poi abbandonato alla morte. Ma il Salvatore misericordioso ha avuto pietà della nostra condizione miserabile, ha lasciato la sua gloria ed è venuto a soccorrerci. Ci ha trovati in punto di morte, ha preso su di sé il nostro peccato, ha curato le nostre ferite, ci ha ricoperti con il suo manto di giustizia, ci ha spalancato le porte di un rifugio per la nostra salvezza e ci ha fornito di provviste, tutto a suo spese. È morto per redimerci. Riferendosi al suo esempio, disse ai discepoli: “Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri” (Giovanni 15:17); “Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri”. Giovanni 13:34. {GN 380.2}

Il dottore della legge aveva chiesto a Gesù: “Che dovrò fare?” Ed egli, dopo aver confermato che l’amore per Dio e per l’uomo è la suprema sintesi della giustizia, gli aveva detto: “Fa’ questo, e vivrai”. Il samaritano aveva seguito gli impulsi di un cuore gentile e pietoso, dimostrando così di essere un fedele osservatore della legge. Gesù disse al dottore: “Va’, e fa’ tu il simigliante”. I figli di Dio non devono soltanto dire, ma anche fare: “Chi dice di rimanere in lui, deve, camminare com’egli camminò”. Giovanni 2:6. {GN 380.3}

La lezione insegnata da Gesù non è oggi meno valida di quanto lo era quando fu espressa dalle sue labbra. L’egoismo e il freddo formalismo hanno quasi completamente annullato il calore dell’amore e disperso le qualità che nobilitano il carattere. Molti sedicenti cristiani hanno dimenticato il loro dovere di rappresentare Cristo. Se lo spirito di sacrificio non si manifesta chiaramente in favore degli altri, nell’ambito della famiglia, tra i vicini, nella chiesa e ovunque ci troviamo, non siamo cristiani, qualunque sia la nostra professione di fede. {GN 380.4}

Cristo si è unito all’umanità e ci chiede di associarci a lui per la salvezza degli altri. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Matteo 10:8. Il peccato è il più grande male e noi dobbiamo amare il peccatore e aiutarlo. Sono molti coloro che sbagliano, che si vergognano dei loro errori e desiderano udire parole di incoraggiamento. Pensando ai loro peccati, possono giungere alla disperazione. Non bisogna trascurare queste persone. Se siamo cristiani, non possiamo passare oltre, dall’altro lato della strada, tenendoci il più possibile lontani da coloro che hanno bisogno del nostro aiuto. Quando vedia mo persone in difficoltà, per colpa loro o per disgrazia, non dobbiamo mai dire che tutto ciò non ci riguarda. {GN 380.5}

“Fratelli, se uno sia sorpreso in colpa, voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine”. Galati 6:1. Respingete la potenza del nemico con la fede e con la preghiera. Pronunciate parole di fiducia e coraggio, che saranno come un balsamo ristoratore per l’animo ferito e colpito. Una sola parola affettuosa può incoraggiare, portandole alla vittoria, molte persone depresse e sul punto di soccombere nella grande lotta della vita. Non dobbiamo mai passare accanto a qualcuno che soffre senza cercare di infondergli quel coraggio con il quale siamo stati consolati da Dio. {GN 381.1}

Tutto ciò rappresenta il vero adempimento dello spirito della legge, spirito che è stato illustrato nella parabola del buon samaritano e che si è manifestato nella vita di Gesù. Il suo carattere rivela il vero significato della legge, che consiste nell’amare il prossimo come se stessi. Quando i figli di Dio manifestano misericordia, gentilezza e amore per tutti gli uomini, testimoniano il vero carattere delle leggi del cielo e proclamano che: “La legge del Signore è perfetta, essa ristora l’anima”. Salmi 19:7. Chiunque non ha questo tipo di amore, infrange la legge che professa di osservare. Lo spirito che manifestiamo verso i nostri fratelli è la prova dei nostri rapporti con Dio. L’unica fonte dell’amore per il prossimo è l’amore di Dio nel cuore. “Se uno dice: Io amo Dio, ma odia il suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto”; “Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi”. Giovanni 4:20, 12. {GN 381.2}



Capitolo 55: Come verrà il regno di Dio

Alcuni farisei si erano avvicinati a Gesù per chiedergli quando sarebbe stato istituito il regno di Dio. Erano passati più di tre anni da quando Giovanni il battista aveva fatto udire per tutto il paese il suo messaggio, forte come uno squillo di tromba: “Il regno dei cieli è vicino”. Matteo 3:2. Ma quei farisei non scorgevano ancora alcun segno dello stabilirsi di quel regno. Molti fra coloro che non avevano accettato Giovanni e che si erano continuamente opposti a Gesù, insinuavano che la sua missione fosse fallita. {GN 382.1}

Gesù rispose: “Il regno di Dio non viene in maniera da attirare gli sguardi; né si dirà: Eccolo qui, o eccolo là; perché ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi”. Luca 17:20, 21. Il regno di Dio inizia nel cuore. Non si possono vedere qua o là manifestazioni di potenza terrena che ne attestino la venuta. {GN 382.2}

Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli, aggiunse: “Verranno giorni che desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, e non lo vedrete”. Versetto 22. Poiché Gesù non ricercava pompa e lusso terreni, i discepoli correvano il rischio di non scorgere la gloria della sua missione. Non si rendevano conto del grande privilegio di avere in mezzo a loro, sebbene velato dalla sua umanità, colui che è la vita e la luce degli uomini. Sarebbero venuti i giorni in cui avrebbero desiderato riprovare la gioia di camminare e parlare con il Figlio di Dio. {GN 382.3}

Perfino i discepoli di Gesù, a causa del loro egoismo e della loro mondanità, non riuscirono a comprendere completamente la gloria spirituale che egli cercò di rivelare loro. Soltanto dopo la sua ascesa al Padre e l’effusione dello Spirito Santo, i discepoli poterono capire pienamente il carattere e la missione del Salvatore. Dopo il battesimo dello Spirito, si resero conto di essere stati alla presenza del Signore della gloria. Le parole di Cristo tornarono loro in mente; essi compresero le profezie e i miracoli che aveva compiuto. {GN 382.4}

Rividero gli eventi meravigliosi della sua vita e si sentirono come risvegliati dal sonno. Compresero ciò che poi scrissero: “E la Parola è stata fatta carne e ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre”. Giovanni 1:14. Cristo era venuto in un mondo di peccato per salvare i figli decaduti di Adamo. I discepoli si resero conto di quello che erano e non si stancarono di raccontare le opere e le parole di Gesù. Le sue lezioni, che avevano appena capito, si ripresentarono alla loro mente come una nuova rivelazione. Le Scritture divennero per loro come un libro nuovo. {GN 382.5}

Mentre i discepoli investigavano le profezie messianiche, si posero in una nuova relazione con Dio e conobbero meglio colui che era asceso al cielo per completare l’opera iniziata sulla terra. Riconobbero che nessun uomo, senza l’aiuto di una rivelazione divina, avrebbe potuto conoscere Cristo. Sentirono il bisogno dell’aiuto di colui di cui i profeti, i re e gli uomini giusti avevano parlato. Con meraviglia lessero e rilessero le rivelazioni profetiche sul suo carattere e sulla sua opera. Quanto poco avevano capito gli scritti profetici! Quanto lentamente avevano afferrato le grandi verità insegnate da Cristo! Considerando la sua umiliazione, la sua vita di uomo tra gli uomini, non avevano capito il mistero dell’incarnazione e la sua duplice natura. I loro occhi erano come ciechi e non potevano scorgere pienamente la divinità nell’umanità. Ma, illuminati dallo Spirito Santo, desideravano rivederlo ancora per sedersi ai suoi piedi e chiedergli di spiegare i passi delle Scritture che non riuscivano a capire. Con quanta attenzione avrebbero ascoltato le sue parole! Quando Gesù aveva detto: “Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata” (Giovanni 16:12), che cosa aveva voluto intendere? Adesso desideravano conoscere tutto. Erano rattristati perché la loro fede era stata tanto debole, perché le loro idee erano state così lontane dalla verità ed essi così incapaci di comprenderla. {GN 383.1}

Un messaggero era stato inviato da Dio per annunciare la venuta di Cristo, per richiamare l’attenzione degli israeliti e del mondo sulla sua missione e prepararli a riceverlo. Il grande personaggio annunciato da Giovanni era stato fra loro per più di trent’anni ed essi non l’avevano realmente riconosciuto come inviato da Dio. Al pensiero della scarsa fede che aveva offuscato le loro idee e la loro intelligenza, i discepoli provarono rimorso. La Luce aveva brillato nelle tenebre di questo mondo oscuro, ma essi non avevano compreso da dove provenissero quei raggi. Si chiedevano quale loro atteggiamento avesse provocato i rimproveri di Gesù. Ricordavano spesso le sue parole e si rammaricavano che le considerazioni terrene e il rispetto dei sacerdoti e dei rabbini avessero offuscato a tal punto la loro capacità di comprendere da non riconoscere che qualcuno più grande di Mosè era fra loro e qualcuno più saggio di Salomone li aveva am maestrati. Le loro orecchie erano state sorde e la loro comprensione scarsa. Toma non aveva voluto credere prima di aver toccato la ferita fatta dai soldati romani. Pietro aveva rinnegato Cristo durante il suo arresto e la sua umiliazione. Questi ricordi si affollarono nella loro mente. Erano stati con lui, ma non lo avevano né conosciuto né apprezzato adeguatamente. Si sentirono turbati al ricordo della loro incredulità. {GN 383.2}

Quando i sacerdoti e i capi si accordarono contro di loro, li condussero davanti al sinedrio e li gettarono in prigione, essi, i discepoli di Cristo, si rallegrarono “rallegrandosi d’essere stati ritenuti degni di essere oltraggiati per il nome di Gesù”. Atti 5:41. Si rallegrarono di mostrare, davanti agli uomini e agli angeli, che riconoscevano la gloria di Cristo ed erano pronti a seguirlo, anche rischiando di perdere tutto. {GN 384.1}

Oggi, come ai tempi degli apostoli, gli uomini non possono scorgere la gloria di Cristo senza essere illuminati dallo Spirito di Dio. Una cristianità assorbita dall’amore per il mondo e moralmente rilassata non può apprezzare la verità e riconoscere l’opera di Dio. I discepoli del Maestro non sono da cercare fra le comodità, gli onori terreni e la conformità alle sollecitazioni della società. Essi si trovano all’avanguardia, sui sentieri della prova, dell’umiliazione, delle accuse, della lotta “contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti”. Efesini 6:12. Oggi, come ai tempi di Cristo, sono fraintesi, rimproverati e perseguitati dai sacerdoti e dai farisei del loro tempo. {GN 384.2}

Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione. Il Vangelo della grazia di Dio, caratterizzato dallo spirito di abnegazione, non può mai accordarsi con lo spirito che regna nel mondo. I due princìpi sono antitetici. “Ma l’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché esse sono pazzia per lui; e non le può conoscere, perché devono essere giudicate spiritualmente”. 1 Corinzi 2:14. {GN 384.3}

Anche oggi nel mondo religioso vi sono moltissimi che pensano che il regno di Dio si stabilirà come un governo terreno e temporale. Essi desiderano fare di Cristo il Signore dei regni di questo mondo, che esercita la sua autorità nei tribunali e nei campi militari, nei parlamenti e nei mercati. Si aspettano che egli governi mediante leggi sanzionate dall’autorità umana. Siccome Cristo non è presente, si sentono spinti ad agire al suo posto per far eseguire le leggi del suo regno. Gli israeliti del tempo di Cristo volevano che si stabilisse un regno simile. Avrebbero accettato Gesù se egli avesse acconsentito a istituire un dominio temporale, per sostenere quelle che essi consideravano le leggi di Dio ed essere essi stessi gli interpreti della sua volontà e gli agenti della sua autorità. Egli aveva detto: “Il mio regno non è di questo mondo” (Giovanni 18:36), e non avrebbe mai accettato un trono terreno. {GN 384.4}

Il governo sotto il quale Gesù visse era corrotto e tirannico; ovunque si potevano riscontrare abusi, estorsioni, intolleranza e orribili crudeltà. Tuttavia, il Salvatore non propose un programma di riforme politiche. Non criticò questi abusi e non condannò i nemici della nazione. Non interferì con le autorità o le amministrazioni in carica. Colui che è stato il nostro esempio, si tenne lontano dai governi terreni. Lo fece non per indifferenza nei confronti delle sofferenze degli uomini, ma perché il rimedio consisteva non in soluzioni umane ed esteriori ma nel rivolgersi a ogni uomo individualmente e nel rigenerare il suo cuore. {GN 385.1}

Il regno di Cristo non sarà stabilito con le decisioni dei tribunali, dei concili o delle assemblee legislative, non con l’appoggio dei grandi di questa terra, ma con l’accettazione della natura del Salvatore da parte dell’uomo attraverso l’opera dello Spirito Santo. “Ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome; i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio”. Giovanni 1:12, 13. Questa è l’unica forza che può elevare l’umanità. All’uomo, per il compimento di quest’opera, spettano l’insegnamento e l’osservanza della Parola di Dio. Quando l’apostolo Paolo iniziò la sua opera a Corinto, popolosa, ricca e corrotta città contaminata dai vizi del paganesimo, disse: “Mi proposi di non saper altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso”. 1 Corinzi 2:2. Più tardi, scrivendo ad alcuni di coloro che avevano vinto il peccato, poteva dire: “E tali eravate alcuni; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio”; “Io ringrazio sempre il mio Dio per voi, per la grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù”. 1 Corinzi 6:11; 1:4. {GN 385.2}

Oggi, come ai tempi di Cristo, l’opera del regno di Dio non spetta a coloro che reclamano di essere riconosciuti e sostenuti da governi e leggi umane, ma a coloro che annunciano al popolo, nel suo nome, quelle verità spirituali che producono in chi le accoglie la stessa esperienza di Paolo: “Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Galati 2:20. Allora essi si impegneranno, come fece Paolo, per il bene degli uomini. “Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio”. 2 Corinzi 5:20. {GN 385.3}



Capitolo 56: Gesù benedice i bambini

Gesù ha sempre amato i bambini e ne ha sempre gradito le manifestazioni di simpatia e l’affetto spontaneo. Le espressioni di riconoscenza che sgorgavano dalle loro labbra innocenti erano come una musica per le sue orecchie e lo consolavano delle amarezze provate a contatto con uomini ingannatori e ipocriti. Ovunque il Salvatore si recasse, riusciva a conquistare l’affetto e la fiducia dei bambini con la sua gentilezza e affabilità. {GN 386.1}

Gli ebrei avevano l’abitudine di portare i bambini da un rabbino affinché imponesse loro le mani e li benedicesse. I discepoli di Gesù pensarono però che non fosse opportuno interrompere per questa consuetudine l’importantissima opera di Gesù. Così, quando le madri si avvicinarono al Maestro con i loro figli, i discepoli non ne furono contenti. Pensarono che fossero ancora troppo piccoli per ottenere qualche beneficio da un incontro con Gesù e conclusero che il Maestro non li avrebbe graditi. Ma ciò che non apprezzò fu l’atteggiamento dei suoi discepoli. Il Salvatore capì il desiderio di quelle madri che cercavano di educare i loro figli secondo i princìpi della Parola di Dio e ascoltò le loro preghiere. Egli stesso le aveva invitate ad avvicinarsi a lui. {GN 386.2}

Dapprima una sola madre aveva lasciato la casa con il suo bambino per recarsi da Gesù. Lungo la strada parlò del suo progetto a una vicina che si unì a lei. Poi vennero diverse madri, con i loro figli, alcuni dei quali non erano più bambini ma già adolescenti. Gesù ascoltò con benevolenza le richieste timide e incerte di quelle madri, ma volle vedere come i discepoli le avrebbero trattate. Quando vide che le mandavano via pensando di fargli un favore, indicò loro l’errore che stavano commettendo: “Lasciate i bambini vengano da me; non glielo vietate, perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro”. Marco 10:14. Prese i bambini fra le braccia, pose le mani sul loro capo e impartì la benedizione che erano venuti a chiedere. {GN 386.3}

Le madri tornarono a casa consolate, piene di coraggio e riconoscenza per le parole di Gesù, pronte ad assumersi le proprie responsabilità con nuove forze e lavorare per i loro figli con maggiore

fiducia. Oggi le madri dovrebbero accogliere le parole di Gesù con la stessa fede. Gesù è sempre lo stesso Salvatore di allora ed è disposto anche oggi ad aiutare le madri, come quando accolse tra le sue braccia quei bambini della Giudea. I nostri sono stati riscattati con il suo sacrificio come quelli di allora. {GN 387.4}

Gesù conosce i tormenti del cuore di ogni madre. Anche sua madre fu costretta a lottare contro le privazioni e la povertà. Egli, quindi, può comprendere le preoccupazioni di ogni madre. Colui che affrontò un lungo viaggio per alleviare l’ansia di una donna cananea, farà altrettanto per le madri di oggi. Colui che restituì alla vedova di Nain il suo unico figlio e che nell’agonia della croce si ricordò della propria madre, ha compassione anche oggi del dolore delle madri. In ogni dolore e in ogni necessità egli assicura conforto e aiuto. {GN 387.1}

Le madri si accostino con fiducia a Gesù e gli facciano conoscere le loro preoccupazioni. Riceveranno grazia e aiuto sufficienti per educare i loro bambini. La porta è aperta a ogni madre che vuole deporre il suo peso ai piedi del Salvatore. Colui che ha detto: “Lasciate i piccoli fanciulli venire a me; non glielo vietate”, invita ancora oggi le madri a condurgli i figli affinché siano benedetti. Anche il neonato può vivere all’ombra dell’Onnipotente per la fede della madre che si accosta a Dio in preghiera. Giovanni il battista fu guidato dallo Spirito Santo fin dalla nascita. Se viviamo in comunione con Dio, possiamo aspettarci che lo spirito di Dio agisca sui nostri figli in ogni momento. {GN 387.2}

Gesù scorse nei bambini che gli venivano presentati, uomini e donne che sarebbero diventati eredi della sua grazia e cittadini del suo regno; alcuni avrebbero addirittura affrontato il martirio per amore suo. Sapeva che quei bambini lo avrebbero ascoltato e accettato come loro Redentore più facilmente degli adulti, molti dei quali possedevano sapienza, ma avevano un cuore duro. Gesù adattò il suo insegnamento alla loro capacità di comprensione. Egli, il Re del cielo, non si rifiutò di rispondere alle loro domande e semplificare per la loro piccola mente le sue importanti lezioni. Gettò in loro il seme della verità, che negli anni seguenti avrebbe portato frutti di vita eterna. {GN 387.3}

Il bambino è sensibilissimo agli insegnamenti del Vangelo e il suo cuore, aperto all’influsso divino, ricorda a lungo le lezioni ricevute. I fanciulli possono essere cristiani con un’esperienza adeguata alla loro età. Bisogna che siano educati nelle verità spirituali e che i genitori forniscano loro l’occasione di formarsi un carattere simile a quello di Cristo. {GN 387.4}

I padri e le madri devono considerare i loro Agli come giovani membri della famiglia del Signore, che sono stati afAdati loro per essere preparati per il regno dei cieli; devono trasmettere ai bambini le lezioni imparate da Cristo, adattandole alla loro mente e svelando loro, a poco a poco, la bellezza dei princìpi divini. In questo modo la famiglia cristiana diventa una scuola dove i genitori insegnano, sotto la guida di Cristo, il loro Maestro. {GN 388.1}

Quando lavoriamo per la conversione dei nostri figli, non dobbiamo aspettarci che la convinzione di peccato si manifesti con intense emozioni. Non è necessario sapere il momento preciso in cui si sono convertiti. Dobbiamo insegnare loro a confessare i propri peccati a Gesù, a chiedergli perdono e a credere che egli li perdona e li accoglie come ha accolto i bambini quando era sulla terra. {GN 388.2}

Quando la madre dice ai suoi figli che devono ubbidirle per amore, insegna le prime lezioni di vita cristiana. L’amore della madre rappresenta per il bambino l’amore di Cristo. I fanciulli, confidando nella madre e ubbidendole, imparano ad avere fiducia nel Salvatore e a ubbidirgli. {GN 388.3}

Gesù è stato un esempio per i figli e per i genitori. Egli parlava con autorità e la sua parola era potente, ma nei suoi rapporti con uomini rudi e violenti non usò mai espressioni scortesi o sgarbate. Quando la grazia di Cristo abita nel cuore umano, infonde la dignità della nuova nascita e della gentilezza, smussa le asperità e addolcisce il carattere rude e sgarbato. Sotto il suo influsso, i padri e le madri si abitueranno a trattare i Agli come esseri intelligenti, come essi stessi vorrebbero essere trattati. {GN 388.4}

Genitori, educate i vostri Agli studiando le lezioni che Dio ci dà nella natura. Se volete coltivare un garofano, una rosa o un giglio, come fate? Chiedete a un giardiniere come fa a ottenere Aori magni-Aci e incantevoli, armoniosamente sviluppati. Egli vi risponderà che non usa gesti avventati e non compie azioni violente che potrebbero spezzare gli steli delicati. Coltiva le piante con cura perseverante, annafiìa il terreno, le protegge dalle raffiche del vento e dal sole torrido, mentre Dio le fa crescere e le fa fiorire. Quando educate i vostri figli, usate gli stessi metodi del giardiniere. Con mano delicata, con amore, forgiate il loro carattere secondo il modello di Gesù. {GN 388.5}

Incoraggiateli a esprimere il loro amore per il Signore e per il prossimo. Molti uomini e molte donne hanno il cuore duro perché l’affetto è stato considerato come una debolezza e quindi represso. Le buone disposizioni di queste persone sono state soffocate durante la loro infanzia e se la luce dell’amore di Dio non infrange il loro freddo egoismo, la loro felicità sarà perduta per sempre. Se vogliamo che i nostri bambini posseggano il dolce spirito di Gesù e la simpatia che gli angeli manifestano nei nostri confronti, dobbiamo incoraggiare i loro impulsi spontanei e generosi. {GN 388.6}

Insegnate loro a scorgere Gesù nella natura. Portateli all’aperto, in un giardino, sotto gli alberi maestosi e fate loro vedere in tutta la meravigliosa opera della creazione un segno dell’amore di Dio. Insegnate loro che Dio ha stabilito le leggi che governano tutti gli esseri viventi, che ha anche fissato le leggi per noi e che esse sono per la nostra felicità e la nostra gioia. Non li stancate con lunghe preghiere e noiose esortazioni, ma insegnate loro a ubbidire alla legge di Dio servendovi delle lezioni della natura. {GN 389.1}

Se avranno fiducia in voi come discepoli di Cristo, allora sarà facile insegnare loro il grande amore con il quale Gesù ci ha amati. Mentre cercherete di spiegare le verità della salvezza e orientarli verso Cristo, il loro Salvatore personale, gli angeli saranno accanto a voi per aiutarvi. Il Signore concederà ai padri e alle madri questa grazia: riuscire a interessare i loro figli alla preziosa storia del bambino di Betlemme, che è la sola speranza del mondo. {GN 389.2}

Quando Gesù disse ai discepoli di lasciare che i bambini andassero a lui, si rivolgeva ai discepoli di tutti i tempi: ai membri di chiesa, ai pastori, a tutti i cristiani. Gesù attira a sé i bambini e ci esorta a non impedirlo. È come se dicesse che essi andranno a Gesù se noi non lo impediremo. {GN 389.3}

Non date una falsa idea di Gesù con un modo di fare diverso dal suo. Non tenete lontani da Gesù i bambini con un atteggiamento di freddezza e durezza. Non date loro l’impressione che il cielo non sarà un luogo piacevole per loro se ci sarete anche voi. Non parlate loro di religione con un linguaggio che non possono comprendere e non agite come se non dovessero accettare Gesù durante l’infanzia. Non date loro la falsa impressione che la religione di Cristo è qualcosa di triste e che, avvicinandosi al Salvatore, devono rinunciare a tutto ciò che rende lieta la vita. {GN 389.4}

Collaborate con lo Spirito Santo quando volete agire sul cuore dei fanciulli. Insegnate loro che il Salvatore li chiama, che niente potrebbe procurargli gioia più grande della consacrazione a lui nel fiore della loro gioventù. {GN 389.5}

Il Salvatore considera con infinita tenerezza coloro che ha riscattato con il proprio sacrificio. Essi sono oggetto del suo amore e li considera con affetto inesprimibile. Non manifesta la sua simpatia soltanto ai bambini bene educati, ma anche a quelli che hanno un carattere difficile. Molti genitori non si rendono conto della loro responsabilità per il comportamento sbagliato dei loro figli. Non usano tenerezza e saggezza nel trattare con quei bambini i cui errori dipendono in gran parte dai loro. Ma Gesù ha compassione di queste giovani creature perché conosce le ragioni del loro atteggiamento. {GN 389.6}

Il credente può essere lo strumento per portarli a Cristo. Con saggezza e tatto può stabilire un rapporto con loro, infondere coraggio e speranza, e contribuire alla trasformazione del loro carattere mediante la grazia di Cristo. Allora si potrà dire: “Il regno di Dio appartiene a loro”. {GN 390.1}



Capitolo 57: “Una cosa ti manca”

“Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” Marco 10:17. {GN 391.1}

Il giovane che aveva posto questa domanda era un capo d’Israele; era ricco e occupava un’alta posizione. Vedendo con quanto amore Gesù aveva accolto i bambini e con quanta tenerezza li aveva stretti fra le braccia, aveva provato affetto per il Salvatore e aveva sentito il desiderio di diventare suo discepolo. Mentre Gesù riprendeva il cammino, gli corse dietro, si gettò ai suoi piedi e gli fece con sincerità ed entusiasmo una domanda importantissima per lui e per tutti gli altri uomini: “Maestro buono, che farò io per ereditare la vita eterna?” {GN 391.2}

Gesù rispose: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio”. Versetto 18. Gesù voleva mettere alla prova la sincerità di quell’uomo e voleva che spiegasse la ragione per cui lo considerava buono. Credeva forse che colui a cui parlava era il Figlio di Dio? Quali erano i sinceri sentimenti del suo cuore? {GN 391.3}

Quel capo aveva un alto concetto della propria giustizia. Non immaginava che gli mancasse qualcosa, benché non si sentisse completamente soddisfatto. Sentiva un vago bisogno di qualcosa che non aveva. Gesù non avrebbe potuto benedirlo come aveva benedetto i bambini e placare così il profondo desiderio del suo animo? {GN 391.4}

Gesù gli rispose che per ottenere la vita eterna era necessario osservare i comandamenti di Dio e citò quelli che indicano i doveri dell’uomo nei confronti del prossimo. Quel giovane rispose con sicurezza: “Tutte queste cose le ho osservate; che mi manca ancora?” Matteo 19:20. {GN 391.5}

Gesù lo guardò attentamente, come se leggesse nella sua vita e indagasse nel suo animo. Provò simpatia per lui e desiderò concedergli quella pace, quella grazia e quella gioia che avrebbero potuto trasformare il suo carattere. Gli disse: “Una cosa ti manca! Va’, vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. Marco 10:21. {GN 391.6}

Gesù provava affetto per quel giovane. Sapeva che era stato sin cero quando aveva detto di avere osservato tutte quelle cose fin dalla sua giovinezza. Ma il Redentore voleva che si rendesse conto della necessità di una ubbidienza e un amore sinceri, e desiderava che avesse un cuore umile e sensibile, disposto innanzi tutto ad amare Dio e a colmare le proprie lacune con la perfezione di Cristo. {GN 391.7}

Gesù vide in quel giovane un suo possibile ottimo collaboratore nell’opera della salvezza. Se avesse accettato Gesù come guida, avrebbe potuto sviluppare una grande forza per il bene, avrebbe potuto rappresentare Cristo in modo eccellente e diventare un suo rappresentante fra gli uomini. Gesù, considerando il suo carattere, l’amò. E nel cuore di quel giovane capo si sviluppò un sentimento di profondo affetto per Gesù. L’amore genera amore. Gesù desiderava che diventasse un suo collaboratore, uno specchio in cui si riflettesse il carattere di Dio. Desiderava che si sviluppassero le doti del suo carattere e si santificassero al suo servizio. Se quel giovane capo si fosse consacrato a Gesù, sarebbe maturato alla sua presenza. Se avesse preso quella decisione, il suo avvenire sarebbe stato molto diverso. {GN 392.1}

Gesù aveva detto: “Una cosa ti manca; va’, vendi tutto ciò che hai, e dallo ai poveri, e tu avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”. Gesù conosceva il cuore di quel capo. Gli mancava soltanto una cosa, ma si trattava di un principio vitale: aveva bisogno dell’amore di Dio nel suo animo. Se non avesse colmato quella lacuna, tutta la sua vita ne sarebbe stata condizionata. L’egoismo si rafforza con l’indulgenza. Per poter accogliere l’amore di Dio, era necessario che il suo egoismo cedesse. {GN 392.2}

Gesù mise alla prova quest’uomo. Lo invitò a scegliere tra i tesori celesti e gli onori terreni. Seguendo Gesù gli sarebbero stati assicurati i tesori celesti; bisognava però che trionfasse sul proprio egoismo e sottomettesse a Cristo la sua volontà. Gesù offrì a quel giovane la vera santità di Dio, la possibilità di diventare un figlio di Dio, coerede con Cristo delle ricchezze del cielo. Ma doveva prima prendere la sua croce e seguire il Salvatore nel sentiero della rinuncia. {GN 392.3}

Le parole di Gesù ripetevano l’invito: “Scegliete oggi a chi volete servire”. Giosué 24:15. Gesù desiderava ardentemente la sua conversione e gli offrì la possibilità di scegliere. Il Maestro gli aveva indicato il difetto del suo carattere e osservava con grande interesse la reazione a quell’invito. Se avesse deciso di seguire Gesù, avrebbe dovuto ubbidire completamente alla sua parola e abbandonare i suoi ambiziosi progetti. Con un profondo interesse il Salvatore guardava quel giovane, sperando in una sua risposta positiva all’invito dello Spirito di {GN 392.4}

Dio. {GN 392.5}

Cristo chiese la sola rinuncia che avrebbe permesso al giovane di acquisire un carattere veramente cristiano. Le sue parole erano sagge, sebbene sembrassero severe ed esigenti. L’unica speranza per lui stava nell’accettarle e nel seguirle. Ma la sua alta posizione e le sue ricchezze esercitavano un influsso negativo sul suo carattere; accordando loro un’importanza esagerata, avrebbero preso nel suo cuore il posto di Dio. Rifiutare a Dio qualcosa significava indebolire la forza morale perché le attrattive di questo mondo, se accarezzate, per quanto incerte e indegne, crescono sino a impegnare tutta la nostra attenzione. {GN 393.1}

Quel giovane capì subito il significato delle parole di Gesù e si rattristò. Se avesse convenientemente apprezzato la possibilità che gli era stata offerta, non avrebbe esitato a schierarsi fra i discepoli di Gesù. Era un membro rispettato del consiglio degli ebrei e Satana lo tentava con le allettanti prospettive di un brillante futuro. Egli desiderava i tesori del cielo, ma anche i vantaggi terreni che le ricchezze gli avrebbero assicurato. Si rattristò per quella condizione. Desiderava la vita eterna, ma non era disposto al sacrificio richiesto. Il costo della vita eterna gli sembrava troppo alto, e se ne andò via triste, “perché aveva molti beni”. Marco 10:22. {GN 393.2}

Non era vero che avesse sempre osservato la legge di Dio. Le ricchezze erano il suo idolo. Non poteva osservare i comandamenti di Dio se il mondo era al vertice delle sue aspirazioni: amava le benedizioni di Dio più di Dio stesso. Gesù gli aveva offerto la sua amicizia e lo aveva invitato a seguirlo. Ma il Salvatore non valeva ai suoi occhi tanto quanto la sua reputazione e le sue ricchezze. Rinunciare ai tangibili tesori terreni per gli invisibili tesori del cielo gli sembrava un rischio troppo grande. Rifiutò l’offerta della vita eterna e se ne andò: aveva scelto di continuare a servire il mondo. Migliaia di persone passano attraverso simili prove, indecise tra Cristo e il mondo; molte, purtroppo, scelgono il mondo e, come quel giovane, si allontanano dal Salvatore rifiutandosi di accettarlo come loro Maestro. {GN 393.3}

Il modo in cui Gesù trattò quel giovane ci offre una lezione. Dio ha stabilito la regola di condotta che ognuno dei suoi figli deve seguire. È la lezione di un’ubbidienza alla legge, completa e non formale, un’ubbidienza che penetra nella vita e si manifesta nel carattere. Dio ha posto un ideale morale davanti a tutti coloro che vogliono diventare sudditi del suo regno. Solo coloro che diventano collaboratori di Cristo e consacrano al Signore i loro beni e la loro persona, saranno riconosciuti come figli e figlie di Dio. Pensate alla grande perdita di quanti desiderano il cielo e tuttavia se ne allontanano perché non vo gliono adempiere le condizioni richieste per entrarvi! Pensate a cosa significhi dire di no a Cristo! Quel giovane rispose negativamente. Diciamo anche noi la stessa cosa? Il Salvatore offre di svolgere insieme a noi l’opera che Dio ci ha affidato e usare i mezzi che Dio ci ha dato per sviluppare la sua opera nel mondo. Soltanto in questo modo egli può salvarci. {GN 393.4}

A quel giovane erano state accordate le ricchezze perché fosse un fedele amministratore, usandole in favore di quelli che ne avevano bisogno. Così Dio affida oggi agli uomini dei mezzi, dei talenti e delle opportunità, affinché diventino suoi strumenti per aiutare i poveri e i bisognosi. Colui che usa, secondo la volontà di Dio, i doni che gli sono stati affidati, diventa un collaboratore del Salvatore. Egli conquista degli uomini a Cristo perché ne rappresentino il carattere. {GN 394.1}

A coloro che, come quel giovane, si trovano in una posizione di prestigio e hanno molte ricchezze, può sembrare un sacrificio troppo grande rinunciare a tutto per seguire Gesù. Ma questo è richiesto a chi vuole diventare suo discepolo. Niente potrebbe sostituire l’ubbidienza. La rinuncia è la sostanza stessa dell’insegnamento di Cristo. Spesso questo insegnamento viene presentato con termini che sembrano autoritari; ma non vi è un altro modo per salvare gli uomini se non eliminare quei peccati che, se non vengono abbandonati, possono portare l’uomo alla rovina. {GN 394.2}

Quando i discepoli di Cristo restituiscono al Signore ciò che hanno ricevuto, mettono da parte dei tesori che saranno dati loro quando udranno le parole: “Va bene, servo buono e fedele... entra nella gioia del tuo Signore”. Matteo 25:23. “Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia e si è seduto alla destra del trono di Dio”. Ebrei 12:2. La ricompensa, per tutti coloro che seguono le orme di colui che li ha invitati a seguirlo, sarà la gioia di vedere delle anime redente, salvate per sempre. {GN 394.3}



Capitolo 58: “Lazzaro, vieni fuori!”

Lazzaro di Betania era uno dei più convinti discepoli di Gesù. Aveva creduto fermamente nel Maestro sin dal suo primo incontro. Lo amava molto ed era altrettanto amato; e Gesù compì in suo favore il più grande dei suoi miracoli. Il Salvatore ha sempre elargito le sue benedizioni a quanti hanno chiesto il suo aiuto. Ama tutti, ma con alcuni è legato da vincoli più forti. Aveva un affetto più intenso per la famiglia di Betania, e per essa compì un’opera meravigliosa. {GN 395.1}

Gesù si recava spesso in casa di Lazzaro; non aveva una casa sua e dipendeva dall’ospitalità dei suoi amici e dei suoi discepoli. Spesso, quando era stanco e sentiva bisogno di manifestazioni di simpatia, si rifugiava volentieri in quella casa tranquilla, al riparo dai sospetti e dalla gelosia dei farisei infuriati. Lì trovava un’accoglienza cordiale, un’amicizia pura e sincera; poteva parlare con semplicità e libertà, perché le sue parole erano comprese e ricordate. {GN 395.2}

Il Salvatore apprezzava molto un ambiente tranquillo e degli uditori attenti, e aveva bisogno di tenerezza, cortesia e affetto. Coloro che ricevevano le istruzioni divine che egli era sempre pronto a dare, godevano di grandi benedizioni. Alla folla che lo seguiva, egli indicava le bellezze della natura. Mostrava loro come il Signore sostiene il mondo, la sua bontà e benevolenza manifestate nella fresca rugiada, nelle piogge abbondanti e nei brillanti raggi del sole, concessi sia al buono sia al malvagio. Desiderava indicare agli uomini la provvidenza di Dio, all’opera in ogni cosa creata. Ma il cuore della folla era indurito e Gesù trovava nella casa di Betania un po’ di riposo dopo i duri contrasti della sua missione. Là poteva parlare dell’opera divina a degli uditori attenti. In quei colloqui privati spiegava ai suoi ascoltatori quello che non poteva dire alla folla. Ai suoi amici non c’era bisogno di parlare in parabole. {GN 395.3}

Mentre Gesù spiegava le sue magnifiche lezioni, Maria si sedeva ai suoi piedi per ascoltarlo con attenzione riverente. Un giorno Marta, affaccendata per la preparazione del pranzo, si accostò a Gesù e gli disse: “Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Luca 10:40. Ciò accadde in occasione della prima visita di Gesù a Betania. Il Salvatore e i discepoli avevano appena compiuto il faticoso viaggio a piedi da Gerico. Marta, preoccupata di provvedere alle loro necessità, si era dimenticata di usare la dovuta cortesia verso l’ospite. Gesù le rispose con queste parole dolci e pazienti: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti inquieti di molte cose, ma una cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta”. Versetti 41, 42. Maria arricchiva il suo spirito con i preziosi insegnamenti del Salvatore, che per lei avevano maggiore valore dei più preziosi gioielli della terra. {GN 395.4}

La “cosa sola” di cui Marta aveva bisogno era un animo calmo e devoto, un profondo desiderio di conoscere la vita eterna e le qualità necessarie per il progresso spirituale. Aveva bisogno di una minore ansietà per le realtà temporali e un maggiore impegno per quelle che hanno un valore eterno. Gesù voleva insegnare ai suoi figli a cogliere ogni occasione per acquisire quella conoscenza che conduce alla salvezza. {GN 396.1}

L’opera di Cristo ha bisogno di collaboratori diligenti e coraggiosi. Un vasto campo di azione si apre per le persone, come Marta, zelanti e laboriose nell’opera religiosa; ma esse devono prima, come Maria, sedere ai piedi di Gesù. Bisogna che la grazia di Cristo santifichi la diligenza, l’impegno e le energie. Solo allora la vita sarà una potenza invincibile al servizio del bene. {GN 396.2}

Ma il dolore era entrato nella famiglia dove Gesù spesso si fermava per riposarsi. Lazzaro si era improvvisamente ammalato e le sue sorelle inviarono al Salvatore questo messaggio: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”. Giovanni 11:3. La malattia era grave, ma esse sapevano che Gesù era capace di guarire tutti i mali. Erano certe che avrebbe condiviso la loro sofferenza, perciò non sollecitarono una sua visita, ma si limitarono a fargli pervenire questo messaggio confidenziale: “Colui che tu ami è malato”. Pensavano che avrebbe risposto immediatamente al loro messaggio e si sarebbe recato appena possibile a Betania. {GN 396.3}

Le due sorelle attesero con ansia una risposta di Gesù. Finché il fratello era in vita, pregarono e aspettarono la visita del Salvatore. Ma il loro inviato tornò solo, con il messaggio che gli era stato affidato: “Questa malattia non è per la morte”. Versetto 4. Le sorelle allora sperarono ancor di più nella guarigione di Lazzaro. Sussurravano con tenerezza parole di incoraggiamento e speranza al malato ormai incosciente. Quando Lazzaro morì provarono una profonda delusione; ma la grazia consolatrice di Cristo le trattenne dal pronunciare parole di critica contro il Salvatore. {GN 396.4}

I discepoli erano rimasti sorpresi per la freddezza con cui Gesù aveva accolto quel messaggio. Si aspettavano una sua manifestazione di dolore, ma egli guardandoli disse: “Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato”. Versetto 4. Per due giorni si trattenne dove si trovava. I discepoli non riuscivano a capire il perché di quell’indugio; essi pensavano che la sua presenza sarebbe stata di grande conforto per quella famiglia così provata dal dolore. Conoscevano molto bene il forte legame di affetto che lo univa alla famiglia di Betania e rimasero sorpresi perché non rispose al triste messaggio: “Colui che tu ami è malato”. {GN 397.1}

Durante i due giorni seguenti parve che Gesù si fosse dimenticato di quel messaggio perché non fece alcuna allusione a Lazzaro. I discepoli si erano chiesti perché Gesù, nonostante potesse compiere grandi miracoli, aveva permesso che Giovanni il battista languisse in prigione e poi morisse di morte violenta. Perché non aveva usato la sua grande potenza per salvare la vita di Giovanni? I farisei avevano spesso discusso su questo punto e lo presentavano come una prova irrefutabile contro l’affermazione di Gesù di essere il Figlio di Dio. Il Salvatore aveva preannunciato ai discepoli lotte, persecuzioni e privazioni: li avrebbe poi dimenticati nel momento della prova? Erano molto turbati e si chiedevano se per caso non si fossero ingannati. {GN 397.2}

Trascorsi due giorni, Gesù disse ai discepoli: “Torniamo in Giudea!” Versetto 7. I discepoli si chiesero perché Gesù avesse aspettato tanto se aveva intenzione di andare in Giudea. Temevano per Gesù e per se stessi; scorgevano dei pericoli in quel viaggio e dissero: “Maestro, proprio adesso i giudei cercavano di lapidarti, e tu vuoi tornare là? Gesù rispose: Non vi son dodici ore nel giorno?” Versetti 8, 9. Gesù voleva dire che era guidato dal Padre e che finché faceva la sua volontà era salvo. Le dodici ore della sua giornata non erano ancora finite. Era l’ultima parte del suo giorno, ma finché durava, non aveva nulla da temere. {GN 397.3}

“Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo”. Versetto 9. Chi compie la volontà di Dio e cammina nel suo sentiero, non può inciampare e cadere. Lo Spirito gli fa conoscere il suo dovere e lo conduce sicuramente fino alla conclusione dell’opera. “Ma se uno cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui”. Versetto 10. Ma colui che cammina nel sentiero che egli stesso si è scelto senza essere chiamato da Dio, inciamperà. Per lui il giorno si trasforma in notte, e ovunque si recherà non troverà mai sicurezza. {GN 397.4}

“Così parlò; poi disse loro: Il nostro amico Lazzaro si è addor mentato; ma vado a svegliarlo”. Versetto 11. Come sono commoventi e piene di simpatia queste parole: “Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato!” Pensando al pericolo che il loro Maestro avrebbe corso a Gerusalemme, i discepoli si erano quasi dimenticati della famiglia di Betania. Ma Gesù non l’aveva dimenticata e le sue parole risuonarono come un rimprovero per i discepoli. Erano rimasti delusi quando Gesù non aveva risposto al messaggio dei suoi amici ed erano quasi giunti a pensare che se egli avesse veramente amato Lazzaro e le sue sorelle sarebbe andato subito, insieme con il messaggero. Ma le parole: “Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato” fecero nascere giusti sentimenti nei loro cuori e si convinsero che Gesù non aveva dimenticato i suoi amici nel dolore. {GN 397.5}

“Perciò i discepoli gli dissero: Signore, se egli dorme, sarà salvo. Or Gesù aveva parlato della morte di lui; ma essi pensarono che avesse parlato del dormire del sonno”. Versetti 12, 13. Dio considera la morte dei suoi figli come un sonno. La loro vita è nascosta con Cristo in Dio e coloro che muoiono, dormono in lui, sino al suono dell’ultima tromba. {GN 398.1}

“Allora Gesù disse loro apertamente: Lazzaro è morto, e per voi mi rallegro di non essere stato là, affinché crediate; ma ora, andiamo da lui!” Versetti 14, 15. Toma temeva che avrebbero ucciso il Maestro se si fosse recato in Giudea, ma si fece coraggio e disse agli altri: “Andiamo anche noi, per morire con lui!” Versetto 16. Sapeva che i giudei odiavano Gesù e che volevano farlo morire. Ma il tempo di Gesù non era ancora compiuto: gli angeli lo proteggevano e neppure nella Giudea, dove i rabbini complottavano contro di lui, poteva succedergli qualcosa di male. {GN 398.2}

I discepoli si stupirono quando Gesù disse: “Lazzaro è morto; e per voi mi rallegro di non essere stato là”. Il Salvatore era rimasto di proposito lontano dalla casa dei suoi amici colpiti dalla sofferenza? Apparentemente Maria, Marta e Lazzaro erano rimasti soli nella prova, ma in realtà non lo erano. Gesù pensava a loro, e dopo la morte di Lazzaro le sue sorelle, così profondamente addolorate, furono sostenute dalla grazia del Salvatore. Gesù partecipò alla loro sofferenza mentre il fratello lottava contro la morte. Ne condivise tutta l’angoscia quando disse ai suoi discepoli: “Lazzaro è morto”. Gesù non pensava soltanto ai suoi cari di Betania, ma anche ai suoi discepoli e alla loro preparazione. Essi dovevano rappresentarlo nel mondo affinché le benedizioni del Padre si estendessero a tutti. Per il loro bene, Gesù permise che Lazzaro morisse. Se lo avesse guarito, non avrebbe potuto compiere quel miracolo che è la più grande dimostrazione della sua divinità. {GN 398.3}

Se Gesù fosse stato presente, Lazzaro non sarebbe morto perché Satana non avrebbe potuto esercitare il suo potere. La morte non avrebbe osato colpire Lazzaro alla presenza del Principe della vita. Per questo motivo Gesù non si recò subito a Betania. Lasciò che il nemico esercitasse il suo potere per poterlo poi cacciare come un vinto. Permise che Lazzaro passasse attraverso l’esperienza della morte e che le sorelle addolorate vedessero il loro fratello nella bara. Gesù sapeva che guardando quel volto esanime avrebbero sofferto molto, ma sapeva che la loro fede si sarebbe rafforzata nella prova. Gesù condivise il loro dolore. Non era accorso subito non perché non li amasse, ma per poter conseguire una grande vittoria per Lazzaro, per se stesso e per i discepoli. {GN 399.1}

“Per voi... affinché crediate”. Per tutti coloro che cercano la guida del Signore, il momento del più grande scoraggiamento è proprio quello in cui l’aiuto di Dio è più vicino. In seguito, riconsidereranno con animo riconoscente il difficile cammino percorso. “Il Signore sa liberare i pii dalla prova”. 2 Pietro 2:9. Il Signore li trae fuori da ogni prova arricchiti nella fede e nell’esperienza. {GN 399.2}

Gesù indugiò prima di andare da Lazzaro, anche per un sentimento di misericordia nei confronti di coloro che non l’avevano accettato. Con la risurrezione di Lazzaro dai morti voleva offrire al popolo incredulo e ostinato la prova che egli era veramente “la risurrezione e la vita”. Giovanni 11:25. Non aveva perso ogni speranza in quel popolo, povere pecore erranti della casa d’Israele. La durezza del loro cuore lo rattristava e, nella sua misericordia, voleva offrire una prova irrefutabile che era il Redentore, l’unico che avrebbe potuto donare la vita e l’immortalità. Per questo motivo Gesù non si recò subito a Betania. Il miracolo della risurrezione di Lazzaro avrebbe posto il suggello di Dio sulla sua opera e avrebbe dimostrato la sua divinità. {GN 399.3}

Lungo il cammino verso Betania, Gesù, come era sua abitudine, si prese cura dei malati e dei bisognosi. Giunto nella città, inviò un messaggero per annunciare alle sorelle il suo arrivo. Non entrò in casa, ma attese fuori, in disparte. Gesù non approvava le chiassose manifestazioni di dolore degli ebrei quando morivano amici o parenti. Aveva udito i lamenti delle piagnone e non voleva incontrarsi con le sorelle in mezzo a quella confusione. Fra coloro che erano accorsi a manifestare il loro dolore vi erano dei parenti della famiglia, alcuni dei quali occupavano posti di alta responsabilità a Gerusalemme. Alcuni di loro erano fra i nemici più accaniti di Gesù ed egli, poiché conosceva le loro intenzioni, non si fece vedere subito. {GN 399.4}

Il messaggio di Gesù fu riferito a Marta a bassa voce e gli altri non lo udirono. Anche Maria, assorta nel suo dolore, non lo udì. Marta uscì e andò incontro al Signore, mentre Maria, pensando che sua sorella si recasse al sepolcro, rimase nella stanza, muta nel suo dolore. {GN 400.1}

Marta, agitata da opposte emozioni, si affrettò per raggiungere Gesù. Sul suo viso espressivo lesse la stessa tenerezza e lo stesso amore di sempre. Aveva ancora piena fiducia in lui, ma pensava al caro fratello che Gesù aveva amato. {GN 400.2}

Combattuta fra il dolore per il ritardo di Gesù e la speranza di quello che ancora il Maestro avrebbe potuto fare, gli disse: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Versetto 21. Molte volte le due sorelle si erano ripetute quelle parole tra i lamenti delle piagnone. {GN 400.3}

Gesù guardò quel volto addolorato con pietà umana e divina insieme. Marta non aveva raccontato le vicende trascorse, ma aveva espresso tutti i suoi sentimenti con queste parole patetiche: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Fissando poi lo sguardo su quel volto aggiunse: “E anche adesso so che tutto quel che chiederai a Dio, Dio te lo darà”. Versetto 22. {GN 400.4}

Gesù incoraggiò la sua fede dicendole: “Tuo fratello risusciterà”. Versetto 23. Egli non intendeva infondere in lei la speranza in un cambiamento immediato, ma voleva volgere il suo pensiero verso la risurrezione finale dei giusti. Parlò così affinché Marta scorgesse nella risurrezione di Lazzaro la garanzia della risurrezione di tutti i giusti e la certezza che si sarebbe verificata per la potenza del Salvatore. {GN 400.5}

Marta rispose: “Lo so che risusciterà, nella risurrezione, nell’ultimo giorno”. Versetto 24. {GN 400.6}

Gesù, per orientare la fede di Marta nella giusta direzione, le disse: “Io sono la risurrezione e la vita”. Versetto 25. Egli possiede la vita, una vita propria, non ricevuta. “Chi ha il Figlio ha la vita”. Giovanni 5:12. La divinità di Cristo è per il credente certezza di vita eterna. Gesù ha detto: “Chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?” Giovanni 11:25, 26. Gesù alludeva al suo ritorno. Allora i giusti che saranno morti risusciteranno incorruttibili, mentre quelli viventi saranno portati in cielo, senza conoscere la morte. Il miracolo che Gesù stava per compiere doveva rappresentare la risurrezione di tutti i giusti morti. Con le sue parole e le sue opere, Gesù si è presentato come l’autore della risurrezione. Colui che stava per morire sulla croce possedeva le chiavi della morte, ne era il vincitore e riaffermava la sua potenza e il suo diritto di conferire la vita eterna. {GN 400.7}

Alla domanda di Gesù: “Credi tu questo?”, Marta rispose: “Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che doveva venire nel mondo”. Versetto 27. Non comprendeva ancora tutto il significato delle parole di Gesù, ma confessò la propria fede nella sua divinità e la convinzione che egli poteva compiere ciò che voleva. “Detto questo, se ne andò, e chiamò di nascosto Maria, sua sorella, dicendole: Il Maestro è qui, e ti chiama”. Versetto 28. Parlò a bassa voce perché i sacerdoti e i capi erano pronti ad arrestare Gesù alla prima occasione. I lamenti delle piagnone impedirono che essi udissero quelle parole. {GN 401.1}

Maria, appena udito il messaggio, si alzò in fretta e lasciò le comari con un’espressione strana sul volto. Pensando che si recasse alla tomba per piangere, le piagnone la seguirono. Maria, appena giunse dove Gesù l’aspettava, si gettò ai suoi piedi e disse con commozione: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Versetto 32. Le grida delle piagnone le straziavano l’animo; ella avrebbe voluto parlare tranquillamente con Gesù; ma siccome molti presenti nutrivano invidia e gelosia verso il Maestro, si trattenne dall’esprimere pienamente il suo dolore. {GN 401.2}

“Quando Gesù la vide piangere, e vide piangere anche i giudei ch’eran venuti con lei, fremette nello spirito, si turbò”. Versetto 33. Egli conosceva i sentimenti del cuore di tutti i presenti. Sapeva che il dolore di molti si riduceva soltanto a una forma esteriore. Sapeva che diversi fra coloro che manifestavano quella compassione ipocrita avrebbero poi progettato di far morire non solo l’autore di quel grande miracolo, ma persino colui che ne avrebbe beneficiato. Gesù avrebbe potuto denunciare la loro ipocrisia, ma contenne la sua indignazione e non disse ciò che avrebbe potuto dire per amore di coloro che si inginocchiavano addolorati ai suoi piedi e credevano sinceramente in lui. {GN 401.3}

Gesù chiese: “Dove l’avete deposto? Essi gli dissero: Signore, vieni a vedere!” Versetto 34. Si diressero insieme verso il sepolcro. La scena era commovente. Lazzaro era stato molto amato; le sue sorelle piangevano con il cuore spezzato e gli amici mescolavano le loro lacrime con quelle delle due sorelle affrante. Davanti a questo dolore, vedendo i presenti che piangevano mentre di fronte a loro c’era il Salvatore del mondo, “Gesù pianse”. Versetto 35. Sebbene fosse il Figlio di Dio, aveva rivestito la natura degli uomini e partecipava alla loro sofferenza. Gesù, compassionevole e affettuoso, prova sempre simpatia per chi soffre, piange con coloro che piangono e si rallegra con quelli che sono nella gioia. {GN 401.4}

Il motivo del pianto di Gesù non fu soltanto la sua simpatia per Maria e per Marta. Le sue lacrime manifestavano un dolore tanto superiore a quello umano quanto i cieli lo sono alla terra. Gesù non pianse per Lazzaro, perché stava per richiamarlo alla vita. Pianse perché molti fra coloro che partecipavano al lutto per Lazzaro avrebbero presto fatto progetti per condannare a morte colui che è la risurrezione e la vita. I giudei presenti non riuscirono a interpretare i veri moventi delle lacrime di Gesù e incapaci di scorgere nulla al di fuori della situazione presente, dissero: “Guarda come l’amava!” Versetto 36. Altri, tentando di far scendere l’ombra del dubbio nel cuore dei presenti, dicevano con derisione: “Non poteva, lui che ha aperto gli occhi al cieco, far sì che questi non morisse?” Versetto 37. Se Gesù aveva il potere di salvare Lazzaro, perché lo aveva lasciato morire? {GN 401.5}

L’occhio profetico di Gesù vide l’odio dei farisei e dei sadducei. Sapeva che premeditavano la sua morte e che alcuni fra i presenti, ora in atteggiamento così compunto, avrebbero ben presto rifiutato la porta della speranza che dà accesso alla città di Dio. La sua umiliazione e la sua crocifissione avrebbero poi causato la distruzione di Gerusalemme, e in quel tempo nessuno avrebbe pianto per i morti. Nella sua visione profetica scorse il castigo che si sarebbe abbattuto su Gerusalemme. Contemplò la città calpestata dalle legioni romane. Sapeva che diversi fra coloro che in quel momento piangevano per Lazzaro sarebbero morti durante l’assedio, senza alcuna speranza. {GN 402.1}

Gesù non piangeva soltanto per la scena che si presentava ai suoi occhi, ma anche perché sentiva il peso del dolore di tutti i secoli. Scorse i terribili effetti della trasgressione della legge di Dio, la lotta incessante tra il bene e il male cominciata con la morte di Abele e continuata attraverso tutta la storia del mondo. Contemplando gli anni futuri vide le sofferenze e i dispiaceri, le lacrime e la morte, triste retaggio degli uomini. Il suo cuore si commosse per il dolore dell’umanità. Le sofferenze di una razza decaduta gravavano sulla sua anima e il desiderio di alleviarle fece sgorgare le lacrime dai suoi occhi. {GN 402.2}

“Gesù dunque, fremendo di nuovo in se stesso, andò al sepolcro”. Versetto 38. Lazzaro era stato sepolto in una tomba scavata nella roccia, chiusa da una pietra pesante. Gesù disse: “Togliete la pietra!” Versetto 39. Marta, pensando che Gesù volesse soltanto rivedere il morto, fece notare che era stato sepolto da quattro giorni e che era in stato di decomposizione. Questa dichiarazione fatta prima della risurrezione di Lazzaro toglieva ogni validità all’accusa rivolta poi a Gesù di essere ricorso a un inganno. Nel passato i farisei avevano fatto circolare false interpretazioni sulle manifestazioni meravigliose della potenza di Dio. Nel richiamare alla vita la figlia di Iairo, Gesù aveva detto: “La fanciulla non è morta, ma dorme”. Marco 5:39. Siccome la malattia della fanciulla era stata breve ed essa era stata risuscitata subito dopo la morte, i farisei avevano insinuato che non fosse veramente morta, dal momento che anche Gesù aveva affermato che dormiva. Avevano cercato di dimostrare che Gesù non aveva il potere di guarire le malattie e che i suoi miracoli erano illusori. Ma nel caso di Lazzaro, nessuno poteva dubitare della realtà della sua morte. {GN 402.3}

Quando il Signore sta per operare, Satana spinge qualcuno a op-porvisi. Gesù aveva detto: “Togliete la pietra!” Con ciò voleva dire che facilitassero il più possibile il suo lavoro. È qui che si manifesta il carattere deciso e ambizioso di Marta: non voleva che si vedesse il corpo in decomposizione. Il cuore umano è lento a comprendere le parole di Cristo e la fede di Marta non aveva afferrato il vero significato della sua promessa. {GN 403.1}

Gesù rimproverò Marta, ma con gentilezza: “Non ti ho io detto che se credi, vedrai la gloria di Dio?” Giovanni 11:40. Perché dubiti della mia potenza? Perché fai delle obiezioni alle mie richieste? Hai la mia parola; se credi potrai vedere la gloria di Dio. Gli ostacoli naturali non possono impedire l’opera dell’Onnipotente. Scetticismo e incredulità non sono segni di umiltà. La vera umiltà e la vera consacrazione si manifestano con una fede assoluta nelle parole di Gesù. {GN 403.2}

“Togliete via la pietra!” Gesù avrebbe potuto ordinare alla pietra di spostarsi ed essa lo avrebbe fatto. Avrebbe potuto ordinare agli angeli che erano al suo fianco di farlo. Al suo ordine, mani invisibili avrebbero rimosso la pietra. Ma quella pietra doveva essere tolta da mani umane. Così l’umanità cooperava pienamente con la divinità. La potenza divina non fa ciò che può essere compiuto da quella umana. Dio non scarta l’uomo, ma lo potenzia e opera con lui, mentre egli si serve delle capacità e delle facoltà che gli sono state accordate. {GN 403.3}

L’ordine di Gesù è eseguito. La pietra viene spostata. Tutto viene fatto apertamente e con deliberazione. Tutti possono rendersi conto che non c’è inganno. Il corpo di Lazzaro giace nella tomba, freddo e silenzioso. Le piagnone interrompono i lamenti. Il gruppo dei presenti, sorpreso e nell’attesa, aspetta con trepidazione intorno al sepolcro. {GN 403.4}

Gesù è calmo. La solennità dell’ora grava su tutti i presenti. Il Maestro si avvicina ancora al sepolcro poi, alzando gli occhi al cielo, dice: “Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito”. Versetto 41. Non molto prima i suoi nemici lo avevano accusato di bestemmia e avevano raccolto le pietre per lapidarlo perché pretendeva di essere il Figlio di Dio. Lo avevano accusato di compiere i suoi miracoli con la potenza di Satana. Ma qui Gesù chiama Dio suo Padre e con completa fiducia si dichiara Figlio di Dio. {GN 403.5}

Gesù, in tutto quello che fece, collaborò sempre con il Padre. Egli ha sempre cercato di dimostrare che non svolgeva un’opera indipendentemente da lui e che compiva i suoi miracoli tramite la fede e la preghiera. Gesù voleva che tutti conoscessero la sua relazione con il Padre. Disse: “Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito. Io sapevo bene che tu mi esaudisci sempre; ma ho detto questo a motivo della folla che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato”. Versetti 41, 42. {GN 404.1}

In quel momento veniva data ai discepoli e al popolo la prova più convincente della relazione tra Cristo e Dio che dimostrava che l’affermazione di Gesù non era un’impostura. {GN 404.2}

“Detto questo, gridò ad alta voce: Lazzaro, vieni fuori!” Versetto 43. La sua voce chiara e penetrante colpisce l’orecchio del morto. Nelle sue parole c’è la potenza della divinità. Sul suo volto illuminato dalla gloria di Dio i presenti scorgono la manifestazione della sua potenza. Tutti gli occhi sono fissi sull’ingresso della tomba e le orecchie tese al più lieve rumore. Sorpresi ed eccitati, tutti aspettano la testimonianza della divinità di Cristo, la conferma o la smentita del suo rapporto con Dio. {GN 404.3}

C’è un movimento nella tomba silenziosa ed ecco che appare, all’ingresso del sepolcro, colui che era morto. I suoi movimenti sono ostacolati dalle fasce che lo avvolgono, e Gesù dice agli spettatori sbigottiti: “Scioglietelo e lasciatelo andare”. Versetto 44. Di nuovo il Maestro dice che gli uomini devono collaborare con Dio. Gli uomini devono lavorare per gli altri uomini. Lazzaro sta davanti ai presenti, liberato dalle fasce e non più con l’aspetto emaciato del malato, non più con le gambe vacillanti, ma come un uomo nel pieno vigore delle sue forze. Nei suoi occhi brilla l’intelligenza e si legge l’amore per il Salvatore; ed egli si prostra in adorazione ai piedi di Gesù. {GN 404.4}

Le persone presenti sono mute per lo stupore; poi, in maniera indescrivibile, manifestano la loro gioia e la loro gratitudine. Le sorelle accolgono Lazzaro come un dono di Dio, e con lacrime di gioia esprimono il loro ringraziamento al Salvatore. Mentre il fratello, le sorelle e gli amici si rallegrano, Gesù si ritrae in disparte. Quando poi cercano chi ha reso la vita, non lo trovano più. {GN 404.5}



Capitolo 59: Complotti dei sacerdoti

Betania era vicina a Gerusalemme, e la notizia della risurrezione di Lazzaro giunse ben presto in quella località. I capi vennero subito informati dalle spie che avevano assistito al miracolo. Convocarono immediatamente il sinedrio per decidere cosa fare. Gesù aveva chiaramente manifestato di essere il Signore della morte e della vita. Quel miracolo potente era la migliore dimostrazione del fatto che Dio aveva inviato suo Figlio nel mondo per la salvezza dell’umanità. Quella dimostrazione della potenza divina era sufficiente per convincere ogni persona dotata di ragione e di coscienza. {GN 405.1}

Molti fra coloro che furono testimoni della risurrezione di Lazzaro credettero in Gesù, mentre l’odio dei sacerdoti contro di lui aumentava. Avevano respinto le precedenti prove della sua divinità e questo nuovo miracolo li aveva resi ancora più furiosi. Lazzaro era stato risuscitato alla luce del giorno, di fronte a una folla di testimoni; niente avrebbe potuto sminuire l’importanza di quella prova. Per questa ragione l’odio dei sacerdoti cresceva e con maggiore ostinazione decisero di porre termine al ministero di Cristo. {GN 405.2}

I sadducei, sebbene non fossero favorevoli a Gesù, non provavano nei suoi confronti la stessa avversione dei farisei e non lo odiavano così intensamente; tuttavia si allarmarono anch’essi. I sadducei non credevano nella risurrezione dei morti. Basandosi su argomenti pseudo-scientifici, affermavano che era impossibile che un corpo morto tornasse alla vita. Ma Gesù con poche parole aveva demolito la loro teoria e aveva messo in luce la loro ignoranza delle Scritture e della potenza di Dio. {GN 405.3}

I sadducei non sapevano che cosa fare per sminuire l’impressione favorevole che il miracolo aveva prodotto sul popolo. Come avrebbero potuto distogliere la popolazione da colui che aveva vinto la morte? Vennero fatte circolare false notizie, ma il miracolo non poteva essere negato e non si sapeva come renderne vani gli effetti. {GN 405.4}

Sino a quel momento i sadducei non avevano sostenuto il piano di condannare a morte Gesù, ma dopo la risurrezione di Lazzaro si convinsero che solo con la sua morte avrebbero potuto impedire che pronunciasse ancora i suoi coraggiosi rimproveri. {GN 405.5}

I farisei, invece, credevano nella risurrezione, e in quel miracolo scorgevano la prova della presenza del Messia. Ma si erano sempre opposti al ministero di Gesù. Sin dall’inizio lo avevano odiato per i suoi rimproveri contro la loro ipocrisia. Aveva strappato loro quel mantello fatto di riti religiosi con cui nascondevano la loro corruzione. La pura religione insegnata da Gesù era una condanna alla loro falsa professione di fede. I farisei desideravano intensamente vendicarsi dei severi rimproveri di Gesù e avevano più volte cercato di spingerlo a dire o a fare qualcosa che offrisse loro l’occasione per condannarlo. Avevano perfino cercato di lapidarlo, ma egli si era silenziosamente ritirato in disparte ed essi l’avevano perso di vista. {GN 406.1}

Tutti i miracoli che Gesù aveva compiuto di sabato tendevano ad alleviare le sofferenze; ma i farisei avevano tentato di condannarlo come trasgressore del sabato. Avevano anche cercato di sollevare contro di lui gli erodiani e avevano complottato con loro per condannarlo a morte, accusandolo di voler fondare un regno rivale. Avevano tentato di suscitargli contro i romani, presentandolo come un sovvertitore della loro autorità. Si erano serviti di ogni pretesto per sminuire il suo ascendente sul popolo, ma i loro tentativi erano sempre falliti. {GN 406.2}

La folla, vedendo le sue opere di misericordia e ascoltando i suoi insegnamenti puri e santi, si rese conto che non erano né le azioni né le parole di un trasgressore del sabato o di un bestemmiatore. Persino le guardie inviate dai farisei erano rimaste così colpite dalle sue parole che non avevano osato arrestarlo. Non sapendo più a cosa ricorrere, i sacerdoti avevano alla fine deciso di espellere dalla sinagoga tutti coloro che manifestavano fede in lui. {GN 406.3}

I sacerdoti, i capi e gli anziani, riuniti in consiglio, erano decisi a ridurre al silenzio colui che aveva compiuto le opere stupende che tutti ammiravano. I sadducei e i farisei, pur essendo divisi da alcune concezioni diverse, si unirono nella loro opposizione a Cristo. Nico-demo e Giuseppe, che si erano opposti nel passato alla condanna di Gesù, non vennero convocati. Erano presenti nel consiglio altri uomini influenti che credevano in Gesù; ma la loro posizione non riuscì a prevalere sulla malvagità dei farisei. {GN 406.4}

I membri di quel consiglio non erano però tutti d’accordo. All’epoca il sinedrio non costituiva un’assemblea legale, e la sua esistenza era appena tollerata. Alcuni dei suoi membri discutevano sull’opportunità di condannare a morte Gesù, perché temevano che ciò avrebbe potuto suscitare un’insurrezione popolare e offrire un’occa sione ai romani per ridurre ulteriormente i privilegi del sacerdozio e sottrarre loro l’autorità che ancora detenevano. I sadducei erano uniti nel loro odio contro Gesù, tuttavia procedevano con cautela perché temevano che i romani li privassero della loro posizione privilegiata. {GN 406.5}

In quel consiglio, riunito per condannare a morte Gesù, c’era il Testimone che aveva ascoltato le orgogliose parole di Nabucodono-sor, che aveva assistito all’idolatrica festa di Belsatsar, che era presente quando Gesù di Nazaret si era presentato come l’Unto del Signore. Quello stesso Testimone cercava adesso di far capire ai capi che cosa stavano macchinando. Si presentarono chiaramente alle loro menti le opere che Gesù aveva compiuto; ricordarono la scena del tempio quando Gesù dodicenne aveva posto domande ai dottori della legge suscitando il loro stupore. Il grande miracolo appena compiuto testimoniava incontestabilmente che Gesù era il Figlio di Dio. Le profezie messianiche dell’Antico Testamento acquistarono nella loro mente un chiaro significato, perciò essi, perplessi e turbati, si chiesero: “Che facciamo?” Giovanni 11:47. Il consiglio era diviso. Sotto l’influsso dello Spirito Santo, i sacerdoti e i capi sentivano che stavano lottando contro Dio. {GN 407.1}

Mentre erano così incerti, si alzò Caiafa, il sommo sacerdote. Era un uomo orgoglioso e crudele, autoritario e intollerante. Nella sua famiglia c’erano dei sadducei che nascondevano, sotto un’apparenza di giustizia esteriore, l’orgoglio, la presunzione, l’indifferenza, l’ambizione e la crudeltà. Caiafa aveva studiato le profezie e, sebbene non ne avesse compreso il vero significato, parlava con grande autorità e sicurezza. “Voi non capite nulla, e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione”. Versetti 49, 50. Il sommo sacerdote voleva dire che Gesù doveva essere condannato a morte, sebbene innocente. Egli provocava disordini attirando a sé il popolo e indebolendo l’autorità dei capi. Era meglio che uno solo morisse, piuttosto che venisse messa in discussione l’autorità dei capi. Se il popolo avesse perso fiducia nei suoi dirigenti, sarebbe crollata la potenza della nazione. Caiafa temeva anche che dopo quel miracolo i discepoli di Gesù si facessero promotori di una rivolta. Allora i romani avrebbero chiuso il tempio, avrebbero abolito le loro leggi e li avrebbero annientati come nazione. La vita di un solo galileo valeva certo molto meno della vita di tutta la nazione. Se costui era un ostacolo per il benessere d’Israele, non si rendeva forse un servizio a Dio eliminandolo? Quindi era meglio che un uomo solo morisse piuttosto che venisse distrutto tutto il popolo. {GN 407.2}

Con quest’ultima dichiarazione Caiafa dimostrava di avere una conoscenza delle profezie, sia pur limitata. Giovanni, raccontando il fatto, riprende la profezia e ne mostra l’ampio e profondo significato. “E non soltanto per la nazione, ma anche per riunire in uno i figli di Dio dispersi”. Versetto 52. L’orgoglioso Caiafa riconosceva in parte la missione del Salvatore. {GN 408.1}

Sulle labbra del sommo sacerdote questa preziosa verità si tramutò in menzogna. La concezione che egli aveva espresso si basava su un principio pagano. L’oscuro presentimento che qualcuno dovesse morire per gli uomini aveva indotto i pagani a offrire dei sacrifici umani; nella stessa maniera Caiafa aveva proposto il sacrificio di Gesù per salvare la nazione colpevole, non però dalla trasgressione, bensì nella trasgressione, in modo che potessero continuare a peccare. Con il suo ragionamento pensò di ridurre al silenzio tutti coloro che osavano dire che non si era trovato in Gesù niente che lo rendesse meritevole di morte. {GN 408.2}

Nei nemici di Gesù si era formata una profonda convinzione. Lo Spirito Santo aveva agito sulle loro menti; Satana però tentò di nuovo di riconquistarle con il ricordo di quello che avevano sopportato per colpa di Gesù, e del poco rispetto che egli aveva dimostrato per la loro giustizia. Gesù aveva rivelato una giustizia molto più ampia, valida per tutti i Agli di Dio. Senza occuparsi delle forme e delle cerimonie dei sacerdoti, aveva esortato i peccatori a rivolgersi direttamente a Dio, come a un padre misericordioso, per fargli conoscere le loro richieste. Per questo insegnamento lo accusavano di aver disprezzato il sacerdozio. Lo accusavano anche di non aver riconosciuto la teologia delle scuole rabbiniche. Denunciando la malvagia condotta dei sacerdoti, ne aveva irrimediabilmente sminuito l’influsso. Aveva dimostrato l’ingiustizia delle loro prescrizioni e delle loro tradizioni, e aveva detto che l’osservanza rigorosa delle loro cerimonie rendeva inutile la legge di Dio. In quel momento, Satana fece tornare loro in mente tutti questi pensieri. {GN 408.3}

Egli suggerì loro che dovevano condannare a morte Gesù se volevano conservare la loro autorità. Essi, purtroppo, seguirono quel suggerimento. Il pericolo di perdere il potere che avevano esercitato sino a quel momento parve loro un motivo sufficiente per prendere una simile decisione. A eccezione di pochi che non osarono esprimersi, il sinedrio accolse le parole di Caiafa come parole di Dio. {GN 408.4}

Il sinedrio si sentì sollevato e la discordia cessò. Decisero di far morire Gesù alla prima occasione favorevole. I sacerdoti e i capi, respingendo le prove della divinità di Gesù, si erano chiusi in tene bre impenetrabili; si erano completamente abbandonati al dominio di Satana per essere spinti sino alla rovina eterna. Erano così immersi nelle tenebre spirituali che si congratularono per ciò che avevano deciso, stimandosi patrioti impegnati nella salvezza della nazione. {GN 408.5}

I membri del sinedrio temevano, attuando le drastiche decisioni, che il popolo si esasperasse e ritorcesse contro di loro la violenza macchinata contro Gesù. Per questi timori, il consiglio rinviò l’esecuzione della decisione. Il Salvatore sapeva del complotto dei sacerdoti; sapeva che volevano eliminarlo e che il loro piano si sarebbe ben presto attuato, ma non voleva affrettare la crisi, perciò si allontanò da quella regione insieme con i suoi discepoli. Con il suo esempio confermò così l’insegnamento che aveva dato: “Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra”. Matteo 10:23. Il campo dove lavorare per la salvezza delle anime è grande, e i collaboratori del Signore non devono mettere a repentaglio la loro vita se non lo esige la fedeltà verso di lui. {GN 409.1}

Per tre anni Gesù aveva svolto il suo ministero pubblico in favore del mondo e aveva offerto un esempio di amore disinteressato e di abnegazione. Tutti ora conoscevano la sua vita caratterizzata dalla purezza, dalla devozione e dalla sofferenza; ma l’umanità non poteva sopportare la presenza del suo Redentore per un periodo più lungo. {GN 409.2}

La sua vita era tormentata da persecuzioni e offese. Gesù, strappato da Betlemme dall’invidia di un re geloso, respinto dai suoi a Nazaret, condannato a morte senza processo a Gerusalemme, cercò con i suoi pochi fedeli discepoli un rifugio temporaneo in una città straniera. Colui che aveva sempre provato compassione per il dolore degli uomini, che aveva guarito gli ammalati, che aveva reso la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, che aveva nutrito gli affamati e consolato gli afflitti, ora veniva respinto dal popolo che era venuto a salvare. Colui che aveva camminato sulle onde impetuose e che con la sua parola le aveva placate, colui che aveva cacciato i demoni obbligandoli a riconoscerlo come Figlio di Dio, colui che aveva risvegliato i morti dal loro sonno, che aveva affascinato migliaia di persone con le sue parole di saggezza, adesso non poteva penetrare nei cuori accecati dal pregiudizio e dall’odio, e che respingevano ostinatamente la sua luce. {GN 409.3}



Capitolo 60: La legge del nuovo regno

Si avvicinava il tempo della Pasqua, e nuovamente Gesù si diresse verso Gerusalemme. Con il cuore colmo della pace che proveniva da un’assoluta sintonia con la volontà del Padre, egli avanzò verso il luogo del sacrificio. Sui discepoli cadde un’ombra di mistero, dubbio e paura. “Gesù andava davanti a loro; essi erano turbati; quelli che seguivano erano pieni di timore”. Marco 10:32. {GN 410.1}

Gesù riunì nuovamente intorno a sé i dodici e con maggior chiarezza parlò loro del tradimento e delle sofferenze che avrebbe provate. “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e saranno compiute riguardo al Figlio dell’uomo tutte le cose scritte dai profeti; perché egli sarà consegnato ai pagani, e sarà schernito e oltraggiato e gli sputeranno addosso; e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno; ma il terzo giorno risusciterà. Ed essi non capirono nulla di tutto questo; quel discorso era per loro oscuro, e non capivano ciò che Gesù voleva dire”. Luca 18:31-34. {GN 410.2}

Non avevano proclamato ovunque che il regno di Dio era vicino? Gesù stesso non aveva promesso che molti si sarebbero seduti a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno di Dio? Non aveva promesso che coloro che rinunciavano a tutto per amor suo avrebbero ricevuto cento volte tanto in questa vita e nel regno futuro la vita eterna? Non aveva promesso di dare ai dodici una posizione di privilegio nel suo regno, ponendoli sui troni a giudicare le dodici tribù d’Israele? Anche poco prima aveva ripetuto che tutte le cose scritte su di lui dai profeti si sarebbero adempiute. E i profeti non avevano preannunciato la gloria del regno del Messia? Alla luce di questi pensieri, le sue parole sul tradimento, sulla persecuzione e sulla morte apparivano vaghe e tristi. Qualsiasi difficoltà potesse sopraggiungere, essi credevano che il regno sarebbe stato presto stabilito. {GN 410.3}

Giovanni, Aglio di Zebedeo, era stato uno dei primi a seguire Gesù. Con suo fratello Giacomo appartenevano a quel gruppo che aveva lasciato tutto per seguirlo. Con gioia essi avevano abbandonato casa e amici per lui; avevano camminato e parlato con lui; erano stati con lui in privato e in pubblico. Gesù aveva placato i loro animi, li aveva liberati dal pericolo, li aveva sollevati nelle sofferenze, confortati nel dolore e li aveva istruiti con pazienza e tenerezza. I loro cuori si erano uniti al suo e nel loro amore desideravano essere più vicini a lui nel suo regno. Giovanni coglieva ogni possibile occasione per porsi vicino al Salvatore e anche Giacomo desiderava un simile onore. {GN 410.4}

La loro madre seguiva Gesù e gli aveva messo liberamente a disposizione i suoi beni. Animata da amore materno e da ambizione per i suoi figli, desiderava che occupassero i posti più importanti nel suo regno. Per questo motivo incoraggiò i suoi figli a rivolgere a Gesù la loro richiesta. {GN 411.1}

Madre e figli andarono da Gesù per chiedergli di esaudire le richieste del loro cuore. “Ed egli disse loro: Che volete che io faccia per voi?” Marco 10:36. La madre rispose: “Di’ che questi miei due figli siedano l’uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra, nel tuo regno”. Matteo 20:21. {GN 411.2}

Gesù li trattò con tenera pazienza; non rimproverò il loro egoismo che li spingeva a ricercare un ruolo di preminenza sui propri fratelli. Lesse nei loro cuori e vi scorse la profondità del loro affetto per lui. Il loro amore non era un sentimento puramente umano; sebbene fosse contaminato da moventi terreni, esso sgorgava dalla fonte del suo amore redentore. Non volendolo respingere, ma approfondire e purificare, Gesù rispose: “Potete voi bere il calice che io bevo, o essere battezzati del battesimo del quale io sono battezzato?” Marco 10:38. Essi si ricordarono delle sue misteriose parole sulle prove e le sofferenze, tuttavia risposero con fiducia: “Sì, lo possiamo”. Consideravano un grande onore poter dimostrare la loro lealtà partecipando a tutto ciò che sarebbe accaduto al loro Signore. {GN 411.3}

“Voi certo berrete il calice che io bevo e sarete battezzati del battesimo del quale io sono battezzato”. Versetto 39. Davanti a lui si profilava una croce al posto di un trono, con due malfattori come compagni, l’uno a destra e l’altro a sinistra. Giovanni e Giacomo avrebbero condiviso le sofferenze del Maestro; uno di loro sarebbe stato il primo a morire per la spada; l’altro avrebbe sopportato più a lungo la lotta, le accuse, la persecuzione. {GN 411.4}

Gesù continuò: “Ma quanto al sedersi alla mia destra o alla mia sinistra, non sta a me concederlo, ma è per quelli a cui è stato preparato”. Versetto 40. Nel regno di Dio la posizione non si guadagna mediante i favoritismi; non si merita e neppure si riceve come un dono arbitrario. Essa è il risultato del carattere. La corona e il trono sono i segni esteriori di una posizione conseguita: la vittoria su se stesso tramite Gesù Cristo. {GN 411.5}

Molto più tardi, quando Giovanni entrò in comunione con Cristo tramite la partecipazione alle sue sofferenze, il Signore gli rivelò la condizione di vicinanza nel suo regno. “Chi vince lo farò sedere presso di me sul mio trono, come anch’io ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono. Chi vince io lo porrò come colonna nel tempio del mio Dio, ed egli non ne uscirà mai più; scriverò su di lui il nome del mio Dio... e il mio nuovo nome”. Apocalisse 3:21, 12. L’apostolo Paolo ha scritto: “Quanto a me, io sto per essere offerto in libazione, e il tempo della mia partenza è giunto. Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservata la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno”. 2 Timoteo 4:6-8. {GN 412.1}

Sarà più vicino a Cristo colui che sulla terra avrà più profondamente attinto al suo spirito di sacrificio e al suo amore, amore che “non si vanta, non si gonfia... non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male”. 1 Corinzi 13:4, 5. Un amore che induce i discepoli, come ha indotto il nostro Signore, a offrire tutto, a vivere, a lavorare e a sacrificarsi fino alla morte, per la salvezza dell’umanità. Questo spirito si manifestò chiaramente nella vita di Paolo. Egli aveva scritto: “Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno”. Filippesi 1:21. La sua vita era una rivelazione di Cristo agli uomini e la sua morte un guadagno per Cristo, perché la morte stessa rivela la potenza della sua grazia e conquista anime a lui. “Cristo sarà magnificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte”. Versetto 20. {GN 412.2}

Gli altri dieci discepoli provarono molto dispiacere nell’udire la domanda di Giacomo e di Giovanni. Ciascuno di loro desiderava per sé il posto più importante nel regno. Si preoccuparono al pensiero che i due discepoli avessero acquisito un vantaggio. {GN 412.3}

Nuovamente si stava riaccendendo la questione su chi fosse il maggiore. Ma Gesù chiamò i discepoli indignati, e disse loro: “Voi sapete che quelli che son reputati principi delle nazioni le Signoreggiano e che i loro grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra {GN 412.4}

di voi”. Marco 10:42, 43. {GN 412.5}

Nei regni terreni la posizione significava maggiore o minore prestigio. I popoli esistevano per i vantaggi dei capi. L’autorità, la ricchezza e l’educazione erano mezzi per conquistare il dominio delle masse secondo le intenzioni dei capi. Le classi elevate pensavano, decidevano, godevano e comandavano, mentre quelle umili dovevano ubbidire e servire. La religione, come tutte le altre cose, era una questione di autorità. Il popolo doveva credere e comportarsi secondo le direttive dei superiori. Si ignorava completamente il diritto del l’uomo di pensare e agire secondo coscienza. Gesù avrebbe stabilito un regno basato su princìpi opposti. Egli chiamava gli uomini non a rivestire dei ruoli con autorità, ma a servire. Il forte avrebbe dovuto sostenere il debole. La potenza, la posizione, le capacità, l’educazione spingevano al dovere di servire i propri simili. Persino ai più umili dei discepoli di Cristo viene detto: “Tutte ciò infatti avviene per voi”. 2 Corinzi 4:15. {GN 412.6}

“Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per esser servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti”. Marco 10:45. Cristo sopportò gli affanni e i pesi dei suoi discepoli, condivise la loro povertà, praticò l’abnegazione in loro favore. Li precedette per appianare le loro difficoltà: poi avrebbe concluso la sua opera sulla terra offrendo la propria vita. {GN 413.1}

Il principio che è stato alla base della vita di Cristo deve ispirare i membri della chiesa, che è il suo corpo. L’essenza del piano della salvezza è l’amore. Nel regno di Cristo sono grandi coloro che seguono il suo esempio e si comportano come pastori del suo gregge. {GN 413.2}

Le parole di Paolo indicano la dignità e l’onore della vita cristiana. “Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti... cercando non l’utile mio, ma quello dei molti, perché siano salvati”. 1 Corinzi 9:19; 10:33. {GN 413.3}

Nelle questioni di coscienza ognuno deve essere lasciato libero. Nessuno deve dominare la mente di un altro, giudicare al posto di un altro o prescrivergli il suo dovere. Dio concede a ognuno la libertà di pensare e seguire le proprie convinzioni. “Ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio”. Romani 14:12. {GN 413.4}

Nessuno ha il diritto di imporre a un altro la sua personalità. In ogni questione che implica dei princìpi “sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente”. Versetto 5. Nel regno di Cristo non c’è posto né per l’oppressione né per qualsiasi forma di obbligo. Gli angeli del cielo non scendono sulla terra per comandare o esigere onori, ma come messaggeri della misericordia per collaborare con gli uomini promuovendo la redenzione dell’umanità. {GN 413.5}

I princìpi e le stesse parole di Gesù rimasero impressi, in tutta la loro bellezza, nella mente del discepolo prediletto. Sino alla fine della sua vita il messaggio di Giovanni alle chiese è stato: “Poiché questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci amiamo gli altri. Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli”. Giovanni 3:11, 16. {GN 413.6}

Questo era lo spirito della chiesa primitiva. Dopo l’effusione dello Spirito Santo, “la moltitudine di coloro che avevano creduto, era d’un sol cuore e di un’anima sola; non vi era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva ma tutto era comune tra di loro. Infatti non c’era nessun bisognoso tra di loro. E gli apostoli, con grande potenza, rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù; e grande grazia era sopra tutti loro”. Atti 4:32, 34, 33. {GN 413.7}



Capitolo 61: Zaccheo

Nel suo viaggio verso Gerusalemme Gesù passò da Gerico. Questa città sorgeva a pochi chilometri dal Giordano, sul lato occidentale della valle, in mezzo a una vegetazione lussureggiante. Gerico, con i suoi palmeti e i ricchi giardini irrigati da sorgenti, brillava come uno smeraldo nello scenario delle colline di calcare, fra i burroni deserti che la separavano da Gerusalemme. {GN 415.1}

Molte carovane dirette alla capitale per la festa passavano da Gerico. La città festeggiava sempre il loro arrivo, ma questa volta c’era un motivo in più. Si sapeva che il Maestro di Galilea, che poco tempo prima aveva risuscitato Lazzaro, era in mezzo alla folla; e nonostante girassero voci sul complotto dei sacerdoti, molti erano pronti a rendergli omaggio. {GN 415.2}

Sin dall’antichità Gerico era una delle città riservate ai sacerdoti; al tempo di Gesù molti vi risiedevano stabilmente. Ma la città era abitata anche da una popolazione eterogenea. Gerico era un importante nodo di transito e c’erano molti ufficiali e soldati romani, stranieri di diversa provenienza e molti pubblicani addetti alla riscossione delle tasse. {GN 415.3}

Zaccheo, capo dei pubblicani, era ebreo ed era odiato dai suoi concittadini. La sua responsabilità e la sua ricchezza erano considerate come la ricompensa di una professione aborrita che evocava ingiustizia ed estorsione. Ma quel ricco esattore non aveva un cuore così indurito come sembrava. Sotto l’apparenza mondana e orgogliosa c’era un cuore sensibile all’influsso divino. Zaccheo aveva sentito parlare di Gesù. {GN 415.4}

Si era diffusa la voce che quel Maestro trattasse con gentilezza e affabilità l’odiata classe dei pubblicani, e nell’animo di quel capo sorse il desiderio di una vita migliore. Giovanni il battista aveva predicato lungo le rive del Giordano, a pochi chilometri da Gerico, e Zaccheo aveva udito il suo invito al pentimento. Le sue parole ai pubblicani: “Non riscotete nulla di più di quello che vi è ordinato” (Luca 3:13), apparentemente disdegnate, si erano impresse nella sua mente. Egli conosceva le Scritture e si convinse che il suo stile di vita era sbagliato. Poi, udendo parlare del messaggio di quel grande Maestro, si sentì un peccatore davanti a Dio. Ma ciò che aveva udito riaccese la speranza nel suo cuore. Era possibile anche per lui un pentimento e un cambiamento, poiché aveva udito che un pubblicano era diventato uno dei più stretti collaboratori del Maestro. Zaccheo aveva iniziato a seguire le sue nuove convinzioni e a riparare i torti. {GN 415.5}

Questo era lo stato d’animo di Zaccheo, quando si sparse la notizia che Gesù stava entrando in Gerico. Zaccheo decise di vederlo. Si rendeva conto dell’amarezza del peccato e delle difficoltà che incontra chi vuole abbandonare una via sbagliata. Gli era penoso non essere capito ed essere guardato con sospetto mentre tentava di riparare i suoi errori. Per questo, quel capo dei pubblicani desiderava vedere in viso colui le cui parole avevano acceso la speranza nel suo cuore. {GN 416.1}

Le strade erano affollate e Zaccheo, piccolo di statura, non poteva vedere nulla oltre la testa della gente. Nessuno voleva fargli spazio. Allora quel ricco esattore corse davanti alla folla, dove un sicomoro stendeva i suoi ampi rami sulla strada, vi si arrampicò e si sedette su un ramo per poter vedere bene Gesù quando sarebbe passato. La folla si avvicinava e Zaccheo cercava attentamente il Maestro che desiderava tanto conoscere. {GN 416.2}

Quel desiderio inespresso giunse al cuore di Gesù al di sopra del clamore dei sacerdoti e dei rabbini e delle grida di saluto della folla. Improvvisamente la folla si ferma sotto l’albero, quelli che precedono e quelli che seguono sostano, mentre uno sguardo penetrante si volge verso l’alto. Quasi non credendo alle sue orecchie l’uomo sull’albero ode queste parole: “Zaccheo, scendi, presto, perché oggi debbo fermarmi a casa tua”. Luca 19:5. {GN 416.3}

La folla si scosta e Zaccheo, come in un sogno, guida Gesù sino alla sua casa. Ma i rabbini con i volti aggrottati mormorano: “È andato ad alloggiare in casa di un peccatore!” Versetto 7. {GN 416.4}

Zaccheo, stupito di fronte all’amore e alla disponibilità di Gesù che si era fermato da lui nonostante la sua indegnità, non pronunciò parola. Ma l’amore e la lealtà verso il suo nuovo Maestro finirono per indurlo a esprimere a tutti il suo pentimento. {GN 416.5}

Davanti alla folla dichiarò: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo. Gesù gli disse: Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anche questo è figlio d’Abraamo”. Versetti 8, 9. {GN 416.6}

Quando il giovane ricco si allontanò da Gesù, i discepoli si stupirono perché il Maestro aveva detto: “Figlioli, quanto è difficile per quelli che confidano nelle ricchezze entrare nel regno di Dio! Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: Chi dunque può esser salvato?” Marco 10:24, 26. Ora, davanti a Zaccheo, avevano la riprova della verità di altre parole di Gesù: “Le cose impossibili agli uomini sono possibili a Dio”. Luca 18:27. Vedevano come era possibile che attraverso la grazia di Dio un uomo ricco entrasse nel regno del Signore. {GN 416.7}

Prima ancora di vedere il volto di Gesù, in Zaccheo era iniziata quell’esperienza che doveva concludersi con un totale pentimento. Prima di essere accusato dagli uomini, aveva confessato i suoi peccati, aveva ascoltato la voce dello Spirito Santo e aveva iniziato a seguire le parole scritte per l’antico Israele e per ogni uomo. Il Signore aveva detto molto tempo prima: “Nessuno di voi danneggi il suo prossimo, ma temerai il tuo Dio. Se uno dei vostri diventa povero e privo di mezzi, tu lo sosterrai, come sosterrai lo straniero e l’ospite, affinché possa vivere presso di te. Non prendere da lui interesse, né usura; ma temi il tuo Dio e il tuo prossimo viva presso di te. Non gli presterai il tuo danaro a interesse, né gli darai i tuoi viveri per ricavarne un’usura”. Levitico 25:17, 35-37. Quelle parole erano state pronunciate da Cristo stesso dalla colonna di nuvole e la prima risposta di Zaccheo all’amore di Gesù fu la compassione verso il povero e il sofferente. {GN 417.1}

I pubblicani si erano uniti per meglio opprimere il popolo e sostenersi reciprocamente nelle loro azioni disoneste. Compiendo delle estorsioni, seguivano un’usanza molto diffusa. Persino i sacerdoti e i rabbini, che disprezzavano i pubblicani, erano colpevoli di arricchimenti illeciti, compiuti con il pretesto della loro sacra missione. Ma appena Zaccheo ebbe ceduto all’influsso dello Spirito Santo, abbandonò tutte le abitudini disoneste. {GN 417.2}

Ogni pentimento sincero produce un cambiamento del comportamento. La giustizia di Cristo non è un abito che serve per coprire i peccati non confessati e non perdonati: è un principio di vita che trasforma il carattere e lo stile di vita. Il Signore considera la santità come un’esperienza globale, che consiste nella piena consacrazione del cuore e della vita ai princìpi del cielo. {GN 417.3}

Le attività economiche del cristiano devono svolgersi secondo i princìpi divini. In tutto quello che fa, deve dimostrare che Dio è il suo maestro. I libri contabili, i contratti, le fatture, le cambiali devono portare il segno della santità di Dio. Coloro che si professano discepoli di Cristo ma che agiscono con disonestà, danno una falsa testimonianza del carattere, della santità, della giustizia e della misericordia di Dio. Ogni uomo che ha accolto Cristo nel cuore manifesterà la sua conversione come Zaccheo, mediante l’abbandono degli errori passati. Come il capo dei pubblicani, manifesterà la sua since rità riparando i torti commessi. Il Signore dice: “Se rende il pegno, se restituisce ciò che ha rubato, se cammina secondo i precetti che danno la vita, senza commettere l’iniquità, per certo egli vivrà, non morirà; tutti i peccati che ha commessi non saranno più ricordati contro di lui”. Ezechiele 33:15, 16. {GN 417.4}

Se abbiamo fatto un torto ad altri con affari disonesti, se abbiamo ingannato nel commercio, o frodato qualcuno, anche entro i limiti della legalità, dobbiamo confessare il nostro errore e riparare nei limiti del possibile. Dobbiamo restituire non solo ciò che abbiamo sottratto, ma anche tutti gli interessi che nel frattempo sarebbero maturati. {GN 418.1}

Il Signore disse a Zaccheo: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa”. La benedizione su Zaccheo si estese a tutta la sua casa. Gesù si recò nella sua abitazione per insegnargli le lezioni di verità e per istruire i suoi familiari nelle cose del regno. Questa famiglia era stata esclusa dalla sinagoga per il disprezzo dei rabbini e degli altri adoratori; ma ora, più privilegiata di tutte le altre di Gerico, si riuniva nella propria casa intorno al divino Maestro, per ascoltare le sue parole di vita. {GN 418.2}

Colui che accoglie Gesù, accoglie la salvezza. Zaccheo aveva ricevuto Gesù nella sua casa, non come un ospite di passaggio, ma come colui che abitava nel tempio del suo spirito. Gli scribi e i farisei lo accusarono di essere un peccatore e mormorarono contro di lui perché era andato a casa sua, ma il Signore riconobbe in lui un figlio di Abramo. Perché “che quanti hanno fede sono figli d’Abraamo”. Galati 3:7. {GN 418.3}



Capitolo 62: Il convito in casa di Simone

Simone di Betania, considerato un discepolo di Gesù, era uno dei pochi farisei che si erano apertamente schierati dalla parte del Maestro. Riconosceva Gesù come Maestro; sperava che fosse il Messia, ma non lo aveva accettato come Salvatore. Aveva conservato il suo vecchio carattere e i suoi vecchi princìpi. {GN 419.1}

Poiché si sentiva attratto da colui che lo aveva guarito dalla lebbra, per manifestargli la propria riconoscenza, in occasione dell’ultima visita di Gesù a Betania, organizzò un pranzo in suo onore e invitò anche i suoi discepoli. In quell’occasione si incontrarono nella sua casa molti ebrei. A Gerusalemme si discuteva, più che in passato, di Gesù e della sua missione, e al pranzo gli invitati osservavano attentamente Gesù e alcuni di loro lo facevano con sguardi maligni. {GN 419.2}

Il Salvatore era giunto a Betania solo sei giorni prima della Pasqua e come al solito aveva fatto una sosta in casa di Lazzaro. Gruppi di pellegrini avevano diffuso la notizia che Gesù viaggiava verso Gerusalemme e che il sabato si sarebbe fermato a Betania. Il popolo lo attendeva con ansia. Molti accorsero a Betania: alcuni perché simpatizzavano con Gesù, altri perché erano curiosi di vedere colui che era stato risuscitato dai morti. Molti si aspettavano che Lazzaro raccontasse le cose straordinarie che aveva visto dopo la morte e si stupirono perché non aveva nulla da dire. Ciò era naturale, perché le Scritture affermano: “I morti non sanno nulla. Il loro amore come il loro odio e la loro invidia sono da lungo tempo periti”. Ecclesiaste 9:5, 6. Ma Lazzaro aveva una stupenda testimonianza da rendere sull’opera di Cristo, ed era stato risuscitato dai morti proprio per questo. Lazzaro dichiarava con convinzione e potenza che Gesù era il Figlio di Dio. {GN 419.3}



Capitolo 63: “Il tuo re viene”

“Esulta grandemente, o figlia di Sion, manda gridi di gioia, o figlia di Gerusalemme; ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso, umile, in groppa a un asino, sopra un puledro, il piccolo dell’asina”. Zaccaria 9:9. {GN 429.1}

Il profeta Zaccaria aveva annunciato la venuta del Re d’Israele cinquecento anni prima della sua nascita. Quella profezia stava per adempiersi. Colui che per tanto tempo aveva rifiutato gli onori regali, giungeva ora a Gerusalemme come l’erede promesso del trono di Davide. {GN 429.2}

Gesù fece il suo ingresso trionfale il primo giorno della settimana. Lo accompagnava la folla che si era raccolta intorno a lui a Betania: tutti volevano assistere al suo trionfo. Molti che erano in cammino verso Gerusalemme per celebrare la Pasqua, si unirono alla folla che seguiva Gesù. Sembrava che tutta la natura si rallegrasse: gli alberi si erano rivestiti di foglie e i fiori diffondevano nell’aria un profumo delizioso. Il popolo sembrava animato da nuova vita e da nuova gioia. Si riaccendevano le speranze della venuta del regno. {GN 429.3}

Siccome voleva entrare in Gerusalemme a dorso d’asino, Gesù inviò due discepoli a cercare un’asina con il suo puledro. Alla sua nascita accettò l’ospitalità di estranei e ottenne la mangiatoia nella quale fu deposto. In quest’occasione, nonostante fosse suo tutto il bestiame che pascolava sulle colline, Gesù si rivolse alla cortesia di un estraneo per avere un asino sul quale entrare in Gerusalemme come re. Le esatte indicazioni che Gesù dette ai discepoli erano una prova ulteriore della sua divinità. Come aveva detto, fu sufficiente l’affermazione “Il Signore ne ha bisogno”. Matteo 21:3. Gesù voleva un puledro che nessuno avesse ancora cavalcato. I discepoli, pieni di entusiasmo, stesero i loro mantelli sull’animale e vi fecero salire il Maestro. Siccome Gesù aveva sempre viaggiato a piedi, i discepoli si stupirono per il suo desiderio di una cavalcatura, ma subito i loro cuori si riaccesero di speranza pensando che stava per entrare nella capitale dove si sarebbe proclamato re e avrebbe riaffermato il suo potere. Durante il cammino comunicarono la loro speranza agli amici e un’intensa eccitazione si diffuse ovunque; il popolo era fremente. {GN 429.4}

Gesù stava seguendo l’antica consuetudine ebraica sugli ingressi regali. Cavalcava sullo stesso animale di cui si erano serviti i re d’Israele. I profeti avevano predetto che il Messia sarebbe entrato nel suo regno in questo modo. Appena fu salito sul puledro, si udì un possente grido di trionfo. La folla lo acclamava Messia e Re. Gesù accettò in quel momento l’omaggio che prima aveva sempre respinto; i discepoli considerarono quel fatto come la prova che le loro speranze stavano per attuarsi; la folla era convinta che fosse giunta l’ora della liberazione. {GN 430.1}

La loro immaginazione vedeva già la partenza dell’esercito romano e la riconquista dell’indipendenza. Tutti erano felici, entusiasti e gareggiavano nel rendere omaggio a Gesù. Non potevano offrire una manifestazione pomposa e splendida, ma offrirono a Gesù l’adorazione dei loro cuori esultanti. Non potevano offrirgli doni costosi, ma stesero i loro mantelli come un tappeto lungo la strada, sulla quale sparsero anche rami di ulivo e di palma. Non potevano guidare il corteo con stendardi regali, ma tagliarono dei rami di palma, simbolo di vittoria, e li agitarono con acclamazioni e osanna. {GN 430.2}

Coloro che venivano a sapere dell’arrivo di Gesù si univano alla processione a mano a mano che avanzava. Persone nuove si aggiungevano continuamente alla folla e chiedevano informazioni sulla persona e su quell’entusiasmo. Avevano sentito parlare di Gesù e avevano atteso che salisse a Gerusalemme, ma sapevano che aveva sempre scoraggiato ogni tentativo di porlo sul trono e furono molto stupiti quando appresero che si trattava proprio di lui. Si chiedevano che cosa mai avesse potuto produrre un tale cambiamento in colui che aveva dichiarato che il suo regno non era di questo mondo. {GN 430.3}

Le loro domande vengono sommerse da grida di trionfo. La folla entusiasta le ripete in continuazione; le riprende la folla lontana, sino a farle riecheggiare sulle colline e nelle vallate. La gente che esce da Gerusalemme si unisce al corteo. Migliaia di persone, salite per celebrare la Pasqua, accorrono per salutare Gesù agitando rami di palma e cantando inni sacri. I sacerdoti annunciano nel tempio con le trombe il servizio della sera, ma pochi rispondono, e i capi si dicono allarmati: “Ecco, il mondo gli corre dietro!” Giovanni 12:19. {GN 430.4}

Mai, fino a quel momento, Gesù aveva permesso una simile dimostrazione. Sapeva che il risultato sarebbe stata la croce. Ma voleva ugualmente presentarsi in pubblico come il Redentore. Voleva attirare l’attenzione sul suo sacrificio, coronamento della sua missione per un mondo decaduto. Mentre il popolo si riuniva a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, egli, l’agnello simbolico, si offriva volontariamente in sacrificio. La chiesa in tutte le epoche future avrebbe dovuto fare della sua morte per i peccati del mondo un soggetto di intensa meditazione e studio, per chiarire tutto ciò che si riferisce a questo fatto. In quel momento era necessario che gli occhi di tutto il popolo si volgessero verso di lui, perciò gli eventi che precedevano il suo grande sacrificio dovevano essere tali da richiamare l’attenzione di tutti. Dopo la grande manifestazione del suo ingresso in Gerusalemme, tutti avrebbero seguito il rapido svolgimento degli eventi sino alla scena finale. {GN 430.5}

Ognuno avrebbe poi parlato di quell’ingresso trionfale e di tutti i fatti della vita di Gesù collegati con essa. Dopo la sua crocifissione, molti avrebbero ricordato quegli avvenimenti in rapporto al suo processo e alla sua morte. Ciò li avrebbe spinti a investigare le Scritture e li avrebbe convinti della messianicità di Gesù, producendo frutti di conversione alla vera fede. {GN 431.1}

In quest’unica scena trionfale della sua vita terrena, Gesù avrebbe potuto farsi scortare dagli angeli e annunciare dalla tromba di Dio, ma una simile manifestazione sarebbe stata contraria allo scopo della sua missione e ai princìpi della sua vita. Gesù rimase fedele all’umile condizione che aveva accettato. Doveva portare il fardello dell’umanità fino al sacrificio per la vita del mondo. {GN 431.2}

Quel giorno, in cui i discepoli vedevano il coronamento delle loro speranze, sarebbe apparso loro oscuro se avessero saputo che era il preludio della sofferenza e della morte del Maestro. Sebbene Gesù avesse più volte parlato del suo sacrificio, in quel giorno di trionfo tutti dimenticarono le sue tristi parole e pensarono invece al suo regno trionfante sul trono di Davide. {GN 431.3}

Il corteo si ingrandiva sempre più e, tranne poche eccezioni, tutti venivano travolti dall’entusiasmo generale e si univano agli osanna che riecheggiavano nelle colline e nelle valli. Continuamente si udivano queste esclamazioni: “Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!” Matteo 21:9. {GN 431.4}

Mai prima di allora il mondo aveva visto un trionfo simile. Esso era del tutto diverso da quello dei famosi conquistatori della terra. Non c’era alcun seguito di prigionieri vinti e umiliati, ma solo trofei gloriosi di un ministero d’amore in favore dei peccatori. C’erano i prigionieri che egli aveva sottratto al potere di Satana e che innalzavano lodi a Dio per la liberazione. Guidavano il corteo i ciechi a cui Gesù aveva ridato la vista; i muti ai quali aveva reso la parola cantavano gli osanna più sonori; gli storpi che aveva guarito saltavano con gioia ed erano i più attivi nel tagliare i rami di palma e nell’agitarli davanti al Salvatore; vedove e orfani esaltavano Gesù per la misericordia ricevuta; i lebbrosi che aveva guarito, non più impuri, stendevano sulla strada i loro mantelli e lo salutavano come il Re della gloria. Tra quella folla vi erano anche coloro che erano stati svegliati dal sonno della morte. Lazzaro, il cui corpo aveva conosciuto la corruzione del sepolcro, nella forza della piena virilità, guidava il puledro del Salvatore. {GN 431.5}

Molti farisei erano presenti e, pieni di invidia e malizia, tentavano di orientare altrove i sentimenti popolari. Servendosi della loro autorità, cercavano di far tacere il popolo; ma i loro appelli e le loro minacce servivano solo a far crescere l’entusiasmo. Temevano che quella grande folla proclamasse re Gesù. Infine si fecero strada tra la folla, fino al Salvatore, e gli rivolsero queste parole di rimprovero e minaccia: “Maestro, sgrida i tuoi discepoli!” Luca 19:39. Dicevano che una tale dimostrazione era illegale e che non sarebbe stata permessa dalle autorità. Ma Gesù li ridusse al silenzio con questa risposta: “Vi dico che se costoro tacciono, le pietre grideranno”. Versetto 40. Quella scena trionfale faceva parte del piano di Dio. Era stata annunciata dal profeta, e nessuno avrebbe potuto impedirla. Se gli uomini non avessero attuato quel piano, Dio avrebbe dato la voce alle pietre, che avrebbero salutato suo Figlio con acclamazioni di lode. Mentre i farisei, confusi, si allontanavano, centinaia di voci ripetevano le parole di Zaccaria: “Esulta grandemente, o figliuola di Sion, manda gridi d’allegrezza, o figliuola di Gerusalemme; ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso, umile e montato sopra un asino, sopra un puledro d’asina”. {GN 432.1}

Quando il corteo raggiunse la cima della collina, Gesù si fermò, e la folla insieme a lui. Davanti si estendeva Gerusalemme nella sua magnificenza, accarezzata dalla luce del tramonto. Tutti gli sguardi si volsero verso il tempio, che nella sua maestosa grandezza dominava tutti gli altri edifici e sembrava indicare il cielo e guidare il popolo verso l’unico Dio vero e vivente. Il tempio era stato per molto tempo l’orgoglio e il vanto della nazione ebraica. Anche i romani ne erano fieri. Un re nominato dai romani si era unito agli ebrei per riedificarlo e abbellirlo, e perfino l’imperatore lo aveva arricchito offrendo doni. Per imponenza, ricchezza e grandezza, costituiva una delle meraviglie del mondo. {GN 432.2}

Il sole al tramonto aveva reso d’oro il cielo; i suoi raggi si riflet tevano sui marmi puri e bianchi delle mura del tempio e facevano risplendere le sue colonne ricoperte d’oro. Dalla cima della collina, dove Gesù e la folla si erano fermati, il tempio sembrava una struttura di neve sormontata da pinnacoli d’oro. All’ingresso del tempio c’era una vite d’oro e d’argento, con foglie verdi e grandi grappoli d’uva, opera di abili artisti. Israele veniva rappresentato come una vite fruttifera. L’oro, l’argento e le foglie verdi erano abbinati con gusto raffinato e abilità squisita. La vite, stringendosi graziosamente con i suoi viticci splendenti agli ornamenti dorati dei bianchi pilastri lucenti, rifletteva il chiarore del sole al tramonto e brillava di una gloria che sembrava presa dal cielo. {GN 432.3}

Gesù contemplava quella scena e l’immensa folla, affascinata da quell’improvvisa visione di bellezza, smise di gridare. Tutti guardarono il volto del Salvatore, cercandovi la stessa ammirazione che essi provavano. Ma vi scorsero, invece, un’ombra di tristezza. Videro con sorpresa e delusione che i suoi occhi si riempivano di lacrime e che il suo corpo ondeggiava come un albero scosso dalla tempesta, mentre un gemito usciva dalle sue labbra tremanti, come dalla profondità di un cuore spezzato. Era un triste spettacolo per gli angeli vedere il loro amato condottiero in un’agonia di lacrime. Era un triste spettacolo per una folla esultante che con grida di osanna e agitazione di rami di palme lo aveva scortato sino alla gloriosa città dove sperava ardentemente che avrebbe regnato! Quando Gesù aveva pianto sulla tomba di Lazzaro, le sue lacrime erano state provocate dalla simpatia per la miseria umana. Ma quest’improvviso dolore era come un gemito in un grande coro di trionfo. In una scena di gioia, dove tutti gli porgevano il loro omaggio, il Re d’Israele era in lacrime, non in silenziose lacrime di allegrezza, ma in lacrime e lamenti di incontenibile sofferenza. La folla fu afferrata da un’improvvisa tristezza. E tacque. Molti piangevano simpatizzando con un dolore che non potevano comprendere. {GN 433.1}

Gesù non piangeva pensando alla sua sofferenza. Davanti a lui sorgeva il Getsemani, dove ben presto gli si sarebbe riversato addosso l’orrore di una grande oscurità. Si vedeva la Porta delle pecore, attraverso la quale per secoli si conducevano gli animali al sacrifl-cio. Quella porta si sarebbe ben presto spalancata davanti a lui, che rappresentava l’adempimento di tutti i sacrifici offerti per il peccato. Vicino sorgeva il Calvario, luogo della sua imminente agonia. Ma non fu il pensiero della prossima morte crudele a far piangere e gemere il Redentore. Non soffriva pensando a sé: il pensiero della sua agonia non spaventava quell’animo nobile e generoso. Fu invece la vista di Gerusalemme a ferire il cuore di Gesù, la vista di quella Gerusalemme che aveva respinto il Figlio di Dio, che aveva disprezzato il suo amore, che aveva rifiutato di lasciarsi convincere dai suoi grandi miracoli, e che stava per togliergli la vita. Vide ciò che era per aver rifiutato il Messia, e che cosa invece sarebbe potuta diventare se avesse accettato colui che poteva guarire le sue ferite. Era venuto per salvarla, e come avrebbe potuto abbandonarla alla sua sorte? {GN 433.2}

Israele era stato un popolo privilegiato. Dio aveva deciso di abitare nel tempio di Gerusalemme, sul monte di Sion, che “bello si erge, e rallegra tutta la terra”. Salmi 48:2. Là c’era il ricordo di più di mille anni della guida e del tenero amore di Cristo, simile a quello di un padre per il suo unico Aglio. In quel tempio i profeti avevano annunciato i loro solenni avvertimenti. Là erano stati agitati i turiboli pieni di carboni ardenti mentre l’incenso, unito alle preghiere degli adoratori, saliva Ano a Dio. Là era stato sparso il sangue degli animali, simbolo di quello di Cristo. Là l’Eterno aveva manifestato la sua gloria, sopra il propiziatorio. Là i sacerdoti avevano officiato e per molto tempo si era svolto tutto il simbolismo cerimoniale. Ora tutto questo stava per finire. {GN 434.1}

Gesù sollevò la mano, quella mano che tanto spesso aveva guarito il malato e il sofferente, e volgendola verso la città condannata, esclamò con voce rotta dai singhiozzi: “Oh se tu sapessi, almeno oggi, ciò che occorre per la tua pace!” Luca 19:42. Il Salvatore si interruppe e non disse quale sarebbe stata la condizione di Gerusalemme se avesse accettato l’aiuto che il Signore desiderava offrirle: il dono del suo amato Figlio. Se Gerusalemme avesse compreso ciò che aveva avuto il privilegio di conoscere e avesse accettato il messaggio che il cielo le aveva inviato, avrebbe potuto vivere nella prosperità, come regina dei regni, libera nella forza di Dio. Allora non vi sarebbe stato nessun soldato straniero alle sue porte e nessuna bandiera romana avrebbe sventolato sulle sue mura. Il Figlio di Dio vide il glorioso destino di Gerusalemme se avesse accettato il suo Redentore. Vide che avrebbe potuto essere guarita dalle sue terribili malattie, liberata dalla sua schiavitù e costituita come la più grande città della terra. Dalle sue mura la colomba della pace sarebbe volata verso tutte le nazioni. Gerusalemme sarebbe diventata un simbolo glorioso per il mondo intero. {GN 434.2}

Ma quello splendido quadro si dissolse davanti agli occhi del Salvatore. Egli vide Gerusalemme qual era: soggiogata dai romani, disapprovata da Dio, minacciata dai suoi giudizi. E continuò il suo lamento interrotto. “Ma ora è nascosto agli tuoi occhi. Poiché verranno su te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, e ti accerchieranno e ti stringeranno da ogni parte; abbbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata”. Luca 19:42-44. {GN 434.3}

Gesù era venuto per salvare Gerusalemme con tutti i suoi figli, ma l’orgoglio, l’ipocrisia, la gelosia e la malizia dei farisei gli hanno impedito di attuare il suo piano. Gesù sapeva quale terribile castigo si sarebbe abbattuto sulla città colpevole. Vide Gerusalemme circondata da eserciti; vide gli assediati costretti alla fame e alla morte; vide madri nutrirsi con i corpi morti dei loro figli; vide genitori e figli contendersi l’ultimo boccone; vide gli affetti naturali distrutti dai lancinanti dolori della fame; vide che la caparbietà degli ebrei, così come li aveva spinti a rifiutare la sua salvezza, li avrebbe anche indotti a rifiutare la resa agli eserciti invasori; vide il Calvario, sul quale sarebbe stato innalzato, fitto di croci come gli alberi di una foresta; vide i miseri abitanti sottoposti alla tortura, alla distruzione, alla crocifissione; i bei palazzi distrutti; il tempio in rovina, senza che una pietra delle sue grandi mura rimanesse sopra un’altra pietra; vide la città arata come un campo. Il Salvatore poteva ben piangere contemplando una scena tanto terribile. {GN 435.1}

Gerusalemme era stata come un figlio di cui ci si prende cura e Gesù pianse sulla sua amata città come un padre affettuoso piange per il figlio sbandato. Come posso abbandonarti alla tua sorte? Come posso assistere alla tua distruzione? Devo permetterti di riempire l’amara coppa della tua malvagità? Una sola anima vale più di tutto il mondo, e lì, però, un’intera nazione periva. Con il tramonto, sarebbe finito per Gerusalemme il giorno della grazia. Mentre il corteo sostava sul monte degli Ulivi, non era ancora troppo tardi perché Gerusalemme si pentisse. L’angelo della misericordia stava per spiegare il volo dal trono divino per lasciar posto alla giustizia e all’imminente giudizio. Ma il grande cuore di Cristo intercedeva ancora per Gerusalemme, per quella città che aveva disprezzato la sua misericordia, i suoi avvertimenti e stava per macchiarsi le mani del suo sangue. Se Gerusalemme si fosse pentita, non sarebbe stato troppo tardi. Mentre gli ultimi raggi del sole morente indugiavano sul tempio, sulle torri e sui pinnacoli, non avrebbe potuto qualche angelo condurla all’amore del Salvatore ed evitarle la condanna? Città bella e malvagia, che aveva lapidato i profeti, rigettato il Figlio di Dio e che rinsaldava con la sua corruzione le catene della schiavitù: il giorno della misericordia stava per concludersi! {GN 435.2}

Lo Spirito di Dio parlava ancora a Gerusalemme. Prima che il giorno finisse, venne data a Gesù una nuova testimonianza, in adempimento di un annuncio profetico. Se Gerusalemme ascolta l’appello e accoglie il Salvatore che entra nelle sue porte, potrà essere salvata. {GN 435.3}

I capi di Gerusalemme vennero informati che Gesù si stava avvicinando alla città sostenuto da una grande folla, ma non andarono a porgere il benvenuto al Figlio di Dio. Impauriti, si dirigono verso di lui nella speranza di disperdere la folla. I capi si imbattono nel corteo mentre scende dal monte degli Ulivi e chiedono il motivo di quella gioia tumultuosa. Alla domanda: “Chi è costui?” (Matteo 21:11), i discepoli, ispirati dallo Spirito Santo, rispondono ripetendo le profezie messianiche. {GN 436.1}

Adamo vi dirà che è la progenie della donna che schiaccerà il capo del serpente. {GN 436.2}

Abramo vi risponderà che è Melchisedec, re di Salem, re di pace. Cfr. Genesi 14:18. {GN 436.3}

Giacobbe vi dirà che egli è colui che appartiene alla tribù di Giuda e vi darà il riposo. {GN 436.4}

Isaia vi dirà che è l’“Emmanuele”, il “Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace”. Isaia 7:14; 9:5. {GN 436.5}

Geremia vi dirà che è il germoglio di Davide, “Signore, nostra giustizia”. Geremia 23:6. {GN 436.6}

Daniele vi dirà che è il Messia. {GN 436.7}

Osea vi dirà che egli è “il Dio degli eserciti; il suo nome è Signore”. Osea 12:6. {GN 436.8}

Giovanni il battista vi dirà che è “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” Giovanni 1:29. {GN 436.9}

L’Eterno ha proclamato dal suo trono: “Questo è il mio diletto Figlio”. Matteo 3:17. {GN 436.10}

Noi, suoi discepoli, dichiariamo che egli è Gesù, il Messia, il Principe della vita, il Redentore del mondo. {GN 436.11}

E il principe della potenza delle tenebre lo riconosce dicendo: “Io so chi sei: il Santo di Dio!” Marco 1:24. {GN 436.12}

Capitolo 64: La condanna di un popolo

L’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme fu una pallida anticipazione della sua venuta sulle nuvole del cielo con potenza e gloria, fra il trionfo degli angeli e la gioia dei santi. Allora si adempiranno le parole di Gesù ai sacerdoti e ai farisei: “Infatti vi dico che da ora in poi non mi vedrete più, finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” Matteo 23:39. Zaccaria contemplò in visione il giorno del trionfo finale e la condanna di coloro che hanno rifiutato Gesù alla sua prima venuta. “Essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico, e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito”. Zaccaria 12:10. Gesù aveva previsto questa scena quando contemplando la città aveva pianto su di essa. Nella disfatta terrena di Gerusalemme vedeva la distruzione finale del popolo, colpevole di aver sparso il sangue del Figlio di Dio. {GN 437.1}

I discepoli si rendevano conto dell’odio degli ebrei nei confronti di Gesù, ma non potevano conoscerne i risultati. Non sapevano né la reale condizione d’Israele né quale castigo si sarebbe abbattuto su Gerusalemme; Gesù fece loro comprendere questo con una parabola molto significativa. {GN 437.2}

L’ultimo appello non era stato ascoltato. La folla, rispondendo alla domanda dei sacerdoti e dei capi “Chi è costui?” (Matteo 21:11), aveva ricordato la voce degli antichi profeti, ma questa risposta non fu accolta come una testimonianza sincera. Anzi i sacerdoti e i capi, stupiti e adirati, cercarono di far tacere il popolo. Giunsero perfino a denunciare Gesù — presso alcuni ufficiali romani che erano presenti tra la folla — come capo di una rivolta. Dissero che voleva impossessarsi del tempio e regnare su Gerusalemme. {GN 437.3}

La voce calma del Maestro fece tacere per un momento il clamore della folla mentre diceva che non era venuto per fondare un regno terreno; presto egli sarebbe salito al Padre e i suoi accusatori non lo avrebbero rivisto sino al suo ritorno glorioso. Allora, ma troppo tardi, lo avrebbero riconosciuto. Gesù pronunciò quelle parole con tristezza e con eccezionale autorità. Gli ufficiali romani ne rimasero convinti; i loro cuori, sebbene non ancora aperti all’influsso divino, furono toccati come mai nel passato e scorsero nel volto calmo e solenne di Gesù amore, benevolenza e serena dignità. Provarono una simpatia spontanea e, invece di arrestarlo, si sentirono spinti a onorarlo. Pertanto, ritorsero sui sacerdoti e sui capi l’accusa di fomentare disordini. Questi ultimi, esacerbati e sconfitti, si sfogarono con la folla e discussero aspramente fra loro. {GN 437.4}

Nel frattempo Gesù giunse inosservato al tempio. C’era molto silenzio; la folla si era riversata sul monte degli Ulivi. Gesù contemplò addolorato il tempio, poi se ne tornò a Betania con i suoi discepoli; e quando la folla lo cercò per farlo re, non riuscì a trovarlo. {GN 438.1}

Dopo aver trascorso la notte in preghiera, la mattina Gesù tornò al tempio. Lungo il cammino passò per un frutteto. Aveva fame. “Veduto di lontano un fico, che aveva delle foglie, andò a vedere se vi trovasse qualche cosa; ma, avvicinatosi al fico non vi trovò niente altro che foglie; perché non era la stagione dei fichi”. Marco 11:13. {GN 438.2}

Solo in certe località si potevano trovare in quel periodo dei fichi maturi, e si poteva dire che negli altipiani che circondavano Gerusalemme la stagione dei fichi non era ancora giunta. Ma in quel frutteto un albero era più avanti degli altri ed era tutto rivestito di foglie. Solitamente i frutti appaiono prima delle foglie; quell’albero verde prometteva di avere frutti ben maturi, ma la sua apparenza ingannava. Gesù cercò fra i rami, ma non trovò “nient’altro che foglie”. Solo foglie, promessa di un frutto mancante. {GN 438.3}

Gesù allora maledisse quell’albero. “Nessuno mangi mai più frutto da te!” Versetto 14. Il mattino seguente, quando Gesù e i discepoli passarono dallo stesso posto, scorsero i rami secchi e le foglie appassite di quel fico. “Pietro, ricordatosi, gli disse: Maestro, vedi, il fico che tu maledicesti è seccato”. Versetto 21. {GN 438.4}

I discepoli avevano udito con sbigottimento la maledizione pronunciata da Gesù. Non era quello il modo abituale di comportarsi del Maestro. Spesso aveva detto che non era venuto per condannare il mondo, ma per salvarlo. Aveva agito in modo meraviglioso per sanare e non per distruggere. I discepoli lo avevano conosciuto soltanto come colui che restaurava e che guariva. Quella maledizione rimaneva un fatto isolato e i discepoli si chiedevano quale ne fosse il significato. {GN 438.5}

Dio “si compiace d’usare misericordia”. Michea 7:18. “Com’è vero che io vivo, dice Dio, il Signore, io non mi compiaccio della morte dell’empio”. Ezechiele 33:11. Giudizio e distruzione sono per lui un “lavoro inaudito”. Isaia 28:21. Ma proprio per la sua misericordia e il suo amo re, solleva il velo del futuro e rivela agli uomini le conseguenze della maledizione del peccato. {GN 438.6}

La maledizione sul fico era una parabola. Quel fico sterile, che ostentava foglie rigogliose, era un simbolo della nazione israelita, Gesù voleva che i discepoli conoscessero il motivo della condanna d’Israele. Per questo attribuì all’albero qualità morali e se ne servì per esporre una verità divina. Gli ebrei si tenevano separati da tutti gli altri popoli per la loro alleanza con Dio. Il Signore aveva concesso loro dei privilegi, e per questo essi si ritenevano più giusti di tutte le altre nazioni. Sebbene contaminati dall’amore del mondo e dalla sete del guadagno, si vantavano della loro conoscenza e, pieni di ipocrisia, in realtà ignoravano la chiara volontà di Dio. Come il fico seccato, stendevano i loro bei rami rigogliosi, ma che non avevano “nien-t’altro che foglie”. La religione ebraica, con il suo stupendo tempio, con i suoi sacri altari, con i suoi ricchi paramenti sacerdotali, con le sue suggestive cerimonie, aveva una magnifica apparenza esteriore, ma era priva di umiltà, amore e benevolenza. {GN 439.1}

Tutti gli alberi di fico di quel frutteto non avevano frutta, ma quelli senza foglie non provocavano un’attesa illusoria e una successiva delusione. Quegli alberi simboleggiavano i pagani. Essi, come gli ebrei, non vivevano una vera vita spirituale ma, a differenza di questi ultimi, non facevano professione di servire Dio e non si vantavano della loro religiosità. Erano ciechi davanti alle opere e alle vie di Dio; per loro non era ancora giunta la stagione dei fichi: aspettavano il giorno della luce e della speranza. Gli israeliti invece, che avevano ricevuto grandi benedizioni, dovevano rendere conto del cattivo uso di quei doni. La loro colpa era maggiore, proprio per i privilegi di cui si vantavano. {GN 439.2}

Gesù, affamato, si era avvicinato al fico per cercare del cibo. Nello stesso modo si era avvicinato a Israele con la speranza di trovarvi frutti di giustizia. Aveva offerto loro i suoi doni perché si trasformassero in benedizioni per il mondo. Aveva offerto loro opportunità e privilegi e chiedeva simpatia e collaborazione per la sua opera di redenzione. Desiderava che manifestassero abnegazione, compassione, zelo per il Signore e ardente desiderio di operare in vista della salvezza dei loro simili. Se avessero osservato la legge di Dio, avrebbero compiuto la stessa opera disinteressata di Gesù. Ma l’amore per il Signore e per gli uomini fu soffocato dall’orgoglio e dalla convinzione della loro superiorità. Rifiutando di mettersi al servizio degli altri, provocarono la loro rovina e negarono al mondo i tesori della verità affidati loro da Dio. Il fico seccato era il simbolo del loro peccato e del loro castigo. {GN 439.3}

Morto in seguito alla maledizione del Salvatore, appassito e seccato dalle radici fino all’ultima foglia, quel fico mostrava ciò che il popolo d’Israele sarebbe diventato senza la grazia divina. Rifiutandosi di trasmettere le sue benedizioni, non le avrebbero più ricevute. Il Signore dice: “È la tua perdizione, Israele, l’essere contro di me, contro il tuo aiuto”. Osea 13:9. {GN 440.1}

Questo avvertimento è valido in ogni tempo. La maledizione di Gesù contro il fico, che lui stesso aveva creato con la sua potenza, è un avvertimento per tutte le chiese e tutti i cristiani. Chi non vive per gli altri non può attuare la legge di Dio. Ma vi sono molti che non vivono una vita conforme a quella misericordiosa e disinteressata di Gesù. Molti, che si reputano ottimi cristiani ma che non hanno ancora compreso che cosa significhi servire Dio, hanno come unico obiettivo soddisfare se stessi. Per loro, il tempo ha valore soltanto nella misura in cui possono trarne un profitto personale, e ciò costituisce la loro costante preoccupazione. Operano non in favore del prossimo ma di se stessi. Dio li ha creati per svolgere nel mondo un servizio disinteressato: egli vuole che aiutino il prossimo in tutti i modi possibili. Ma il loro egoismo è senza limiti e li assorbe completamente, essi vivono divisi dall’umanità. Chiusi in se stessi, sono simili al fico che era bellissimo ma privo di frutti. Curano le forme esteriori della religiosità, ma senza manifestare pentimento e fede. Professano di rispettare la legge di Dio, ma non vi ubbidiscono. Dicono, ma non fanno. La condanna del fico dimostra quanto fossero vane le loro pretese e odiose agli occhi di Dio. Gesù dice che il peccatore dichiarato è meno colpevole di colui che professa di servire Dio senza portare nessun frutto alla sua gloria. {GN 440.2}

La parabola del fico sterile, pronunciata da Gesù prima di salire a Gerusalemme, è in relazione con la lezione del fico seccato. Il vignaiolo chiese che il fico sterile fosse lasciato ancora un anno, finché lo avesse scalzato e concimato. Quelle cure particolari gli avrebbero offerto tutte le possibilità di portare frutto. Ma se fosse rimasto sterile, non sarebbe stato possibile evitare di tagliarlo. In quella parabola non viene detto quali furono i risultati del lavoro del vignaiolo. Questo risultato dipendeva dal popolo a cui Gesù si era rivolto. Questo popolo era stato paragonato all’albero sterile e aveva il potere di decidere il proprio destino. Gli vennero offerti tutti i vantaggi che il cielo poteva concedergli, senza che però ne traesse alcun profitto. Il risultato si vide quando Gesù maledisse quel fico senza frutto. Gli israeliti avevano scelto la loro rovina. {GN 440.3}

Per più di mille anni la nazione israelita aveva abusato della mi sericordia del Signore e aveva disprezzato i suoi giudizi. Gli israeliti avevano respinto gli avvertimenti e avevano ucciso i profeti di Dio. I contemporanei di Gesù si resero responsabili della stessa colpa, agendo nella stessa maniera. Respingendo gli appelli della misericordia divina, essi rinsaldarono le catene che i loro antenati avevano forgiato. {GN 440.4}

In ogni tempo viene offerta agli uomini un’occasione favorevole per riconciliarsi con Dio. Ma la grazia ha un limite. La misericordia divina può rivolgere appelli per anni, ma se non vengono ascoltati, giunge il momento in cui essa non si manifesta più. Il cuore diventa insensibile e non risponde allo Spirito di Dio. Quella voce dolce e paziente non cessa di supplicare il peccatore, ma i rimproveri e gli avvertimenti non sono più uditi. {GN 441.1}

Quel giorno era giunto anche per Gerusalemme. Gesù pianse angosciato sulla città condannata, che non poteva più salvare. Gerusalemme aveva ormai esaurito tutte le sue possibilità. Respingendo gli appelli dello Spirito di Dio, Israele aveva respinto le uniche possibilità di ricevere aiuto. Non c’era più nessun’altra potenza per la quale potesse essere salvato. La nazione giudaica simboleggiava coloro che in tutte le epoche si erano beffati dell’amore infinito di Dio. Gesù piangeva su Gerusalemme pensando ai peccatori di tutti i tempi. Chi respinge i rimproveri e gli avvertimenti dello Spirito Santo, può leggere nel giudizio su Israele la propria condanna. {GN 441.2}

Oggi molti si comportano come quegli ebrei increduli. Hanno contemplato la manifestazione della potenza di Dio e hanno udito nei loro cuori la voce dello Spirito Santo, ma perseverano nella loro incredulità. Dio continua ad avvertirli e a rimproverarli, ma non vogliono confessare i loro errori e respingono gli avvertimenti dei suoi messaggeri. I mezzi di cui Dio si serve per la salvezza degli uomini diventano per loro una pietra d’inciampo. {GN 441.3}

Israele apostata odiava i profeti di Dio perché mettevano in luce i suoi peccati nascosti. Il re Achab considerò Elia un nemico perché aveva rimproverato apertamente i suoi peccati segreti. Anche oggi i discepoli di Gesù, quando rimproverano il peccato, suscitano beffe e derisione. La religione di Cristo, la verità biblica, deve sempre lottare contro una forte corrente di immoralità. I pregiudizi sono oggi più radicati che al tempo di Gesù. Il Maestro non aveva soddisfatto le aspettative degli uomini; la sua vita era stata un rimprovero costante per i loro peccati, ed essi lo rigettarono. Anche oggi la verità della Parola di Dio non si concilia con le abitudini degli uomini, con le loro inclinazioni naturali, e per questo motivo tanti ne rigettano i consigli. {GN 441.4}

Gli uomini, ispirati da Satana, manifestano dubbi sulla Parola di Dio e coltivano uno spirito individualistico. Preferiscono le tenebre alla luce, anche a rischio della loro anima. Coloro che volevano cavillare sulle parole di Gesù trovavano sempre nuovi motivi per farlo e così finirono per allontanarsi dalla verità e dalla vita eterna. Lo stesso accade oggi. Dio non vuole eliminare tutte le obiezioni nei confronti della verità che possono sorgere nel cuore. I misteri della Parola di Dio rimangono tali solo per coloro che respingono i preziosi raggi di luce che possono illuminare le tenebre. La luce è nascosta per loro; essi camminano nelle tenebre e non vedono la rovina che li sovrasta. {GN 442.1}

Cristo contemplò, dall’alto del monte degli Ulivi, tutte le epoche successive e le sue parole si riferiscono quindi a ogni uomo che respinge gli appelli della misericordia divina. Egli si rivolge a voi che disprezzate il suo amore, proprio a voi che dovreste conoscere le realtà che potrebbero assicurarvi la pace. Cristo sparge anche per voi lacrime amare, per voi che non volete piangere su voi stessi. Già si manifesta in voi quella fatale durezza di cuore che fu la rovina dei farisei. Ogni segno della grazia di Dio, ogni raggio della luce divina commuovono e avvincono l’animo, oppure lo induriscono nel suo definitivo rifiuto a pentirsi. {GN 442.2}

Gesù aveva previsto che Gerusalemme sarebbe rimasta ostinata e insensibile e avrebbe subìto tutte le conseguenze del rifiuto della misericordia divina. Lo stesso accadrà a ogni uomo che segue la stessa via. Il Signore dice: “È la tua perdizione, Israele, l’essere contro di me, contro il tuo aiuto”. Osea 13:9. “Ascolta, terra! Ecco, io faccio venire su questo popolo una calamità, frutto dei loro pensieri; perché non sono stati attenti alle mie parole; hanno rigettata la mia legge”. Geremia 6:19. {GN 442.3}



Capitolo 65: La seconda purificazione del tempio

All’inizio del suo ministero, Gesù aveva scacciato dal tempio coloro che lo profanavano con i loro traffici e il suo comportamento severo e divino aveva suscitato terrore in quegli astuti mercanti. Alla fine della sua opera tornò nel tempio e lo vide profanato come in passato, anzi peggio. Il cortile esterno sembrava un recinto per il bestiame; alle grida degli animali e al sonante tintinnio del denaro, si mescolavano le aspre discussioni dei trafficanti, con cui si intrecciava la voce di coloro che svolgevano il servizio sacro. Gli stessi responsabili del tempio erano impegnati nell’acquisto, nella vendita e nel cambio delle monete. Erano così presi dal desiderio di arricchirsi, che agli occhi del Signore non potevano che apparire dei ladri. {GN 443.1}

I sacerdoti e i capi non erano quasi più consapevoli della solennità del loro compito. In occasione della festa della Pasqua e di quella delle Capanne venivano uccisi migliaia di animali, il cui sangue era raccolto dai sacerdoti e sparso sull’altare. Questa consuetudine aveva indotto gli israeliti a perdere di vista il fatto che il peccato era responsabile di questa cerimonia. Non si rendevano conto che simboleggiava il sangue del Figlio di Dio che sarebbe stato sparso per la vita dell’umanità e che offrendo i sacrifici avrebbero dovuto rivolgere il loro pensiero verso il Redentore crocifisso. {GN 443.2}

Gesù guardò le vittime innocenti del sacrificio e vide che gli israeliti avevano trasformato quelle solennità in un crudele spargimento di sangue. Per compensare la mancanza del pentimento, avevano moltiplicato il numero dei sacrifici, come se Dio potesse accontentarsi di un servizio privo della partecipazione del cuore. Coltivando l’egoismo e l’avarizia, i sacerdoti erano diventati insensibili e avevano trasformato in fonte di guadagno i simboli dell’Agnello di Dio. Così, agli occhi del popolo, tutto il servizio dei sacrifici aveva perso in gran parte il suo carattere sacro. Tutto ciò sollevò l’indignazione di Gesù. Egli sapeva che i sacerdoti e gli anziani avrebbero stimato il suo sangue, che presto sarebbe stato sparso per i peccati del mondo, come quello degli animali che incessantemente scorreva nel cortile del tempio. {GN 443.3}

Il Figlio di Dio, mediante il profeta Samuele, aveva parlato contro questo formalismo: “Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifizi quanto l’ubbidire alla sua voce? No, l’ubbidire è meglio del sacrificio, dare ascolto vale più che il grasso dei montoni”. 1 Samuele 15:22. Isaia, contemplando in visione profetica l’apostasia degli israeliti, li chiamò capi di Sodoma e di Gomorra: “Ascoltate la parola del Signore, capi di Sodoma. Che m’importa dei vostri numerosi sacrifici? dice il Signore; IO sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di bestie ingrassate; il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri, io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi davanti a me, chi vi ha chiesto di contaminare i miei cortili?” “Lavatevi, purificatevi, togliete davanti ai miei occhi la malvagità delle vostre azioni; smettete di fare il male; imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova!” Isaia 1:10-12, 16, 17. {GN 444.1}

Colui che aveva ispirato quelle profezie ripeteva ora, per l’ultima volta, il suo avvertimento. Adempiendo le predizioni, il popolo aveva proclamato che Gesù era re d’Israele. Cristo aveva accolto quell’omaggio e aveva accettato il titolo di re. Ora doveva agire come tale. Sapeva che ogni tentativo per riformare il sacerdozio corrotto sarebbe stato inutile, tuttavia doveva compiere la sua opera e offrire a un popolo incredulo le prove della sua divina missione. {GN 444.2}

Lo sguardo penetrante di Gesù si posò ancora una volta sul cortile profanato del tempio. Tutti si volsero verso di lui. Sacerdoti e capi, farisei e pagani guardarono con stupore e timore colui che si ergeva dinanzi a loro con la maestà di un re del cielo. La divinità, che traspariva attraverso l’umanità, conferiva a Cristo una dignità e una gloria mai viste in passato. Quelli che gli erano vicini si ritrassero il più possibile. Il Salvatore era solo, circondato da alcuni discepoli. Si fece silenzio, un silenzio insopportabile. Gesù iniziò a parlare con una potenza che scosse il popolo come una violenta tempesta. “È scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera; ma voi ne fate una spelonca di ladri”. Matteo 21:13. La sua voce risuonò squillante per tutto il tempio, come una tromba. Era così indignato che pareva un fuoco consumante. Con autorità ordinò: “Portate via di qui queste {GN 444.3}

cose”. Giovanni 2:16. {GN 444.4}

Tre anni prima i capi del tempio si erano vergognati per essere fuggiti all’ordine di Gesù. Si erano stupiti del loro timore e della loro ubbidienza al comando di quell’uomo umile e non volevano ripetere quell’indecorosa ritirata. Tuttavia si intimorirono come nel passato e ubbidirono subito alle sue parole. Nessuno osò mettere in dubbio la sua autorità. Sacerdoti e commercianti fuggirono dalla sua presenza spingendo fuori gli animali. Mentre si allontanavano, si incontrarono con una folla che era venuta con i suoi ammalati in cerca del grande medico. Avendo udito ciò che era successo nel tempio, alcuni tornarono indietro, per paura di quel Maestro potente che con il suo sguardo aveva fatto fuggire sacerdoti e capi. Molti si fecero strada tra quella folla confusa, volendo avvicinarsi a colui in cui riponevano tutte le loro speranze. I nuovi arrivati si mescolarono a quelli che erano rimasti nel tempio. Il cortile si riempì di ammalati e morenti e Gesù, ancora una volta, si occupò di loro. {GN 444.5}

Più tardi i sacerdoti e i capi osarono tornare nel tempio. Il loro panico si era affievolito e desideravano sapere che cosa avrebbe fatto Gesù; pensavano che si sarebbe impossessato del trono di Davide. Piano piano rientrarono e udirono voci di uomini, donne e bambini che lodavano Dio. Restarono stupiti di fronte a quella scena meravigliosa. Videro i malati guariti, i ciechi che avevano riacquistato la vista, i sordi che udivano e gli storpi che saltavano di gioia. Soprattutto i bambini erano felici. Gesù aveva guarito le loro malattie e li aveva accolti fra le sue braccia. Essi lo avevano baciato con affetto e alcuni si erano addormentati sulle sue ginocchia mentre egli ammaestrava la folla. Con voce lieta i bambini cantavano le sue lodi. Ripetevano gli osanna del giorno precedente e agitavano trionfalmente davanti al Salvatore i rami di palma. Il tempio riecheggiava delle loro esclamazioni: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” Salmi 118:26. “Ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso”. Zaccaria 9:9. “Osanna al figlio di Davide!” Matteo 21:15. {GN 445.1}

Quelle esclamazioni felici e spontanee suonavano come delle offese alle orecchie dei capi del tempio che intervennero per farle cessare. Volevano convincere la folla che quei bambini e quelle grida di gioia profanavano la casa di Dio. Poiché le loro parole non facevano presa sul popolo, i capi si rivolsero a Gesù. “Odi tu quello che dicono costoro? Gesù disse loro: Sì. Non avete mai letto: Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto lode?” Versetti 15, 16. Le profezie avevano predetto che Gesù sarebbe stato proclamato re e dovevano adempiersi. I sacerdoti e i capi d’Israele si erano rifiutati di proclamare la sua gloria e Dio spingeva i bambini a essere suoi testimoni. Se quelle voci avessero taciuto, le colonne del tempio avrebbero proclamato le lodi del Salvatore. {GN 445.2}

La risposta di Gesù lasciò perplessi e sconcertati i farisei. Qualcuno che essi non riuscivano a intimorire stava esercitando l’autorità; Gesù si era proclamato custode del tempio. Mai prima aveva assunto questa autorità regale. Mai prima aveva pronunciato parole così for ti. A Gerusalemme aveva compiuto molte opere straordinarie, ma mai in modo così solenne e vistoso. Davanti a quel popolo che era stato testimone di queste opere meravigliose, i sacerdoti e i capi non osarono sfidare Gesù apertamente. Confusi e adirati per la sua risposta, quel giorno non poterono più fare nulla contro di lui. {GN 445.3}

Il mattino seguente il sinedrio si riunì per prendere una decisione nei confronti di Gesù. Tre anni prima gli avevano chiesto un segno della sua messianicità. Da allora Gesù aveva compiuto molte opere potenti in tutto il paese: aveva guarito malati, aveva nutrito miracolosamente migliaia di persone, aveva camminato sul mare, aveva calmato il mare in tempesta, aveva più volte letto nel cuore degli uomini come in un libro aperto, aveva cacciato i demoni e risuscitato i morti. I capi avevano le prove della sua messianicità. Decisero di non chiedergli più prove ma di strappargli qualche dichiarazione per poterlo condannare. {GN 446.1}

Tornarono nel tempio, dove stava insegnando, e gli chiesero: “Con quale autorità fai tu queste cose? E chi t’ha dato questa autorità?” Matteo 21:23. Si aspettavano che Gesù rispondesse che la sua autorità veniva da Dio, ed erano pronti a confutarlo. Ma Gesù rivolse loro una domanda che sembrava spostare il discorso su un altro argomento, e disse che avrebbe dato una spiegazione solo dopo che essi avessero risposto alla sua domanda. “Il battesimo di Giovanni, da dove veniva? dal cielo o dagli uomini?” Versetto 25. {GN 446.2}

I sacerdoti si resero conto che quella domanda presentava un problema che non avrebbero potuto risolvere con nessun sofisma. Se avessero risposto che il battesimo e il messaggio di Giovanni erano di origine divina, sarebbe apparsa evidente la loro incoerenza. Gesù allora avrebbe chiesto loro perché non credevano in lui, che aveva testimoniato di Gesù dicendo: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” Giovanni 1:29. Se i sacerdoti credevano nella testimonianza di Giovanni, come potevano negare la messianicità di Gesù? Se avessero invece espresso la loro vera opinione, secondo cui il ministero di Giovanni era semplicemente umano, avrebbero suscitato l’indignazione generale, perché il popolo credeva che Giovanni fosse un profeta. {GN 446.3}

Tutti i presenti attendevano la risposta con grande interesse. Sapevano che i sacerdoti avevano ufficialmente accettato il ministero di Giovanni, e si aspettavano che rispondessero che il suo battesimo esprimeva la volontà divina. Ma i sacerdoti, dopo aver parlottato, decisero di non compromettersi e confessarono ipocritamente la loro ignoranza. “Non lo sappiamo”. Gesù disse: “E neppure io vi dirò con quale autorità faccio queste cose”. Matteo 21:27. Gli scribi, i sacerdoti e i capi furono tutti ridotti al silenzio. Svergognati e delusi, rimasero con gli occhi bassi e non osarono fare ulteriori domande a Gesù. Per la loro codardia e indecisione avevano in gran parte perduto il rispetto del popolo, che ora li osservava soddisfatto di vedere in imbarazzo quegli uomini orgogliosi e presuntuosi. {GN 446.4}

Le parole di Gesù erano importanti e il loro influsso si sentì in misura sempre maggiore dopo la sua crocifissione e la sua ascensione. Molti di coloro che avevano ascoltato con trepidazione le risposte di Cristo ne furono conquistati e divennero suoi discepoli. Non si dimenticarono più di quella scena nel cortile del tempio. Era notevole anche il contrasto tra Gesù e il sommo sacerdote, mentre parlavano insieme. Quel capo orgoglioso aveva abiti ricchi e costosi e sul capo portava una tiara scintillante. Aveva un portamento maestoso con capelli e barba fluenti, inargentati dal tempo. Il suo aspetto incuteva timore. Accanto a quel personaggio importante c’era il Re del cielo, privo di ornamenti e ostentazione. I suoi vestiti recavano i segni del viaggio, il suo volto pallido e triste manifestava tuttavia una dignità e una benevolenza in aperto contrasto con l’atteggiamento orgoglioso e superbo del sommo sacerdote. Molti dei presenti, testimoni delle parole e degli atti di Gesù nel tempio, da allora lo accettarono nei loro cuori come un profeta di Dio. Ma con il crescere del favore popolare, crebbe anche l’odio dei sacerdoti. La saggezza con la quale Gesù sfuggì ai tranelli che gli avevano teso, rappresentando un’ultima prova della sua divinità, fece aumentare la loro ira. {GN 447.1}

Gesù non voleva umiliare i rabbini e non gioiva nel vederli in difficoltà. Voleva piuttosto insegnare lezioni molto importanti e confondere i suoi nemici prendendoli nella trappola preparata per lui. Il riconoscimento della loro ignoranza sulla natura del battesimo di Giovanni, gli offrì un’ulteriore opportunità di parlare e aggiungere altri insegnamenti affinché si rendessero conto della loro vera condizione. {GN 447.2}

Gesù disse: “Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si avvicinò al primo e gli disse: Figliolo, va’ a lavorare nella vigna oggi. Ed egli, rispose: Vado, Signore; ma non vi andò. Il padre si avvicinò al secondo e gli disse la stessa cosa. Egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, vi andò. Qual dei due fece la volontà del padre?” Matteo 21:28-31. {GN 447.3}

La domanda improvvisa colse alla sprovvista i suoi ascoltatori. Avevano seguito con attenzione la parabola e risposero subito: “L’ultimo”. E Gesù a loro: “Io vi dico in verità, i pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio. Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto; e voi, che avete veduto questo, non vi siete pentiti neppure per credere a lui”. Versetti 31, 32. {GN 447.4}

I sacerdoti e i capi non potevano evitare di rispondere correttamente alla domanda di Gesù e così egli ebbe il loro consenso in favore del secondo figlio. Quel figlio rappresenta i pubblicani, disprezzati e odiati dai farisei. I pubblicani si comportavano in maniera immorale: erano trasgressori della legge di Dio e contrastavano decisamente le sue richieste. Erano ingrati e impuri. Quando furono invitati ad andare a lavorare nella vigna del Signore, manifestarono un rifiuto sprezzante. Ma quando Giovanni annunciò il pentimento e il battesimo, i pubblicani accettarono quel messaggio e furono battezzati. {GN 448.1}

II primo figlio rappresenta invece i capi della nazione israelita. Alcuni farisei si erano pentiti ed erano stati battezzati da Giovanni, ma i capi non erano disposti a riconoscerne il carattere divino. I suoi appelli e i suoi avvertimenti non li indussero al pentimento. “Ma i farisei e i dottori della legge, non facendosi battezzare da lui, hanno respinto la volontà di Dio per loro”. Luca 7:30. Disprezzarono quel messaggio, come il primo figlio che aveva detto “Vado, Signore”, ma non andò, e si limitarono a una parvenza esteriore di ubbidienza. Fecero solo professione di pietà, affermarono di ubbidire alla legge di Dio, ma la loro era soltanto una falsa ubbidienza. I pubblicani erano disprezzati dai farisei e tacciati di infedeltà, ma con la loro fede e con le loro opere dimostrarono che avrebbero preceduto nel regno dei cieli quegli uomini orgogliosi a cui era stato concesso il privilegio di una grande luce ma le cui opere non corrispondevano alle loro parole. {GN 448.2}

I sacerdoti e i capi non vollero accettare quelle verità penetranti, perciò rimasero silenziosi in attesa che Gesù dicesse qualcosa che essi potessero rivolgere contro di lui; ma in realtà dovevano sentire parole ancora più gravi. {GN 448.3}

Gesù pronunciò un’altra parabola. “C’era un padrone di casa, il quale piantò una vigna, le fece attorno una siepe, vi scavò una buca per pigiare l’uva e vi costruì una torre; poi l’affidò a dei vignaiuoli e se ne andò in viaggio. Quando fu vicina la stagione dei frutti, mandò i suoi servi dai vignaiuoli per ricevere i frutti della vigna. Ma i vignaiuoli, presero i servi e ne picchiarono uno, ne uccisero un altro e un altro lo lapidarono. Da capo mandò degli altri servi, in maggior numero dei primi; ma quelli li trattarono allo stesso modo. Finalmente, mandò loro suo figlio, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio. Ma i vignaiuoli, veduto il figlio, dissero tra di loro: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e facciamo nostra la sua eredità. Lo presero, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna, che farà egli a quei vignaiuoli?” Matteo 21:33-40. {GN 448.4}

Gesù si era rivolto a tutti i presenti, ma risposero solo i sacerdoti e i capi. “Li farà perire malamente, quei malvagi, e affiderà la vigna ad altri vignaiuoli, i quali gliene renderanno il frutto a suo tempo”. Versetto 41. Essi non avevano compreso immediatamente il significato della parabola, ma subito dopo si resero conto di aver pronunciato la loro condanna. Il padrone di casa rappresenta Dio, la vigna rappresenta la nazione ebraica e la siepe la legge divina che la proteggeva. La torre era un simbolo del tempio. Il padrone della vigna aveva fatto tutto quello che occorreva perché portasse frutto. “Che più si sarebbe potuto fare alla mia vigna di quello che io ho fatto per essa?” Isaia 5:4. Veniva così illustrata l’instancabile attenzione di Dio per Israele. Come i lavoratori dovevano rendere al padrone una parte dei frutti della vigna, così il popolo di Dio doveva onorare il Signore con una vita conforme ai suoi sacri privilegi. Come i lavoratori avevano ucciso i servitori mandati dal padrone per ricevere i frutti, così gli israeliti avevano ucciso i profeti che il Signore aveva inviato per invitarli a ravvedersi. Un messaggero dopo l’altro era stato ucciso. Fin lì il significato della parabola era chiaro, ma lo era meno nella parte successiva. I sacerdoti e i capi scorsero una raffigurazione di Gesù e del suo destino imminente nel figlio che il padrone della vigna aveva mandato dai lavoratori ribelli e che essi avevano catturato e ucciso. Stavano complottando per uccidere colui che il Padre aveva inviato per rivolgere l’ultimo appello. Nel castigo inflitto a quei lavoratori ingrati, si intravedeva la condanna di coloro che avrebbero messo a morte Gesù. {GN 449.1}

Guardandoli con compassione, il Salvatore continuò: “Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costrutttori hanno rifiutata è divenuta pietra angolare; ciò è stato fatto dal Signore, ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri? Perciò io vi dico che il Regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato a gente che ne faccià i frutti. Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; ed essa stritolerà colui sul quale cadrà”. Matteo 21:42-44. {GN 449.2}

Gli ebrei avevano spesso ripetuto questa profezia nelle loro sinagoghe e l’avevano applicata al Messia futuro. Cristo era la pietra angolare della dispensazione ebraica e di tutto il piano della salvezza. I costruttori d’Israele, i sacerdoti e i capi, stavano per rigettare quella pietra fondamentale. Il Salvatore richiamò la loro attenzione sulle profezie che indicavano quel pericolo e si servì di tutti i mezzi perché si rendessero conto di quello che stavano per fare. {GN 449.3}

Gesù parlò anche con un altro obiettivo. Ponendo la domanda: “Quando dunque verrà il padrone della vigna, che farà egli a quei vignaiuoli?” (Versetto 40), sapeva che i farisei avrebbero risposto, e infatti lo fecero. Così avrebbero pronunciato la loro condanna, confermata con il rifiuto dei suoi ultimi avvertimenti. Gesù voleva dimostrare che si erano procurati la loro rovina; voleva dimostrare che Dio era giusto togliendo loro i privilegi nazionali. Questa fase era già iniziata e si sarebbe conclusa non soltanto con la distruzione del tempio e della città, ma anche con la dispersione della nazione. {GN 450.1}

I presenti capirono quell’avvertimento ma, nonostante la sentenza che essi stessi avevano pronunciato, erano decisi ad adempiere sino in fondo la parabola e a dire: “Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e facciamo nostra la sua eredità”. Versetto 38. “Cercavano di pigliarlo, ma temettero le turbe che lo tenevano per profeta”. Versetto 46. Il popolo parteggiava per Gesù. {GN 450.2}

Citando la profezia sulla pietra rifiutata, Gesù si riferiva a un fatto della storia d’Israele che era accaduto in occasione della costruzione del primo tempio. Questo fatto aveva avuto la sua piena applicazione alla prima venuta di Gesù e riguardava gli israeliti, ma contiene una lezione anche per noi. Le grandi pietre dei muri e delle fondamenta del tempio di Salomone, erano state preparate nella cava. Poi erano state trasportate sul luogo della costruzione e gli operai le avevano messe in posizione senza bisogno di lavorarle ancora. Per le fondamenta era stata portata una pietra di dimensioni eccezionali e di bella forma, ma gli operai non sapevano dove sistemarla e la misero da parte. Per un lungo periodo quella pietra rimase accantonata. {GN 450.3}

Quando dovevano erigere l’angolo, i costruttori cercarono a lungo una pietra di sufficienti dimensioni e resistenza, capace di sostenere il gran peso dell’edificio. Una pietra non adatta avrebbe potuto, in quella posizione, compromettere la stabilità dell’intero edificio. Doveva essere una pietra capace di resistere al sole, al gelo e alla tempesta. Erano state provate pietre diverse, che però non avevano retto a quelle grandi sollecitazioni. Altre pietre non avrebbero resistito agli improvvisi cambiamenti atmosferici. Alla fine, l’attenzione si volse verso quella pietra che era stata scartata da tanto tempo. Era stata a lungo esposta al sole, all’aria e alla tempesta, senza manifestare il più piccolo cedimento. Se avesse resistito a una forte pressione, avrebbe potuto diventare la pietra angolare. La prova fu positiva. La pietra fu messa nell’angolo e risultò di misura esatta. Isaia nella sua visione profetica aveva visto che quella pietra era un simbolo di Cristo. {GN 450.4}

“Santificate il Signore degli eserciti! Sia lui quello per cui provate timore e paura! Egli sarà un santuario, ma anche una pietra d’intoppo, un sasso d’inciampo per le due case di Israele, un laccio e una rete per gli abitanti di Gerusalemme. Molti di loro inciamperanno, cadranno, saranno infranti, rimarranno nel laccio e saranno presi”. Isaia 8:13-15. Contemplando il primo avvento, il profeta vide che il Messia avrebbe sopportato delle prove e un rigetto, di cui le vicende della pietra angolare del tempio di Salomone erano simbolo. “Perciò così parla il Signore, Dio: Ecco, io ho posto come fondamento in Sion una pietra, una pietra provata, una pietra angolare preziosa, un fondamento solido; chi confiderà in essa non avrà fretta di fuggire”. Isaia 28:16. {GN 451.1}

Dio nella sua infinita saggezza ha posto se stesso come pietra fondamentale. Egli è “un fondamento solido”. Tutti gli uomini possono deporre su di lui i loro pesi e i loro dolori: egli può sostenerli tutti. Con piena fiducia possono costruire sopra di lui. Cristo è “una pietra provata”. Egli non deluderà mai quelli che confidano in lui; ha superato ogni prova; ha sopportato il peso della colpa di Adamo, il peso della colpa degli altri uomini ed è stato più che vincitore delle potenze delle tenebre. Gesù ha portato i pesi di ogni peccatore penitente. In lui ogni peccatore trova sollievo, perché egli è il fondamento sicuro. Tutti coloro che si appoggiano a lui sperimentano una totale sicurezza. {GN 451.2}

Nella profezia di Isaia si dice che Cristo è un fondamento sicuro e anche una pietra che fa inciampare. L’apostolo Pietro, scrivendo per ispirazione dello Spirito Santo, spiega chiaramente per chi Cristo è una pietra fondamentale e per chi, invece, è una pietra che fa inciampare: “Se davvero avete gustato che il Signore è buono. Accostandovi a lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Infatti si legge nella Scrittura: Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chiunque crede in essa non resterà confuso. Per voi dunque che credete essa è preziosa, ma per gl’increduli la pietra che i costruttori hanno rigettata è diventata la pietra angolare, pietra d’inciampo e sasso d’ostacolo. Essi, essendo disubbidienti, inciampano nella parola”. 1 Pietro 2:3-8. {GN 451.3}

Per i credenti, Gesù è il fondamento sicuro. Essi sono quelli che sono caduti sulla roccia e si sono infranti. Queste parole si riferiscono alla sottomissione a Cristo e alla fede in lui. Cadere sulla roccia ed essere infranti significa rinunciare alla propria giustizia, andare a Gesù con l’umiltà di un bambino, pentirsi dei propri peccati e crede re nel suo amore che perdona. Con la fede e l’ubbidienza noi siamo edificati sul Cristo che diventa il nostro fondamento. {GN 451.4}

Su questa pietra vivente possono essere edificati sia gli ebrei sia i gentili. Egli è l’unico fondamento sul quale si può costruire con sicurezza. È abbastanza ampio e forte per sostenere il peso dei fardelli di tutto il mondo. Quelli che vengono edificati sul Cristo, la pietra vivente, si uniscono a lui e diventano a loro volta pietre viventi. Molti riescono da soli a forgiarsi, a perfezionarsi e ad abbellirsi, ma non possono diventare pietre viventi senza un collegamento con Cristo. Senza questa comunione nessuno si può salvare. Se non si possiede la vita di Cristo non si può resistere alla tempesta della tentazione. La salvezza eterna dipende dall’essere edificati su un fondamento sicuro. Molti sono edificati su fondamenta non provate e al cadere della pioggia, allo scatenarsi della tempesta, al rovesciarsi dell’acqua cadono, perché non sono fondati sulla Roccia eterna, la pietra angolare, Cristo Gesù. {GN 452.1}

Per coloro che “essendo disubbidienti, intoppano nella Parola”, Cristo è una pietra che condanna. Ma “la pietra che gli edificatori hanno riprovata è quella che è divenuta la pietra angolare”. Gesù nella sua missione terrena è stato rifiutato e insultato, come la pietra. “Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui dinanzi al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna”. Isaia 53:3. Ma ben presto egli sarebbe stato glorificato. Con la risurrezione dai morti è stato “dichiarato Figlio di Dio con potenza”. Romani 1:4. Al suo ritorno sarà manifestato come il Signore del cielo e della terra e i suoi crocifissori lo riconosceranno nella sua grandezza. Davanti a tutto l’universo quella pietra che era stata rifiutata diventerà la pietra angolare. {GN 452.2}

“E chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato”. Matteo 21:44. La città e la nazione che avevano rigettato Cristo sarebbero state presto distrutte e la loro gloria annullata e dispersa ai quattro venti del cielo. Quale fu la causa della distruzione della nazione israelita? Fu la roccia, che sarebbe stata la loro salvezza, se avessero costruito su di essa. Fu il loro disprezzo verso la misericordia di Dio, verso la sua pietà, verso la sua giustizia. Gli uomini si opposero a Dio, e tutto ciò che avrebbe potuto contribuire alla loro salvezza divenne il motivo della loro condanna. Tutto ciò che avrebbe contribuito alla loro salvezza era stato trasformato in un mezzo di distruzione. Nella crocifissione di Gesù era implicita la rovina di Gerusalemme. Il sangue versato sul Calvario doveva determinare la loro condanna in questo mondo e in quello futuro. Questo avverrà nel gran giorno, quando la condanna si abbatterà su coloro che hanno rifiutato la grazia di Dio. Cristo, la loro “pietra d’inciampo” diventerà per loro, nel giudizio, grande come una montagna. La gloria della sua apparizione, che per i giusti è vita, sarà per gli empi un fuoco divorante. Il peccatore sarà distrutto perché ha respinto l’amore e ha disprezzato la grazia. {GN 452.3}

Con diverse immagini e con ripetuti avvertimenti Gesù indicò le conseguenze del rifiuto del figlio di Dio. Con queste parole si rivolgeva anche a tutti coloro che in ogni tempo lo avrebbero respinto come Redentore. I suoi avvertimenti sono anche per loro. La sconsacrazione del tempio, il figlio disubbidiente, i lavoratori disonesti, i costruttori disavveduti rappresentano l’esperienza di ogni peccatore. Essi, se non si pentono, subiranno la stessa condanna pronunciata da Gesù. {GN 453.1}



Capitolo 66: Contrasti

I sacerdoti e i capi d’Israele avevano ascoltato in silenzio i chiari rimproveri di Gesù; non potevano respingere le sue accuse, ma erano ancora più decisi a farlo cadere in trappola e per questo gli misero alle calcagna delle spie “che fingessero di essere giusti per coglierlo in fallo su una sua parola e consegnarlo, così all’autorità e al potere del governatore”. Luca 20:20. Non mandarono i vecchi farisei che Gesù aveva già incontrato, ma dei giovani zelanti che Gesù, secondo loro, non conosceva. Essi vennero insieme con certi erodiani, che sarebbero stati testimoni contro Gesù nel processo che si voleva allestire. I farisei e gli erodiani erano nemici, ma li univa l’odio comune nei confronti di Cristo. {GN 454.1}

I farisei erano sempre stati contrari all’esazione dei tributi da parte dei romani. Ritenevano che il pagamento del tributo fosse contrario alla legge di Dio e lo scelsero come esca per Gesù. Queste spie si accostarono a Gesù, e con un’aria sincera, come se desiderassero conoscere il loro dovere, gli chiesero: “Maestro, noi sappiamo che tu sei sincero, e che non hai riguardi per nessuno, perché non badi all’apparenza delle persone, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?” Marco 12:14. {GN 454.2}

Le parole: “Noi sappiamo che tu sei verace”, se sincere, sarebbero state un magnifico riconoscimento. Ma, sebbene pronunciate per ingannare, erano vere. I farisei sapevano che Gesù parlava e insegnava correttamente, perciò saranno giudicati con le loro stesse regole. {GN 454.3}

Coloro che posero questa domanda a Gesù pensavano di aver sufficientemente nascosto le loro vere intenzioni; ma Gesù, che leggeva nei cuori come in un libro aperto, si rese conto della loro ipocrisia. Disse: “Perché mi tentate?” Versetto 15. Con questa domanda dimostrò di conoscere la loro vera intenzione, e dette loro un segno che essi non avevano chiesto. Erano ancora imbarazzati, quando Gesù aggiunse: “Portatemi un denaro, che io lo veda. Essi glielo portarono ed egli disse loro: Di chi è questa effigie e questa iscrizione? Essi gli dissero: Di Cesare. Allora Gesù disse loro: Rendete a Cesare quel ch’è di Cesare; e a Dio quel che è di Dio”. Versetti 15-17. {GN 454.4}

Quelle spie si aspettavano che Gesù desse una risposta diretta alla loro domanda, o affermativa o negativa. Se avesse detto che non era lecito pagare il tributo a Cesare, lo avrebbero denunciato alle autorità romane per istigazione alla ribellione. Se invece avesse affermato che era lecito pagare il tributo, lo avrebbero accusato davanti al popolo di essere contrario alla legge di Dio. Perciò si sentirono confusi e sconfitti. I loro piani erano rovinati. La risposta di Gesù toglieva loro ogni possibilità di continuare su quell’argomento. {GN 455.1}

Gesù non rispose in maniera elusiva, ma direttamente. Prendendo in mano una moneta romana su cui erano impressi il nome e l’effigie di Cesare, disse che, poiché vivevano sotto la protezione romana, dovevano adempiere il loro dovere nei suoi confronti fino a che non fosse entrato in contrasto con un dovere più importante. Pur essendo ubbidienti alle leggi del loro paese, dovevano lasciare il primo posto a Dio. {GN 455.2}

Le parole del Salvatore: “Rendete a Dio quel ch’è di Dio”, erano un rimprovero severo contro gli intriganti israeliti. Se essi avessero fedelmente adempiuto il loro dovere nei confronti di Dio, non sarebbero mai caduti sotto il dominio di una potenza straniera. Nessuna insegna romana avrebbe sventolato su Gerusalemme, nessuna sentinella romana avrebbe vigilato alle sue porte, nessun governatore romano avrebbe governato dentro le sue mura. La nazione ebraica stava pagando le conseguenze della propria apostasia. {GN 455.3}

Quando i farisei ebbero udito la risposta di Gesù, “si stupirono e, lasciatolo, se ne andarono”. Matteo 22:22. Egli aveva biasimato la loro ipocrisia e la loro presunzione e contemporaneamente aveva riaffermato un grande principio che stabilisce esattamente i limiti dei doveri dell’uomo nei confronti delle autorità civili e di Dio. Così era stato risolto in modo definitivo un problema molto dibattuto. Anche coloro che non rimasero soddisfatti di quella risposta si resero conto che il problema, posto implicitamente nella domanda, era stato puntualizzato e si meravigliarono per la sapienza del Maestro. {GN 455.4}

Appena i farisei furono messi a tacere, si avvicinarono i sadducei con le loro astute domande. I due partiti erano in aspra contesa. I farisei si attenevano rigidamente alla tradizione, erano scrupolosi nell’osservanza delle cerimonie esteriori, diligenti nelle abluzioni, nei digiuni, nelle lunghe preghiere e nell’ostentazione delle elemosine; ma Gesù diceva che essi rendevano vana la legge di Dio insegnando dottrine che erano comandamenti di uomini. Formavano una setta bigotta e ipocrita, sebbene alcuni di loro avessero una fede sincera e in seguito avrebbero accettato gli insegnamenti di Gesù diventan do suoi discepoli. I sadducei respingevano le tradizioni dei farisei. Professavano di credere nella maggior parte delle Scritture e di considerarle come regola di condotta, ma praticamente erano scettici e materialisti. {GN 455.5}

I sadducei non credevano nell’esistenza degli angeli, non credevano nella risurrezione dei morti, in una vita futura, con i suoi premi e le sue punizioni. In tutto ciò si discostavano dai farisei. Ma il principale motivo di controversia era la risurrezione. I farisei credevano nella risurrezione, ma non avevano idee chiare sulla vita futura. {GN 456.1}

La morte pareva loro un mistero inesplicabile. La loro incapacità di rispondere alle obiezioni dei sadducei li avviliva. Le discussioni fra le due parti generalmente si trasformavano in rabbiose dispute, che creavano un solco sempre più profondo fra loro. {GN 456.2}

I sadducei erano meno numerosi dei loro antagonisti, ed esercitavano un influsso inferiore sul popolo. Ma molti di loro erano ricchi e possedevano quel potere che deriva dalla ricchezza. Molti sacerdoti appartenevano al loro gruppo, e anche il sommo sacerdote veniva in genere scelto fra loro. Tutto ciò a condizione che non divulgassero troppo il loro scetticismo. Quando i sadducei occupavano un ufficio sacerdotale, a causa del numero e della popolarità dei farisei, manifestavano un rispetto esteriore verso le loro dottrine; ma il fatto che occupassero posti di così alta responsabilità, conferiva un certo credito ai loro errori. {GN 456.3}

I sadducei non accettavano gli insegnamenti di Gesù. Non condividevano lo spirito da cui il Maestro era animato, e neppure il suo insegnamento su Dio e la vita futura. Credevano in Dio unicamente come in un essere superiore all’uomo. Deducevano che una provvidenza sovrana e una preconoscenza divina avrebbero privato l’uomo della sua libertà e lo avrebbero abbassato a livello di uno schiavo. Ritenevano perciò che Dio, dopo aver creato l’uomo, lo avesse abbandonato a se stesso, completamente al di fuori del suo controllo. Ritenevano che l’uomo avesse il pieno potere di guidare la sua vita e dirigere gli eventi del mondo e che il suo destino dipendesse totalmente da lui. Non credevano che lo Spirito di Dio operasse attraverso strumenti umani o mezzi naturali. Pensavano che l’uomo potesse elevarsi con le sue capacità naturali e trasformare la sua vita con un comportamento rigoroso e austero. {GN 456.4}

II concetto che essi avevano di Dio influiva sul loro carattere. Siccome, a loro giudizio, egli non si interessava degli uomini, anch’essi non si curavano degli altri ed erano poco uniti fra loro. Non accettando l’influsso dello Spirito Santo sulla loro condotta, erano privi della sua potenza. Si vantavano molto, come tutti gli altri israeliti, dei loro diritti come figli di Abramo e della loro scrupolosa osservanza dei precetti della legge, ma erano privi del vero spirito della legge, della fede e dell’amore di Abramo. I loro interessi si manifestavano in un ambito molto limitato. Credevano che ogni uomo potesse assicurarsi le comodità e il benessere della vita e non pensavano alle necessità e alle sofferenze degli altri. Vivevano per se stessi. {GN 456.5}

Con le sue parole e le sue azioni, Gesù testimoniava di una potenza divina che produce risultati soprannaturali, di una vita futura nell’aldilà, di un Dio, Padre di tutti gli uomini, che veglia sui loro interessi. Egli manifestò l’opera della potenza divina attraverso la benevolenza e la compassione, in contrasto con l’egoismo esclusivista dei sadducei. Insegnò che Dio agisce sui cuori attraverso lo Spirito Santo, sia per sopperire alle necessità temporali degli uomini sia per il loro bene eterno. Dimostrò l’errore di confidare nelle capacità umane per la trasformazione del carattere, quando questa trasformazione può essere compiuta soltanto dallo Spirito di Dio. {GN 457.1}

I sadducei volevano screditare l’insegnamento di Gesù. Polemizzando con lui speravano di contribuire a creare una cattiva reputazione, anche se non potevano ottenere la sua condanna. Decisero così di interrogarlo sulla risurrezione. Se fosse stato d’accordo con loro, avrebbe offeso i farisei. Se non fosse stato d’accordo, avrebbe ridicolizzato il suo insegnamento. {GN 457.2}

I sadducei dicevano che se il corpo, sia nel suo stato mortale sia in quello immortale, è composto dalle stesse parti di materia, allora, alla risurrezione dai morti, deve avere carne e sangue e riprendere la vita interrotta sulla terra. Concludevano da ciò che si sarebbero dovute ristabilire le relazioni terrene, che mogli e mariti si sarebbero riuniti, che si sarebbero conclusi matrimoni e che tutte le cose sarebbero continuate come prima della morte, con le debolezze e le passioni di questa vita. {GN 457.3}

Nel rispondere alle loro domande, Gesù sollevò il velo della vita futura. “Perché alla risurrezione non si prende né si dà moglie; ma i risorti sono come angeli nei cieli”. Matteo 22:30. Disse che i sadducei si sbagliavano e che le loro conclusioni non erano corrette. “Voi errate, perché non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio”. Versetto 29. Non li accusò di ipocrisia, come aveva fatto con i farisei, ma di errori di dottrina. {GN 457.4}

I sadducei si illudevano quando pensavano di comprendere meglio di tutti gli altri le Scritture. Gesù dimostrò che essi in realtà non ne comprendevano il vero significato. Questa conoscenza si forma direttamente nel cuore, mediante la luce dello Spirito Santo. Disse che l’ignoranza delle Scritture e della potenza di Dio era la causa dei loro errori. Essi volevano costringere i misteri di Dio entro i limiti del loro ristretto ragionamento. Gesù li invitò ad aprire la mente a quelle sacre verità sulle quali si possono fondare le proprie idee. Migliaia di persone non credono perché le loro menti limitate non riescono a comprendere i misteri di Dio. Siccome non possono spiegarsi la meravigliosa manifestazione della potenza divina nella sua provvidenza, respingono le prove di questo potere e lo attribuiscono a cause naturali, che ignorano non meno delle altre. L’unica via per comprendere i misteri che ci circondano consiste nel riconoscere in essi la presenza e la potenza di Dio. L’uomo ha bisogno di riconoscere Dio come Creatore dell’universo, come colui che stabilisce e governa tutte le cose. Ha bisogno di una visione più ampia del suo carattere e del mistero delle sue vie. {GN 457.5}

Gesù dichiarò ai suoi ascoltatori che senza la risurrezione dei morti, da quelle stesse Scritture in cui essi professavano di credere, non avrebbero tratto alcun vantaggio. “Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abraamo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Egli non è il Dio dei morti, ma dei vivi”. Matteo 22:31, 32. Dio considera le cose che non sono come se fossero, vede la fine sin dal principio, e contempla i risultati della sua opera come se fossero già compiuti. Preziosi agli occhi di Dio, coloro che sono morti da Adamo fino all’ultimo credente, udranno la voce del figlio di Dio e usciranno dal sepolcro per una vita immortale. Dio sarà il loro Dio, ed essi il suo popolo. Vi sarà un’intima e tenera relazione fra Dio e i santi risorti. Egli contempla questa condizione, che è un’anticipazione del suo piano, come se già fosse attuata. I morti vivono in lui. {GN 458.1}

Le parole di Gesù ridussero al silenzio i sadducei. Non sapevano che cosa rispondere. Gesù non aveva pronunciato nessuna parola della quale potessero minimamente servirsi per condannarlo. I suoi avversari avevano conquistato soltanto il disprezzo del popolo. {GN 458.2}

I farisei, nel frattempo, non rinunciarono alla speranza di fargli dire qualcosa per cui poterlo accusare. Indussero uno scriba bene istruito a chiedere a Gesù quale dei dieci comandamenti fosse il più importante. {GN 458.3}

I farisei esaltavano i primi quattro che prescrivono i doveri dell’uomo verso Dio, e li consideravano come più importanti degli altri sei che stabiliscono i doveri verso il prossimo. Conseguenza di questa valutazione era la trascuratezza dell’amore nella realtà quotidiana. {GN 458.4}

Gesù aveva indicato questa mancanza e aveva insistito sulla necessità delle buone opere, affermando che l’albero si riconosce dai suoi frutti. Per questo motivo lo accusavano di dare più importanza agli ultimi sei comandamenti che ai primi quattro. {GN 459.1}

Un dottore della legge si avvicinò a Gesù con una domanda precisa: “Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?” Matteo 22:36. La risposta di Gesù fu pronta e chiara: “Il primo è: Ascolta, Israele: il Signore, nostro Dio, è l’unico Signore. Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua e con tutta la forza tua. Il secondo è questo: Ama il tuo prossimo come te stesso. Non c’è nessun altro comandamento maggiore di questi”. Marco 12:29-31. “Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge {GN 459.2}

ed i profeti”. Matteo 22:40. {GN 459.3}

I primi quattro comandamenti del Decalogo sono riassunti nel gran precetto: “Ama dunque il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore”. Gli ultimi sei sono riassunti nell’altro: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Entrambi questi comandamenti prescrivono l’amore. Non è possibile né osservare il primo e infrangere il secondo, né osservare il secondo e infrangere il primo. Quando Dio occupa nel cuore il posto che gli spetta anche il nostro prossimo ha il posto che gli è dovuto. Possiamo amare sinceramente il nostro prossimo solo se amiamo Dio al di sopra di ogni cosa. {GN 459.4}

Poiché tutti i comandamenti si riassumono nell’amore per il Signore e per il prossimo, nessuno può venire infranto senza trasgredire il principio dell’amore. Gesù ha insegnato ai suoi uditori che la legge di Dio non consiste in precetti scollegati, alcuni molto importanti e altri trascurabili. Egli presenta i primi quattro e gli altri sei comandamenti come un tutto divino, e insegna che l’amore per il Signore lo si dimostra con l’osservanza dei suoi comandamenti. {GN 459.5}

Lo scriba che aveva rivolto la domanda a Gesù era bene istruito sulla legge e rimase stupito di fronte alla risposta. Non si aspettava di trovare in Gesù una conoscenza così vasta e profonda delle Scritture. Il Maestro gli aveva offerto una visione più ampia dei princìpi contenuti nei comandamenti e lo scriba riconobbe onestamente davanti ai sacerdoti e ai capi riuniti che Gesù aveva dato la giusta interpretazione della legge. {GN 459.6}

“Lo scriba gli disse: Bene, Maestro! Tu hai detto secondo verità, che vi è un solo Dio e che all’infuori di lui non ce n’è alcun altro; e che amarlo con tutto il cuore, con tutto l’intelletto, con tutta la forza, e amare il prossimo come se stesso, è molto di più che tutti gli olocausti e i sacrifici”. Marco 12:32, 33. {GN 459.7}

La saggia risposta di Gesù aveva convinto lo scriba, che riconobbe che la religione d’Israele non doveva consistere in cerimonie esteriori, ma nell’amore. Si rese conto dell’inutilità, senza la fede, delle offerte cerimoniali e del sangue sparso per l’espiazione dei peccati. L’amore, l’ubbidienza, il rispetto disinteressato per il prossimo, gli parvero valere più di tutti quei riti. La prontezza di quell’uomo nel-l’ammettere che la risposta di Gesù era corretta e il riconoscimento pronto e deciso davanti al popolo, rivelavano uno spirito completamente diverso da quello dei sacerdoti e dei capi. Gesù provò simpatia per quello scriba onesto che aveva osato esprimere la propria convinzione, sfidando l’ira dei sacerdoti e le minacce dei capi. “E Gesù, vedendo che aveva risposto con intelligenza, gli disse: Tu non sei lontano dal regno di Dio”. Versetto 34. {GN 460.1}

Lo scriba era vicino al regno di Dio perché riconosceva che agli occhi del Signore un comportamento corretto valeva più delle offerte e dei sacrifici. Ma doveva riconoscere anche il carattere divino di Cristo e ricevere mediante la fede il potere di compiere le opere della giustizia. Tutti i riti erano privi di valore se non venivano collegati con Cristo mediante una fede vivente. Perfino la legge morale svolge la sua funzione solo in rapporto al Salvatore. Cristo ha più volte indicato che la legge del Padre contiene qualcosa di più profondo di semplici ordini. Nella legge è racchiuso lo stesso principio che è manifestato nel Vangelo. La legge indica all’uomo il suo dovere e gli mostra la sua colpa, ed egli deve rivolgersi a Cristo per ottenere il perdono e la forza per adempiere le prescrizioni della legge. {GN 460.2}

Quando Gesù rispose alla domanda dello scriba, i farisei erano intorno a lui. Egli, rivolgendosi a loro, pose questa domanda: “Che cosa pensate di Cristo? Di chi è figlio?” Matteo 22:42. Gesù voleva che manifestassero le loro convinzioni relative al Messia: lo consideravano come un uomo o come il figlio di Dio? Un coro di voci rispose: “Di Davide”. Questo era il titolo che i profeti avevano dato al Messia. Quando Gesù aveva manifestato la sua divinità con potenti miracoli, quando aveva guarito gli ammalati e risuscitato i morti, il popolo si era chiesto se non fosse il Figlio di Davide. La donna cananea, il cieco Bartimeo e molti altri che avevano bisogno di aiuto si erano rivolti a lui chiamandolo così. “Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide”. Matteo 15:22. Mentre cavalcava in direzione di Gerusalemme, era stato salutato con il grido gioioso: “Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” Matteo 21:9. E i bambini nel tempio avevano in quel giorno fatto eco a quel lieto riconoscimento. Ma molti di coloro che chiamavano Gesù figlio di Davide, non riconoscevano la sua divinità perché non In risposta all’affermazione secondo cui era figlio di Davide, Gesù disse: “Come dunque Davide, ispirato dallo Spirito, lo chiama Signore, dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra finché io abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio? E nessuno poteva replicargli parola; da quel giorno nessuno ardì più interrogarlo”. Matteo 22:43-46. {GN 460.3}

comprendevano che il figlio di Davide era anche Figlio di Dio. {GN 461.1}



Capitolo 67: Gesù censura gli scribi e i farisei

Era l’ultimo giorno in cui Gesù insegnava nel tempio. L’attenzione della grande folla raccolta a Gerusalemme si era volta verso di lui. Il popolo aveva affollato i cortili e seguiva le discussioni che vi si svolgevano ogni giorno, senza lasciarsi sfuggire una parola. Non era mai successo qualcosa di simile. C’era quel giovane galileo, privo di onori terreni e insegne regali. Intorno a lui c’erano i sacerdoti con i loro sontuosi paramenti, i capi del popolo con gli abiti e le insegne della loro elevata posizione, gli scribi con in mano i rotoli che spesso consultavano. Gesù stava di fronte a loro, calmo, con la dignità di un re. Rivestito di un’autorità divina, guardava sereno i suoi avversari che avevano rifiutato e disprezzato i suoi insegnamenti e che volevano la sua vita. Lo avevano ripetutamente attaccato, ma tutti i tentativi di coglierlo in fallo e accusarlo erano falliti. Egli aveva affrontato una prova dopo l’altra e aveva presentato la verità pura e splendente in contrasto con le tenebre e gli errori dei sacerdoti e dei farisei. Aveva indicato a quei capi la loro condizione e il sicuro castigo che avrebbero ricevuto persistendo nella loro malvagità. L’avvertimento era stato dato fedelmente, ma c’era un’altra opera che Gesù doveva ancora compiere. {GN 461.2}

L’interesse del popolo per Gesù e per la sua missione era cresciuto. Le persone erano conquistate dai suoi insegnamenti, ma avevano ancora molte perplessità. Avevano sempre rispettato i sacerdoti e i rabbini per la loro cultura e per le loro manifestazioni di religiosità e si erano sempre sottomessi, senza riserve, alla loro autorità in campo teologico. Ma ora vedevano che essi denigravano Gesù, un maestro la cui dottrina e le cui virtù risaltavano sempre più dopo ogni attacco. Vedevano che i sacerdoti e gli anziani erano umiliati, ormai prossimi alla sconfitta e alla confusione. Si meravigliavano perché i capi non credevano in Gesù, ai suoi insegnamenti così chiari e semplici, e non sapevano come comportarsi. Con trepidazione osservavano il comportamento di coloro di cui avevano sempre seguito i consigli. {GN 461.3}

Con le parabole, Gesù avvertiva i capi e istruiva il popolo. Ma era necessario che egli parlasse con maggiore chiarezza. Il popolo era schiavo del rispetto della tradizione e della cieca fiducia in un sacerdozio corrotto. Era necessario che Gesù spezzasse le loro catene e svelasse chiaramente il carattere dei sacerdoti, dei capi e dei farisei. {GN 461.4}

Disse: “Gli scribi e i farisei siedono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque e osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le loro opere; perché dicono e non fanno”. Matteo 23:2, 3. Gli scribi e i farisei pretendevano di avere un’autorità simile a quella di Mosè. Prendevano il posto di questo legislatore in qualità di dottori della legge e giudici del popolo, ed esigevano la massima deferenza e ubbidienza. Gesù disse ai suoi uditori di fare ciò che quei maestri insegnavano in accordo con la legge, ma di non seguirne l’esempio, perché essi non mettevano in pratica ciò che dicevano. {GN 463.1}

Oltre a questo, insegnavano anche molte cose contrarie alle Scritture. Gesù disse: “Infatti, legano dei fardelli pesanti e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito”. Versetto 4. I farisei avevano stabilito una serie infinita di regole fondate soltanto sulla tradizione, che limitavano irragionevolmente la libertà. Spiegavano certe parti della legge in modo da imporre al popolo delle prescrizioni che essi stessi segretamente ignoravano e dalle quali, se ciò tornava loro utile, chiedevano l’esenzione. {GN 463.2}

Facevano sempre sfoggio della loro religiosità e non trascuravano nulla per raggiungere questo obiettivo. Il Signore aveva detto a Mosè a proposito dei suoi comandamenti: “Te li legherai alla mano come un segno, te li metterai sulla fronte in mezzo agli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle porte della tua città”. Deuteronomio 6:8, 9. Queste parole avevano un significato profondo. L’uomo intero si nobilita quando la Parola di Dio viene meditata e messa in pratica. Le mani occupate in atti di giustizia e misericordia rivelano, come un sigillo, i princìpi della legge di Dio. Esse saranno preservate dalle tentazioni, da tutto ciò che è occasione di corruzione e inganno, e saranno attive nelle opere d’amore e di misericordia. Gli occhi rivolti verso un nobile scopo saranno limpidi e sinceri. L’espressione del volto e lo sguardo manifesteranno il carattere innocente di colui che ama e onora la Parola di Dio. {GN 463.3}

Ma gli ebrei del tempo di Gesù non si comportavano in questo modo. L’ordine dato a Mosè fu interpretato come se i precetti delle Scritture dovessero essere portati addosso in senso letterale. Venivano scritti su strisce di pergamena e avvolti in maniera vistosa intorno alla testa e ai polsi. Ma questo non significava che la legge di Dio fosse presente nella mente e nel cuore. Quelle pergamene servivano unicamente come ornamenti per attrarre l’attenzione. Miravano

a conferire un aspetto devoto per accattivare il rispetto della gente. Gesù attaccò quell’inutile pretesa. {GN 464.4}

“Tutte le loro opere le fanno per essere osservati dagli uomini; infatti allargano le loro filatterie e allungano le frange dei mantelli; amano i primi posti nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe, i saluti nelle piazze ed essere chiamati dalla gente: Maestro! Ma voi non vi fate chiamare Maestro; perché uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli. Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli. Non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra Guida, il Cristo”. Matteo 23:5-10. Con queste parole così chiare il Salvatore smascherò l’ambizione egoistica che è sempre alla ricerca di posti privilegiati e potere, e che si nasconde dietro una falsa umiltà mentre il cuore trabocca di avarizia e invidia. Nei banchetti gli ospiti si sedevano secondo il rango e coloro a cui erano accordati i primi posti godevano di maggiore attenzione e favori speciali. I farisei cercavano sempre di procurarsi questi onori, ma Gesù condannò questo comportamento. {GN 464.1}

Gesù condannò anche l’ambiziosa ricerca del titolo di maestro. Disse che questo titolo non spettava agli uomini, ma a Cristo. Sacerdoti, scribi, capi, dottori e amministratori della legge erano tutti fratelli, figli dello stesso Padre. Gesù ripeté che non si doveva dare a nessuno titoli onorifici che conferissero un diritto sulla coscienza e sulla fede degli altri. {GN 464.2}

Gesù ripete oggi lo stesso avvertimento a coloro che si fanno chiamare con titoli che esprimono un atteggiamento di riverenza. “Ma voi non vi fate chiamar Maestro; perché uno solo è il vostro maestro, e voi siete tutti fratelli”. Le Scritture affermano di Dio: “Santo e tremendo è il suo nome”. Salmi 111:9. A quale essere umano può spettare un titolo simile? Esso implica una saggezza e una giustizia che si manifestano raramente fra gli uomini. Molti di coloro che accettano questo titolo tradiscono con la loro vita il nome e il carattere di Dio. Spesso ambizioni mondane, spirito dispotico e condotta sconveniente sono stati nascosti dietro i bellissimi paramenti di alte funzioni sacre. {GN 464.3}

Il Salvatore continuò dicendo: “Ma il maggiore tra di voi sia vostro servitore. Chiunque si innalzerà sarà abbassato e chiunque si abbasserà sarà innalzato”. Matteo 23:11, 12. Gesù ha continuamente insegnato che la vera grandezza consiste nella dignità morale. Agli occhi di Dio la grandezza del carattere consiste in una vita spesa per il benessere del prossimo in opere d’amore e di misericordia. Cristo, il Re di gloria è stato il servitore degli uomini decaduti. {GN 464.4}

“Ma guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché serrate il regno dei cieli davanti alla gente, poiché né vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano di entrare”. Matteo 23:14. I sacerdoti e i dottori della legge, torcendo le Scritture, offuscavano le menti di coloro che volevano conoscere e ricevere il regno di Cristo, e falsavano la natura di quella divina vita interiore che è essenziale alla santità. {GN 465.1}

“Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti! perciocché voi divorate le case delle vedove; e ciò, sotto specie di far lunghe orazioni; perciò, voi riceverete maggior condannazione”. Versetto 14 (Diodati). I farisei godevano di grande ascendente sul popolo e se ne servivano per i propri interessi. Si conquistavano la fiducia delle vedove e le convincevano a offrire le loro proprietà per scopi religiosi. Una volta avuto il controllo di quel denaro, da astuti intriganti, lo usavano a loro vantaggio. Per mascherare la loro disonestà, facevano in pubblico lunghe preghiere, con grande sfoggio di pietà. Gesù disse che con quell’ipocrisia si sarebbero attirati addosso una condanna ancora maggiore. Lo stesso rimprovero vale oggi per tanti uomini che fanno professione di fede, ma la cui vita è caratterizzata dall’egoismo e dall’avarizia. Essi cercano di dissimulare i loro sentimenti sotto un manto di purezza e per un po’ di tempo riescono a ingannare il prossimo, ma non riusciranno mai a ingannare Dio. Egli conosce ogni movente del cuore e giudicherà ogni uomo secondo le sue opere. {GN 465.2}

Gesù ha condannato gli abusi, ma è stato attento a non sminuire i doveri. Ha condannato l’egoismo che estorceva doni alle vedove per vantaggi personali, ma nello stesso tempo ha lodato la vedova che portava le sue offerte per il tesoro di Dio. Gli abusi degli uomini non potevano ostacolare le benedizioni che Dio avrebbe riversato sul donatore. {GN 465.3}

Gesù si trovava nel cortile dove c’era la cassa del tesoro e osservava quelli che portavano le loro offerte. Molti ricchi venivano con grandi somme, date con ostentazione. Gesù li guardava con tristezza, senza commentare in nessun modo i loro gesti di generosità. Il suo volto si illuminò quando vide una povera vedova che si avvicinava esitante, come se temesse di essere notata. Mentre i donatori ricchi e orgogliosi avanzavano con sussiego, quella povera donna si teneva in disparte come se temesse di mettersi in mostra. Ma desiderava fare qualcosa, per quanto poco, in favore della causa che amava. Guardò il dono che aveva fra le mani. Era ben poca cosa in confronto alle offerte prestigiose degli altri, ma era tutto ciò che aveva. Allora rapidamente si accostò alla cassa, vi gettò due spiccioli e si allontanò furtiva. Ma i suoi occhi si incontrarono con quelli di Gesù, che la stava osservando con attenzione. {GN 465.4}

Il Salvatore chiamò i discepoli e disse loro di notare la povertà di quella vedova. Le sue parole di lode giunsero sino alle orecchie della donatrice. “In verità vi dico che questa povera vedova ha messo più di tutti”. Luca 21:3. Quando sentì che la sua offerta era stata apprezzata, lacrime di gioia scesero dai suoi occhi. Molti le avrebbero consigliato di tenersi i suoi spiccioli poiché, offerti a quei sacerdoti ben nutriti, si sarebbero persi tra i ricchi doni portati nel tesoro. Ma Gesù comprese il movente della sua azione. Ella credeva nell’istituzione divina del servizio del tempio e voleva fare tutto il possibile per sostenerlo. Diede tutto ciò che poteva e il suo dono diventò un monumento alla sua memoria, per tutti i tempi e per la sua gioia nell’eternità. Quel dono esprimeva tutto il suo cuore, e il suo valore fu stimato non sulla base del valore del denaro ma dell’amore per il Signore e dell’interesse per la sua opera. {GN 466.1}

Gesù disse della povera vedova: “Ma lei vi ha messo del suo necessario, tutto quello che aveva per vivere”. Versetto 4. I ricchi avevano donato una parte del superfluo, e molti di loro lo avevano fatto per essere guardati e onorati dagli uomini. I loro doni costosi non li avevano privati di nessuna comodità e neppure del lusso; non avevano fatto alcun sacrificio e il loro dono non poteva essere paragonato in valore a quello degli spiccioli della vedova. {GN 466.2}

Sono i moventi che danno valore alle azioni. Dio non considera più preziose le cose che ogni occhio vede e ogni lingua loda. Ai suoi occhi hanno spesso grandissimo valore i piccoli doveri adempiuti con diligenza, i piccoli doni offerti con discrezione e che agli occhi umani possono apparire insignificanti. Un cuore ricco di fede e amore è per il Signore più prezioso di un dono costosissimo. Quella povera vedova, per offrire il poco che aveva donato, rinunciò al proprio sostentamento. Si privò del cibo per offrire due spiccioli per la causa che amava. Lo fece con fede, credendo che il Padre si sarebbe preso cura di lei. Quello spirito di fede disinteressata e spontanea fu lodato dal Salvatore. {GN 466.3}

Molti poveri desiderano manifestare la loro riconoscenza a Dio per la sua grazia e per la sua verità e vogliono collaborare al sostentamento della sua opera. Non si devono scoraggiare quelle anime, ma si deve lasciare che portino i loro spiccioli nella banca del cielo. Quelle inezie apparenti, se offerte da un cuore pieno di amore per il Signore, diventano doni consacrati, offerte inestimabili per le quali Dio sorride e benedice. {GN 466.4}

Quando Gesù disse alla vedova: “In verità vi dico che questa po vera vedova ha gettato più di tutti”, le sue parole erano vere non solo per il movente, ma anche per il risultato del dono. I “due spiccioli che fanno un quarto di soldo” (Marco 12:42) hanno portato nel tesoro di Dio una quantità di denaro molto più grande di altre offerte sostanziose. L’influsso di quel semplice dono era simile a un ruscello, piccolo all’inizio, ma poi sempre più largo e profondo con il passare degli anni. Esso ha contribuito in mille modi a soccorrere i poveri e a diffondere il messaggio del Vangelo. Quell’esempio di abnegazione ha toccato e agito su migliaia di cuori in ogni paese e in ogni età. Ha rivolto appelli ai ricchi e ai poveri, le cui offerte hanno contribuito ad accrescere quel dono. La benedizione di Dio sugli spiccioli della vedova ha prodotto grandi risultati. Lo stesso accade per ogni dono e per ogni atto compiuti con il sincero desiderio di contribuire alla gloria di Dio. Questo fa parte dei piani dell’Onnipotente e i suoi risultati non possono essere calcolati secondo parametri umani. {GN 466.5}

Il Salvatore continuò a censurare gli scribi e i farisei. “Guai a voi, guide cieche, che dite: Se uno giura per il tempio, non importa; ma se giura per l’oro del tempio, resta obbligato. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che santifica l’oro? E se uno, voi dite, giura per l’altare, non importa; ma se giura per l’offerta che c’è sopra, resta obbligato. Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che santifica l’offerta?” Matteo 23:16-19. I sacerdoti interpretavano la volontà di Dio secondo la loro concezione falsa e gretta. Pretendevano di fare sottili distinzioni tra i vari peccati, passando sopra ad alcuni come se fossero leggeri, e stimando altri, forse di minore gravità, come imperdonabili. Per denaro esentavano le persone dai voti e per forti somme passavano addirittura sopra a gravi crimini. Nello stesso tempo, quei sacerdoti e quei capi erano pronti, in certi casi, a pronunciare severi giudizi su colpe insignificanti. {GN 467.1}

“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta, dell’aneto e del comino, e trascurate le cose più importanti della legge: il giudizio, la misericordia, e la fede. Queste sono le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre”. Versetto 23. Queste parole di Gesù condannano l’abuso dei doveri sacri. Egli non disapprovava l’adempimento di certi compiti. Il sistema della decima era stato ordinato da Dio ed era stato seguito sin dai tempi più antichi. Abramo, padre dei credenti, restituì la decima di tutto quello che possedeva. {GN 467.2}

I dottori della legge riconoscevano l’obbligo della decima, e in ciò facevano bene, ma non lasciavano che il popolo seguisse le proprie convinzioni nell’adempimento dei loro doveri. Essi avevano stabilito delle regole arbitrarie per ogni situazione. Queste regole erano diventate così complesse da rendere impossibile la loro osservanza. Nessuno sapeva esattamente se sarebbe riuscito a metterle in pratica tutte. Dio aveva espresso in maniera corretta e ragionevole la sua volontà, ma i sacerdoti e i rabbini ne avevano fatto un peso insopportabile. {GN 467.3}

Tutto quello che Dio ordina è importante. Gesù ha riconosciuto che il pagamento della decima è un dovere, ma ha anche insegnato che ciò non può dispensare dal compiere altri doveri. I farisei erano molto precisi nel decimare le erbe dell’orto, come la menta, l’aneto e il comino. Costava poco e assicurava loro fama di scrupolosità e di santità. Ma le loro inutili restrizioni opprimevano il popolo e distruggevano il rispetto per quel sacro principio stabilito da Dio. Riempivano la mente degli uomini di sottigliezze insignificanti e distoglievano la loro attenzione dalle verità essenziali. Venivano trascurati i punti più importanti della legge: la giustizia, la misericordia e la verità. Gesù infatti aveva aggiunto: “Queste son le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre”. {GN 468.1}

I rabbini avevano falsato altre leggi nello stesso modo. Nelle istruzioni date a Mosè era proibito mangiare gli animali immondi. Si vietava di mangiare la carne del maiale e di altri animali per evitare la formazione di impurità nel sangue che avrebbero accorciato la vita. Ma i farisei non si limitarono alle restrizioni date da Dio e giunsero a estremi impensati. Fra le altre cose, si prescriveva al popolo di filtrare tutta l’acqua per evitare che contenesse il più piccolo insetto che avrebbe potuto essere classificato tra gli animali immondi. Gesù, mettendo in risalto il contrasto tra quelle sottigliezze e la grandezza dei loro peccati, disse ai farisei: “Guide cieche, che filtrate il moscerino e inghiottite il cammello Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaion belli di fuori, ma dentro sono pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia”. Matteo 23:24, 27. Come i sepolcri bianchi e adornati nascondevano cadaveri in decomposizione, così l’esteriore santità dei sacerdoti nascondeva la loro corruzione. {GN 468.2}

Gesù continuò: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché costruite i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti e dite: Se fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nello spargere il sangue dei profeti! In tal modo voi testimoniate contro voi stessi, che siete figli di coloro che uccisero i profeti”. Versetti 29-31. Gli ebrei, per dimostrare il loro rispetto per i profeti morti, si prodigavano nell’erigere loro delle belle tombe, ma non traevano nessun vantaggio dai loro insegnamenti e non prendevano in considerazione i loro avvertimenti. {GN 468.3}

Ai tempi di Gesù c’era una cura quasi superstiziosa per le tombe, e si spendeva molto denaro per decorarle. Agli occhi di Dio tutto ciò era idolatria. Curandosi così dei morti, dimostravano di non amare Dio al di sopra di ogni cosa e il loro prossimo come se stessi. Anche oggi si pratica la stessa idolatria. Molti trascurano le vedove e gli orfani, i malati e i poveri per costruire sepolcri sontuosi. Si spendono tempo, denaro e lavoro, mentre si trascurano i propri doveri verso i vivi, doveri che Cristo ha chiaramente indicato. {GN 469.1}

I farisei avevano costruito delle tombe ai profeti, avevano ornato i loro sepolcri; inoltre dicevano che se fossero vissuti ai tempi dei loro padri non si sarebbero uniti a loro nel versare il sangue dei messaggeri di Dio. E mentre parlavano così, tramavano per togliere la vita al suo Figlio. Queste parole sono utili anche per noi. Dovrebbero farci aprire gli occhi sulla potenza di Satana nell’ingannare le menti e nell’allontanarle dalla luce della verità. Molti seguono l’esempio dei farisei, onorano coloro che sono morti per la loro fede e si meravigliano per la cecità degli ebrei che hanno rigettato il Messia. Affermano che se fossero vissuti al suo tempo ne avrebbero accettato con gioia gli insegnamenti, senza partecipare ai piani malvagi di coloro che rigettarono il Salvatore. Ma quando l’ubbidienza a Dio richiede consacrazione e spirito di sacrificio, queste persone dimenticano le loro convinzioni e si rifiutano di ubbidire. Così rivelano lo stesso spirito dei farisei che condannarono Cristo. {GN 469.2}

Gli ebrei si resero conto solo in parte della terribile responsabilità che si assumevano rigettando Cristo. Dall’epoca in cui venne versato il primo sangue innocente, per colpa di Caino, la stessa storia si è ripetuta con una responsabilità crescente. In ogni tempo i profeti hanno fatto sentire la loro voce che condannava i peccati dei re, dei capi e del popolo, e hanno annunciato il messaggio di Dio, a rischio della propria vita. Di generazione in generazione si è accumulato un terribile castigo su coloro che hanno rifiutato la luce della verità. I nemici di Cristo stavano attirando quel castigo su di loro. Il peccato dei sacerdoti e dei capi di allora era maggiore di quello delle generazioni precedenti. Rigettando il Salvatore, si rendevano responsabili del sangue di tutti i giusti uccisi, da Abele sino a Cristo. Stavano per far traboccare la coppa della malvagità, che ben presto si sarebbe riversata su di loro come punizione. Di questo Gesù li avvertì. {GN 469.3}

“Affinché ricada su di voi tutto il sangue giusto sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele, fino al sangue di Zaccaria, figlio di Bara-chia, che voi uccideste fra il tempio e l’altare. Io vi dico in verità che tutto ciò ricadrà su questa generazione”. Matteo 23:35, 36. {GN 469.4}

Gli scribi e i farisei sapevano che le parole di Gesù erano vere. Essi ricordavano come era stato ucciso il profeta Zaccaria. Mentre sulle sue labbra echeggiavano gli avvertimenti di Dio, il re apostata si infiammò di un furore diabolico e al suo ordine il profeta fu condannato a morte. Il suo sangue schizzò sulle pietre del cortile del tempio e vi rimase come testimonianza indelebile nei confronti dell’Israele apostata. Per tutta la durata del tempio, sarebbe rimasto il segno del sangue di quel giusto, che gridava vendetta a Dio. Quando Gesù si riferì a quei terribili peccati, un fremito di orrore corse attraverso {GN 470.1}

la folla. {GN 470.2}

Contemplando il futuro, Gesù disse che l’apostasia degli ebrei e la loro insofferenza per i messaggeri di Dio sarebbero rimaste invariate come lo erano state in passato. {GN 470.3}

“Perciò, ecco, io vi mando dei profeti, dei saggi e degli scribi; di questi, alcuni ne ucciderete e metterete in croce; altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città”. Versetto 34. Profeti e uomini saggi, pieni di fede e Spirito Santo — Stefano, Giacomo e molti altri — sarebbero stati condannati e uccisi. Alzando le mani verso il cielo, mentre una luce divina si sprigionava dalla sua persona, Cristo parlò come giudice a coloro che stavano davanti a lui. Quella voce che spesso era stata udita formulare intense preghiere, ora pronunciava rimproveri e condanna. Gli ascoltatori rabbrividirono. Mai dal loro animo si sarebbe cancellata l’impressione delle sue parole e del suo sguardo. {GN 470.4}

Gesù era indignato per l’ipocrisia e per i gravi peccati attraverso i quali quegli uomini distruggevano il loro spirito, ingannavano il prossimo e disonoravano Dio. Egli scorgeva l’opera satanica nei ragionamenti sottili e insidiosi dei sacerdoti e dei capi. {GN 470.5}

Sebbene denunciasse il peccato con forza e provasse una sacra collera contro il principe delle tenebre, non manifestò nessuna impazienza e non espresse sentimenti di vendetta. Nello stesso modo il cristiano che vive in comunione con Dio deve possedere i dolci attributi dell’amore e della misericordia, provare una giusta indignazione contro il peccato, ma non deve lasciarsi mai prendere dalla passione sino a maltrattare chi lo insulta. Anche se dovrà affrontare coloro che ispirati da uno spirito malefico perseverano nell’errore egli, con l’aiuto di Cristo, troverà la forza per restare calmo e avere l’autocontrollo. {GN 470.6}

Il Figlio di Dio, mentre guardava il tempio e i suoi uditori, manifestava nel suo aspetto una pietà divina. Con voce rotta da profonda angoscia e lacrime amare, esclamò: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!” Matteo 23:37. Questa è la lotta che precede la separazione. Nel lamento di Cristo si manifestano i profondi sentimenti di Dio. È il misterioso saluto espresso dal grande amore divino. {GN 470.7}

I farisei e i sadducei rimasero silenziosi. Gesù chiamò i discepoli e si preparò a lasciare il tempio, non come uno sconfitto, ma come colui che aveva adempiuto il suo compito. Si ritirava dalla lotta come un vincitore. {GN 471.1}

Le preziose verità che in quel giorno, denso di eventi, uscirono dalle labbra di Gesù, furono raccolte e conservate come un tesoro da molti cuori. Esse suscitarono nuovi pensieri di vita, risvegliarono nuove aspirazioni e dettero inizio a nuove esperienze. {GN 471.2}

Dopo la crocifissione e la risurrezione, quelle persone si impegnarono per adempiere il mandato divino con una saggezza e uno zelo adeguati alla grandezza dell’opera. Diffusero il messaggio che si rivolge al cuore e distrugge le vecchie superstizioni che per tanto tempo avevano ostacolato la vita di molti. Di fronte a quella testimonianza, le teorie umane apparvero in tutta la loro vanità. Straordinari furono gli effetti di quelle parole sgorgate dalla bocca del Salvatore, pronunciate davanti alla folla stupita e impaurita, nel tempio di Gerusalemme. {GN 471.3}

Ma Israele, come nazione, aveva ripudiato il suo Dio. I rami naturali dell’ulivo erano stati tagliati. Guardando per l’ultima volta l’interno del tempio, Gesù disse con tristezza: “Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Infatti vi dico che da ora in avanti non mi vedrete più, finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” Versetti 38, 39. Sino a quel momento aveva chiamato il tempio la casa del Padre suo; ma ora, mentre il Figlio di Dio si allontanava dalle sue mura, la presenza di Dio si sarebbe ritirata per sempre da quel tempio che era stato costruito per la sua gloria. Ormai le cerimonie sarebbero state prive di significato e i servizi un inganno. {GN 471.4}



Capitolo 68: Nel cortile esterno del tempio

“Or tra quelli che salivano alla festa per adorare c’erano alcuni greci. Questi dunque, accostatisi a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, gli fecero questa richiesta: Signore, vorremmo vedere Gesù. Filippo lo venne a dire ad Andrea; e Andrea e Filippo andarono a dirlo a {GN 472.1}

Gesù”. Giovanni 12:20-22. {GN 472.2}

In quel momento sembrava che l’opera di Gesù avesse subìto una sconfitta. Aveva avuto successo nella polemica contro i sacerdoti e i farisei, ma era chiaro che essi non lo avrebbero mai accettato come Messia. La rottura definitiva si era verificata. Per i discepoli la situazione sembrava disperata. Mentre Gesù si preparava per il compimento della sua missione, si sarebbe ben presto attuato il grande evento che riguardava non soltanto la nazione ebraica ma il mondo intero. Gesù avvertì nell’ardente desiderio di quei greci il grido angoscioso del mondo. Il suo volto si illuminò, e disse: “L’ora è venuta, che il Figlio dell’uomo dev’essere glorificato”. Versetto 23. Nel desiderio dei greci, Gesù scorse la certezza dei risultati del suo grande sacrificio. {GN 472.3}

Questi uomini erano venuti dall’Occidente per vedere il Salvatore alla fine della sua vita, come i magi erano venuti dall’Oriente alla sua nascita. Quando Gesù nacque, gli israeliti erano così presi dalle loro ambizioni politiche che non si accorsero di nulla. I magi, invece, vennero sino alla mangiatoia, da un paese pagano, per portare i loro doni e per adorare il Salvatore. Con la stessa intenzione quei greci, rappresentanti delle nazioni, delle tribù e dei popoli del mondo, vennero per vedere Gesù. Nello stesso modo sarebbero stati attratti dalla croce del Salvatore i popoli di tutti i paesi e di tutte le età. Gesù ha detto: “Molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abraamo, Isacco e Giacobbe, nel regno dei cieli”. Matteo 8:11. {GN 472.4}

I greci avevano udito parlare dell’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme. Alcuni avevano pensato, sulla base di voci diffuse, che egli avesse cacciato dal tempio i sacerdoti e i capi e si fosse insediato sul trono di Davide, come re d’Israele. I greci volevano conoscere la natura della sua missione, e chiesero: “Vorremmo vedere Gesù”. Quel desiderio fu appagato. Quando Gesù venne a sapere della loro richiesta, si trovava nella parte del tempio accessibile soltanto agli ebrei. Andò allora nel cortile esterno, verso i greci, e parlò con loro. {GN 472.5}

L’ora della glorificazione di Cristo era giunta. Lo sovrastava l’ombra della croce e la richiesta di quei greci fece comprendere a Gesù che il suo sacrificio avrebbe condotto a Dio molti figli e figlie. Sapeva che i greci lo avrebbero presto visto in una situazione che non potevano certo immaginare. Lo avrebbero visto accanto a Barabba, ladro e assassino, che il popolo avrebbe preferito liberare al posto di Gesù. Avrebbero udito il popolo fare la sua scelta istigato dai sacerdoti e dai capi. E alla domanda: “Che farò dunque di Gesù detto Cristo?”, avrebbero udito la riposta: “Sia crocifisso”. Matteo 27:22. Gesù sapeva che, attraverso questo sacrificio propiziatorio in favore dei peccati degli uomini, il suo regno sarebbe diventato una realtà e si sarebbe esteso in tutto il mondo. Avrebbe compiuto la sua opera come Redentore e avrebbe trionfato. Contemplò il futuro, e udì voci che proclamavano in tutte le parti del mondo: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” Giovanni 1:29. {GN 473.1}

In quegli stranieri Gesù vide le primizie di un grande raccolto che si sarebbe realizzato quando il muro di separazione fra ebrei e gentili sarebbe stato abbattuto, e tutto le nazioni, lingue e popoli avrebbero udito il messaggio della salvezza. Le parole di Gesù anticipano quella visione e il compimento delle sue speranze: “L’ora è venuta, che il Figliuol dell’uomo ha da esser glorificato”. Mai Cristo perse di vista il modo in cui una tale glorificazione si sarebbe compiuta. La riunificazione dei gentili doveva essere preceduta dalla sua morte. Solo mediante la sua morte sarebbe stata possibile la salvezza del mondo. Come un granello di frumento, il Salvatore doveva cadere nel terreno e morire, essere sepolto, restare nascosto agli occhi di tutti per poi tornare alla vita. {GN 473.2}

Affinché i discepoli potessero capirlo, Gesù illustrò quegli eventi servendosi dei fenomeni della natura. Con la sua morte si sarebbe raggiunto l’obiettivo della sua missione. “In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto”. Giovanni 12:24. Quando il granello di frumento cade nel terreno e muore, allora germoglia e produce molto frutto. Così la morte di Cristo avrebbe prodotto frutti abbondanti per il regno di Dio. In armonia con le leggi della natura, la vita sarebbe stata il risultato della sua morte. {GN 473.3}

Coloro che coltivano il terreno hanno sempre davanti agli occhi questa immagine. Ogni anno gli uomini si procurano il frumento necessario e ne gettano al vento, apparentemente, la parte migliore. {GN 473.4}

Per un po’ di tempo esso rimane nascosto nel solco, protetto solo dal Signore. Poi appare l’erba, la spiga e il grano formato nella spiga. Ma tutto questo sviluppo non può esserci se il grano non è sepolto, nascosto e apparentemente perduto. {GN 474.1}

Il seme gettato nel terreno produce frutto, e poi a sua volta viene ripiantato. Così si moltiplicano i raccolti. Nello stesso modo la morte che Gesù ha subìto sulla croce del Calvario, porterà frutto per la vita eterna. Coloro che, come frutto di questo sacrificio, erediteranno la vita eterna proveranno una grande pace contemplando questo sacrificio. {GN 474.2}

Il granello di frumento che conserva la propria vita non produce frutto, ma rimane solo. Gesù avrebbe potuto evitare la morte; ma se lo avesse fatto sarebbe rimasto solo, non avrebbe potuto ricondurre a Dio dei figli e delle figlie. Poteva infondere la vita negli uomini solo rinunciando alla sua vita. Solo cadendo nel terreno per morire poteva diventare il seme per un grande raccolto: la folla dei redenti di Dio, di ogni nazione, tribù, lingua e popolo. {GN 474.3}

Cristo ha collegato questa verità con la lezione dell’abnegazione, lezione che tutti dovrebbero imparare. “Chi ama la sua vita, la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna”. Giovanni 12:25. Coloro che come collaboratori di Gesù vogliono portare frutto, devono prima cadere nel terreno e morire. La vita deve essere gettata nel solco delle necessità umane. L’egoismo e la ricerca del proprio interesse devono essere eliminati. La legge della rinuncia è nello stesso tempo legge della conservazione. Il contadino conserva il suo grano gettandolo via. Lo stesso accade nella vita degli uomini. Dare significa vivere. La vita che sarà preservata è quella che viene liberamente offerta al servizio di Dio e dell’uomo. Quelli che per amore di Cristo sacrificano la loro vita in questo mondo, la conserveranno in eterno. {GN 474.4}

La vita vissuta per se stessi è come il grano che viene mangiato; esso sparisce senza crescere. Un uomo può accumulare per sé tutto ciò che può — vivere, pensare e fare progetti solo per sé — ma la sua vita scorre, si conclude e non ne resta nulla. La legge della autoconservazione è la legge della propria distruzione. {GN 474.5}

Gesù ha detto: “Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, quivi sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l’onorerà”. Versetto 26. Tutti coloro che hanno portato come Gesù la croce del sacrificio, parteciperanno alla sua gloria. Sapere che i suoi discepoli avrebbero partecipato alla sua gloria, fu un motivo di gioia per Gesù durante la sua umiliazione e la sua sofferenza. Essi sono il frutto del suo sa crificio. La sua ricompensa e la sua gioia per l’eternità stanno nella riproduzione in loro del suo carattere e del suo spirito. A loro volta essi partecipano alla stessa felicità quando vedono negli altri il frutto del loro lavoro e del loro sacrificio. Essi diventano collaboratori di Cristo, e il Padre li onora come onora il Figlio. {GN 474.6}

Il messaggio dei greci, anticipando la conversione dei gentili, fece riflettere Gesù sulla globalità della sua missione. L’opera della redenzione passò davanti ai suoi occhi, dal tempo in cui ne venne progettato il piano della salvezza in cielo fino alla sua morte imminente. Sembrava che una nuvola misteriosa circondasse il Figlio di Dio. Egli rimase assorto nei suoi pensieri e coloro che lo circondavano ne avvertirono la sofferenza. La sua voce velata di tristezza interruppe infine quel silenzio: “Ora l’animo mio è turbato; e che dirò? Padre, salvami da quest’ora!” Versetto 27. Gesù stava pregustando la coppa della sua amarezza. La sua umanità cercava di sfuggire all’angoscia della solitudine, quando apparentemente sarebbe stato abbandonato perfino dal Padre, quando tutti lo avrebbero visto colpito da Dio, abbattuto e afflitto. Indietreggiava al pensiero di essere esposto al pubblico, di essere trattato come il peggiore dei criminali e soffrire una morte vergognosa e disonorante. Il presagio del suo conflitto con le potenze delle tenebre, il senso del terribile peso del peccato degli uomini e la collera del Padre provocata dal peccato fecero vacillare Gesù e il pallore della morte si diffuse sul suo volto. {GN 475.1}

Ma subito riaffermò la sottomissione alla volontà del Padre. Gesù disse: “Ma è per questo che son venuto incontro a quest’ora. Padre, glorifica il tuo nome!” Versetti 27, 28. Il regno di Satana avrebbe potuto essere sconfitto solo attraverso la morte di Cristo. Solo così sarebbe stata possibile la redenzione dell’uomo e la glorificazione di Dio. Gesù accondiscese a quell’agonia e accettò quel sacrificio. Il Re del cielo accettò di soffrire e diventare il sacrificio espiatorio dei peccati. Appena Gesù ebbe detto: “Padre, glorifica il tuo nome!”, giunse questa risposta dalla nuvola che si vedeva sopra di lui. “L’ho glorificato, e lo glorificherò di nuovo!” Versetto 28. Tutta la vita di Gesù, sin dalla mangiatoia, era stata vissuta alla gloria di Dio, e nella prova incombente le sofferenze di quell’essere umano e divino avrebbero certamente contribuito a glorificare il nome del Padre. {GN 475.2}

Quando si udì quella voce, una luce uscì dalla nuvola e illuminò Cristo, come se le braccia dell’Onnipotente volessero circondarlo con un muro di fuoco. La folla contemplò quella scena con stupore e paura. Nessuno osava parlare e tutti fissarono i loro occhi su Gesù, muti e con il flato sospeso. Dopo quella testimonianza del Padre, la nube si disperse in cielo. Per il momento la comunione visibile tra il Padre e il Figlio sembrava interrotta. {GN 475.3}

“Perciò la folla che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: Gli ha parlato un angelo”. Giovanni 12:29. Ma i greci che erano venuti da Gesù videro la nuvola, udirono la voce, ne intesero il significato e riconobbero Cristo che ad essi si manifestava come l’inviato di Dio. {GN 476.1}

La voce del Signore era stata udita all’inizio del ministero di Gesù, in occasione del suo battesimo; poi sul monte della trasfigurazione. Alla fine della sua missione venne udita per la terza volta, da molte persone, in circostanze particolari. Gesù aveva appena pronunciato il messaggio più solenne sulla condizione degli ebrei. Aveva rivolto loro il suo ultimo appello e pronunciato la loro condanna. Ora Dio poneva di nuovo il suo suggello sulla missione del Figlio e riconosceva colui che Israele aveva rigettato. Gesù disse: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi”. Versetto 30. Essa era la prova suprema della sua messianicità, la testimonianza del Padre che Gesù aveva detto la verità e che era il Figlio di Dio. {GN 476.2}

Gesù continuò a dire: “Ora avviene il giudizio di questo mondo; ora sarà cacciato fuori il principe di questo mondo; e io, quando sarò innalzato dalla terra, trarrò tutti a me. Così diceva per indicare di qual morte doveva morire”. Versetti 31-33. È il momento critico per il mondo. Se Gesù diventa una vittima propiziatoria per il peccato degli uomini, il mondo sarà illuminato. Il dominio di Satana finirà, l’immagine di Dio, oscurata dal peccato, verrà ristabilita negli uomini e una famiglia di santi erediterà infine il regno dei cieli. Questo è il risultato della morte di Cristo. Il Salvatore è come rapito nella scena di trionfo che si presenta ai suoi occhi. Egli contempla la croce, e quella croce crudele con tutte le sue sofferenze gli appare splendente di gloria. {GN 476.3}

Ma l’opera della redenzione umana non è l’unico risultato della croce. L’amore di Dio si manifesta in tutto l’universo. Il principe di questo mondo è scacciato. Le accuse di Satana contro Dio vengono confutate e il sospetto che egli ha lanciato contro il cielo è annullato per sempre. Angeli e uomini sono attratti dal Redentore: “E io, quando sarò innalzato dalla terra, trarrò tutti a me”. {GN 476.4}

Una persona in mezzo alla folla che circondava Gesù gli rivolse questa domanda: “Noi abbiamo udito dalla legge che il Cristo dimora in eterno; come dunque tu dici che bisogna che il Figlio dell’uomo dev’essere innalzato? Chi è questo Figlio dell’uomo? Gesù dunque disse loro: La luce è zncora per poco tra di voi. Camminate mentre avete la luce, affinché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove vada. Mentre avete la luce, credete nella luce, affinché diventiate figli di luce. Sebbene avesse fatto tanti segni miracolosi in loro presenza, non credevano in lui”. Giovanni 12:34-37. Essi una volta avevano chiesto al Signore: “Quale segno miracoloso fai, dunque, perché lo vediamo e ti crediamo? Che operi?” Giovanni 6:30. Innumerevoli segni erano stati dati; ma gli israeliti avevano chiuso i loro occhi e avevano indurito i loro cuori. Ora che il Padre stesso aveva parlato e che essi non potevano più chiedere nessun segno, continuavano a rifiutarsi di credere. {GN 476.5}

“Ciò nonostante, molti, anche tra i capi, credettero in lui; ma a causa dei farisei non lo confessavano, per non essere espulsi dalla sinagoga; perché preferirono la gloria degli uomini alla gloria di Dio”. Giovanni 12:42, 43. Per evitare rimproveri e disonore, rinnegarono Gesù e respinsero l’offerta della vita eterna. Tanti, attraverso i secoli, hanno fatto la stessa cosa. Il Salvatore rivolge loro queste parole di avvertimento: “Chi ama la sua vita, la perde”. Giovanni 12:25. “Chi mi respinge e non riceve le mie parole, ha chi lo giudica: la parola che ho annunciata è quella che lo giudicherà nell’ultimo giorno”. Versetto 48. {GN 477.1}

Guai a coloro che non hanno riconosciuto il momento in cui sono stati visitati! Gesù amareggiato si allontanò lentamente, e per sempre, dai cortili del tempio. {GN 477.2}



Capitolo 69: Sul monte degli Ulivi

Le parole di Gesù: “Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta” (Matteo 23:38), avevano riempito di terrore il cuore dei sacerdoti e dei capi che, ostentando indifferenza, riflettevano sul loro signifl-cato. Si sentivano minacciati da un pericolo invisibile. Era possibile che quel magnifico tempio, gloria della nazione, si sarebbe ridotto presto a un ammasso di rovine? Anche i discepoli avevano udito la predizione di quelle sventure, e desideravano ansiosamente ulteriori spiegazioni da Gesù. Passando con lui accanto al tempio, richiamarono la sua attenzione sulla sua imponenza e sulla sua bellezza. L’edi-flcio era costruito con blocchi di marmo purissimo, perfettamente bianchi, e alcuni di essi di dimensioni imponenti. Una parte del muro aveva resistito all’assedio dell’esercito di Nabucodonosor. Nel suo insieme il tempio sembrava un blocco unico, scavato interamente dalla cava. I discepoli non riuscivano a capire in che modo quelle possenti mura avrebbero potuto essere abbattute. {GN 478.1}

Quali saranno stati i pensieri inespressi di Cristo, rifiutato dal popolo, mentre il suo sguardo si soffermava su quel magnifico tempio! Lo spettacolo era certamente bellissimo, ma Gesù ne scorgeva tutta la realtà. Il complesso era meraviglioso, quelle mura sembravano indistruttibili, ma sarebbe venuto il giorno in cui non sarebbe rimasta “pietra sopra pietra”. {GN 478.2}

Gesù aveva parlato davanti alla folla, ma quando fu solo e si sedette sul monte degli Ulivi, Pietro, Giovanni, Giacomo e Andrea gli si accostarono, e gli chiesero: “Quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente?” Matteo 24:3. Nella sua risposta, Gesù non distinse la distruzione di Gerusalemme dal giorno del suo ritorno, ma intrecciò la descrizione di quei due eventi. Se avesse presentato ai discepoli il futuro, così come si presentava al suo sguardo, essi non sarebbero stati in grado di sopportarne la rivelazione. Nella sua misericordia unì la descrizione di quei due grandi avvenimenti e lasciò ai discepoli il compito di approfondirne da soli il significato. {GN 478.3}

Parlando della distruzione di Gerusalemme, le sue parole an darono oltre quel fatto, sino al giorno del giudizio finale, quando il Signore avrebbe punito il mondo per la sua malvagità, quando la terra avrebbe mostrato il suo sangue e rivelato i suoi delitti. Questo discorso fu fatto non solo per i discepoli, ma anche per coloro che sarebbero vissuti al tempo degli ultimi eventi della storia. {GN 478.4}

Rivolgendosi ai discepoli, Gesù disse: “Guardate che nessuno vi seduca. Poiché molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo. E ne sedurranno molti”. Matteo 24:4, 5. Molti falsi messia sarebbero sorti e, basandosi su pretesi miracoli, avrebbero dichiarato che era venuto il tempo della liberazione della nazione ebraica. Molti si sarebbero lasciati sedurre. Le parole di Gesù si adempirono. Durante il periodo che dalla sua morte va all’assedio di Gerusalemme, apparvero molti falsi messia. Ma il suo avvertimento è valido anche per la generazione attuale. Le stesse seduzioni che hanno preceduto la distruzione di Gerusalemme, hanno attratto gli uomini attraverso i secoli e li attireranno ancora. {GN 479.1}

“Voi udrete parlare di guerre e di rumori di guerre; guardate di non turbarvi, infatti bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora la fine”. Versetto 6. Prima della distruzione di Gerusalemme, molti lottavano per la supremazia. Degli imperatori venivano assassinati, si massacravano gli eredi al trono, vi erano guerre vicine e lontane. Gesù aggiunse: “Perché bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora la fine [della nazione ebraica in quanto nazione]. {GN 479.2}

Perché insorgerà nazione contro nazione e regno contro regno; ci saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo non sarà che principio di dolori”. Versetti 7, 8. Gesù disse che i rabbini avrebbero interpretato questi fatti come segni della punizione di Dio sulle nazioni che soggiogavano il popolo eletto; essi avrebbero anche detto che questi segni annunciavano la venuta del Messia. Ma Gesù li esortò a non lasciarsi ingannare: si trattava dell’inizio dei suoi giudizi. Il popolo non aveva pensato che a se stesso, non si era pentito e non si era convertito per essere salvato. I segni che i rabbini mettevano in rapporto con la liberazione dalla schiavitù, erano in realtà i segni della loro distruzione. {GN 479.3}

“Allora vi abbandoneranno all’oppressione e vi uccideranno e sarete odiati da tutte le genti a motivo del mio nome. Allora molti si svie-ranno, si tradiranno e si odieranno a vicenda”. Versetti 9, 10. I cristiani affrontarono tutte queste prove. Dei genitori tradirono i loro figli; dei figli tradirono i loro genitori. Degli amici denunciarono i loro amici al sinedrio. I persecutori uccisero Stefano, Giacomo e altri credenti. {GN 479.4}

Tramite i suoi testimoni Dio offrì al popolo d’Israele un’ultima possibilità di pentirsi. Si rivelò per mezzo dei suoi messaggeri in occasione del loro arresto, del loro processo, della loro prigionia. Nonostante ciò i loro giudici li condannarono a morte. Uccidendo quei testimoni, di cui il mondo non era degno, gli ebrei crocifiggevano di nuovo il Figlio di Dio. La stessa cosa si ripeterà. Le autorità emaneranno delle leggi per limitare la libertà religiosa, arrogandosi un diritto che spetta solo a Dio. Penseranno di forzare la coscienza, quella coscienza che solo il Signore dovrebbe guidare. Sin da ora iniziano ad agire così, e continueranno a farlo fino a raggiungere un limite che non potranno superare, perché Dio interverrà in favore del suo popolo, fedele ai suoi comandamenti. {GN 479.5}

Quando si scatena la persecuzione, coloro che ne sono testimoni prendono posizione in favore o contro Cristo. Quelli che simpatizzano con i perseguitati dimostrano il loro attaccamento a Cristo. Altri si offendono perché la verità condanna esplicitamente il loro modo di vivere. Molti inciampano, cadono e abbandonano la fede. Quelli che apostatano nell’ora della prova per assicurarsi l’impunità, forniscono false testimonianze e tradiscono i loro fratelli. Gesù ci ha avvertito affinché non siamo sorpresi dall’atteggiamento crudele e snaturato di coloro che rifiutano il suo messaggio. {GN 480.1}

Gesù dette ai discepoli un segno dell’avvicinarsi della rovina di Gerusalemme; così li avvisò perché fuggissero. “Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora quelli che sono in Giudea, fuggano sui monti; e quelli che sono in città, se ne allontanino; e quelli che sono nella campagna, non entrino nella città. Perché quelli sono giorni di vendetta, affinché si adempia tutto quello che è stato scritto”. Luca 21:20-22. Questo avvertimento fu pronunciato quarant’anni prima della distruzione di Gerusalemme. I cristiani lo ascoltarono e neppure uno di loro morì nella caduta della città. {GN 480.2}

“Pregate che la vostra fuga non avvenga d’inverno né di sabato”. Matteo 24:20. Questo invito di Gesù indica che colui che aveva stabilito il sabato non lo avrebbe abrogato inchiodandolo sulla croce. La morte di Gesù non rese superato il comandamento del sabato. Qua-rant’anni dopo la sua crocifissione, esso sarebbe stato ancora valido. I discepoli dovevano pregare per quarant’anni che la loro fuga non avvenisse di sabato. {GN 480.3}

Dalla distruzione di Gerusalemme, Gesù si volse rapidamente a un evento ancora più importante, ultimo anello nella catena della storia terrena: il ritorno del Figlio di Dio nella maestà e nella gloria. Fra questi due eventi gli occhi di Gesù scorgevano secoli di oscurità;

secoli in cui la sua chiesa avrebbe versato sangue e lacrime di persecuzione. I discepoli non erano pronti a sopportare una simile visione, e per questo motivo Gesù la indicò appena. Disse: “Perché allora vi sarà una grande tribolazione; quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. Se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a motivo degli eletti, quei giorni saranno abbreviati”. Matteo 24:21, 22. Per più di mille anni si abbatté sui cristiani una persecuzione di una violenza mai sperimentata prima. Milioni e milioni di fedeli testimoni furono uccisi. Il popolo di Dio sarebbe stato completamente annientato se il Signore non fosse intervenuto per salvarlo: “Ma a cagion degli eletti, que’ giorni saranno abbreviati”. {GN 480.4}

Ora Gesù, con tratti inconfondibili, parla del suo ritorno, e avverte dei pericoli che l’avrebbero preceduto. “Allora, se qualcuno vi dice: Cristo è qui, oppure: È là, non lo credete; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno gran segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti. Ecco, ve l’ho predetto. Se dunque vi dicono: Eccolo, è nel deserto, non v’andate; eccolo, è nelle stanze interne, non lo credete; infatti, come il lampo esce da levante e si vede fino a ponente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo”. Versetti 23-27. Gesù indicò questo segno come uno di quelli che indicavano la distruzione di Gerusalemme: “Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti”. Versetto 11. I falsi profeti sorsero, ingannarono il popolo e attirarono molti nel deserto. Magi e stregoni, attribuendosi un potere taumaturgico, trascinarono folle intere su montagne deserte. Ma questa profezia fu pronunciata anche per gli ultimi tempi, e indica fatti che si ripeteranno prima del secondo avvento. Anche ora falsi cristi e falsi profeti compiono segni e prodigi per sedurre i discepoli di Gesù. Non si sente forse dire: “Eccolo, è nel deserto”? Migliaia di persone non sono andate nel deserto con la speranza di trovarvi Cristo? Da migliaia di sedute, dove uomini professano di avere comunione con spiriti disincarnati, non è forse venuto il grido: “Eccolo, è nelle stanze interne”? È questa la pretesa dello spiritismo. Ma che cosa dice Cristo? “Non lo credete; perché, come il lampo esce da levante e si vede fino a ponente, così sarà la venuta del Figliuol dell’uomo”. {GN 481.1}

Il Salvatore ha indicato i segni del suo ritorno e, ancor più, ha indicato il tempo in cui il primo di questi segni sarebbe apparso. “Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno scrollate. Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba per riunire i suoi eletti dai quattro venti, dall’un capo all’altro dei cieli”. Versetti 29-31. {GN 481.2}

Gesù ha predetto che subito dopo la fine della grande persecuzione papale, il sole si sarebbe oscurato e la luna non avrebbe più dato il suo splendore. In seguito, le stelle sarebbero cadute dal cielo. Aggiunse: “Imparate dal fico questa similitudine: quando già i suoi rami si fanno teneri e mettono le foglie, voi sapete che l’estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che egli è vicino, proprio alle porte”. Versetti 32, 33. {GN 482.1}

Gesù ha fornito i segni del suo ritorno, attraverso i quali possiamo sapere che egli è vicino, proprio alle porte. Ha detto, parlando di coloro che avrebbero visto questi segni: “Io vi dico in verità che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute”. Versetto 34. Questi segni si sono manifestati, e noi sappiamo con certezza che il ritorno del Signore è vicino. Gesù ha detto: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Versetto 35. {GN 482.2}

Cristo sta per venire sulle nuvole del cielo con potenza, accompagnato da una schiera di angeli splendenti. Verrà per risuscitare i morti e trasformare nella gloria i santi viventi. Verrà per onorare coloro che lo hanno amato e per portare con sé coloro che hanno osservato i suoi comandamenti. Non si è dimenticato della sua promessa. Allora si formerà una sola grande famiglia. {GN 482.3}

Quando pensiamo ai nostri morti, pensiamo anche al giorno in cui la tromba di Dio suonerà e “i morti risusciteranno incorruttibili e noi saremo mutati”. 1 Corinzi 15:52. Ancora un po’ di tempo, e noi contempleremo il Re nella sua bellezza. Ancora un po’ di tempo, ed egli asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi. Ancora un po’ di tempo, ed egli ci farà “comparire davanti alla sua gloria irreprensibili e con gioia”. Giuda 24. Ecco perché quando annunciò i segni del suo ritorno, Gesù disse: “Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina”. Luca 21:28. {GN 482.4}

Gesù, però, non ha fatto conoscere il giorno e l’ora del suo ritorno. Ha detto chiaramente ai discepoli che non poteva rivelarli. Se lo avesse fatto, come avrebbe potuto esortarci a vegliare sempre? Ciononostante alcuni pretendono di conoscere il giorno e l’ora del ritorno del Signore, e sono molto zelanti nel tracciare il futuro. Ma il Signore ci ha avvertito di non cadere in questo errore. Il momento preciso del ritorno del Figliuol dell’uomo fa parte del mistero di Dio. {GN 482.5}

Gesù ha anche delineato la condizione del mondo in quel perio do. “Come fu ai giorni di Noè, così sarà alla venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni prima del diluvio si mangiava e si beveva, si prendeva moglie e s’andava a marito, fino al giorno che Noè entrò nell’arca, e la gente non si si accorse di nulla, finché venne il diluvio che portò via tutti quanti, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo”. Matteo 24:37-39. Gesù non allude a un millennio temporale, a mille anni durante i quali tutti si potranno preparare per l’eternità. Ma dice che come fu ai giorni di Noè, così sarà quando il Figlio dell’uomo ritornerà. {GN 482.6}

Come erano gli uomini ai tempi di Noè? “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo”. Genesi 6:5. Gli antidiluviani si erano allontanati dal Signore. Si erano rifiutati di adempiere la sua santa volontà e seguivano i loro pensieri corrotti e la loro immaginazione pervertita. Vennero distrutti proprio a causa della loro malvagità. Il mondo, oggi, si comporta nello stesso modo. Non c’è alcun segno che annunci un millennio glorioso. I trasgressori della legge di Dio stanno contagiando la terra con la loro malvagità. Scommesse, corse di cavalli, competizioni, giochi d’azzardo, dissipazione, lussuria, passioni sfrenate stanno riempiendo il mondo di violenza. {GN 483.1}

Nel predire la distruzione di Gerusalemme, Gesù aveva detto: “Poiché l’iniquità aumenterà, l’amore dei più si raffredderà. Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine”. Matteo 24:12-14. Questa profezia si adempirà una seconda volta. La grande corruzione di quell’epoca si ripeterà in questa generazione. Lo stesso vale per la predicazione del Vangelo. Prima della caduta di Gerusalemme, Paolo, per ispirazione divina, poteva già scrivere che il messaggio del Vangelo era stato “predicato a ogni creatura sotto il cielo”. Colossesi 1:23. Così ora, prima del ritorno del Figlio dell’uomo, il Vangelo eterno deve essere proclamato “a ogni nazione, tribù, lingua e popolo”. Apocalisse 14:6. Dio “ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con giustizia”. Atti 17:31. {GN 483.2}

Gesù ci dice così quando verrà quel giorno. Non dice che tutto il mondo si convertirà, ma che “questo vangelo del Regno sarà predicato per tutto il mondo, onde ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine”. Facendo conoscere il messaggio del Vangelo al mondo, noi possiamo affrettare il ritorno del Signore. Non dobbiamo solo attendere, ma dobbiamo affrettare la venuta del giorno di Dio. Cfr. 2 Pietro 3:12. Se la chiesa di Cristo avesse svolto fedelmente il com pito che il Signore le aveva assegnato, il mondo sarebbe già stato avvertito e il Signore Gesù sarebbe tornato con potenza e gran gloria. {GN 483.3}

Dopo avere indicato i segni del suo ritorno Gesù disse: “Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che egli è vicino, proprio alle porte”. Matteo 24:33. “Vegliate, dunque, pregando in ogni momento”. Luca 21:36. Dio ci ha sempre avvisato dei suoi giudizi imminenti. Coloro che hanno creduto nel messaggio per il loro tempo e sono vissuti secondo la loro fede, ubbidendo ai suoi comandamenti, sono sempre scampati ai giudizi per i disubbidienti e gli increduli. {GN 484.1}

La parola di Dio fu rivolta a Noè: “Entra nell’arca tu con tutta la tua famiglia, perché ho visto che sei giusto davanti a me, in questa generazione”. Genesi 7:1. Noè ubbidì e fu salvato. Un messaggio simile fu rivolto a Lot: “Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città”. Genesi 19:14. Lot accettò la protezione degli angeli e fu salvato. Nello stesso modo i discepoli vennero avvisati della distruzione di Gerusalemme. Coloro che osservarono i segni della rovina imminente e uscirono dalla città, si salvarono. Anche a noi, oggi, vengono rivolti degli avvertimenti relativi al ritorno del Signore e alla distruzione del mondo. Coloro che ascoltano questo messaggio saranno salvati. {GN 484.2}

Poiché non conosciamo il momento esatto della venuta del Signore, ci viene rivolto l’invito a vegliare. “Beati quei servi che il padrone, arrivando, troverà vigilanti!” Luca 12:37. Quanti vegliano in attesa del ritorno del Signore non lo fanno nell’ozio. Attendere la venuta di Cristo significa esortare gli uomini a temere sia il Signore sia i suoi giudizi, e aiutarli a diventare consapevoli del grande peccato che si compie nel respingere gli appelli della sua misericordia. Coloro che aspettano il Signore purificano la loro vita ubbidendo alla verità. All’attenta vigilanza uniscono un’intensa attività. Poiché sanno che il Signore è alle porte, moltiplicano il loro zelo nel lavorare con gli angeli per la salvezza degli uomini. Sono questi i servi fedeli e avveduti che provvedono ai domestici del padrone “a suo tempo la loro porzione di viveri”. Versetto 42. Essi annunciano in modo particolare la verità che riguarda questo tempo, come Enoc, Noè, Abramo e Mosè l’hanno annunciata per il loro. Ogni discepolo annuncia il messaggio di Cristo per la propria generazione. {GN 484.3}

Gesù descrive poi un altro gruppo di persone. “Ma se quel servo dice in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire; e comincia a battere i servi e le serve, a mangiare, bere e ubriacarsi, il padrone di quel servo verrà nel giorno che non se l’aspetta e nell’ora che non sa”. Versetti 45, 46. {GN 484.4}

Il servo malvagio dice nel suo cuore: “Il mio padrone tarda a venire”. Non dice che Cristo non verrà, non deride l’idea di un suo ritorno; ma nel suo cuore, e mediante le sue azioni e le sue parole, dichiara che la venuta del suo Signore è rinviata. Egli allontana dalla mente degli altri la convinzione che il Signore verrà presto. Il suo influsso tende a rendere gli uomini presuntuosi e negligenti, ed essi si abbandonano alla mondanità e al torpore. Passioni terrene e pensieri corrotti si impossessano della mente. Il servo malvagio mangia e beve con gli ubriaconi e si unisce a loro nella ricerca dei piaceri mondani. Si conforma al mondo; si trova bene con il suo simile e, legandosi a cattive compagnie, finisce per cadere nelle trappole del mondo. “Il padrone di quel servitore verrà nel giorno che non se l’aspetta e nell’ora che non sa; e lo farà lacerare a colpi di flagello, e gli assegnerà la sorte degl’infedeli”. Versetto 46. {GN 484.5}

“Perché se non sei vigilante, io verrò come un ladro, e tu non saprai a quale ora verrò a sorpenderti”. Apocalisse 3:3. Il ritorno di Cristo sarà una sorpresa per i falsi maestri, che parleranno di “pace e sicurezza”. Così come facevano i sacerdoti e i rabbini prima della caduta di Gerusalemme, essi promettono alla chiesa giorni di prosperità e gloria terrena e in tal senso interpreteranno i segni dei tempi. Ma che cosa dice la Parola ispirata? “Allora di subito una improvvisa ruina verrà loro addosso”. 1 Tessalonicesi 5:3. Il giorno del Signore verrà all’improvviso come la rete di una trappola che si abbatte su tutti coloro che vivono sulla terra, su tutti coloro che fanno di questo mondo la loro stabile dimora. Esso giunge come un ladro in cerca di preda. {GN 485.1}

Il mondo, preso dai divertimenti e dai piaceri, dorme in una falsa sicurezza. Gli uomini respingono l’idea del ritorno del Signore e si fanno beffe degli avvertimenti che ricevono. Dicono con scherno che “tutte le cose continuano come dal principio della creazione”. 2 Pietro 3:4. “Il giorno di domani sarà come questo, anzi sarà più grandioso ancora!” Isaia 56:12. Si stordiscono sempre più nel soddisfare le loro passioni, ma Cristo dice: “Ecco, io vengo come un ladro”. Apocalisse 16:15. Proprio nel momento in cui il mondo beffardo si chiede: “Dov’è la promessa della sua venuta?” (2 Pietro 3:4) i segni si adempiranno. “Quando diranno: Pace e sicurezza, allora di subito una improvvisa ruina verrà loro addosso”. Gesù viene come un ladro quando le attività economiche della vita vengono svolte senza tener conto dei princìpi morali, quando gli uomini studiano ogni cosa fuorché la Bibbia. {GN 485.2}

Il mondo è tormentato. I segni dei tempi sono visibili. Eventi tremendi si annunciano. Lo Spirito di Dio si sta ritirando dalla terra e le tragedie si succedono sul mare e sulla terra. Tempeste, terremoti, incendi, inondazioni, uccisioni a ogni livello accadono ovunque. {GN 485.3}

Chi può conoscere il futuro? Dove si può trovare la sicurezza? Non vi è nessuna sicurezza in ciò che è umano o terreno. Rapidamente gli uomini si stanno schierando sotto la bandiera che hanno scelto e aspettano con ansia gli ordini dei loro capi. Da un lato vi sono coloro che vegliano e operano in vista della venuta del loro Signore, mentre dall’altro lato vi sono quelli che si schierano nelle Ale del primo grande apostata. Pochi credono con tutto il cuore e con tutta l’anima che c’è una morte eterna da evitare e una vita eterna da conquistare. {GN 486.1}

La crisi finale si sta avvicinando progressivamente. Il sole brilla nel cielo seguendo il suo corso normale e i cieli raccontano ancora la gloria di Dio. Gli uomini continuano a mangiare e a bere, a piantare, a costruire e a sposarsi. I commercianti continuano a comprare e a vendere. Gli uomini continuano a contendersi i posti più importanti. Coloro che amano i piaceri continuano ad affollare i teatri, le corse dei cavalli, le sale da gioco. Sebbene il tempo della grazia stia per concludersi, con la definitiva sentenza su ogni uomo, quasi tutti sono pervasi da una grandissima eccitazione. Satana sa di avere poco tempo e ha messo all’opera tutti i suoi seguaci per ingannare gli uomini, per illuderli e impossessarsene sino alla fine del tempo di grazia e alla chiusura della porta della misericordia. {GN 486.2}

Giunge a noi, attraverso i secoli, il solenne avvertimento pronunciato dal Signore sul monte degli Ulivi: “Badate a voi stessi, perché i vostri cuori non siano intorpiditi da stravizio, da ubriachezza, dalle ansiose preoccupazioni di questa vita e che quel giorno non vi venga addosso all’improvviso come un laccio”. Luca 21:34. “Vegliate dunque, pregando in ogni momento, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per venire, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”. Versetto 36. {GN 486.3}



Capitolo 70: “Uno di questi miei minimi fratelli”

“Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri”. Matteo 25:31, 32. Così Gesù, sul monte degli Ulivi, descrisse ai suoi discepoli la scena del giorno del giudizio, mettendo in risalto il criterio in base al quale gli uomini saranno giudicati. Quando tutti saranno riuniti davanti a lui, divisi in due classi, il loro destino sarà stabilito sulla base di quello che avranno fatto o trascurato di fare per lui nella persona del povero e del sofferente. {GN 487.1}

In quel giorno Gesù non presenterà la grande opera che ha compiuto per gli uomini quando ha offerto la sua vita per la loro redenzione, ma presenterà l’opera che essi hanno compiuto per lui. A coloro che metterà alla sua destra, dirà: “Venite, voi, i benedetti del Padre mio; eredate il regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi”. Versetti 34-36. Essi, stupiti, non sapranno di aver servito Gesù e alla loro domanda egli risponderà: “In verità vi dico che in quanto l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”. Versetto 40. {GN 487.2}

Gesù aveva detto ai discepoli che sarebbero stati odiati da tutti, perseguitati e afflitti. Molti sarebbero stati strappati dalle loro case e ridotti in miseria. Molti avrebbero sofferto per malattie e privazioni. Molti sarebbero stati gettati in prigione. A tutti coloro che avrebbero perso amici o casa per amor suo, egli aveva promesso di restituire in questa vita cento volte tanto. Ora promette una benedizione speciale a tutti coloro che aiutano i loro fratelli. Gesù si identifica con coloro che soffrono per il suo nome. Chi li aiuta, è come se aiutasse lui. Questa è la vera prova del discepolato. {GN 487.3}

Tutti quelli che per la nuova nascita sono entrati nella famiglia di Dio, sono in un certo senso fratelli del nostro Signore. L’amore di Cristo unisce i membri della sua famiglia; dove si manifesta questo amore esiste un legame divino. “Chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio”. Giovanni 4:7. Coloro che Gesù loderà nel giorno del giudizio, forse non sono stati esperti di teologia, ma hanno messo in pratica i suoi princìpi. Mediante l’influsso dello Spirito Santo sono stati una benedizione per il loro prossimo. Perfino tra i pagani ci sono persone che coltivano uno spirito di benevolenza e aiutano i Agli di Dio, a volte a rischio della loro stessa vita, ancora prima di aver avuto la possibilità di conoscere la sua Parola. Vi sono pagani che nella loro ignoranza adorano il Signore sebbene degli strumenti umani non abbiano mai trasmesso loro la conoscenza del suo messaggio, e saranno salvati. Se non conoscono la legge scritta di Dio, hanno udito la sua voce nella natura e l’hanno seguita. La loro condotta attesta che lo Spirito Santo ha toccato i loro cuori e testimonia che sono Agli di Dio. {GN 487.4}

Quale sorpresa e quale gioia per questi uomini umili, fra le nazioni e fra i pagani, quando udranno dalle labbra del Salvatore queste parole: “In verità vi dico che in quanto l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me!” Quanto sarà felice anche il Signore quando i suoi Agli ascolteranno sorpresi e lieti le sue parole di lode! {GN 488.1}

L’amore di Cristo non esclude nessuno. Gesù si identifica con ogni uomo. Egli è diventato membro della famiglia terrena affinché noi potessimo diventare membri di quella divina. Egli, come Figlio dell’uomo, è fratello di ogni Aglio e di ogni figlia di Adamo. I suoi discepoli non devono distaccarsi dal mondo che muore intorno a loro. Essi fanno parte della grande famiglia umana, e il cielo li considera fratelli tanto dei peccatori quanto dei santi. L’amore di Cristo abbraccia gli esseri decaduti, erranti, peccatori e ogni gesto di bontà compiuto per risollevarli, ogni atto di misericordia, è considerato come se fosse fatto in suo favore. {GN 488.2}

Gli angeli sono inviati per aiutare coloro che devono ereditare la salvezza. Noi non conosciamo ancora quelli che saranno salvati, non sappiamo chi saranno i vincitori che parteciperanno all’eredità dei santi; ma gli angeli del cielo percorrono in tutti i sensi la terra per confortare gli afflitti, per proteggere coloro che sono in pericolo, per conquistare i loro cuori a Cristo. Nessuno viene trascurato o dimenticato. Dio che non fa eccezioni o favoritismi si prende cura di tutte le creature. {GN 488.3}

Quando aprite la porta a coloro che soffrono e che sono in diffl-coltà, voi accogliete degli angeli invisibili e ospitate degli esseri del cielo. Essi arrecano una sacra atmosfera di gioia e di pace e innalzano canti di gioia, la cui eco giunge sino al cielo. Ogni atto di misericordia si trasforma in una dolce melodia in cielo. Il Padre, dall’alto del suo trono, considera gli uomini generosi e altruisti come i suoi tesori più preziosi. {GN 488.4}

Coloro che staranno alla sinistra di Cristo, per averlo trascurato nella persona del povero e del bisognoso, non sono consapevoli della loro colpa. Accecati da Satana, non si sono resi conto delle loro responsabilità nei confronti dei fratelli, e si sono concentrati solo su se stessi, senza preoccuparsi delle necessità degli altri. {GN 489.1}

Ai ricchi Dio ha affidato dei beni affinché possano aiutare e consolare i suoi figli sofferenti; ma i ricchi troppo spesso non si curano delle necessità degli altri. Si sentono superiori ai loro fratelli poveri e non si mettono al loro posto. Non comprendono le tentazioni e le lotte del povero, e nei loro cuori non c’è misericordia. Il ricco, nelle case sontuose e nelle splendide chiese, si separa dal povero. I beni concessi da Dio per alleviare i bisognosi, vengono spesi per soddisfare l’orgoglio e l’egoismo e così i poveri sono privati ogni giorno della possibilità di conoscere e sperimentare la tenera sollecitudine di Dio. Eppure il Signore ha provveduto ampiamente i mezzi per le necessità della vita. Molti, spesso, sono costretti a sopportare il peso di una povertà avvilente; talvolta sono sul punto di diventare invidiosi, gelosi e pieni di pensieri cattivi. Coloro che non hanno conosciuto le ristrettezze trattano troppo spesso i poveri con disprezzo facendoli sentire inferiori. {GN 489.2}

Gesù li guarda e dice loro: Ero io ad avere fame e ad avere sete. Ero io ad essere straniero. Ero io ad essere ammalato. Ero io ad essere in prigione. Mentre voi facevate festa alla vostra tavola imbandita, io avevo fame nel tugurio o lungo la strada. Mentre voi stavate comodi nelle vostre case lussuose, io non sapevo dove dormire. Mentre voi avevate il vostro guardaroba pieno di vestiti, io ero nudo. Mentre voi passavate la vita nei piaceri, io languivo in prigione. Quando davate le briciole del vostro pane al miserabile e gli offrivate vecchi indumenti affinché si riparasse dal freddo pungente, vi ricordavate che stavate offrendo quelle cose al Signore della gloria? Tutti i giorni io ero vicino a voi nella persona di questi afflitti, ma voi non mi avete cercato, avete rifiutato di comunicare con me e quindi io non vi conosco. {GN 489.3}

Molti pensano che sia un gran privilegio visitare i luoghi della vita terrena di Gesù, camminare dove egli ha camminato, contemplare il lago che ha amato e sulle cui rive ha insegnato, e le colline e le valli sulle quali i suoi occhi si sono spesso soffermati. Ma non abbiamo bisogno di andare a Nazaret o a Capernaum o a Betania per poter camminare sulle orme di Gesù. Possiamo trovare le sue orme accanto ai letti degli ammalati, nei tuguri dei poveri, nelle strade affollate delle grandi città, ovunque vi siano cuori bisognosi di consolazione. Facendo ciò che Gesù ha fatto sulla terra, possiamo seguire le sue orme. Tutti possono trovare qualcosa da fare. Gesù ha detto: “Poiché i poveri li avete sempre con voi”. Giovanni 12:8. Nessuno deve pensare che non vi sia posto per lui. Milioni e milioni di uomini stanno morendo, avvinti nelle catene dell’ignoranza e del peccato, non hanno mai udito parlare dell’amore di Cristo. Che cosa vorremmo che ci fosse fatto se ci trovassimo al loro posto? La stessa cosa, nella misura in cui possiamo, dobbiamo farla per loro. La regola di Cristo, in base alla quale ognuno sarà approvato o condannato, è questa: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro”. Matteo 7:12. {GN 489.4}

Il Signore ha offerto la sua vita preziosa per fondare una chiesa che si prendesse cura di coloro che sono afflitti e tentati. I credenti possono essere privi di denaro, cultura e amicizie, ma se sono uniti a Gesù possono compiere nella famiglia, nel vicinato, nella chiesa e perfino nelle regioni più lontane un’opera i cui risultati saranno visibili anche nell’eternità. {GN 490.1}

Molti giovani discepoli non superano i primi stadi dell’esperienza cristiana perché trascurano quest’opera e non usano, per aiutare i bisognosi, quella luce che brillava nei loro cuori quando Gesù li ha perdonati. L’energia esuberante che, così spesso, è per il giovane fonte di pericoli, può diventare fonte di tante benedizioni. Ci si dimentica di se stessi quando si lavora in favore del prossimo. {GN 490.2}

Coloro che si mettono al servizio degli altri saranno serviti dal sommo Pastore e si disseteranno a fonti di acqua viva. Non cercheranno divertimenti eccitanti o mutamenti continui nella loro vita; il loro primo interesse sarà la salvezza degli uomini. I rapporti sociali diventeranno proficui. L’amore del Redentore li unirà al loro prossimo. {GN 490.3}

Le promesse di Dio sono efficaci per coloro che si rendono conto di essere suoi collaboratori. Esse riscalderanno i nostri cuori e risplenderanno sul nostro viso. Quando Mosè venne chiamato a servire un popolo ignorante, indisciplinato e ribelle, Dio gli fece questa promessa: “La mia presenza andrà con te e io ti darò riposo”. Esodo 33:14. Il Signore ripeté: “Va’, perché io sarò con te”. Esodo 3:12. Questa promessa vale per tutti coloro che operano con Cristo in favore degli afflitti e dei sofferenti. {GN 490.4}

L’amore nei confronti del prossimo è la concreta manifestazione dell’amore per il Signore. Il Re della gloria è sceso fra noi per infonderci questo amore, perché fossimo membri di una sola famiglia. Quando ci conformiamo alla sua ultima raccomandazione “che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Giovanni 15:12), quando amiamo il mondo come egli lo ha amato, allora la sua missione, nei nostri confronti, è adempiuta. Noi siamo pronti per il cielo, perché abbiamo il cielo nel nostro cuore. {GN 490.5}

“Libera quelli che sono condotti a morte, e salva quei che, vacillando, vanno al supplizio. Se dici: Ma noi non ne sapevamo nulla! Colui che pesa i cuori, non lo vede forse? Colui che veglia su dite non lo sa forse? E non renderà egli a ciascuno secondo le sue opere?” Proverbi 24:11, 12. Nel giorno del giudizio coloro che non avranno vissuto per Cristo e si saranno concentrati solo su se stessi, saranno messi dal Giudice di tutta la terra insieme con quelli che hanno agito male, e riceveranno la stessa punizione. {GN 491.1}

A ogni uomo è affidato un incarico; a ogni uomo il sommo Pastore domanderà: “Dov’è il gregge, il magnifico gregge, che ti era stato dato? Che dirai tu quando egli ti punirà?” Geremia 13:20, 21. {GN 491.2}



Capitolo 71: Gesù lava i piedi ai suoi discepoli

Gesù era a tavola con i discepoli, nella stanza al piano superiore di una casa di Gerusalemme dove voleva celebrare la Pasqua soltanto con loro. Sapeva che ormai era giunta l’ora della sua morte e che proprio lui, il vero agnello pasquale, sarebbe stato offerto nel giorno della festa. Stava per bere il calice dell’indignazione e ricevere il battesimo della sofferenza. Per questo volle trascorrere le sue ultime ore tranquillamente, in compagnia dei discepoli. {GN 492.1}

L’intera vita di Gesù era stata un servizio disinteressato. “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire”. Matteo 20:28. Egli aveva servito sempre, ma i discepoli non avevano ancora imparato quella lezione. Nell’ultima Pasqua ripeté il suo insegnamento con un esempio che avrebbe prodotto un’impressione indelebile nella mente e nei cuori dei discepoli. {GN 492.2}

I discepoli apprezzavano molto i colloqui con Gesù e vi partecipavano con gioia. La cena pasquale aveva sempre suscitato in loro un interesse particolare. Ma in quella circostanza il cuore di Gesù era turbato e un’ombra offuscava il suo volto. I discepoli si resero conto che era preoccupato e, sebbene non ne conoscessero il motivo, parteciparono al suo dolore. {GN 492.3}

Mentre erano intorno alla tavola, Gesù disse con tristezza: “Ho vivamente desiderato di mangiar questa Pasqua con voi, prima di soffrire; poiché io vi dico che non la mangerò più, finché sia compiuta nel regno di Dio. E, preso un calice, rese grazie e disse: Prendete questo e distribuitelo fra di voi; perché io vi dico che ormai non berrò più del frutto della vigna, finché sia venuto il regno di Dio”. Luca 22:15-18. {GN 492.4}

Gesù sapeva che era giunto per lui il momento di lasciare questo mondo e tornare dal Padre. Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. La croce proiettava su di lui la sua ombra, ed egli era turbato. Sapeva che nell’ora del tradimento sarebbe stato abbandonato. Sapeva che lo avrebbero condannato a morte dopo il processo più infamante. Conosceva l’ingratitudine e la crudeltà di coloro che era venuto a salvare. Sapeva quanto fosse grande il sacrificio che doveva affrontare, e sapeva anche che per molti sarebbe stato inutile. {GN 492.5}

La chiara visione della sua umiliazione e della sua sofferenza avrebbe potuto scoraggiarlo, ma egli guardò i dodici, che erano stati vicini a lui e che sarebbero rimasti a lottare nel mondo, dopo la sua passione. Gesù non pensava solo a se stesso. La prospettiva della sua sofferenza era sempre collegata ai discepoli, dei quali si sentiva responsabile. {GN 493.1}

In quell’ultima sera Gesù aveva molte cose da dire ai dodici. Se fossero stati pronti a ricevere interamente il suo messaggio, si sarebbero risparmiati angosce, delusioni e sfiducia. Ma Gesù si rese conto che non erano ancora in grado di sopportare tutto quello che voleva dire loro. Così, dopo averli guardati, molte parole di rimprovero e di conforto si fermarono sulle sue labbra. Vi furono momenti di silenzio in cui pareva che Gesù stesse aspettando qualcosa, e i discepoli si trovavano a disagio. La simpatia e la tenerezza che avevano provato all’annuncio delle difficoltà di Gesù, si erano attenuate. Le tristi parole con cui aveva fatto allusione alla sua sofferenza, avevano appena prodotto una leggera impressione. I loro sguardi rivelavano sentimenti di gelosia e contesa. {GN 493.2}

“Fra di loro nacque anche una contesa: chi di essi fosse considerato il più grande”. Luca 22:24. Questa contesa, proprio sotto gli occhi di Gesù, ferì il suo animo e lo riempì di dolore. I discepoli non avevano rinunciato all’idea secondo cui Gesù avrebbe manifestato la sua potenza e si sarebbe impadronito del trono di Davide. Ognuno di loro desiderava occupare in quel regno il posto più importante. Si erano confrontati e ognuno si sentiva superiore all’altro. Tutti si erano indignati per la richiesta di Giacomo e Giovanni di sedere l’uno alla destra e l’altro alla sinistra del trono di Cristo, e si erano addirittura infuriati contro i due fratelli. Gli altri discepoli pensavano di essere stati sottovalutati, e che la loro fedeltà e i loro talenti non fossero sufficientemente apprezzati. Giuda fu il più severo nel giudicare Giacomo e Giovanni. {GN 493.3}

I discepoli erano entrati in quella stanza con il cuore pieno di risentimento. Giuda si era posto a sedere alla sinistra di Gesù e Giovanni alla destra. Giuda voleva occupare il posto più importante, quello più vicino a Gesù. E Giuda era un traditore. {GN 493.4}

Nacque poi un altro motivo di contesa. In occasione delle feste c’era la consuetudine che un servo lavasse i piedi agli ospiti, e per questo veniva preparato tutto il necessario: la brocca, la bacinella e l’asciugatoio. Ma non c’erano servi, quindi toccava ai discepoli occuparsi di quel servizio. Però nessuno di loro era abbastanza umile da assumere quel compito. Tutti fecero finta di ignorare ciò che si doveva fare. Con il loro silenzio, si rifiutarono di umiliarsi. {GN 493.5}

Come poteva Gesù impedire che Satana riportasse su di loro una grande vittoria? Come poteva far loro capire che una professione di fede soltanto verbale non era sufficiente per essere suoi discepoli e avere un posto nel suo regno? Come poteva convincerli che la vera grandezza consiste in un umile servizio d’amore? Come poteva suscitare l’amore nei loro cuori e aiutarli a comprendere ciò che stava per dire? {GN 494.1}

I discepoli non manifestavano nessun desiderio di rendere un servizio reciproco. Gesù attese un po’ per vedere che cosa avrebbero fatto, ma nessuno si mosse. Allora il Maestro si alzò da tavola, si tolse la tunica che avrebbe impedito i suoi movimenti, prese un asciugamano e se lo mise intorno ai fianchi. I discepoli lo guardavano sorpresi, e in silenzio aspettavano di vedere cosa avrebbe fatto. “Poi mise dell’acqua in una bacinella, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli, e ad asciugarli con l’asciugatoio del quale era cinto”. Giovanni 13:5. Quell’atto aprì gli occhi ai discepoli che si sentirono pieni di vergogna e di profonda umiliazione. Compresero quel tacito rimprovero, e considerarono se stessi sotto una nuova luce. {GN 494.2}

Gesù, in quel modo, aveva espresso il suo amore per loro. Il loro egoismo lo addolorava, ma invece di rimproverarli offrì un esempio che non avrebbero mai dimenticato. Il suo amore non si turbava e non si esauriva facilmente. Sapeva che il Padre gli aveva affidato tutto, che veniva da Dio e che a lui ritornava. Era pienamente consapevole della propria divinità; aveva deposto la corona e gli abiti regali per prendere la forma di un servo. Uno degli ultimi atti nella sua vita terrena fu quello di vestirsi come un servo e assolverne il compito. {GN 494.3}

Prima della Pasqua Giuda aveva incontrato una seconda volta i sacerdoti e gli scribi, e aveva concordato di consegnare loro Gesù. Tuttavia, come se nulla fosse, continuò a unirsi ai discepoli e a interessarsi della preparazione della festa. I discepoli ignoravano completamente il piano di Giuda. Solo Gesù lo conosceva, ma non lo smascherò perché desiderava intensamente salvarlo. Provava per lui gli stessi sentimenti che aveva sentito quando pianse su Gerusalemme. Il suo cuore gridava: “Come posso abbandonarti alla tua sorte?” Giuda avvertì la forza di quell’amore. Mentre le mani del Salvatore lavavano quei piedi sporchi e li asciugavano, Giuda ebbe un fremito interiore e sentì l’impulso di confessare il suo peccato. Ma non volle umiliarsi; indurì il suo cuore, e allora le vecchie inclinazioni, per un momento soggiogate, prevalsero nuovamente in lui. Giuda si scandalizzò perché Gesù lavava i piedi ai discepoli. Pensava che umiliandosi in quel modo dimostrava di non essere il re d’Israele. Tutte le sue speranze di onori terreni svanirono e si convinse che non c’era nulla da guadagnare a seguire Gesù. Vedendolo in quell’atteggiamento, che lui considerava umiliante, rimase deluso e confermò il suo proposito di tradirlo. Preso improvvisamente da un impulso diabolico decise di completare contro il suo Signore l’opera che aveva iniziato. {GN 494.4}

Giuda aveva scelto il primo posto a tavola e Gesù cominciò da lui. Giovanni, nei confronti del quale Giuda era risentito, fu lasciato per ultimo, ma egli non si offese. Mentre Gesù lavava loro i piedi, i discepoli provarono una profonda commozione; quando venne il turno di Pietro, egli esclamò stupito: “Tu, Signore, lavare i piedi a me?” Giovanni 13:6. L’abnegazione di Gesù gli aveva toccato il cuore, e si vergognava perché nessuno di loro aveva voluto fare quel servizio. Gesù gli rispose: “Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo”. Versetto 7. Pietro non poteva permettere che il suo Signore, in cui riconosceva il Figlio di Dio, svolgesse il compito di un servo e reagì contro quell’umiliazione. Non aveva capito che Gesù era venuto nel mondo proprio con questo compito e disse con forza: “Tu non mi laverai mai i piedi!” Gesù gli rispose solennemente: “Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me”. Versetto 8. Quel servizio che Pietro respingeva era il simbolo di una purificazione più profonda. Gesù era venuto per lavare le macchie del peccato e, se Pietro non avesse permesso a Gesù di lavargli i piedi, avrebbe respinto quella purificazione più profonda che quell’umiliazione simboleggiava. Avrebbe respinto il suo Signore stesso. Non si umilia il Maestro quando gli si permette di lavorare per la nostra salvezza. La vera umiltà consiste nel ricevere con gratitudine tutto ciò che viene fatto per noi e svolgere con prontezza un servizio per Cristo. {GN 495.1}

Quando Pietro udì le parole di Gesù: “Se non ti lavo, non hai meco parte alcuna”, rinunciò al suo orgoglio e al suo egoismo. Non poteva sopportare il pensiero di una separazione da Cristo, cosa terribile come la morte, perciò rispose: “Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo! Gesù gli disse: Chi è lavato, tutto non ha bisogno che di aver lavati i piedi: è purificato tutto quanto”. Versetto 9. {GN 495.2}

Queste parole non si riferiscono soltanto alla purificazione esteriore compiuta da Gesù, ma riguardano anche una purificazione più profonda. Colui che usciva dal bagno era pulito, ma i piedi con sandali diventavano ben presto polverosi, e quindi era necessario lavarsi nuovamente. Pietro e i suoi fratelli si erano lavati alla grande Fonte per purificarsi dal peccato. Gesù li aveva riconosciuti come suoi, ma la tentazione li aveva spinti ancora verso il male, e avevano bisogno della sua grazia purificatrice. Quando Gesù si mise un asciugamano intorno ai fianchi per lavare la polvere dei loro piedi, in realtà desiderava eliminare dai loro cuori ogni sentimento di divisione, gelosia e orgoglio. Tutto ciò era molto più importante di una semplice pulizia dei piedi impolverati. Con quello spirito, nessuno di loro era pronto per essere unito a Gesù. Senza una maggiore umiltà e un maggiore amore non potevano partecipare né alla cena pasquale né al rito di commemorazione che Gesù avrebbe stabilito. I loro cuori dovevano essere purificati. Orgoglio ed egoismo producono divisioni e odio, ma Gesù eliminò tutto lavando loro i piedi. I loro sentimenti mutarono e Gesù, guardandoli, poté esclamare: “E voi siete netti”. Si era così stabilita sia l’unione dei cuori sia un amore reciproco, ed essi erano diventati umili e docili. Tutti, tranne Giuda, erano disposti a cedere all’altro il posto più importante e ora, sottomessi e riconoscenti, potevano ascoltare le parole di Gesù. {GN 495.3}

Anche noi, come Pietro e i suoi amici, siamo stati lavati nel sangue di Cristo; tuttavia spesso la purezza del nostro cuore è contaminata dal contatto con il male. Allora dobbiamo accostarci a Cristo per ricevere la sua grazia purificatrice. Pietro non voleva che le mani del suo Signore e Maestro toccassero i suoi piedi sporchi, mentre noi spesso permettiamo che il nostro cuore contaminato dal peccato entri in comunione con il cuore di Cristo. Il nostro carattere fragile, la nostra vanità e il nostro orgoglio addolorano Gesù. Tuttavia, dobbiamo presentare a lui le nostre debolezze e le nostre mancanze, perché solo lui può purificarci. Non possiamo avere una piena comunione con lui finché egli non ci ha pienamente purificati. {GN 496.1}

Gesù aveva detto ai discepoli: “E voi siete purificati, ma non tutti”. Versetto 10. Egli aveva lavato i piedi anche a Giuda, ma il suo cuore non si era aperto e non era stato purificato. Giuda non si era affidato a Cristo. {GN 496.2}

Dopo che Gesù ebbe lavato i piedi ai discepoli ed ebbe indossato nuovamente la sua tunica, si mise a tavola, e disse: “Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io. In verità, in verità vi dico che il servitore non è maggiore del suo Signore, né il messaggero è maggiore di colui che lo ha mandato”. Versetti 12-17. {GN 496.3}

Gesù voleva che i suoi discepoli comprendessero che, nonostante avesse lavato loro i piedi, la sua dignità non era affatto sminuita. {GN 496.4}

“Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono”. Questa dignità conferì grazia e valore al servizio. Sebbene nessuno godesse di una posizione più elevata di Cristo, tuttavia egli esercitò i doveri più umili. Cristo dette un esempio di umiltà affinché nessuno fosse sviato dall’egoismo del cuore naturale, egoismo che si rafforza quando ci si compiace di se stessi. Si trattava di una lezione così importante e di così vasta portata che egli stesso, pur essendo uguale a Dio, agì come servo dei suoi discepoli. Mentre essi si contendevano il primo posto, colui davanti al quale ogni ginocchio si sarebbe piegato e che gli angeli erano onorati di servire, si abbassò a lavare i piedi di coloro che lo chiamavano Signore e lavò anche i piedi di colui che lo avrebbe tradito. {GN 497.1}

Nella sua vita e nel suo insegnamento Gesù ci ha dato un perfetto esempio di quel ministero disinteressato che ha in Dio la sua origine. Dio non vive per se stesso. Creando il mondo e sostenendo tutte le cose si mette continuamente al servizio degli altri. “Egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. Matteo 5:45. Il Figlio di Dio ha lo stesso ideale di servizio. Gesù è stato posto a capo dell’umanità affinché con il suo esempio insegnasse che cosa significa servire. Tutta la sua vita si è adeguata alla legge del servizio. Egli servì tutti, si mise a disposizione di tutti. Così visse secondo la legge di Dio, mostrando che anche noi dobbiamo fare la stessa cosa. {GN 497.2}

Gesù ha cercato più volte di inculcare questo stesso principio ai suoi discepoli. Quando Giacomo e Giovanni gli chiesero di poter avere i primi posti nel suo regno, egli rispose: “Ma non è così tra voi; anzi, chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore”. Matteo 20:26. Gesù ha detto che nel suo regno non ci sono preferenze e predominio. L’unica grandezza è quella dell’umiltà. L’unica distinzione è quella di consacrarsi al servizio del prossimo. {GN 497.3}

Dopo aver lavato i piedi ai discepoli, Gesù disse: “Poiché io v’ho dato un esempio, affinché voi facciate come v’ho fatto io”. Gesù con quelle parole non voleva soltanto raccomandare l’ospitalità; voleva insegnare qualcosa di più del semplice togliere la polvere dai piedi dei propri ospiti: voleva istituire un servizio religioso. Così l’atto di umiltà di Gesù divenne un rito sacro che doveva essere seguito dai discepoli affinché ricordassero meglio le sue lezioni di umiltà. {GN 497.4}

Questo rito di Gesù rappresenta la preparazione alla cerimonia della Cena del Signore. Finché vengono coltivati l’orgoglio, le dispute e la lotta per la supremazia, il cuore non può entrare in comunione con Cristo e non può beneficiare della comunione con il suo corpo e il suo sangue. Perciò Gesù ha stabilito che innanzi tutto venga ricordata la sua umiliazione. {GN 497.5}

Seguendo questo rito, i figli di Dio dovrebbero ricordarsi delle parole del Signore della vita e della gloria: “Capite quel che v’ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, v’ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Poiché io v’ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v’ho fatto io. In verità, in verità vi dico che il servitore non è maggiore del suo Signore, né il messo è maggiore di colui che l’ha mandato. Se sapete queste cose, siete beati se le fate”. La tendenza naturale dell’uomo è considerarsi superiore al proprio fratello, lavorare per sé e ricercare il posto più importante. Da ciò derivano sospetti e amarezze. Il rito che precede la Cena del Signore mira a eliminare quei falsi sentimenti, a liberare l’uomo dal suo egoismo e dal suo orgoglio, per servire il fratello con umiltà. {GN 498.1}

Colui che veglia dal cielo è disposto ad aiutare chiunque desideri confessare i propri peccati e condividere la certezza del perdono. Gesù, con la pienezza della sua grazia, vuole aiutare ogni uomo a liberarsi dai pensieri egoistici. Lo Spirito Santo rende più sensibili coloro che vogliono seguire l’esempio del loro Signore. Quando ricordiamo l’umiliazione del nostro Salvatore, un pensiero ne evoca un altro e si forma una catena di ricordi della bontà di Dio e del tenero affetto dei nostri amici. Ritornano alla mente le benedizioni dimenticate, le benevolenze fraintese, le gentilezze trascurate. Appaiono evidenti quelle radici di amarezza che hanno fatto illanguidire la pianta preziosa dell’amore. Si ricordano i difetti del carattere, la trascuratezza dei doveri, l’ingratitudine verso Dio e la freddezza verso i nostri fratelli. Il peccato è visto nella stessa luce in cui lo vede Dio. Invece di essere soddisfatti di sé, ci si rende conto delle proprie colpe. L’animo si impegna a infrangere ogni barriera che ci divide da Dio. Vengono eliminati i cattivi pensieri e le cattive parole. I peccati sono confessati e perdonati. La grazia di Cristo penetra nell’anima e il suo amore unisce i cuori in una beata comunione. {GN 498.2}

Questo servizio preparatorio, con l’insegnamento che trasmette, accende il desiderio di una più intensa vita spirituale che viene appagata dal Testimone divino. Lo spirito si eleva e può partecipare alla comunione, consapevole del perdono dei suoi peccati. Il Sole della giustizia di Cristo risplende nella mente e nell’animo, che possono allora contemplare “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” Giovanni 1:29. {GN 498.3}

Questo rito, per coloro che entrano nello spirito del servizio, non può avere un semplice valore formale. Esso trasmette costantemente questa lezione: “Per mezzo dell’amore servite gli uni agli altri”. Galati 5:13. Lavando i piedi ai discepoli, Gesù ha dimostrato che era disposto anche a fare il servizio più umile, affinché essi diventassero eredi con lui della grande ricchezza dei tesori del cielo. I suoi discepoli, ripetendo quel rito, si impegnano nello stesso modo a servire i loro fratelli. Ogni volta che viene celebrato, i figli di Dio stabiliscono fra loro dei legami sacri, per aiutarsi a vicenda. Promettono solennemente di consacrare la propria vita a un servizio disinteressato, non limitato soltanto a un aiuto reciproco, ma al grande campo di lavoro che era quello del Maestro. Il mondo è pieno di uomini che hanno bisogno di questo servizio. Il povero, il bisognoso e l’ignorante si trovano ovunque. Coloro che hanno vissuto questa esperienza particolare con Cristo nella camera alta ne usciranno per servire come egli stesso ha fatto. {GN 498.4}

Gesù, che era servito da tutti, venne per servire tutti. E poiché ha esercitato il suo ministero in favore di tutti, sarà nuovamente servito e onorato da tutti. Coloro che vogliono condividere con lui i suoi attributi divini e la gioia della salvezza degli uomini devono seguire il suo esempio di altruismo. {GN 499.1}

Gesù si riferiva a questo quando affermò: “Io v’ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v’ho fatto io”. Questo è l’intento del servizio che ha stabilito. Ed egli aggiunge: “Se sapete queste cose”, cioè se vi rendete conto dell’obiettivo di questa lezione, “siete beati se le fate”. {GN 499.2}



Capitolo 72: “Fate questo in memoria di me”

“Il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me. Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me. Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. 1 Corinzi 11:23-26. {GN 500.1}

Era il momento di transizione fra i due patti, ognuno dei quali aveva la sua grande festa. Gesù, l’immacolato Agnello di Dio, stava per presentare se stesso come offerta per il peccato. Questa offerta avrebbe concluso quel complesso sistema di tipi e cerimonie che per quattromila anni avevano preannunciato la sua morte. Mentre mangiava la Pasqua insieme con i discepoli, Gesù stabilì al suo posto quel servizio che doveva ricordare il suo grande sacrificio. La festa nazionale degli ebrei doveva finire per sempre e Gesù la sostituì con un rito che sarebbe stato celebrato dai suoi discepoli in tutti i paesi e per tutte le età. {GN 500.2}

La Pasqua fu stabilita per ricordare la liberazione d’Israele dalla schiavitù d’Egitto. Dio aveva stabilito che ogni anno si ricordasse quell’evento, e che ai bambini che ne avessero chiesto il significato, si raccontasse la storia di quella liberazione. In questo modo, quell’avvenimento meraviglioso rimase vivo nella mente di tutti. Il Signore stabilì la Cena per ricordare la grande liberazione ottenuta con la morte di Cristo, e questa celebrazione sarebbe durata fino al suo ritorno in potenza e gloria. Così rimane vivo nelle nostre menti il ricordo della grande opera compiuta per noi. {GN 500.3}

La vigilia della loro liberazione dall’Egitto, i figli d’Israele mangiarono la Pasqua in piedi, con i fianchi cinti e le lampade in mano, pronti a partire. Celebravano quella festa in un atteggiamento conforme alle circostanze. Stavano per uscire dal paese d’Egitto e per iniziare, attraverso il deserto, un viaggio faticoso e difficile. Al tempo di Gesù quella situazione era cambiata. Gli israeliti non venivano cacciati da un paese straniero, ma vivevano stabilmente nella loro terra. Secondo il riposo che era stato loro concesso, mangiavano la Pasqua allungati su un divano. {GN 500.4}

Infatti, abitualmente, si sistemavano dei divani intorno alla tavola e gli ospiti vi si adagiavano, appoggiandosi sul fianco sinistro e usando la mano destra per mangiare. In questa posizione si poteva facilmente appoggiare il capo sul petto del vicino, e i piedi, dall’altro lato del divano, potevano essere lavati con facilità da qualcuno che passava intorno al cerchio che si era formato. {GN 501.1}

Gesù è a tavola. La cena pasquale è stata servita. Vi sono anche i pani senza lievito, che si usavano nel periodo della Pasqua, e il vino non fermentato. Gesù si serve di quei simboli per rappresentare il suo sacrificio. Nulla di corrotto dalla fermentazione, che è simbolo del peccato e della morte, avrebbe potuto rappresentare Gesù, “agnello senza difetto né macchia”. 1 Pietro 1:19. {GN 501.2}

“Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, dopo aver detto la benedizione, lo ruppe e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete, mangiate, questo è il mio corpo. Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati. Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”. Matteo 26:26-29. {GN 501.3}

Giuda, il traditore, era presente a quel servizio sacro. Anch’egli ricevette da Gesù i simboli del suo corpo spezzato e del suo sangue versato, e udì le sue parole: “Fate questo in memoria di me”. Accanto all’Agnello di Dio, il traditore meditava i suoi foschi propositi e accarezzava pensieri di vendetta. {GN 501.4}

Al momento dell’abluzione dei piedi, Gesù aveva dimostrato di aver compreso il carattere di Giuda. “Non tutti siete netti”. Giovanni 13:11. Quelle parole convinsero quel falso discepolo che Gesù conosceva i suoi pensieri. Gesù poi parlò più chiaramente. Mentre erano a tavola, guardando i discepoli, disse: “Non parlo di voi tutti; io conosco quelli che ho scelti; ma, perché sia adempiuta la Scrittura: Colui che mangia il mio pane, ha levato contro di me il suo calcagno”. Versetto 18. {GN 501.5}

Ma i discepoli non sospettavano ancora di Giuda. Si resero conto, però, che Gesù era molto turbato. Un’ombra oscura gravava su tutti loro, presagio di una terribile calamità di cui però non riuscivano a comprendere la natura. Mentre mangiavano in silenzio, Gesù disse: “In verità vi dico che uno di voi mi tradirà”. Versetto 21. I discepoli a quelle parole furono colti da stupore e costernazione. Non potevano concepire che uno di loro avrebbe tradito il Maestro. Per quale motivo e per chi avrebbe dovuto farlo? In quale cuore poteva mai sorgere un progetto simile? Certamente in nessuno dei dodici che più degli altri avevano avuto il privilegio di ascoltare tutti i suoi insegnamenti, erano stati oggetto del suo amore meraviglioso e aveva onorato permettendo loro di condividere con lui i suoi momenti più intimi. {GN 501.6}

Meditando sulle sue parole, che erano sempre risultate vere, provarono timore e sfiducia. Esaminarono i loro cuori per vedere se nascondessero qualche pensiero ostile nei confronti del Maestro. Profondamente turbati, chiesero uno dopo l’altro: “Sono io quello, Signore?” Matteo 26:22. Giuda rimase in silenzio. Giovanni infine, angosciato, chiese: “Signore, chi è?” Giovanni 13:25. Gesù rispose: “Colui che ha messo con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Certo, il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui; ma guai a quell’uomo per cui il Figlio dell’uomo è tradito! Meglio sarebbe per quell’uomo se non {GN 502.1}

fosse mai nato”. Matteo 26:23, 24. {GN 502.2}

I discepoli si scrutavano in volto, mentre chiedevano: “Sono io quello, Signore?” Il silenzio di Giuda attrasse tutti. In mezzo alla confusione dell’intrecciarsi delle domande e delle espressioni di stupore, Giuda non aveva udito le parole di Gesù in risposta a Giovanni. Ma poi, per sfuggire agli sguardi degli altri discepoli chiese, come avevano fatto gli altri: “Sono forse io, Maestro? E Gesù a lui: L’hai detto”. Versetto 25. {GN 502.3}

Sorpreso e confuso perché il suo progetto era stato smascherato, Giuda si affrettò a lasciare la stanza. “Per cui Gesù gli disse: Quel che fai, fallo presto. Egli dunque, preso il boccone, uscì subito; ed era notte”. Giovanni 13:27-30. Era notte per il traditore, mentre si allontanava da Gesù, nelle fitte tenebre. {GN 502.4}

Sino a quel momento Giuda non aveva oltrepassato il limite della possibilità del pentimento. Ma quando si allontanò dalla presenza del Signore e dei suoi discepoli, prese l’estrema decisione. Aveva superato il limite. {GN 502.5}

Gesù aveva avuto una grandissima pazienza per quell’anima tentata, e non aveva trascurato nulla per salvarla. Dopo che per ben due volte Giuda ebbe preso accordi per tradire il Signore, Gesù gli offrì ancora una possibilità di ravvedimento. Svelando i suoi pensieri segreti, Gesù dette a Giuda l’ultima convincente prova della sua divinità che era anche un ultimo appello al ravvedimento. Gli erano state rivolte tutte le esortazioni che il cuore umano e divino di Gesù potesse fargli. Le manifestazioni d’amore, sempre ostinatamente respinte, si fecero infine più intense. Ma sebbene sorpreso del fatto che la sua colpa fosse stata scoperta, Giuda divenne più ostinato e si allontanò dal luogo della Cena per completare il suo tradimento. {GN 502.6}

Gesù svelò il tradimento di Giuda anche per manifestare la sua misericordia nei confronti dei discepoli. Offrì loro una dimostrazione definitiva della sua messianicità. “Ve lo dico fin da ora, prima che accada; affinché, quando sarà accaduto, voi crediate che io sono”. Giovanni 13:19. Se Gesù avesse taciuto, ignorando apparentemente quello che stava per capitargli, i discepoli avrebbero potuto dubitare della conoscenza divina del Maestro e pensare che fosse stato colto di sorpresa per essere consegnato nelle mani di una folla omicida. {GN 503.1}

Un anno prima Gesù aveva detto ai discepoli che egli ne aveva scelti dodici, ma che uno di loro era un demone. Le parole rivolte a Giuda, che mostravano che egli era pienamente al corrente del suo tradimento, avrebbero rafforzato, durante la sua umiliazione, la fede dei veri discepoli che, al momento dell’orrenda fine di Giuda, si sarebbero ricordati della sventura del traditore preannunciata da Gesù. {GN 503.2}

Il Salvatore aveva ancora un altro motivo per non respingere colui che conosceva come traditore. I discepoli non avevano compreso le parole pronunciate quando aveva lavato loro i piedi: “Non tutti siete netti”, e neppure quando era a tavola: “Colui che mangia il mio pane, ha levato contro di me il suo calcagno”. Versetto 18. Ma quando il significato di quelle parole divenne evidente, essi pensarono alla pazienza e alla misericordia di Dio verso gli uomini più traviati. {GN 503.3}

Sebbene Gesù conoscesse l’animo di Giuda, gli lavò i piedi. Il traditore ebbe il privilegio di partecipare alla cerimonia istituita da Gesù. Con infinita pazienza, il Salvatore tentò con ogni mezzo di aiutare il peccatore a pentirsi e purificarsi del suo peccato. Questo è un esempio per noi. Non dobbiamo separarci da chi si trova nell’errore o nel peccato. Se lo facessimo, potremmo abbandonarlo alla tentazione e spingerlo sul terreno di Satana. Gesù non ha agito così. Proprio perché i suoi discepoli sbagliavano ed erano colpevoli, egli lavò loro i piedi; e tutti, fuorché uno, furono indotti al pentimento. {GN 503.4}

L’esempio di Gesù condanna ogni tentativo per impedire a qualcuno di partecipare alla Cena. È vero che lo Spirito Santo insegna chiaramente che il peccato palese esclude il colpevole (cfr. 1 Corinzi 5:11), ma, al di là di questa eccezione, nessuno deve giudicare. Dio non ha lasciato agli uomini la responsabilità di decidere chi deve partecipare a questo rito. Chi può infatti leggere i cuori? Chi può distinguere la zizzania dal buon grano? “Ora ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva del calice. Perciò, chiunque mangerà il pane o berrà dal calice del Signore indegnamente, sarà colpevole verso il corpo ed il sangue del Signore. Poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore”. 1 Corinzi 11:28, 27, 29. {GN 503.5}

Quando i credenti si riuniscono per celebrare questo rito, sono presenti anche dei messaggeri invisibili. Se nell’assemblea vi è un Giuda, ci saranno allora dei messaggeri del principe delle tenebre, sempre vicini a coloro che rifiutano la guida dello Spirito Santo. Ma vi sono anche gli angeli di Dio. Questi esseri invisibili sono sempre presenti; nell’assemblea possono trovarsi delle persone che non hanno ancora pienamente accolto la santità e la verità, ma che desiderano partecipare al servizio; non bisogna impedirglielo. Vi erano dei testimoni presenti anche quando Gesù lavò i piedi dei discepoli, Giuda compreso. Degli occhi, che non erano umani, videro la scena. {GN 504.1}

Cristo è presente con il suo Spirito per apporre il suo suggello sul rito da lui stabilito. Egli è presente per convincere e intenerire i cuori. Non gli sfugge né uno sguardo né un pensiero né un moto di pentimento. È sempre in attesa di colui che ha il cuore contrito e che si pente. Tutto è pronto per accogliere le anime. Colui che ha lavato i piedi di Giuda, desidera lavare ogni cuore dalle macchie del peccato. {GN 504.2}

Nessuno deve rinunciare di partecipare alla Cena del Signore solo perché può essere presente qualche persona indegna. Ogni discepolo è chiamato a parteciparvi pubblicamente per testimoniare che accetta Gesù come suo Salvatore. In queste occasioni Gesù si incontra con il suo popolo e gli infonde potenza. Anche se cuori e mani impure amministrano il rito, Cristo è là, al servizio dei suoi figli. Tutti coloro che si avvicinano a lui con fede saranno abbondantemente benedetti, mentre quelli che trascurano questi privilegi divini ne subiscono una grave perdita. Di essi si può dire: “Non tutti siete netti”. {GN 504.3}

Offrendo ai discepoli il pane e il vino, Gesù si presentò come il Redentore. Stabilì con loro il nuovo patto per il quale tutti coloro che lo accettano diventano figli di Dio ed eredi di Cristo. In virtù di quel patto potevano ricevere ogni benedizione divina, valida per questa vita e per quella futura. Esso sarebbe stato ratificato con il sangue di Cristo. La partecipazione a questa cerimonia avrebbe ricordato continuamente ai discepoli il sacrificio infinito compiuto per ognuno di loro, in quanto parte di tutta l’umanità decaduta. {GN 504.4}

Ma questo servizio di comunione non è un’occasione di tristezza. I discepoli del Signore, quando si riuniscono intorno a quella tavola, non devono ricordare le loro mancanze e lamentarsene, né pensare troppo alle loro esperienze religiose passate, sia positive sia negative. Non devono pensare a questioni personali. Tutto questo deve avveni re durante il servizio di preparazione; quello è il momento dell’esame di se stessi, della confessione dei peccati e della riconciliazione. Ora devono incontrarsi con Gesù, lasciare l’ombra della croce e ricevere la luce della salvezza. Devono aprire l’animo ai raggi splendenti del Sole di giustizia, e con i cuori purificati dal prezioso sangue di Cristo, con la piena consapevolezza della sua invisibile presenza, devono ascoltare le sue parole: “Vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà”. Giovanni 14:27. {GN 504.5}

Il Signore ci dice: Quando sentite il peso dei peccati, ricordatevi che sono morto per voi. Quando siete perseguitati e afflitti per amore mio e del Vangelo, ricordatevi che vi ho amati Ano a offrire la mia vita per voi. Quando i vostri doveri vi sembrano pesanti e difficili e i vostri pesi insopportabili, ricordatevi che per amor vostro ho sopportato la croce, trascurandone la vergogna. Quando il vostro cuore viene meno davanti alla prova, ricordatevi che il vostro Redentore vive per intercedere per voi. {GN 505.1}

Il servizio di comunione si proietta verso il ritorno di Cristo. Esso è stato istituito per tenere viva questa speranza. Ovunque i credenti si incontrino per commemorare la sua morte, ricordano le parole di Gesù. “Prese un calice e rese grazie, lo diede loro dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per la remissione dei peccati. Io vi dico che d’ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”. Pur soffrendo, hanno trovato consolazione nella speranza del ritorno del Signore. Questo pensiero è stato per loro prezioso: “Poiché ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finch’egli venga”. {GN 505.2}

Queste sono realtà da non dimenticare. Nella nostra mente dev’essere mantenuto vivo il pensiero dell’amore di Cristo che ci costringe. Gesù ha stabilito questa celebrazione perché così possiamo ricordare l’amore di Dio per noi. Solo attraverso Cristo l’uomo può ristabilire la comunione con Dio. L’amore di Gesù rende stabile ed eterno l’amore fraterno. Ed è la morte di Gesù che rende efficace per noi quell’amore. Solo grazie alla sua morte possiamo guardare con gioia verso il suo ritorno. Il suo sacrificio è al centro della nostra speranza ed è l’oggetto della nostra fede. {GN 505.3}

Troppo facilmente si attribuisce un semplice valore formale ai riti che ricordano l’umiliazione e la sofferenza del Signore. Essi sono stati istituiti per un motivo molto importante. I nostri sensi devono essere sensibilizzati per comprendere il mistero della pietà. È nostro privilegio conoscere sempre meglio le sofferenze di Cristo. “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna”. Giovanni 3:14, 15. Noi dobbiamo contemplare la croce del Calvario su cui morì il Salvatore. In vista della vita eterna, dobbiamo avere fede in Cristo. {GN 505.4}

Il nostro Signore ha detto: “In verità, in verità vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda”. Giovanni 6:53, 55. Questo è vero anche per il nostro corpo. Siamo debitori alla morte di Cristo perfino della vita terrena. Il pane che mangiamo ci è stato procurato dal suo corpo spezzato. L’acqua che beviamo è stata pagata con il suo sangue sparso. {GN 506.1}

Nessun uomo, santo o peccatore che sia, mangia il suo cibo quotidiano se non tramite il corpo e il sangue di Cristo. La croce del Calvario ha lasciato la sua impronta su ogni briciola di pane e si riflette in ogni sorgente di acqua. Gesù ci ha insegnato tutto questo scegliendo i simboli del suo grande sacrificio. La luce che brilla dalla Cena celebrata nella camera alta, conferisce sacralità agli alimenti necessari per il nostro sostentamento quotidiano. La tavola di famiglia diventa la tavola del Signore, e ogni pasto assume un valore sacro. {GN 506.2}

Le parole di Gesù sono ancora più vere in senso spirituale. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna”. Possiamo vivere una vita santa ricevendo la vita che è stata offerta per noi sulla croce del Calvario. E la riceviamo accettando la sua Parola, facendo ciò che Gesù ci ha ordinato. In questo modo diventiamo uno con il Padre. Gesù dice ancora: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui. Come il Padre vivente mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli a motivo di me”. Versetti 56, 57. Queste parole di Gesù si riferiscono in modo particolare alla santa Cena. Contemplando per fede il grande sacrificio del Signore, l’anima assimila la vita spirituale di Cristo e riceve forza spirituale da ogni servizio di Comunione, tramite il quale si stabilisce un legame con Cristo e con il Padre, legame che unisce a Dio tutti gli esseri umani. {GN 506.3}

Prendendo il pane e il vino, simboli del corpo di Cristo e del suo sangue sparso per noi, ci ritroviamo idealmente nella camera alta alla celebrazione della Cena. Ci sembra di passare attraverso il giardino che è stato consacrato dall’agonia di colui che ha portato su di sé i peccati di tutto il mondo. Diventiamo testimoni della dura lotta combattuta per la nostra riconciliazione con Dio. Cristo, così, è come se venisse nuovamente crocifisso fra noi. {GN 506.4}

Contemplando il Redentore crocifisso, comprendiamo meglio la grandezza e il significato del sacrificio fatto dal Re del cielo. Davanti a noi viene glorificato il piano della salvezza e il ricordo del Calvario risveglia nei nostri cuori emozioni sacre e intense. Parole di lode a Dio e all’Agnello sgorgano dai nostri cuori e vengono pronunciate dalle nostre labbra; l’orgoglio e l’egoismo non possono attecchire nell’animo che conserva vive in sé le scene del Calvario. Colui che contempla l’amore del Salvatore avrà pensieri elevati, un cuore puro e un carattere trasformato. Sarà una luce nel mondo e rifletterà nella vita, in una certa misura, quell’amore misterioso. Contemplando la croce di Cristo, facciamo nostre le parole dell’apostolo Paolo quando dice: “Ma quanto a me, non sia mai che io mi vanti d’altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso, e io sono stato crocifisso per il mondo”. Galati 6:14. {GN 507.1}



Capitolo 73: “Il vostro cuore non sia turbato”

Gesù guardò i discepoli con affetto e tenera simpatia e disse loro: “Ora il Figlio dell’uomo è glorificato e Dio è glorificato in lui”. Giovanni 13:31. Dopo che Giuda se ne fu andato, Gesù, rimasto solo con gli undici, volle parlare loro della sua imminente separazione. Ma prima si soffermò ancora sul grande obiettivo della sua missione, sempre presente davanti a lui. Si consolava all’idea che la sua umiliazione e la sua sofferenza avrebbero glorificato il nome di Dio; e verso questa gloria orientò i pensieri dei suoi discepoli. {GN 508.1}

Con tenerezza Gesù li chiamò “Figlioli”, e disse: “È per poco che sono ancora con voi. Voi mi cercherete; e, come ho detto ai giudei: Dove vado io, voi non potete venire, così lo dico ora a voi”. Versetto 33. {GN 508.2}

I discepoli non si rallegrarono ascoltando queste parole, anzi furono presi da timore e si strinsero intorno al Salvatore. Il loro Maestro e Signore, guida e amico, era più caro per loro della stessa vita. A lui si erano rivolti per essere aiutati nelle difficoltà e confortati nei momenti di dolore e delusione. Di fronte alla prospettiva di rimanere soli nelle difficoltà, si sentirono oppressi da oscuri presentimenti. {GN 508.3}

Ma Gesù rivolse loro parole piene di speranza. Sapendo che sarebbero stati assaliti dal nemico, che ha più successo con quanti sono afflitti e turbati, fece volgere il loro sguardo “non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono”. 2 Corinzi 4:18. I discepoli distolsero così i loro pensieri dall’esilio terreno per pensare al regno dei cieli. {GN 508.4}

“Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi; e del luogo dove io vado, sapete anche la via”. Giovanni 14:1-4. Per amor vostro sono venuto nel mondo e ho lavorato in vostro favore e quando sarò andato via, continuerò a lavorare per voi. Sono venuto per manifestarmi a voi, affinché crediate. Presso il Padre continuerò a cooperare con lui in vostro favore. {GN 508.5}

Gesù se ne andava per una ragione diversa da quella temuta dai discepoli. Non si trattava di una separazione definitiva: andava a preparare un luogo, per poi tornare e portarli con sé. Nel frattempo essi avrebbero dovuto formarsi un carattere simile al suo. {GN 508.6}

I discepoli erano ancora perplessi. Tommaso, sempre tormentato dal dubbio, chiese: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo sapere la via? Gesù gli disse: Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se mi aveste conosciuto avreste conosciuto anche mio Padre; e fin da ora lo conoscete, e l’avete visto”. Giovanni 14:5-7. {GN 509.1}

Non vi sono molte strade che conducono al cielo; nessuno può scegliersi la propria. Gesù dice: “Io sono la via... nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Fin dal primo annuncio del messaggio della salvezza, quando in Eden fu detto che la posterità della donna avrebbe schiacciato il capo del serpente, Gesù era stato indicato come la via, la verità e la vita. Era la via al tempo di Adamo, quando Abele offrì a Dio il sangue di un agnello, simbolo del Redentore; era la via della salvezza per i patriarchi e i profeti, è l’unica via per la quale possiamo accedere a Dio. Ma i discepoli stentavano a capire, e Filippo gli chiese: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Versetto 8. {GN 509.2}

Stupito per la lentezza della loro comprensione, Gesù chiese: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?” È mai possibile che non siate riusciti a scorgere il Padre nelle opere che ho compiuto tramite lui? Non credete che io sia venuto per rendere testimonianza del Padre? “Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: Mostraci il Padre?” Versetto 9. Gesù non ha smesso di essere Dio quando si è fatto uomo. Sebbene si sia umiliato rivestendo l’umanità, ha mantenuto sempre la natura divina. Solo Cristo poteva rappresentare adeguatamente il Padre presso gli uomini e i discepoli avevano avuto il privilegio di contemplare quella rivelazione per tre anni. {GN 509.3}

“Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se no, credete a causa di quelle opere stesse”. Versetto 11. La loro fede poteva fondarsi sulla testimonianza delle opere di Cristo, opere che nessun uomo da solo aveva fatto o avrebbe potuto fare. Le opere di Gesù testimoniavano la sua divinità e rivelavano il Padre. {GN 509.4}

Se i discepoli avessero creduto nell’unione tra il Padre e il Figlio, non avrebbero perso la fede nel momento della sofferenza e della morte di Cristo. Gesù voleva che passassero dalla loro debole fede a esperienze più profonde, possibili solo se lo avessero accettato per quello che era veramente: Dio diventato uomo. Voleva condurli fino al Padre, attraverso la fede, perché si affidassero a lui. Con quanta pazienza il nostro misericordioso Salvatore cercò di preparare i discepoli per le imminenti lotte della tentazione. Avrebbero trovato rifugio insieme a lui, in Dio. {GN 509.5}

Mentre Gesù parlava, la gloria di Dio risplendeva sul suo volto, e tutti i presenti furono pervasi da un sacro timore. I cuori dei discepoli si legarono di più a Gesù e, avvicinandosi al Maestro, si trovarono più vicini gli uni agli altri. Percepirono l’atmosfera del cielo e nelle parole di Gesù riconobbero il messaggio del Padre. {GN 510.1}

Gesù continuò: “In verità, in verità vi dico che chi crede in me farà anch’egli le opere che faccio io”. Versetto 12. Il Salvatore desiderava intensamente che i discepoli comprendessero il motivo per cui la divinità si era unita all’umanità. Egli era venuto nel mondo per rivelare la gloria di Dio, affinché gli uomini potessero elevarsi mediante la sua potenza. Dio si era manifestato in lui perché Cristo potesse manifestarsi in loro. Gesù non ha esercitato poteri di cui gli uomini non potessero disporre, a loro volta, tramite la fede in lui. Tutti i suoi discepoli, se si sottomettono a Dio come ha fatto lui, possono conseguire la sua perfetta umanità. {GN 510.2}

“E ne farà di maggiori, perché io me ne vado al Padre”. Maggiori, le opere dei discepoli, non per la loro natura ma per la loro estensione. Gesù non si riferì unicamente ai miracoli, ma a tutta l’opera compiuta mediante lo Spirito Santo. {GN 510.3}

Dopo l’ascensione, i discepoli videro il compimento di questa promessa. La morte, la risurrezione e l’ascensione di Gesù divennero per loro una realtà vivente. Si resero conto che le profezie si erano adempiute alla lettera. Studiarono le Scritture e ne accettarono gli insegnamenti con una fede e una convinzione prima sconosciute. Si resero conto che le affermazioni del Maestro erano vere; e mentre testimoniavano della loro esperienza ed esaltavano l’amore di Dio, le folle, commosse e conquistate, credevano in Gesù. {GN 510.4}

La promessa del Salvatore vale per tutta la chiesa, sino alla fine dei tempi. Dio non vuole che il suo meraviglioso piano di salvezza ottenga risultati insignificanti. Coloro che lavorano, confidando non in ciò che possono fare ma in quello che Dio può fare tramite loro, vedranno l’attuazione della sua promessa. Gesù dice: “E ne farà di maggiori, perché io me ne vado al Padre”. {GN 510.5}

I discepoli non conoscevano ancora le risorse infinite della potenza del Salvatore. Egli disse loro: “Fino ad ora non avete chiesto nulla nel nome mio”. Giovanni 16:24. Disse loro che avrebbero potuto ricevere, chiedendo, potenza e grazia nel suo nome. Egli sarebbe stato vicino al Padre per pregare in loro favore, presentando anche la richiesta più umile come un suo desiderio. Ogni preghiera sincera viene udita in cielo; e anche se espressa in modo imperfetto ma con il cuore, sale fino al santuario dove Gesù officia. Egli la presenterà certamente al Padre, accompagnata dall’incenso della sua perfezione. {GN 510.6}

Il cammino della sincerità e dell’integrità non è esente da ostacoli, ma in ogni difficoltà noi dobbiamo scorgere un invito alla preghiera. Tutte le capacità provengono da Dio che è a disposizione anche dell’essere più debole. Gesù ha detto: “E quello che chiederete nel mio nome, lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò”. Giovanni 14:13, 14. {GN 511.1}

Gesù ha invitato i discepoli a pregare nel suo nome. Essi possono presentarsi a Dio nel nome di Cristo: acquistano valore agli occhi del Signore grazie al sacrificio compiuto in loro favore. Sono preziosi perché è stata imputata loro la giustizia di Gesù. Per amore di Cristo il Signore perdona coloro che lo temono: non scorge in loro la bassezza del peccato, ma riconosce la somiglianza con il Figlio al quale hanno creduto. {GN 511.2}

Il Signore non vuole che il suo popolo manifesti poco rispetto per se stesso; desidera che i suoi figli si valutino in base al prezzo con cui sono stati riscattati. Dio ha amato i peccatori sino a dare il proprio Figlio per la loro redenzione. Egli li tiene in grande considerazione ed è lieto per le loro preghiere che esaudisce a lode del suo nome. Essi possono aspettarsi grandi cose se credono nelle sue promesse. {GN 511.3}

Pregare nel nome di Cristo significa accettare il suo carattere, manifestare il suo spirito e compiere le sue opere. Le promesse del Salvatore sono condizionate. “Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti”. Versetto 15. Egli salva gli uomini, non nel peccato, ma dal peccato; e coloro che lo amano manifesteranno il loro amore con l’ubbidienza. {GN 511.4}

La vera ubbidienza nasce dal cuore. Gesù mise tutto il suo cuore in ciò che faceva. Se lo vogliamo, trasformerà il nostro cuore e la nostra mente secondo la sua volontà e così, ubbidendo, non faremo che seguire i nostri impulsi. La volontà dell’uomo, trasformata e santificata, proverà la sua massima soddisfazione nel servire il Signore. Quando riusciremo a conoscere Dio, nei limiti in cui è possibile, allora la nostra vita diventerà un’espressione continua dell’ubbidienza. Il peccato sembrerà sempre più odioso per coloro che apprezzano il carattere di Cristo e vivono in comunione con Dio. {GN 511.5}

Possiamo osservare la legge di Dio, come Cristo ha fatto, se ci serviamo della sua forza. Ma non dobbiamo lasciare agli altri le nostre responsabilità e aspettare che essi ci dicano come dobbiamo agire. Non bisogna chiedere consigli agli uomini; il Signore ci indicherà il nostro compito, così come fa per tutti. Se ci avviciniamo a lui con fede, ci farà conoscere il suo piano per noi. I nostri cuori vibreranno quando il Signore ci parlerà, come faceva con Enoc. Coloro che decidono di non fare nulla, in nessun caso, che possa dispiacere a Dio sapranno quale linea di condotta seguire in ogni occasione. Riceveranno non soltanto sapienza, ma anche potenza: la potenza, secondo la promessa di Gesù, per ubbidire e per servire. Tutta la potenza che è stata data a Cristo per aiutare gli uomini, gli è stata data come al capo e al rappresentante di tutta l’umanità. “E qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo ciò che gli è gradito”. Giovanni 3:22. {GN 511.6}

Prima di offrire se stesso in sacrificio, Gesù volle lasciare ai suoi discepoli il dono più importante e completo, un dono che avrebbe reso accessibili a tutti loro le risorse illimitate della sua grazia. “E io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi. Non vi lascerò orfani; tornerò a voi”. Giovanni 14:16-18. {GN 512.1}

Lo Spirito era già stato nel mondo, e sin dall’inizio dell’opera della redenzione aveva agito nei cuori. Ma finché Gesù rimase sulla terra, i discepoli non desideravano nessun altro aiuto. Solo dopo la partenza del Salvatore sentirono la necessità dello Spirito, e allora lo ricevettero. {GN 512.2}

Lo Spirito Santo è il rappresentante di Cristo, privo dei limiti della natura umana. Nella sua umanità Gesù non poteva essere presente in ogni luogo; quindi era bene per i discepoli che egli se ne andasse al Padre e che lo Spirito venisse sulla terra come suo sostituto. Così nessuno avrebbe avuto il vantaggio di un contatto diretto con Cristo. Mediante lo Spirito, il Salvatore sarebbe stato ugualmente accessibile a tutti e più vicino di quando era sulla terra. {GN 512.3}

“E chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui”. Versetto 21. Gesù vedeva quello che sarebbe successo ai suoi discepoli: ne seguiva uno condotto al patibolo, un altro sulla croce, un altro esiliato in un’isola sperduta, altri nella persecuzione e nella morte. Li incoraggiò, promettendo loro la sua presenza in occasione di ogni difficoltà. Quella promessa è ancora pienamente valida. Il Signore conosce perfettamente la situazione dei suoi fedeli servitori che per amor suo giacciono in prigione o sono esiliati in isole sperdute, e li conforta con la sua presenza. Quando, per amore della verità, il credente si trova giudicato da un tribunale ingiusto, Gesù è al suo fianco. Le accuse contro i suoi discepoli sono accuse contro Cristo che viene nuovamente condannato nella persona del suo discepolo. Se qualcuno è in carcere, Gesù lo consola con le sue promesse; se qualcuno affronta la morte per amor suo, Gesù gli dice: “Non temere, io sono il primo e l’ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades”. Apocalisse 1:17, 18. La vita offerta in sacrificio per Gesù è preservata per la gloria eterna. {GN 512.4}

In tutti i tempi, in tutti i luoghi, in tutti i nostri dolori e in tutte le nostre sofferenze, quando le prospettive sembrano oscure e il futuro inquietante, quando ci sentiamo soli e abbandonati, il Consolatore viene inviato in risposta alle preghiere della fede. Circostanze diverse possono separarci da tutti gli amici, ma nessun evento e nessuna distanza possono separarci dal Consolatore divino. Ovunque siamo e ovunque andiamo, egli è sempre accanto a noi per sostenerci e incoraggiarci. {GN 513.1}

Poiché i discepoli non riuscivano ancora a capire il significato spirituale delle sue parole, Gesù le spiegò nuovamente: “Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa”. Giovanni 14:26. Non potrete più dire di non riuscire a comprendere; non vedrete più le cose in modo confuso, come in uno specchio, ma sarete capaci “di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza”. Efesini 3:18, 19. {GN 513.2}

I discepoli dovevano essere i testimoni della vita e dell’opera di Gesù; tramite loro avrebbe parlato a tutti i popoli su tutta la faccia della terra. Ma essi, al momento dell’umiliazione e della morte di Gesù, avrebbero affrontato una grande sofferenza e una grande prova. Perché dopo un’esperienza simile la loro testimonianza fosse più efficace, Gesù promise che il Consolatore avrebbe ricordato loro tutti i suoi insegnamenti. {GN 513.3}

Gesù continuò: “Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve l’annuncerà”. Giovanni 16:12-14. Gesù aveva aperto alla mente dei discepoli un vasto orizzonte di verità. Ma era difficile per loro tenere separate le sue lezioni dalle tradizioni e dalle massime degli scribi e dei farisei. Erano stati educati ad accettare gli insegnamenti dei rabbini come la voce stessa di Dio, e questi insegnamenti facevano ancora presa sulla loro mente e sul loro cuore. Idee e aspirazioni terrene occupavano ancora gran parte dei loro pensieri e, nonostante le ripetute spiegazioni di Gesù, non riuscivano ancora a comprendere la natura e il carattere spirituale del suo regno e il vero significato delle parole di Cristo. Sembrava che avessero perso molte delle sue lezioni. Gesù si rese conto delle loro lacune, provò compassione e promise lo Spirito Santo che avrebbe ricordato loro i suoi insegnamenti. Però non parlò di molte cose che non erano ancora alla loro portata; le avrebbe rivelate loro lo Spirito Santo. Esso avrebbe aperto la loro mente perché potessero comprendere le realtà divine. {GN 513.4}

“Ma quando sia venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità”. Il Consolatore è chiamato “lo Spirito della verità”. La sua opera consiste nel precisare e preservare la verità. Comincia a vivere nel cuore come Spirito della verità, e così diventa un consolatore. Nella verità si trovano conforto e pace, ma la menzogna non offre niente di tutto questo. Satana conquista le menti con false teorie e tradizioni; orientando gli uomini verso falsi ideali, ne deforma il carattere. Attraverso le Scritture, lo Spirito parla alla mente, imprime la verità nel cuore e, rendendo palesi gli errori, a poco a poco li elimina. Mediante lo Spirito della verità, che opera servendosi della Parola di Dio, Cristo lega a sé il suo popolo. {GN 514.1}

Parlando ai discepoli dell’opera dello Spirito Santo, Gesù infuse in loro la sua gioia e la sua speranza. Egli gioiva per il potente aiuto assicurato alla sua chiesa. Lo Spirito Santo era il più grande dono che potesse chiedere al Padre per il progresso del suo popolo. Lo Spirito era l’agente rigenerante mediante il quale il sacrificio di Gesù diventava efficace. La potenza del male si era rafforzata durante i secoli e gli uomini si sottomettevano pienamente all’influsso di Satana. {GN 514.2}

Il peccato poteva essere affrontato e vinto solo tramite la terza persona della divinità, nella pienezza della sua potenza. È lo Spirito che rende effettiva l’opera compiuta dal Redentore del mondo. Attraverso lo Spirito il cuore diventa puro, e grazie a lui il credente partecipa alla natura divina. Lo Spirito concesso da Cristo è una potenza capace di vincere tutte le tendenze al male — quelle ereditate e quelle acquisite — e imprimere il carattere del Salvatore nella sua chiesa. {GN 514.3}

Dello Spirito, Gesù ha detto: “Egli mi glorificherà”. Il Salvatore è venuto per glorificare il Padre, rivelandone l’amore. Così lo Spirito doveva glorificare Cristo manifestando al mondo la grazia. L’immagine di Dio deve essere riprodotta nell’umanità. L’onore di Dio e quello di Cristo si manifestano nella perfezione del carattere del suo popolo. {GN 514.4}

“Quando sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio”. Giovanni 16:8. La predicazione della Parola non è efficace senza la presenza e il continuo aiuto dello Spirito Santo. Egli è l’unico agente efficace della verità divina. {GN 515.1}

La verità risveglia la coscienza e trasforma la vita solo quando è accompagnata dall’opera dello Spirito Santo. Nonostante l’abilità nel presentare la lettera della Parola di Dio, la familiarità con tutti i suoi comandamenti e tutte le sue promesse, se lo Spirito Santo non conferma la verità, nessun’anima cadrà sulla Roccia e sarà infranta. {GN 515.2}

Nessun livello culturale, nessuna facilitazione, anche se grande, può assicurare un solo raggio di luce senza la collaborazione dello Spirito di Dio. Il seme del Vangelo non porta frutto se non matura grazie alla rugiada del cielo. Prima che fosse scritto il primo libro del Nuovo Testamento, prima che fosse predicato il primo sermone, dopo l’ascensione di Gesù, lo Spirito Santo scese sugli apostoli riuniti in preghiera. I nemici di Gesù allora dissero: “Avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina”. Atti 5:28. {GN 515.3}

Gesù ha promesso alla chiesa il dono dello Spirito Santo. La sua promessa non riguarda solo i primi discepoli, ma anche noi. Ma, come tutte le promesse, essa è legata a una condizione. Molti credono nella promessa del Signore, ne chiedono l’adempimento, parlano di Cristo e dello Spirito Santo, ma non ricevono nulla. Ciò dipende dal fatto che non permettono che la loro vita sia guidata e controllata dalla potenza divina. Noi non possiamo servirci dello Spirito Santo; è lo Spirito che deve servirsi di noi. Grazie a lui Dio opera nel suo popolo. “Infatti é Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo”. Filippesi 2:13. Ma molti, invece di sottomettersi, vogliono guidare la propria vita e quindi non ricevono il dono divino. Lo Spirito viene concesso solo a coloro che con umiltà si sottomettono al Signore, che si lasciano guidare da lui e cercano la sua grazia. Bisogna che chiedano e sappiano accogliere la potenza di Dio. Questa benedizione promessa, richiesta per fede, assicura a sua volta tutte le altre benedizioni. Viene concessa nella misura della grazia di Cristo, che è pronto a elargire i suoi doni secondo le capacità di ogni uomo. {GN 515.4}

Gesù, in questo discorso rivolto ai discepoli, non alluse per nulla alle sue sofferenze e alla sua morte. Le sue ultime parole furono un messaggio di pace: “Vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti”. Giovanni 14:27. {GN 515.5}

Prima di lasciare la camera alta, il Salvatore cantò con i discepoli un inno di lode. La sua voce non intonò un canto triste, ma le note gioiose di un inno pasquale. “Lodate il Signore, voi nazioni tutte! Celebratelo, voi tutti i popoli! Poiché la sua bontà verso noi è grande, e la fedeltà del Signore dura per sempre. Alleluia”. Salmi 117:1, 2. {GN 515.6}

Dopo l’inno, uscirono. Passarono attraverso le strade affollate e si diressero verso il monte degli Ulivi. Procedevano lentamente, ognuno assorto nei propri pensieri. Appena iniziarono la salita, Gesù disse con tristezza: “Questa notte voi tutti avrete in me un’occasione di caduta; perché è scritto: Io percoterò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse”. Matteo 26:31. I discepoli rimasero stupiti e addolorati. Si ricordavano che nella sinagoga di Capernaum, quando Gesù aveva parlato di sé come del pane della vita, molti si erano scandalizzati e se ne erano andati; ma i dodici erano rimasti fedeli. Pietro allora, parlando anche a nome dei suoi fratelli, aveva dichiarato la sua fedeltà a Cristo. Il Salvatore aveva replicato: “Non ho io scelto voi dodici? Eppure, un di voi è un diavolo!” Giovanni 6:70. In occasione dell’ultima cena Gesù aveva detto che uno dei dodici lo avrebbe tradito e Pietro lo avrebbe rinnegato, ma ora le sue parole si riferivano a tutti. {GN 516.1}

Pietro protestò con veemenza: “Quand’anche tutti fossero scandalizzati, io però non lo sarò!” Marco 14:29. Poco prima aveva detto: “Darò la mia vita per te!” Giovanni 13:37. Gesù lo aveva avvisato che in quella notte stessa avrebbe rinnegato il suo Salvatore. In questo momento il Maestro ripete ancora: “In verità ti dico che tu, oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo abbia cantato due volte, mi rinnegherai tre volte. Ma egli diceva più fermamente ancora: Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò. Lo stesso dicevano pure tutti gli altri”. Marco 14:30, 31. Essi avevano tanta fiducia in se stessi che respinsero la ripetuta affermazione di colui che conosceva tutto. Non erano pronti per affrontare la prova, e solo al momento della tentazione si sarebbero resi conto della loro debolezza. {GN 516.2}

Quando Pietro disse che avrebbe seguito il suo Signore sino alla prigionia e alla morte, sapeva quello che diceva, ma non conosceva se stesso. Nel suo cuore vi erano ancora delle debolezze che solo in seguito si sarebbero manifestate. Pietro, non accorgendosi di quel pericolo, correva il rischio della condanna eterna. Vi erano in lui un egoismo e un’eccessiva fiducia in sé che avrebbero potuto travolgere perfino il suo amore per il Salvatore. Aveva manifestato molte debolezze, peccati non ancora vinti, un’insufficienza spirituale, un carattere non santificato e leggerezza nell’esporsi alla tentazione. Gesù lo esortava solennemente a esaminare il proprio animo. Pietro aveva bisogno di confidare meno in se stesso e più in Gesù. Se avesse accolto con umiltà quell’avvertimento, avrebbe chiesto al Pastore del gregge la sua protezione. Quando nel mar di Galilea era sul punto di affondare, gridò: “Signore, salvami!” Matteo 14:30. Gesù gli porse la mano. Se anche in questo momento si fosse affidato a Gesù, sarebbe stato soccorso. Ma Pietro pensò che il Maestro non avesse fiducia in lui, e questo gli dispiacque. Si sentì offeso e insistette ulteriormente nella sua presunzione. {GN 516.3}

Gesù prova simpatia e affetto per i suoi discepoli. Non può evitare loro la prova, ma non li lascia senza un conforto. Li assicura che romperà le catene della morte e che il suo amore si manifesterà sempre. “Ma dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea”. Matteo 26:32. Ancora prima che lo rinneghino viene accordata loro la certezza del perdono. Dopo la sua morte e la sua risurrezione, essi compresero di essere stati perdonati e amati da Gesù. {GN 517.1}

Gesù e i discepoli erano in cammino verso il Getsemani, un luogo tranquillo ai piedi del monte degli Ulivi dove spesso il Signore si era ritirato per la meditazione e la preghiera. Il Salvatore stava spiegando ai discepoli la sua missione nel mondo e la necessità di una loro comunione spirituale con lui. Per illustrare il suo insegnamento, richiamò la loro attenzione su una vite in fiore illuminata dalla luna. {GN 517.2}

“Io sono la vera vite”. Gesù raffigurò se stesso non con la bellissima palma, né con il cedro maestoso o la quercia robusta, ma con la vite e i suoi viticci intrecciati. La palma, il cedro e la quercia si elevano da soli, senza bisogno di sostegno. Ma la vite si appoggia su dei sostegni per arrampicarsi verso il cielo. Nello stesso modo Gesù, nella sua natura umana, dipendeva dalla potenza divina. Egli aveva dichiarato: “Io non posso far nulla da me stesso”. Giovanni 5:30. {GN 517.3}

“Io sono la vera vite”. Giovanni 15:1. Gli ebrei avevano sempre considerato la vite come la pianta più nobile, simbolo di tutto ciò che è possente, eccellente e fecondo. Israele era stato rappresentato come una vite piantata dal Signore nella terra promessa. Gli israeliti fondavano la speranza della loro salvezza sul fatto di appartenere al popolo eletto. Ma Gesù dice: “Io sono la vera vite”. Non pensate di poter partecipare alla vita divina e diventare eredi della promessa soltanto perché appartenete al popolo d’Israele. La vita spirituale si ottiene solo grazie a me. {GN 517.4}

“Io sono la vera vite, e il Padre mio è il vignaiuolo”. Giovanni 15:1. Il Padre aveva piantato la sua buona vite sulle colline della Palestina ed egli stesso ne era il vignaiolo. Molti erano stati attratti dalla bellezza di quella vite e ne avevano riconosciuto il carattere divino. Ma i capi d’Israele la considerarono come una radice che esce da un arido suolo: la strapparono, la spezzarono e la calpestarono con i loro piedi profani. Pensarono così di averla distrutta per sempre. Ma il vignaiolo non perse di vista la sua pianta. Riprese la vite che sembrava distrutta e la ripiantò dall’altra parte del muro. Il ceppo rimaneva nascosto e protetto dai violenti assalti degli uomini. Poi i tralci della vite si arrampicarono sul muro, a testimonianza della sua presenza. Grazie a loro si poteva essere innestati sulla vite. I tralci hanno portato frutto, e i passanti ne hanno beneficiato. {GN 517.5}

Gesù disse ai discepoli: “Io son la vite, voi siete i tralci”. Versetto 5. Sebbene fosse sul punto di lasciarli, i legami spirituali che li univano a lui sarebbero rimasti intatti. L’unione del tralcio con la vite rappresenta la comunione del credente con Cristo. Il ramo è innestato nella pianta e cresce sulla pianta, fibra con fibra. La vita della pianta diventa la vita del ramo. Così lo spirito, morto nei suoi errori e nei suoi peccati, riceve una nuova vita attraverso la comunione con Cristo, basata sulla fede in lui come Salvatore personale. Il peccatore, unendo la propria debolezza alla forza di Cristo, la propria insufficienza alla sua pienezza, la propria fragilità alla sua eterna potenza acquisisce il suo spirito. L’umanità di Cristo si unisce alla nostra umanità, e la nostra umanità si unisce alla sua divinità. In questo modo, attraverso l’opera dello Spirito Santo, l’uomo diventa partecipe della natura divina ed è accolto tramite il Figlio di Dio. {GN 518.1}

Non basta stabilire questa comunione con Cristo, bisogna anche preservarla. Gesù ha detto: “Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppur voi, se non dimorate in me”. Versetto 4. {GN 518.2}

Non si tratta di un’unione occasionale o di un collegamento lontano. Il ramo diventa parte vivente della vite; dalla radice ai rami si trasmettono senza interruzione la vita, la linfa e la capacità di portare frutto. Il tralcio non può vivere diviso dalla vite. Gesù ha detto che nessuno può vivere separato da lui. La vita ricevuta da lui può essere preservata soltanto mediante una comunione costante. Senza di lui non si può né vincere un solo peccato né resistere a una sola tentazione. {GN 518.3}

“Dimorate in me, e io dimorerò in voi”. Dimorare in Gesù significa ricevere costantemente il suo Spirito e consacrarsi al suo servizio. Vi deve essere un costante rapporto di comunione fra l’uomo e il suo Dio. Come il tralcio riceve continuamente la linfa dal tronco, così noi dobbiamo attingere da Gesù la fede, la forza e la perfezione del nostro carattere. {GN 518.4}

Come dalla radice la linfa arriva fino ai rami più lontani, così Cristo comunica forza spirituale a ogni credente. Finché il nostro spirito è unito a Cristo non c’è pericolo che appassisca e si inaridisca. La forza della vite si manifesta nei frutti rigogliosi. Gesù ha detto: “Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla”. Versetto 5. {GN 518.5}

Quando noi, per fede, viviamo in comunione con il Figlio di Dio, allora nella nostra vita si manifesteranno tutti i frutti dello Spirito. “Il Padre mio è il vignaiuolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto, Egli lo toglie via”. Un’unione solo apparente con la pianta non è un’unione vitale e sarà priva di crescita e di frutti. Possiamo anche stabilire un’unione superficiale con Cristo, senza una reale comunione con lui mediante la fede. Gli uomini entrano nella chiesa attraverso una professione di fede, ma la vera unione con Cristo si manifesta solo tramite il carattere e il comportamento. Se non portano frutto, sono rami inutili. La loro separazione da Cristo produce una rovina totale, come quella dei rami secchi. “Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano”. Versetto 6. “E ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più”. Versetto 2. Dei dodici che avevano seguito Gesù, uno, come un ramo secco, stava per essere gettato via; gli altri dovevano passare attraverso la prova della potatura. Gesù spiegò con tenerezza le intenzioni del vignaiolo. La potatura produce dolore, ma è il Padre che pota e lo fa con cura e affetto. I rami che strisciano sul terreno devono essere separati dagli appoggi su cui si sono abbarbicati, per volgersi verso il cielo e appoggiarsi a Dio. Il fogliame eccessivo che succhia la linfa di cui i frutti hanno bisogno, deve essere sfoltito, in modo da lasciare penetrare i raggi balsamici del Sole di giustizia. Il vignaiolo pota la crescita eccessiva per ottenere frutti più belli e più abbondanti. {GN 519.1}

Gesù ha detto: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto”. Versetto 8. Dio desidera manifestare tramite voi la santità, la benevolenza e la compassione del suo carattere. Il Salvatore non chiede ai suoi discepoli di compiere degli sforzi per portare frutto, ma si limita a invitarli ad affidarsi a lui. “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto”. Versetto 7. Cristo vive nei suoi discepoli tramite la Parola. Si tratta della stessa comunione vitale già rappresentata con l’immagine del mangiare la sua carne e bere il suo sangue. Le parole di Gesù sono spirito e vita. Quando le ricevete, ricevete la vita. Voi vivete “di ogni parola che procede dalla bocca di Dio”. Matteo 4:4. La vita di Cristo produce in voi gli stessi frutti che ha prodotto in lui. Vivendo in Cristo, essendo uniti e sostenuti da lui, traendo da lui il vostro nutrimento, porterete frutti simili ai suoi. {GN 519.2}

Il grande desiderio espresso da Gesù nell’ultimo incontro con i discepoli, era che potessero amarsi, come egli li aveva amati. Aveva insistito ripetutamente su questo soggetto. La prima raccomandazione che fece quando si trovò riunito con loro per l’ultima cena fu: “Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri”. Giovanni 13:34. {GN 520.1}

Questo comandamento era nuovo per i discepoli, perché essi non si erano ancora amati come Cristo li aveva amati. Dovevano avere nuove idee e nuovi impulsi per poter attuare quel nuovo comandamento. La vita e la morte di Gesù avrebbero offerto loro una nuova rivelazione di quell’amore. Il comandamento dell’amore ha ricevuto un nuovo significato dopo il sacrificio di Gesù. {GN 520.2}

L’opera della grazia è un servizio continuo che manifesta amore, abnegazione e sacrificio. Mentre era su questa terra, Gesù ha sempre espresso in maniera irresistibile l’amore di Dio. Tutti coloro che beneficiano della presenza del suo Spirito, amano come egli ha amato e infondono questo sentimento nelle loro relazioni reciproche. {GN 520.3}

Questo amore è la prova che sono veri discepoli. “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri”. Versetto 35. Quando gli uomini si uniscono, non per interesse ma per amore, dimostrano che opera in loro una potenza superiore a quella umana. L’esistenza di una tale unità è la prova che l’immagine di Dio è stata ristabilita negli uomini e che in essi è stato infuso un nuovo principio di vita; essa dimostra anche che la potenza divina può respingere gli agenti soprannaturali del male e la grazia di Dio ha conquistato le inclinazioni egoistiche del cuore naturale. {GN 520.4}

L’amore manifestato nella chiesa provocherà certamente l’ira di Satana; d’altra parte Gesù non ha promesso ai discepoli una vita facile. “Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; poiché non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, perciò il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detta: Il servo non è più grande del suo Signore. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo ve lo faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato”. Giovanni 15:18-21. {GN 520.5}

Il messaggio del Vangelo si diffonde tramite una lotta attiva, in mezzo ai contrasti, ai pericoli, alle sconfitte e alle sofferenze. Coloro che compiono quest’opera seguono l’esempio del loro Maestro. Come Redentore del mondo Gesù, apparentemente, ebbe solo insuccessi. Egli trasmetteva al mondo il messaggio della misericordia e sembrava che la sua opera di soccorso e salvezza procedesse con grande lentezza. {GN 520.6}

Gli influssi satanici agivano costantemente contro di lui, ma Gesù non si scoraggiò e poté ripetere con il profeta Isaia: “Invano ho faticato, inutilmente, per nulla ho consumato la mia forza; ma certo, il mio diritto è presso l’Eterno, e la mia ricompensa è presso all’Iddio mio”. A Gesù è stata fatta questa promessa: “Così parla il Signore, il Redentore, il Santo d’Israele, a colui che è disprezzato dagli uomini, detestato dalla nazione... farò di te l’alleanza del popolo, per rialzare il paese, per rimetterli in possesso delle eredità devastate, per dire ai prigioni: Uscite! e a quelli che sono nelle tenebre: Mostratevi! Essi pasceranno lungo le vie, e troveranno il loro pascolo su tutte le alture; non avranno fame né sete, né miraggio né sole li colpirà più; poiché colui che ha pietà di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua”. Isaia 49:7-10. {GN 521.1}

Gesù confidava in queste promesse e non concedette nulla a Satana. Negli ultimi momenti della sua umiliazione, quando il dolore più profondo gravava sul suo animo, disse ai discepoli: “Viene il principe di questo mondo. Egli non può nulla contro di me”. Giovanni 14:30. “Il principe di questo mondo è stato giudicato”. Giovanni 16:11. “Ora sarà cacciato fuori il principe di questo mondo”. Giovanni 12:31. {GN 521.2}

In un’ottica profetica Gesù tracciò le scene dell’ultimo grande conflitto. Sapeva che quando avrebbe esclamato: “È compiuto!”, il cielo intero avrebbe esultato. Udiva già le esclamazioni di vittoria del cielo trionfante. Sapeva che ben presto sarebbero risuonati i rintocchi funebri del regno di Satana e che il nome di Cristo sarebbe riecheggiato, di mondo in mondo, in tutto l’universo. {GN 521.3}

Gesù si rallegrava di poter fare per i suoi discepoli più di quello che essi fossero capaci di chiedere o pensare. Parlò con sicurezza perché sapeva che un piano era stato predisposto prima della creazione del mondo; sapeva che la verità, mediante la potenza dello Spirito Santo, sarebbe prevalsa sul male e che l’emblema del suo sacrifl-cio avrebbe sventolato vittorioso davanti ai suoi discepoli; sapeva che la loro vita sarebbe stata simile alla sua: una successione ininterrotta di vittorie, non pienamente visibili in terra, ma riconosciute come tali in cielo. {GN 521.4}

Gesù continuò: “Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi animo, io ho vinto il mondo”. Giovanni 16:33. Cristo non si è mai scoraggiato: i suoi discepoli devono avere la stessa fede e la stessa fermezza. Poiché dipendono da lui, che è il loro Maestro, devono vivere come egli è vissuto, lavorare come egli ha lavorato. Hanno bisogno di coraggio, forza e perseveranza per avanzare anche se ostacoli insormontabili sembrano sbarrare la loro strada, per superare le difficoltà, per sperare contro ogni speranza. Gesù li ha uniti al trono di Dio con la catena d’oro del suo amore inestinguibile. Egli offre loro la più grande forza dell’universo, quella che scaturisce dalla Fonte di ogni potenza. Per resistere al male, dispongono della potenza su cui né la terra, né la morte, né il male possono prevalere: potenza che li renderà capaci di vincere come Cristo ha vinto. {GN 521.5}

Cristo desidera che nella sua chiesa si eseguano gli ordini del cielo, si attuino i piani del governo divino e regni un’armonia perfetta. In questo modo egli è glorificato nel suo popolo; per mezzo dei credenti il Sole di giustizia brillerà sul mondo con grande splendore. Gesù ha elargito molti doni alla sua chiesa, affinché dal suo popolo, riscattato e redento, scaturiscano risultati gloriosi. Egli ha accordato benedizioni e doni al suo popolo, perché in esso si manifesti la sua pienezza. Sulla chiesa, rivestita della giustizia di Cristo, egli ha riversato le ricchezze della sua misericordia, della sua grazia e del suo amore, ricchezze che avranno una manifestazione Anale e completa. Gesù considera il suo popolo puro e perfetto come la ricompensa della sua umiliazione e il compimento della sua gloria; è lui, Cristo, il grande centro dal quale si irradia tutta la gloria. {GN 522.1}

Il Salvatore concluse i suoi insegnamenti con parole traboccanti di speranza. Poi riversò tutto il dolore che gravava sul suo spirito in una preghiera pronunciata in favore dei discepoli. Alzando gli occhi al cielo, disse: “Padre, l’ora è venuta; glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, giacché gli hai data autorità su ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dati. Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo”. Giovanni 17:1-3. {GN 522.2}

Gesù aveva concluso l’opera che gli era stata affidata. Aveva glorificato Dio sulla terra; aveva manifestato il nome del Padre; aveva riunito coloro che dovevano continuare la sua opera fra gli uomini. {GN 522.3}

E disse ancora: “E io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, quelli che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi... Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato... e che li ami come hai amato me”. Versetti 10, 11; 20-23. {GN 522.4}

Con queste parole, che manifestano l’impronta dell’autorità divina, Gesù affida al Padre i suoi eletti. Intercede per il suo popolo come Sommo Sacerdote. Il Pastore fedele, raccoglie il suo gregge all’ombra dell’Altissimo, al riparo, in un rifugio sicuro. Lo attende l’ultima battaglia con Satana ed egli si prepara ad affrontarla. {GN 523.1}



Capitolo 74: Gesù nel Getsemani

Seguito dai discepoli, Gesù si incamminò lentamente verso il giardino del Getsemani. Era il plenilunio di Pasqua e la luna risplendeva in un cielo limpido. L’accampamento dei pellegrini era immerso nel silenzio. {GN 524.1}

Gesù aveva avuto con i discepoli una conversazione animata; ma avvicinandosi al Getsemani era improvvisamente diventato silenzioso. Si era spesso recato in quel luogo per meditare e pregare, ma questa volta il suo cuore era affranto. Nella sua vita terrena aveva camminato alla luce della presenza di Dio. Quando doveva affrontare contrasti a causa di uomini posseduti dallo spirito di Satana, poteva dire: “E colui che mi ha mandato è con me; egli non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli piacciono”. Giovanni 8:29. Ma ora sembrava privo della consolante luce della presenza di Dio. Sembrava un trasgressore fra i trasgressori, e aveva su di sé il peso dell’umanità decaduta. Colui che non aveva conosciuto il peccato portava l’iniquità di tutti. Il peccato e il peso della colpa gli sembravano così terribili che temeva di essere per sempre privato dell’amore del Padre. Sentendo la grandezza dell’indignazione di Dio contro il peccatore, esclamò: “L’anima mia è oppressa da tristezza mortale”. Matteo 26:38. {GN 524.2}

Avvicinandosi al giardino, anche i discepoli avevano notato un cambiamento nel loro Maestro. Non lo avevano mai visto così triste e taciturno, ma non osavano chiedergliene il motivo. A mano a mano che andavano avanti, quella tristezza si faceva sempre più profonda, e Gesù vacillava come se fosse sul punto di cadere. Appena giunti nel giardino, i discepoli pensarono che il Maestro si sarebbe riposato nel solito luogo; ma egli faceva fatica a procedere, gemeva come se portasse un peso terribile. Per due volte i discepoli lo sostennero per evitare che cadesse a terra. {GN 524.3}

Gesù lasciò i suoi discepoli, a eccezione di tre, all’ingresso del giardino e raccomandò loro di pregare per se stessi e per lui. Si addentrò nell’interno accompagnato da Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre discepoli che gli erano più vicini. Avevano contemplato la sua gloria sul monte della trasfigurazione, avevano visto Mosè ed Elia che parlavano con lui, avevano udito la voce dal cielo e ora, nel momento della grande lotta, Gesù desiderava che gli fossero ancora vicini. Spesso avevano trascorso la notte con lui e, dopo aver vegliato e pregato, si addormentavano accanto al loro Maestro, pronti a tornare con lui al lavoro, il giorno seguente {GN 524.4}

Ma ora Gesù desiderava che passassero la notte con lui in preghiera, sebbene gli dispiacesse che assistessero alla sua agonia. {GN 525.1}

Disse loro: “Rimanete qui e vegliate con me”. Versetto 38. Si allontanò un po’, ma non così tanto che non lo potessero vedere e udire, e cadde a terra. Sentiva che il peccato lo separava dal Padre. Quell’abisso era così profondo, così oscuro e così immenso, che tutto il suo animo fremeva. Egli non si sarebbe servito della sua potenza divina per evitare quell’agonia, ma come uomo avrebbe sopportato le conseguenze del peccato e la collera di Dio contro la trasgressione. {GN 525.2}

Ora Gesù era in una posizione diversa rispetto al passato. La sua sofferenza è ben descritta dal profeta: “Insorgi, o spada, contro il mio pastore, contro l’uomo che mi è compagno! dice il Signore degli eserciti”. Zaccaria 13:7. Gesù, come sostituto e garante del peccatore, soffriva a causa della giustizia divina, e ne comprendeva il significato. Colui che nel futuro sarebbe stato l’intercessore degli uomini, ora sentiva il bisogno di un intercessore per sé. {GN 525.3}

Gesù si rendeva conto che la sua comunione con il Padre era interrotta, e temeva che la sua umanità non sarebbe stata capace di sopportare il conflitto imminente con le potenze delle tenebre. Al tempo della sua tentazione nel deserto, il destino della razza umana era stato in gioco, ma Cristo aveva vinto. Ora il tentatore si avvicina per l’ultima terribile battaglia, per la quale si era preparato durante i tre anni del suo ministero. Tutto era nuovamente in gioco. Se fosse stato ancora sconfitto, avrebbe perso per sempre la sua speranza di predominio, sarebbe stato annientato e scacciato, e il regno del mondo sarebbe passato definitivamente a Cristo. Ma se Cristo fosse stato vinto, allora la terra sarebbe diventata il regno di Satana e la razza umana sarebbe caduta per sempre nelle sue mani. Pensando alle terribili conseguenze di quel conflitto, Gesù temeva la separazione da Dio. Satana gli disse che se egli diventava garante per un mondo peccatore, questa separazione sarebbe stata eterna. Si sarebbe iden-tiflcato con il regno di Satana e non sarebbe più stato unito a Dio. {GN 525.4}

Che cosa avrebbe guadagnato Gesù con quel sacrificio? La colpa e l’ingratitudine degli uomini apparivano veramente irrimediabili. La situazione si profilava davanti al Salvatore nel suo aspetto più tetro. Quel popolo che si credeva superiore a tutti gli altri per il van taggio dei beni temporali e spirituali, lo aveva rifiutato, e cercava di distruggere colui che era il centro, il fondamento e il suggello delle promesse fatte loro come a un popolo particolare. Uno dei suoi discepoli, tra i più assidui e attivi, lo avrebbe tradito; un altro, fra i più zelanti, lo avrebbe rinnegato. Tutti lo avrebbero dimenticato. Gesù soffriva di fronte a queste prospettive. Lo tormentava il pensiero che coloro che aveva amato così tanto si sarebbero uniti alle trame di Satana. La lotta era terribile, per colpa della sua nazione, dei suoi accusatori, del suo traditore, e di un mondo immerso nel male. Il peccato degli uomini pesava sul Cristo; la consapevolezza dell’ira di Dio lo tormentava. {GN 525.5}

Cristo vedeva il prezzo per la salvezza dell’uomo. Nella sua agonia si afferrò al terreno, come temendo di essere strappato dal cospetto di Dio. Non avvertiva la fredda rugiada della notte che cadeva sul suo corpo prostrato. Dalle sue labbra esangui uscì l’amaro grido: “Padre mio, se possibile, passi oltre da me questo calice!” Tuttavia, aggiunse subito: “Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi”. Matteo 26:39. {GN 526.1}

Nella sofferenza si sente il bisogno di manifestazioni di simpatia. Gesù, angosciato, si accostò ai discepoli per ricevere parole di conforto da coloro che tante volte aveva benedetto, consolato e sostenuto nei momenti difficili. Colui che aveva sempre rivolto loro parole di simpatia, stava affrontando una tale agonia che aveva bisogno delle loro preghiere. Il peccato appariva in tutta la sua gravità ed era tentato di lasciare che la razza umana sopportasse le conseguenze delle proprie colpe, poiché egli era innocente davanti di Dio. Il fatto di sapere che i discepoli conoscevano e apprezzavano tutto ciò, avrebbe rappresentato per lui un grande incoraggiamento. {GN 526.2}

Si alzò, quindi con fatica si avvicinò al luogo dove aveva lasciato i discepoli e “li trovò addormentati”. Versetto 40. Avrebbe provato conforto se li avesse trovati in preghiera e se con fede avessero cercato aiuto da Dio per affrontare l’assalto degli agenti di Satana. Ma essi non avevano tenuto conto della sua ripetuta esortazione a vegliare e a pregare. Dapprima erano rimasti sorpresi perché il loro Maestro, sempre calmo e contenuto, era turbato da un incomprensibile dolore e avevano pregato nell’udire le sue grida di angoscia. Non volevano abbandonare il loro Maestro, ma si sentivano come paralizzati da un torpore dal quale avrebbero potuto liberarsi solo con una preghiera perseverante. Non comprendevano la necessità di vegliare e pregare con fervore per poter resistere alla tentazione. {GN 526.3}

Prima di dirigersi verso il giardino, Gesù aveva detto ai discepoli: “Questa notte voi tutti avrete in me un’occasione di caduta”. Versetto 31. {GN 526.4}

Essi avevano replicato con fermezza che lo avrebbero seguito anche in prigione e rischiato la morte. E Pietro, esprimendo la propria sufficienza, aveva aggiunto: “Quand’anche tutti fossero scandalizzati, io però non lo sarò”. Marco 14:29. Ma i discepoli confidavano troppo in se stessi e, respingendo i consigli di Gesù, non cercarono aiuto. E nel momento in cui il Salvatore aveva più bisogno della loro simpatia e delle loro preghiere, essi dormivano. Anche Pietro dormiva. {GN 527.1}

Giovanni, il discepolo prediletto, che si era appoggiato al petto di Gesù, dormiva anch’egli, mentre l’amore per il Maestro avrebbe dovuto tenerlo sveglio, per unire la sua preghiera a quella del Salvatore in quell’ora di grande sofferenza. Il Redentore aveva pregato per notti intere per i suoi discepoli affinché la loro fede non si affievolisse. Se Gesù avesse chiesto nuovamente a Giacomo e a Giovanni: “Potete voi bere il calice che io sto per bere?”, certamente non avrebbero osato rispondere ancora: “Sì, lo possiamo”. Matteo 20:22. {GN 527.2}

I discepoli si svegliarono quando Gesù li chiamò, ma lo riconobbero appena, tanto il suo volto era cambiato. Gesù disse a Pietro: “Simone!Dormi? Non sei stato capace di vegliare un’ora sola? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. Marco 14:37, 38. {GN 527.3}

Gesù sapeva che i discepoli erano deboli, e temeva che non riuscissero a sopportare la prova del tradimento e della morte. Non li rimproverò, ma disse loro: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione”. Perfino nel momento della suprema agonia comprese la loro debolezza e disse: “Ben lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. {GN 527.4}

II Figlio di Dio ricadde nella sua grande agonia e, debole ed esaurito, tornò sul luogo della lotta. Le sue sofferenze aumentarono sino allo spasimo, “e il suo sudore diventò come grosse gocce di sangue che cadevano in terra”. Luca 22:44. I cipressi e le palme erano i taciti testimoni di quell’angoscia. Dalle loro foglie scendevano gocce di rugiada sul suo corpo esausto, come se la natura piangesse con il suo Creatore che lottava solo contro le potenze delle tenebre. {GN 527.5}

Poco prima Gesù era stato saldo come un cedro possente contro l’uragano dell’opposizione. Volontà ostinate e cuori maligni e astuti avevano cercato inutilmente di metterlo in difficoltà e sopraffarlo: era rimasto incrollabile nella sua posizione di Figlio di Dio. Ma ora Gesù sembrava una canna sbattuta e piegata da una violenta tempesta. Si era incamminato come un conquistatore verso il compimento della sua opera, ottenendo a ogni passo delle vittorie sulle potenze delle tenebre. Aveva proclamato la sua unità con Dio come se fosse già nella gloria, aveva espresso con sicurezza le lodi di Dio, e aveva rivolto ai discepoli parole di incoraggiamento e tenerezza. Ma era giunta l’ora delle potenze delle tenebre, e in quella notte tranquilla dalle sue labbra non uscivano canti di trionfo ma espressioni di angoscia. Le parole del Salvatore giunsero sino alle orecchie sonnacchiose dei discepoli: “Padre mio, se non è possibile che questo calice passi oltre da me, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. Matteo 26:42. {GN 527.6}

Il primo impulso dei discepoli fu di andare da lui, ma egli aveva detto loro di aspettare là, vegliando e pregando. Quando Gesù tornò da loro, li trovò nuovamente addormentati. Sentiva ancora la necessità del sostegno dei suoi discepoli e delle loro parole di conforto per vincere le tenebre che lo circondavano, ma i loro occhi erano appesantiti “e non sapevano cosa rispondergli”. La sua presenza li svegliò; videro sul suo volto le macchie di sangue dell’agonia ed ebbero paura. Non riuscivano a comprendere la sua angoscia. “Tanto era disfatto il suo sembiante al punto da non sembrare più un uomo, e il suo aspetto da non sembrare più un figlio d’uomo”. Isaia 52:14. {GN 528.1}

Gesù tornò ancora nel suo luogo di preghiera e cadde prostrato, angosciato per l’orrore delle profonde tenebre. In quell’ora di prova, l’umanità del Figlio di Dio tremava. Non pregava per la fede dei suoi discepoli ma per sé, per il suo spirito tentato e agonizzante. Era venuto il momento terribile in cui si sarebbe deciso il destino del mondo. La sorte dell’umanità era in bilico, come su una bilancia. Gesù avrebbe potuto rifiutarsi di bere la coppa preparata per l’uomo colpevole. Poteva ancora farlo. Poteva tergersi le gocce di sangue dalla fronte e lasciare che gli uomini morissero per la loro malvagità. Poteva abbandonare i trasgressori ai loro peccati e tornarsene al Padre. Il Figlio di Dio avrebbe accettato l’amaro calice dell’umiliazione e dell’agonia? Quell’essere innocente avrebbe accondisceso a sopportare le conseguenze della maledizione del peccato per salvare i colpevoli? Dalle pallide labbra di Gesù uscirono queste parole: “Padre mio, se non è possibile che questo calice passi oltre da me, senza ch’io lo beva, sia fatta la tua volontà”. {GN 528.2}

Tre volte ripeté questa preghiera. Per tre volte l’umanità di Gesù esitò davanti all’ultimo e supremo sacrificio. Ma ecco delinearsi allo Spirito del Redentore del mondo la storia della razza umana: Egli vede i trasgressori della legge abbandonati a se stessi, destinati a perire; vede l’uomo in uno stato disperato; scorge la potenza del peccato e gli appaiono il dolore e i lamenti di un mondo condannato. La sua decisione è presa: salverà l’uomo a qualunque costo. Accetta il battesimo di sangue, perché con la sua morte milioni di esseri umani possano avere la vita eterna. Per salvare l’unica pecora perduta, il solo mondo caduto nel peccato, egli ha lasciato il cielo dove tutto è purezza, felicità e gloria; non rinuncerà alla sua missione e diventerà una vittima propiziatoria per una razza votata al peccato. La sua preghiera ora esprime solo sottomissione: “Se non è possibile che questo calice passi oltre da me, senza ch’io lo beva, sia fatta la tua volontà”. {GN 528.3}

Dopo questa decisione, cadde al suolo agonizzante. Non c’erano i discepoli per sollevare il capo del loro Maestro, per bagnarne la fronte angustiata dai più grandi tormenti mai sopportati da nessun uomo. Il Salvatore calcò l’uva nello strettoio da solo, senza che nessuno dei suoi fosse con lui. {GN 529.1}

Ma Dio soffrì con il Figlio. Gli angeli contemplarono l’agonia del Salvatore; lo videro circondato da legioni di demoni, in preda a un angoscioso e incomprensibile timore. C’era silenzio in cielo; nessun’ar-pa vibrava. Se gli uomini avessero potuto scorgere lo sbigottimento degli angeli mentre silenziosi osservavano il Padre che ritirava dal Figlio la sua luce, il suo amore e la sua gloria, avrebbero compreso meglio la gravità del peccato. {GN 529.2}

I mondi che non hanno conosciuto il peccato e gli angeli osservavano con grande interesse la conclusione del conflitto. Anche Satana e i suoi seguaci guardavano attentamente la grande lotta per la redenzione. Le potenze del bene e del male attendevano ansiosamente la risposta di Dio alla preghiera che Gesù aveva ripetuto tre volte. Gli angeli avrebbero voluto aiutare quell’essere divino che soffriva, ma non potevano. Nessuna via d’uscita si apriva per il Figlio di Dio. In quella tremenda crisi, quando ogni cosa era in gioco e il calice misterioso tremava nelle mani di Cristo sofferente, i cieli si aprirono, una luce squarciò quelle tenebre oscure e l’angelo possente che occupa, alla presenza di Dio, il posto di Satana prima della sua caduta, scese al fianco di Cristo. L’angelo non venne per togliere il calice della sua mano, ma per aiutarlo a berlo e per infondergli la certezza dell’amore del Padre. L’angelo venne a dare forza all’essere divino e umano che pregava. Indicò a Gesù i cieli aperti; gli parlò degli uomini salvati grazie alle sue sofferenze; gli ricordò che il Padre è più grande e più potente di Satana e che egli sarebbe stato pienamente sconfitto con la sua morte, che il regno di questo mondo sarebbe stato assegnato ai santi dell’Altissimo. Inoltre gli disse che avrebbe visto il frutto del tormento del suo spirito e ne sarebbe stato placato: la grande folla salvata per tutta l’eternità. {GN 529.3}

Cristo, nonostante l’agonia continuasse, ritrovò il coraggio. La tempesta che si era scatenata dentro di lui non si era affievolita, ma ora si sentiva più forte per affrontarne la furia. Ritrovò la calma e la fiducia, mentre la pace del cielo riposava sul suo volto insanguinato. Aveva sperimentato ciò che nessun essere umano avrebbe potuto sopportare; aveva assaporato per ogni uomo le sofferenze della morte. {GN 529.4}

I discepoli erano stati improvvisamente svegliati dalla luce che circondava il Salvatore, e avevano scorto un angelo accanto a lui. Videro l’angelo mentre sollevava il capo del Maestro e lo volgeva verso il cielo. Udirono la sua voce, simile a una musica dolcissima, che pronunciava parole di conforto e speranza. I discepoli ripensarono subito alla scena che avevano visto sul monte della trasfigurazione, si ricordarono della gloria che aveva circondato Gesù nel tempio e della voce di Dio che gli aveva parlato dalla nuvola. In quel momento si manifestava ancora la stessa gloria ed essi non ebbero più alcun timore per il loro Maestro. Sentirono che era sotto la protezione di Dio, il quale aveva mandato un angelo potente per proteggerlo. E i discepoli, stanchi, ricaddero nel torpore, e Gesù li trovò addormentati per la terza volta. {GN 530.1}

Li guardò rattristato e disse loro: “Dormite pure oramai, e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina, e il Figlio dell’uomo è dato nelle mani dei {GN 530.2}

peccatori”. Matteo 26:45. {GN 530.3}

Mentre diceva queste parole, udì lo scalpiccìo della plebaglia che lo cercava, e aggiunse: “Alzaatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce è vicino”. Versetto 46. {GN 530.4}

Dal volto di Gesù erano spariti i segni dell’agonia, ed egli si mosse per andare incontro a colui che lo tradiva. Si allontanò dai discepoli e chiese: “Chi cercate? Gli risposero: Gesù il Nazareno! Gesù disse loro: Io sono”. Giovanni 18:4, 5. Appena ebbe pronunciato queste parole, l’angelo che lo aveva soccorso si mise fra lui e la folla. Una luce divina illuminò il volto del Salvatore e una forma di colomba si delineò su lui. La folla sanguinaria non poté resistere neppure per un momento davanti a quella gloria divina. Tutti si ritrassero indietro; Pietro, sacerdoti, anziani, soldati, e perfino Giuda, caddero come morti al suolo. {GN 530.5}

L’angelo si ritirò e la luce sparì. Gesù avrebbe potuto allontanarsi, ma restò calmo e padrone di sé. Come un essere glorificato, si ergeva fra quella turba indurita che giaceva impotente ai suoi piedi. I discepoli guardavano attoniti e impauriti. {GN 530.6}

Rapidamente la scena mutò. La folla si alzò; i soldati romani, i sacerdoti e Giuda si raccolsero intorno a Gesù. Si vergognavano della loro debolezza e temevano che egli fuggisse. Di nuovo il Salvatore chiese loro: “Chi cercate?” Essi avevano avuto la prova che colui che stava davanti a loro era il Figlio di Dio, ma non volevano convincersene. Alla sua domanda risposero di nuovo: “Gesù il Nazareno!” {GN 530.7}

Gesù disse: “Vi ho detto che sono io; se dunque cercate me, lasciate andare questi”. Giovanni 18:8. Gesù si riferiva ai discepoli, perché sapeva che la loro fede era debole e voleva preservarli dalla tentazione e dalla prova. Era pronto a sacrificarsi per loro. {GN 531.1}

Giuda non si dimenticò del compito che doveva svolgere. Guidava la folla, e accanto a lui c’era il sommo sacerdote. A coloro che volevano arrestarlo aveva dato questo segnale: “Quello che bacerò, è lui; prendetelo”. Matteo 26:48. Fingendo di non aver niente a che fare con loro, si avvicinò; gli prese amichevolmente la mano e gli dette un lungo bacio dicendogli: “Ti saluto, Maestro!” Versetto 49. Simulava il pianto, come se simpatizzasse con il suo Maestro in pericolo. {GN 531.2}

Gesù gli chiese: “Amico, che cosa sei venuto a fare?” Versetto 50. La sua voce tremava di dolore quando aggiunse: “Giuda, tradisci il Figlio dell’uomo con un bacio?” Luca 22:48. Le parole di Gesù avrebbero dovuto risvegliare la coscienza di quel traditore e commuovere il suo cuore indurito, ma Giuda ormai non conosceva più né onore né fedeltà né tenerezza. Era là, fiero e sicuro di sé, per nulla disposto a cedere. Si era abbandonato completamente a Satana e non poteva più resistergli. Gesù non respinse il bacio del traditore. {GN 531.3}

La folla si fece baldanzosa quando vide che Giuda toccava colui che poco prima era stato glorificato davanti ai loro occhi. Si impadronirono di Gesù e legarono quelle mani preziose che erano state sempre impegnate a fare del bene. {GN 531.4}

I discepoli pensavano che il Salvatore non si sarebbe lasciato catturare, e che la stessa potenza che aveva fatto cadere a terra la folla come morta, l’avrebbe resa inoffensiva perché Gesù e i suoi potessero fuggire; perciò rimasero delusi e indignati quando videro che venivano legate le mani di colui che essi amavano. Pietro nella sua ira estrasse la spada e cercò di difendere il Maestro, ma riuscì solo a tagliare un orecchio del servitore del sommo sacerdote. Gesù intervenne, lo liberò dai soldati romani e disse: “Lasciate, basta!” Versetto 51. Toccò l’orecchio ferito che guarì immediatamente. Poi disse a Pietro: “Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, periranno di spada. Credi forse che io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni d’angeli?” Matteo 26:52, 53. Una legione al posto di ogni discepolo. I discepoli si chiedevano come mai egli non volesse salvare se stesso e loro. Rispondendo alla loro domanda inespressa, Gesù aggiunse: “Come dunque si adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che così avvenga?” Versetto 54. “Non berrò forse il calice che il Padre mi ha {GN 531.5}

dato?” Giovanni 18:11. {GN 532.1}

I capi del popolo avevano partecipato all’arresto di Gesù. Era un affare troppo importante per affidarlo a dei subordinati; questi astuti sacerdoti e anziani si erano uniti alle guardie del tempio e alla plebaglia che seguiva Giuda, fin nel Getsemani. Quale compagnia per quei dignitari: una turba avida di sensazioni, armata di bastoni come se andasse a caccia di una bestia feroce! {GN 532.2}

Gesù si volse verso i sacerdoti e gli anziani, li guardò attentamente e pronunciò delle parole che essi non avrebbero mai più dimenticato per tutta la vita: erano come i dardi affilati dell’Onnipotente. Gesù disse autorevolmente e dignitosamente: “Siete usciti con spade e bastoni, come contro un brigante! Mentre ero ogni giorno con voi nel tempio, non mi avete mai messo le mani addosso; ma questa è l’ora vostra, questa è la potenza delle tenebre”. Luca 22:52, 53. {GN 532.3}

I discepoli erano terrorizzati perché Gesù si era lasciato prendere e legare. Li offendeva il pensiero che una simile umiliazione fosse inflitta al Maestro e a loro stessi. Non riuscivano a capire il suo modo di fare e non approvavano la sua sottomissione alla folla che lo maltrattava. Indignati e terrorizzati, accettarono l’idea di Pietro di fuggire. “Allora tutti i discepoli, l’abbandonarono, e fuggirono”. Matteo 26:56. Gesù aveva predetto quel tradimento. “L’ora viene, anzi è venuta, che sarete dispersi, ciascuno per conto suo, e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me”. Giovanni 16:32. {GN 532.4}



Capitolo 75: Davanti ad Anna e Caiafa

Gesù fu spinto oltre il torrente Cedron, al di là dei giardini e degli uliveti, attraverso le strade deserte della città addormentata. Era mezzanotte passata e le grida della folla turbolenta turbavano il silenzio notturno. Il Salvatore, legato e sorvegliato, avanzava a fatica. Coloro che lo avevano arrestato lo condussero in fretta al palazzo di Anna, che era stato sommo sacerdote prima di Caiafa. {GN 533.1}

Anna era capo del corpo sacerdotale, e per la sua età veneranda il popolo lo considerava sempre come sommo sacerdote. I suoi consigli erano ricercati e seguiti come se fossero la voce stessa di Dio. Perciò si volle portare Gesù prima da lui, poiché era vittima dei complotti dei sacerdoti. Si voleva che Anna assistesse all’interrogatorio del prigioniero, per timore che Caiafa, meno abile, non riuscisse ad attuare i loro piani. L’abilità, l’astuzia e la sottigliezza di Anna erano necessarie per ottenere a ogni costo la condanna di Gesù. {GN 533.2}

Gesù doveva comparire davanti al sinedrio; prima però fu sottoposto a un giudizio preliminare in presenza di Anna. I romani avevano tolto al sinedrio la facoltà di eseguire le condanne a morte. Infatti le condanne capitali pronunciate dal sinedrio dovevano essere ratificate dall’autorità romana. Perciò era necessario trovare contro Gesù delle accuse che potessero essere ritenute valide dai romani, e altre che lo fossero dagli ebrei. Un buon numero di sacerdoti e anziani si erano convinti della verità dell’insegnamento di Gesù, ma non lo avevano confessato per timore di essere scacciati dalla sinagoga. I sacerdoti si ricordavano molto bene della domanda di Nicodemo: “La nostra legge giudica forse un uomo prima che sia stato udito e che si sappia quello che ha fatto?” Giovanni 7:51. Questa domanda era stata sufficiente, allora, per dividere il consiglio e sventare il piano che era stato architettato. {GN 533.3}

Ma ora Giuseppe di Arimatea e Nicodemo non sarebbero stati convocati. Certo, altri avrebbero ugualmente potuto parlare in difesa della giustizia, ma occorreva che tutti i membri del sinedrio si schierassero contro Gesù. I sacerdoti presentarono due accuse: bestemmia e sedizione. Con quella di bestemmia Gesù sarebbe stato condannato dagli ebrei, mentre con quella di sedizione sarebbe stato condannato dai romani. Anna cercò di dimostrare la validità della seconda accusa. Interrogò Gesù sui suoi discepoli e sulla sua dottrina, sperando di potersi servire di qualche sua risposta come pretesto di condanna. Si augurava che Gesù dicesse qualcosa da cui si potesse provare che voleva fondare una società segreta per stabilire un nuovo regno. Avrebbe potuto così consegnarlo ai romani con l’accusa di turbare la pace e fomentare la ribellione. {GN 533.4}

Gesù lesse l’intenzione dei sacerdoti come in un libro aperto, e dichiarò che nessun patto segreto lo legava ai discepoli e che non li riuniva di nascosto, nelle tenebre, per dissimulare le sue intenzioni. Il suo insegnamento era palese. “Io ho parlato apertamente al mondo; ho sempre insegnato nelle sinagoghe e nel tempio, dove tutti i giudei si radunano; e non ho detto nulla in segreto”. Giovanni 18:20. {GN 534.1}

Il Salvatore sottolineò la differenza tra il proprio modo di fare e i metodi dei suoi accusatori. Per lunghi mesi lo avevano spiato, cercando di farlo cadere in tranelli per poterlo accusare e ottenere con l’inganno quello che era impossibile per vie legittime. Ora erano sul punto di attuare il loro progetto. La cattura nel cuore della notte mediante la plebaglia, gli insulti e le violenze, prima di essere condannato o persino accusato: ecco il loro modo di comportarsi, ben diverso dal suo. Tutto il loro procedimento era contrario alla legge. I sacerdoti violavano le loro stesse leggi, secondo le quali ogni uomo doveva essere trattato come un innocente prima della condanna. {GN 534.2}

Gesù chiese al suo esaminatore: “Perché m’interroghi?” I sacerdoti e gli anziani non avevano forse inviato delle spie per sorvegliare i suoi movimenti e riferire ogni sua parola? Quegli uomini non erano forse stati presenti tutte le volte che la gente si era riunita e non avevano informato i sacerdoti sulle sue parole e sulle sue azioni? “Domanda a quelli che mi hanno udito, quello che ho detto loro; ecco, essi sanno le cose che ho dette”. Versetto 21. {GN 534.3}

Anna non ebbe nulla da replicare. Temeva che Gesù rivelasse qualcosa circa la sua maniera di procedere che avrebbe preferito tenere nascosto, e anche per questo tacque. Allora una delle guardie, adirata perché Anna taceva, diede uno schiaffo a Gesù, dicendogli: “Così rispondi al sommo sacerdote?” Versetto 22. {GN 534.4}

Gesù calmo replicò: “Se ho parlato male, dimostra il male che ho detto; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” Versetto 23. Gesù non espresse alcuna parola di condanna. La sua risposta tranquilla nasceva da un cuore senza peccato, benevolo, che non cedeva alla collera. {GN 534.5}

Gesù soffriva molto per i maltrattamenti e gli insulti. Nessuna offesa gli veniva risparmiata da coloro che aveva creato e per i quali stava per compiere un sacrificio infinito. Soffriva in proporzione alla sua santità e al suo odio per il peccato. Era per lui una pena continua essere giudicato da uomini che si comportavano da nemici e che erano dominati da Satana. Con la sua potenza divina avrebbe potuto annientare coloro che lo tormentavano così crudelmente; la sua prova diventava perciò sempre più penosa. {GN 535.1}

Gli ebrei attendevano un Messia che si manifestasse in maniera spettacolare e potesse mutare, con un atto di volontà, la mente degli uomini costringendoli a riconoscere la sua sovranità. Pensavano che si sarebbe innalzato sopra tutti, attuando così le loro ambiziose speranze. Essendo trattato con disprezzo, Gesù fu tentato di manifestare la sua divinità. Con una parola o con uno sguardo avrebbe potuto costringere i suoi persecutori a riconoscere che era il Signore dei re, dei governatori, dei sacerdoti e del tempio. Non gli era difficile mantenere la posizione che aveva scelto, identificandosi con l’umanità. {GN 535.2}

Gli angeli del cielo osservavano tutto quello che si faceva contro il loro amato condottiero e desideravano ardentemente liberarlo. Agli ordini di Dio essi sono onnipotenti; in una certa occasione, guidati da Cristo, costrinsero alla ritirata l’esercito assiro composto da centottantacinquemila uomini. Sarebbe stato facile, testimoni come erano delle scene vergognose del processo di Gesù, manifestare la propria indignazione consumando i nemici di Dio; ma non fu ordinato loro di farlo. {GN 535.3}

Colui che avrebbe potuto distruggere i suoi nemici, preferiva sopportarne la crudeltà. L’amore per il Padre e l’impegno già preso prima della fondazione del mondo in favore dei peccatori, lo inducevano ad accettare senza lamenti le volgari offese di coloro che era venuto a salvare. Sentiva che sopportare tutte le offese e tutti i maltrattamenti faceva parte della sua missione fra gli uomini. L’unica speranza di salvezza dell’umanità era riposta nella sua accettazione dei soprusi degli uomini. {GN 535.4}

Benché Gesù non avesse offerto alcun pretesto ai suoi accusatori, era stato legato come un colpevole. Occorreva almeno salvare le apparenze della giustizia e dare al processo una forma di legalità. Le autorità volevano affrettare i tempi e, sapendo che Gesù era stimato dal popolo, temevano che al diffondersi della notizia del suo arresto qualcuno tentasse di liberarlo. Inoltre, se il processo e l’esecuzione non fossero avvenuti subito, sarebbe stato necessario rinviarli di una settimana per via della Pasqua, e ciò avrebbe fatto correre il rischio di dover modificare i loro piani. Per condannare Gesù si contava soprattutto sui clamori della plebaglia a cui si mescolava la feccia di Gerusalemme. Un ritardo di una settimana avrebbe potuto calmare l’eccitazione e rendere possibile una reazione. La parte migliore del popolo avrebbe potuto schierarsi con Gesù e molti avrebbero avuto modo di far conoscere le potenti opere che aveva compiuto in loro favore. L’indignazione del popolo si sarebbe così riversata sul sinedrio e Gesù, rimesso in libertà, avrebbe ricevuto nuovi omaggi dalla folla. I sacerdoti e gli anziani decisero, prima che la notizia del loro piano si diffondesse, di consegnare Gesù ai romani. {GN 535.5}

Occorreva innanzi tutto trovare un capo d’accusa. Anna ordinò che Gesù fosse condotto da Caiafa. Costui apparteneva al partito dei sadducei, tra i quali si trovavano i più accaniti nemici di Gesù. Caia-fa, sebbene avesse un carattere debole, era duro, implacabile e senza scrupoli quanto Anna, e non avrebbe lasciato nulla di intentato pur di sopprimere Gesù. Era molto presto, ed era ancora buio, ma la turba armata condusse il suo prigioniero al palazzo del sommo sacerdote rischiarando la strada con torce e lanterne. Mentre i membri del sinedrio si radunavano, Anna e Caiafa interrogarono di nuovo Gesù, ma senza successo. {GN 536.1}

Caiafa presiedeva il tribunale. Accanto a lui c’erano i giudici e tutti coloro che si interessavano del processo; alcuni soldati romani erano di guardia intorno al palco, ai piedi del quale si trovava Gesù; tutti gli sguardi erano fissi su di lui. In mezzo all’agitazione generale, Gesù si manteneva calmo e sereno. L’atmosfera che lo circondava sembrava pervasa da un sacro influsso. {GN 536.2}

Caiafa considerava Gesù come un suo rivale; il sommo sacerdote era geloso per la prontezza con cui il popolo ascoltava quel Maestro e, almeno in apparenza, ne seguiva gli insegnamenti. Guardando quel prigioniero, Caiafa non poteva non ammirarne la dignità e la nobiltà, né sottrarsi alla convinzione che l’uomo che gli stava davanti era simile a Dio. Ma subito respinse con sdegno un simile pensiero e chiese a Gesù con tono beffardo e altero di compiere davanti ai giudici uno dei suoi potenti miracoli. Il Salvatore sembrò non udire quelle parole. I presenti si resero conto della grande differenza tra l’atteggiamento eccitato e maligno di Anna e Caiafa e quello dolce e solenne di Gesù. Perfino quella folla indurita si chiedeva se un uomo così, simile a Dio, dovesse essere condannato come un criminale. {GN 536.3}

Caiafa, sentendo che l’ascendente di Gesù sui presenti aumentava, affrettò il processo. I nemici di Gesù erano molto perplessi; erano decisi a condannarlo, ma non sapevano ancora come lo avrebbero fatto. I membri del sinedrio erano farisei e sadducei, e fra questi due partiti regnavano animosità e contrasti. Essi, per evitare controversie, non trattavano determinati argomenti. Gesù con poche parole avrebbe potuto metterli gli uni contro gli altri, distogliendoli dall’ira contro di lui. Caiafa era consapevole di ciò e voleva evitare una disputa. {GN 536.4}

Tanti testimoni avrebbero potuto dichiarare che Gesù aveva accusato gli scribi e i sacerdoti chiamandoli ipocriti e assassini, ma non era conveniente presentare queste testimonianze. I sadducei, nelle loro aspre polemiche, avevano usato un linguaggio simile contro i farisei. Inoltre, queste testimonianze non avrebbero avuto nessun valore per i romani che erano seccati per le pretese dei farisei. {GN 537.1}

Vi erano molte prove secondo cui Gesù aveva tenuto in poco conto le tradizioni giudaiche e aveva parlato con poco rispetto delle loro cerimonie. Ma senza contare che gli stessi farisei e sadducei avevano idee contrastanti sulla tradizione, un problema di questo genere non aveva alcun valore agli occhi dei romani. Non osavano accusarlo di trasgressione del sabato, per paura che un’inchiesta avrebbe potuto mettere in luce il carattere del suo ministero. La divulgazione delle sue guarigioni avrebbe potuto impedire la realizzazione dei piani dei sacerdoti. {GN 537.2}

Si erano comprati dei falsi testimoni perché accusassero Gesù di aver promosso tentativi di sedizione per stabilire un governo indipendente, ma furono costretti a ritirarsi perché durante l’interrogatorio caddero in contraddizione. {GN 537.3}

All’inizio del suo ministero Gesù aveva detto: “Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere”. Con quel linguaggio figurato, tipico dei profeti, aveva annunciato la sua morte e la sua risurrezione. “Ma egli parlava del tempio del suo corpo”. Giovanni 2:19, 21. Gli ebrei attribuirono a quelle parole un significato letterale e le applicarono al tempio di Gerusalemme. Era la sola dichiarazione di Gesù di cui i sacerdoti si potessero servire per accusarlo, e tentarono di farlo falsandone il significato. I romani si erano interessati della costruzione e dell’abbellimento del tempio; ne erano fieri, e si indignavano quando qualcuno lo disprezzava. Su questo si trovavano d’accordo romani ed ebrei, farisei e sadducei, perché tutti provavano per il tempio una grande venerazione. {GN 537.4}

Riuscirono a trovare due testimoni che non si contraddissero come i precedenti. Uno di loro, comprato per accusare Gesù, dichiarò: “Costui ha detto: Io posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”. Matteo 26:61. Le parole di Gesù venivano falsate, perché se fossero state riferite fedelmente non sarebbero apparse sufficienti per ottenere dal sinedrio una sentenza di condanna. Se Gesù, come pretendevano gli ebrei, fosse stato solo un uomo, una simile dichiarazione avrebbe manifestato una folle presunzione, senza essere però una bestemmia. Neanche così alterate quelle parole contenevano qualcosa che i romani potessero considerare come un crimine degno di morte. {GN 537.5}

Gesù ascoltò pazientemente questa falsa deposizione e non disse nulla in sua difesa. Alla fine i suoi accusatori, imbarazzati e confusi, si infuriarono. Il processo non andava avanti: pareva che i loro complotti fallissero. Caiafa, disperato, non sapendo più che cosa fare, ricorse all’estrema risorsa: spingere Gesù a condannare se stesso. Il sommo sacerdote si alzò dal suo seggio con il viso sconvolto dalla collera; dalla voce e dall’aspetto si vedeva che avrebbe voluto annientare quel prigioniero. Gli gridò: “Non rispondi tu nulla? Non senti quello che testimoniano costoro contro di te?” Versetto 62. {GN 538.1}

Gesù restò silenzioso: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l’agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca”. Isaia 53:7. {GN 538.2}

Infine Caiafa, alzando la mano destra verso il cielo, si rivolse a Gesù con questa formula solenne di giuramento: “Ti scongiuro per il Dio vivente di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. Matteo 26:63. {GN 538.3}

Gesù non poteva tacere a una simile domanda. Se c’è un tempo per tacere, c’è anche un tempo per parlare. Gesù non aveva risposto finché non era stato citato in giudizio direttamente. Sapeva che rispondere ora significava la morte sicura. Ma siccome questa domanda era posta dalla più alta autorità della nazione e veniva rivolta in nome dell’Altissimo, Gesù non volle mancare di rispetto alla legge. Inoltre, era in questione la sua relazione con il Padre, ed era invitato a manifestare chiaramente il suo carattere e la sua missione. {GN 538.4}

Gesù aveva insegnato ai discepoli: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli”. Matteo 10:32. Gesù volle in quella circostanza che il suo insegnamento venisse confermato dal suo esempio. {GN 538.5}

Tutte le orecchie erano tese, e tutti gli sguardi fissi sul suo volto mentre rispondeva “Tu l’hai detto”. Una luce divina parve rischiarare il suo pallido volto, mentre aggiungeva: “Anzi vi dico che da ora in poi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza, e venire sulle nuvole del cielo”. Matteo 26:64. {GN 538.6}

Per un attimo la divinità di Gesù si manifestò attraverso il suo aspetto umano. Il sommo sacerdote si sgomentò di fronte allo sguar do scrutatore del Salvatore. Pareva che quello sguardo leggesse i suoi pensieri e penetrasse nel suo cuore. Mai più Caiafa avrebbe dimenticato quello sguardo penetrante del Figlio di Dio perseguitato. {GN 538.7}

Gesù dichiarò: “Da ora innanzi vedrete il Figliuol dell’uomo sedere alla destra della Potenza, e venire su le nuvole del cielo”. Le parole di Gesù tracciavano una scena completamente rovesciata. In quel giorno il Signore della vita e della gloria sarà seduto alla destra di Dio, come Giudice di tutta la terra. Le sue sentenze saranno definitive. Tutti i segreti saranno portati alla luce da Dio, e ognuno verrà giudicato secondo le proprie opere. {GN 539.1}

Le parole di Gesù fecero fremere il sommo sacerdote. Tremava al pensiero della risurrezione e di un giudizio. Non gli piaceva l’idea di dover rendere conto di tutto il suo operato. Contemplò in rapida successione le scene del giudizio finale: vide le tombe che si aprivano e restituivano i loro morti, con i segreti che egli sperava invece nascosti per sempre. Temette per un istante di trovarsi davanti al Giudice eterno, che leggeva nella sua anima e svelava i segreti che egli voleva nascondere per l’eternità. {GN 539.2}

Ma questa scena sparì ben presto dalla sua mente. Come saddu-ceo, le parole di Gesù lo avevano punto nel vivo. Caiafa, respingendo la dottrina della risurrezione, del giudizio e della vita futura, fu preso da furore diabolico. Quest’uomo che stava davanti a lui come prigioniero, osava attaccare le sue teorie più care? Si strappò le vesti per fare impressione sul popolo e chiese che il prigioniero fosse subito condannato come bestemmiatore: “Egli ha bestemmiato; che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la sua bestemmia; che ve ne pare?” Versetto 65. Tutti furono d’accordo con lui. {GN 539.3}

Una convinzione mista di passione spinse Caiafa a compiere quel gesto. Egli era furibondo perché credeva nelle parole di Gesù; invece di accettare la verità e Gesù come Messia, si stracciò le vesti sacerdotali in segno di opposizione. Questo atto aveva un profondo significato, che Caiafa comprese solo in parte. Quell’azione compiuta per impressionare i giudici e indurli a condannare Gesù, in realtà condannava colui che l’aveva compiuta. In base alla legge di Dio si era squalificato per il sacerdozio e aveva pronunciato la propria condanna a morte. {GN 539.4}

Un sommo sacerdote, infatti, non doveva strapparsi le vesti. La legge levitica lo proibiva, pena la morte. Nessuna circostanza e nessuna occasione autorizzavano un sacerdote a strapparsi le vesti. Gli ebrei usavano strapparsi gli abiti alla morte dei loro amici, ma i sacerdoti non dovevano farlo. Cristo stesso aveva dato a Mosè un co mandamento esplicito a questo proposito. Cfr. Levitico 10:6. {GN 539.5}

Tutto quello che il sacerdote indossava doveva essere intatto e senza macchia. I suoi paramenti rappresentavano il carattere di Cristo. Dio non poteva accettare nulla che non fosse perfetto, nella veste e nella condotta, nelle parole e nello spirito. Dio è santo, e il servizio terreno doveva dare un’idea della sua gloria e della sua perfezione. La santità del servizio divino poteva essere rappresentata adeguatamente solo da qualcosa di perfetto. L’uomo può lacerare il proprio cuore per mostrare uno spirito umile e contrito; e Dio apprezza questo. Ma le vesti sacerdotali non dovevano essere strappate, perché ciò avrebbe falsato la rappresentazione delle realtà divine. Le vesti rotte del sommo sacerdote diventavano un simbolo del fatto che si interrompevano le sue relazioni con Dio. In questo modo cessava di essere un suo rappresentante e non poteva più essere accettato da Dio come un sacerdote officiante. L’atto di Caiafa era dunque il frutto della passione e dell’imperfezione. {GN 540.1}

Strappandosi le vesti, Caiafa violava la legge di Dio per seguire una tradizione umana. Una legge stabilita dagli uomini permetteva infatti al sacerdote che aveva udito una bestemmia di strapparsi in segno di orrore le vesti, senza commettere colpa. Le leggi umane in questo modo avevano sostituito la legge di Dio. {GN 540.2}

Il popolo seguiva con interesse ogni atto del sommo sacerdote, e Caiafa faceva sfoggio della sua pietà. Ma con quel suo gesto ingiuriava colui di cui Dio ha detto: “Il mio nome è in lui”. Esodo 23:21. Era proprio lui a rendersi colpevole di bestemmia. E nel momento in cui era oggetto della condanna divina, condannava Gesù come bestemmiatore. {GN 540.3}

Quando Caiafa si lacerò l’abito, senza volerlo annunciò quale sarebbe stata ormai la posizione della nazione ebraica davanti a Dio. Quel popolo, fino a quel momento eletto da Dio, si separava da lui e cessava di appartenergli. Quando Gesù sulla croce gridò: “È compiuto!” (Giovanni 19:30) e la cortina del tempio si strappò in due, il Signore annunciò che il popolo ebraico aveva respinto definitivamente colui che era stato prefigurato da tutti i loro tipi, colui che era la realtà di tutti i loro simboli. Israele si era ormai diviso per sempre da Dio. Caiafa poteva ben strapparsi la sua veste ufficiale, che lo indicava come il rappresentante del grande Sommo Sacerdote; quella veste ormai non aveva più alcun significato né per lui né per il suo popolo. Ormai il sommo sacerdote poteva davvero strapparsi la veste per manifestare il suo sgomento per se stesso e per tutto il popolo. {GN 540.4}

Il sinedrio aveva condannato Gesù a morte. Ma la legge ebraica non consentiva che qualcuno fosse giudicato di notte; un processo legale poteva avvenire solo di giorno e in una seduta plenaria del consiglio. Nonostante ciò, il Salvatore fu trattato come un criminale già condannato e abbandonato agli insulti e ai maltrattamenti della folla che con i soldati si era riunita nell’ampio cortile del palazzo del sommo sacerdote. Attraverso quel cortile Gesù fu condotto nelle stanze del corpo di guardia, e lungo il tragitto fu deriso per le sue pretese di essere Figlio di Dio. Venivano ripetute con sarcasmo le sue parole: “Vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della Potenza, e venire sulle nuvole del cielo”. Gesù, mentre aspettava il giudizio legale, non aveva alcuna protezione e la plebaglia, che aveva visto con quale crudeltà era stato trattato mentre si trovava nel consiglio, si scagliò contro di lui per sfogare tutti gli elementi diabolici della propria natura. La nobiltà di Gesù e il suo aspetto divino ne eccitavano ancora di più il furore. La sua dolcezza, la sua innocenza, la sua pazienza sublime riempivano quella folla di odio satanico. La misericordia e la giustizia non vennero tenute in alcun conto. Nessun criminale è stato mai trattato con tanta crudeltà quanto il Figlio di Dio. {GN 540.5}

Ma un dolore ancora più profondo straziava il cuore di Gesù, e non per opera di un nemico: mentre si trovava davanti a Caiafa, uno dei suoi discepoli lo rinnegava. {GN 541.1}

Dopo la fuga nel Getsemani, due dei suoi discepoli, Pietro e Giovanni, avevano osato seguire a una certa distanza la folla che trascinava Gesù. I sacerdoti conoscevano bene Giovanni come discepolo di Cristo, e lo fecero entrare nella sala, con la speranza che dopo aver visto l’umiliazione del Maestro non credesse più nella sua divinità. Tramite Giovanni poté entrare anche Pietro. {GN 541.2}

Siccome era l’ora più fredda della notte, quella che precede l’alba, nel cortile era stato acceso un fuoco; un gruppo di persone si scaldava intorno a quel fuoco, e Pietro ebbe il coraggio di accostarvi-si. Non voleva essere riconosciuto come discepolo di Gesù; unendosi alla folla con aria indifferente, sperava di essere scambiato con uno di coloro che avevano condotto Gesù nella sala. {GN 541.3}

Ma mentre la luce della fiamma illuminava il volto di Pietro, la portinaia lo scrutò con curiosità: lo aveva visto entrare con Giovanni e, avendone osservato il volto abbattuto, aveva pensato che fosse un discepolo di Gesù. La donna era al servizio di Caiafa e, volendo sapere qualcosa di più preciso, rivolse a Pietro questa domanda: “Non sei anche tu dei discepoli di quest’uomo?” Giovanni 18:17. Pietro cominciò a tremare e a confondersi. Subito gli occhi di tutti si fissarono su di lui. Sebbene egli assicurasse di non capire, la donna insisteva, dicendo ai presenti che quell’uomo era stato con Gesù. Allora Pietro rispose adirato: “Donna, non lo conosco”. Luca 22:57. Era il primo rinnegamento, e subito il gallo cantò. Pietro, ti vergogni già del tuo Maestro? Così presto rinneghi il tuo Signore? Giovanni, entrando nell’aula del tribunale, non cercò di nascondere il fatto che era discepolo di Gesù e non si unì alla gente triviale che insultava il suo Maestro. Non venne interrogato perché non aveva assunto un atteggiamento ambiguo e non aveva suscitato sospetti. Si era ritirato in un angolo dove poteva restare inosservato, per essere il più possibile vicino a Gesù. Di là poté vedere e udire tutto quello che accadde durante il processo. {GN 541.4}

Pietro non aveva voluto farsi riconoscere, e con la sua aria indifferente era sceso sul terreno del nemico, dove divenne facile preda della tentazione. Se avesse dovuto combattere per il Maestro, sarebbe stato un soldato coraggioso; ma si mostrò vile appena un dito sprezzante si puntò contro di lui. Molte persone, che son pronte a combattere per Gesù, rinnegano la loro fede appena diventano oggetto di scherno. Frequentando compagnie pericolose, ci si mette sulla strada della tentazione. Si invita il tentatore e si giunge a dire e a fare cose che non si sarebbero mai compiute in altre circostanze. Il discepolo di Gesù che ai nostri giorni dissimula la propria fede per timore delle sofferenze e della vergogna, rinnega il Maestro, come fece Pietro nel cortile del palazzo. {GN 542.1}

Pietro, benché manifestasse un atteggiamento indifferente, era profondamente afflitto per le ingiurie e i maltrattamenti a cui Gesù era sottoposto. Inoltre era sorpreso e irritato perché Gesù accettava la sua umiliazione e quella dei discepoli. Per nascondere meglio i suoi sentimenti, si era unito ai persecutori di Gesù. Ma il suo comportamento non era naturale perché non corrispondeva a quello che sentiva e, pur cercando di parlare con indifferenza, rivelava indignazione per gli insulti rivolti al Maestro. {GN 542.2}

Pietro fu indicato come discepolo di Gesù una seconda volta. Allora dichiarò con giuramento: “Non conosco quell’uomo”. Matteo 26:72. Gli venne offerta ancora un’occasione. Un’ora dopo, uno dei servi del sommo sacerdote, parente prossimo di colui al quale Pietro aveva tagliato l’orecchio, gli disse: “Non ti ho forse visto nel giardino con lui?” Giovanni 18:26. “Certo, anche tu sei di quelli, perché anche il tuo parlare ti fa riconoscere”. Matteo 26:73. {GN 542.3}

A quelle parole Pietro andò su tutte le furie. Siccome i discepoli di Gesù si distinguevano per la correttezza del loro linguaggio, Pietro, per ingannare coloro che lo interrogavano, cominciò a rinnegare il suo Maestro con maledizioni e giuramenti. In quel momento il gallo cantò ancora. Pietro lo udì e si ricordò delle parole del Salvatore: “Prima che il gallo abbia cantato due volte, mi rinnegherai tre volte”. Marco 14:30. {GN 542.4}

Mentre quei vergognosi giuramenti erano ancora sulle labbra di Pietro e il canto del gallo riecheggiava nelle sue orecchie, il Salvatore distolse lo sguardo dai suoi accusatori e guardò a lungo il povero discepolo. Gli occhi di Pietro si incontrarono con quelli del Maestro. Il discepolo vi lesse non la condanna, ma solo una pietà e un dolore profondi. {GN 543.1}

Quel viso pallido e sofferente, quelle labbra tremanti, quello sguardo di compassione e perdono, trafissero il cuore di Pietro. La sua coscienza si risvegliò, ed egli si ricordò che poche ore prima aveva promesso al Maestro di seguirlo in prigione e alla morte, e che si era offeso quando il Salvatore, nella camera alta, gli aveva detto che lo avrebbe rinnegato tre volte. Pietro aveva appena affermato di non conoscere Gesù, ma ora si rendeva conto che il Salvatore conosceva lui e leggeva con chiarezza nel suo cuore, in quel cuore del quale lo stesso Pietro non vedeva ancora tutta la falsità. {GN 543.2}

Molti ricordi si risvegliarono in lui. Ripensò alla tenera misericordia del Salvatore, alla sua bontà, alla sua generosità, alla sua pazienza verso i discepoli smarriti, e al suo avvertimento: “Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno”. Luca 22:31, 32. {GN 543.3}

Si rendeva conto, con sgomento, della sua ingratitudine, della sua falsità, del suo spergiuro. Guardò ancora il Maestro, mentre una mano sacrilega lo colpiva sul viso. Non potendo sopportare quella scena, si precipitò fuori con il cuore straziato. {GN 543.4}

Pietro avanzò nella solitudine e nelle tenebre senza sapere dove andare, e infine si ritrovò nel Getsemani. Gli tornò subito in mente la scena di poche ore prima. Rivide il viso sofferente del Signore, macchiato di sangue e sfigurato dall’angoscia. Si ricordò, straziato dal rimorso, che Gesù aveva pianto e lottato solo, in preghiera, mentre coloro che avrebbero dovuto stargli vicino si erano addormentati. Ricordò la solenne raccomandazione: “Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione”. Matteo 26:41. Rivide la scena del tribunale, e si sentì disperato per avere contributo ad accrescere l’umiliazione e il dolore del Salvatore. Nel luogo stesso in cui Gesù aveva affidato il suo spirito agonizzante davanti al Padre, Pietro cadde con il viso al suolo, invocando la morte. {GN 543.5}

Pietro aveva preparato la strada al suo grande peccato quando si era messo a dormire invece di vegliare e di pregare, trascurando la raccomandazione del Maestro. Tutti i discepoli, dormendo in quell’ora di crisi, persero una grande opportunità. Gesù sapeva che essi avrebbero dovuto affrontare una grande prova; sapeva anche che Satana voleva indebolire i loro sensi perché non fossero pronti per i momenti più difficili. Per questo li avvertì. Se i discepoli avessero vegliato e pregato, la fede di Pietro si sarebbe rafforzata e non avrebbe rinnegato il Maestro. Se i discepoli avessero vegliato con Gesù durante la sua agonia, sarebbero stati pronti per le sofferenze della croce. Avrebbero compreso, almeno in parte, la natura della sua angoscia; si sarebbero ricordati che aveva predetto le sue sofferenze, la sua morte e la sua risurrezione. In quell’ora di prova, qualche raggio di speranza avrebbe squarciato le tenebre e sostenuto la loro fede. {GN 543.6}

Appena si fece giorno, il sinedrio si radunò nuovamente e Gesù fu ricondotto nella sala del consiglio. Egli aveva dichiarato di essere il Figlio di Dio, e quelle sue parole erano diventate un capo d’accusa. Ma questo non era sufficiente per farlo condannare perché molti, assenti nella seduta notturna, non avevano udito quella sua dichiarazione. Inoltre si sapeva che il tribunale romano non avrebbe trovato in quell’imputazione nessun motivo di condanna a morte. Per conseguire il loro scopo, volevano che Gesù ripetesse la sua dichiarazione, così avrebbero potuto fare passare la sua pretesa messianicità come un tentativo di sedizione. {GN 544.1}

Chiesero a Gesù: “Se tu sei il Cristo, diccelo”. Ma Gesù tacque. Insistettero, ed egli rispose con tristezza: “Se ve lo dicessi, non credereste; e se io vi facessi delle domande, non rispondereste”. E perché non avessero scuse, aggiunse quest’avvertimento solenne: “Ma da ora in avanti il Figlio dell’uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio”. {GN 544.2}

“Sei tu, dunque, il Figlio di Dio?”, chiesero a una voce. “Egli rispose loro: ‘Voi stessi dite che io lo sono’. E quelli dissero: ‘Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? Lo abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca’”. Luca 22:70-71. {GN 544.3}

Condannato per la terza volta dalle autorità ebraiche, Gesù doveva morire. Non restava che una sola cosa: ottenere dai romani la ratifica della sentenza e consegnare Gesù nelle loro mani. {GN 544.4}

Seguì una terza scena di maltrattamenti e derisioni, peggiore di quella che Gesù aveva subìto da parte di una plebaglia ignorante. Ciò avvenne in presenza degli stessi sacerdoti e rettori, e con la loro approvazione: essi erano ormai privi di qualsiasi sentimento di pietà e umanità. Se le loro argomentazioni erano deboli e se non erano riusciti a imporgli il silenzio, disponevano ancora di altre armi, quelle che sono state usate in ogni tempo per far tacere gli eretici: la sofferenza, la violenza e la morte. {GN 544.5}

Quando i giudici pronunciarono la condanna di Gesù, un furore satanico si impadronì della folla. Le loro grida erano simili a quelle di animali selvaggi. La plebaglia si precipitò verso Gesù gridando: “È colpevole, sia messo a morte!” Senza l’intervento dei soldati romani, Gesù non sarebbe vissuto abbastanza per esser inchiodato sulla croce, ma sarebbe stato fatto a pezzi in presenza dei suoi giudici. Le autorità romane si opposero con la forza alla violenza della plebaglia. {GN 545.1}

Quei pagani erano indignati per la violenza usata contro qualcuno la cui colpevolezza non era stata ancora provata. Gli ufficiali romani affermarono che gli ebrei, condannando Gesù, infrangevano l’autorità romana, e che condannare qualcuno a morte sulla base della sua sola testimonianza era perfino contrario alla legge ebraica. Quell’intervento rallentò per un momento la procedura; ma i capi del popolo erano ormai insensibili sia alla pietà sia alla vergogna. {GN 545.2}

I sacerdoti e i capi, dimenticando la dignità del proprio ruolo, rivolsero contro il Figlio di Dio gli epiteti più offensivi. Si beffavano della sua parentela e dicevano che la sua presunzione di essere il Messia meritava la morte più vergognosa. Gli uomini più corrotti inflissero al Salvatore maltrattamenti obbrobriosi: gettarono sul suo capo un vecchio abito e lo colpirono al viso dicendo: “O Cristo profeta, indovina! Chi t’ha percosso?” Matteo 26:68. Quando gli fu tolto l’abito, un miserabile gli sputò in viso. {GN 545.3}

Gli angeli di Dio registravano fedelmente ogni sguardo, ogni parola e ogni atto ingiurioso di cui il loro condottiero era vittima. Un giorno quei vili schernitori che hanno sputato sul volto sereno e pallido di Cristo lo vedranno nella sua gloria, più splendida di quella del sole. {GN 545.4}



Capitolo 76: Giuda

La storia di Giuda illustra la triste conclusione di una vita che avrebbe potuto essere gloriosa agli occhi del Signore. Se Giuda fosse morto prima dell’ultimo viaggio a Gerusalemme, avrebbe occupato un posto molto importante fra i dodici e la sua scomparsa avrebbe lasciato un gran vuoto. L’infamia che attraverso i secoli è rimasta legata al suo nome dipende da quello che egli fece verso la fine della sua vita. Ma il suo carattere è stato manifestato al mondo per servire come avvertimento a tutti coloro che, come lui, avrebbero tradito la loro sacra missione. {GN 546.1}

Poco prima della Pasqua, Giuda aveva preso altri accordi con i sacerdoti per consegnare Gesù nelle loro mani. Fu deciso di catturare il Salvatore nel luogo in cui era solito ritirarsi per pregare. Dopo il banchetto in casa di Simone, Giuda aveva avuto la possibilità di riflettere su ciò che stava per compiere, ma continuò a pensare al suo progetto. Per trenta sicli d’argento, il costo di uno schiavo, vendette il Signore della gloria votandolo alla vergogna e alla morte. {GN 546.2}

Per natura Giuda era molto attaccato al denaro, ma non era stato mai così corrotto da commettere un’azione come quella che aveva progettato; egli aveva così tanto coltivato l’avarizia da farne la regola dominante della sua vita e l’amore per il denaro era prevalso sull’amore per Gesù. Lasciandosi dominare da questo vizio, divenne succube di Satana, fino a cadere nel peccato più grave. {GN 546.3}

Giuda si era unito ai discepoli quando la folla andava dietro a Gesù, e si commuoveva ascoltando i suoi insegnamenti nella sinagoga, lungo il mare, sulla montagna. Giuda aveva visto ammalati, zoppi e ciechi accorrere a frotte a Gesù dalle città e dai villaggi; aveva visto dei morenti portati ai suoi piedi; era stato testimone delle potenti opere di Gesù quando guariva i malati, cacciava i demoni, risuscitava i morti. Aveva sentito dentro di sé gli effetti della potenza di Cristo, riconosciuto che quegli insegnamenti erano superiori a tutti quelli che aveva udito. Aveva amato quel grande Maestro e desiderato unirsi a lui. Sperando di cambiare la propria vita e il proprio carattere, aveva seguito Gesù. Il Salvatore non respinse Giuda ma lo accolse tra i dodici. Affidò anche a lui il compito di annunciare il messaggio del Vangelo e gli concesse il potere di guarire i malati e cacciare i demoni. Ma Giuda non si consacrò mai completamente a Gesù e non rinunciò alle sue ambizioni mondane e all’amore per il denaro. Pur accettando di essere un discepolo di Cristo, non si lasciò modellare secondo quell’esempio divino. Coltivando la disposizione alla critica e all’accusa, ritenne di poter conservare il proprio giudizio e le proprie idee. {GN 546.4}

Giuda era molto stimato dai discepoli, su cui esercitava un forte influsso. Aveva un’alta opinione delle proprie capacità e considerava gli altri inferiori a lui nella capacità di valutazione e nell’abilità. Pensava che essi non sarebbero riusciti a cogliere le occasioni giuste e a trarne profitto, e che la chiesa non sarebbe mai giunta alla prosperità avendo come capi degli uomini dalla visione limitata. Pietro era impulsivo e avrebbe agito sconsideratamente; Giovanni, che ascoltava attentamente le parole di Gesù, era considerato da Giuda come un cattivo amministratore; Matteo, che aveva imparato dalla sua professione a essere preciso in tutto, era molto scrupoloso nell’onestà, ascoltava rapito le parole di Gesù e, secondo il giudizio di Giuda, era così assorbito da tutte queste cose che non gli si poteva affidare nessun compito difficile e di ampia portata. Giuda giudicava tutti i discepoli in questo modo e pensava che la chiesa si sarebbe trovata in difficoltà senza le sue doti di amministratore. Egli, invece, pensava di essere un uomo capace e insostituibile, e che la sua presenza fosse un motivo di onore per l’opera di Dio. {GN 547.1}

Ma Giuda non si rendeva conto della debolezza del suo carattere; per questo motivo Gesù gli affidò un compito che gli avrebbe offerto l’occasione di conoscersi meglio e correggere i suoi difetti. Come amministratore doveva preoccuparsi delle necessità di quel piccolo gruppo e aiutare i poveri quando occorreva. In occasione della cena pasquale, quando Gesù gli aveva detto: “Quel che fai, fallo presto” (Giovanni 13:27), i discepoli pensarono che gli fosse stato dato l’ordine di comprare l’occorrente per la festa, oppure di dare qualcosa ai poveri. {GN 547.2}

Lavorando al servizio degli altri, Giuda avrebbe potuto sviluppare uno spirito di altruismo. Ma pur ascoltando ogni giorno gli insegnamenti di Gesù e osservando la sua vita disinteressata, sviluppò la propria avidità. Le piccole somme di denaro che passavano fra le sue mani erano per lui una continua tentazione. Spesso, quando rendeva un piccolo servizio a Gesù o dedicava del tempo a qualche attività religiosa, si retribuiva attingendo a quegli scarsi fondi. Ricorreva a dei pretesti per scusare queste sue azioni, ma agli occhi di Dio era un ladro. {GN 547.3}

Scandalizzato nell’udire Cristo ripetere spesso che il suo regno non era di questo mondo, Giuda aveva escogitato un piano secondo il quale Gesù avrebbe dovuto agire. Secondo lui, Giovanni il battista avrebbe dovuto essere liberato dalla prigione. Ma Giovanni era stato decapitato. E Gesù, invece di dimostrare i suoi diritti regali vendicando la morte di Giovanni, si era ritirato con i discepoli in un luogo solitario. Giuda si vantava di avere un atteggiamento più aggressivo e pensava che se Gesù non avesse impedito ai discepoli di attuare i loro piani, l’opera avrebbe avuto più successo. {GN 548.1}

Vide che l’odio dei capi del popolo cresceva, e si meravigliò che Gesù non li accontentasse quand’essi gli chiesero un segno dal cielo. Il suo cuore cedeva all’incredulità, e l’avversario gli suggeriva pensieri di critica e di ribellione. Perché Gesù si soffermava così tanto su ciò che scoraggiava? Perché prediceva prove e persecuzioni per se stesso e per i discepoli? Giuda aveva abbracciato la causa di Gesù sperando di occupare un posto importante nel suo regno. Le sue speranze sarebbero state deluse? Giuda non aveva ancora respinto l’idea che Gesù fosse il Figlio di Dio, ma discuteva e cercava di trovare una spiegazione alle sue opere potenti. {GN 548.2}

Nonostante l’insegnamento del Salvatore, Giuda coltivava sempre l’idea che egli avrebbe regnato in Gerusalemme. Quando Gesù sfamò cinquemila persone, Giuda pensò che fosse giunto il momento di attuare quel progetto. Avendo partecipato alla distribuzione del pane alla folla affamata, anch’egli ebbe il privilegio di vedere il bene che poteva fare agli altri, e in quell’occasione sentì la soddisfazione che si prova al servizio di Dio. Aveva aiutato i malati e i sofferenti, che si trovavano tra la folla, ad avvicinarsi a Gesù. Vide il sollievo, la gioia e la felicità sui volti di coloro che beneficiavano della potenza guaritrice di Gesù. Avrebbe potuto comprendere i metodi di Cristo, ma i suoi desideri egoistici lo accecavano. Giuda fu il primo a pensare di trarre vantaggio dall’entusiasmo suscitato dal miracolo della moltiplicazione dei pani. Fu lui a lanciare il progetto di rapire Gesù e proclamarlo re. Si accesero in lui grandi speranze che poi si trasformarono in amare delusioni. {GN 548.3}

Il discorso di Gesù nella sinagoga sul pane della vita fu decisivo nella storia di Giuda. Egli udì le parole: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi”. Giovanni 6:53. Comprese che Gesù offriva beni spirituali e non terreni. Considerandosi intelligente, gli parve di capire che Gesù non avrebbe ricevuto onori e quindi non avrebbe concesso incarichi importanti ai suoi discepoli. Decise allora di non unirsi strettamente a Gesù in modo da non potersene più separare. Decise di vegliare e lo fece. {GN 548.4}

Da allora Giuda cominciò a esprimere dei dubbi che lasciavano perplessi gli altri discepoli. Provocava discussioni ed eccitava gli animi, ripetendo gli argomenti degli scribi e dei farisei contro le dichiarazioni di Gesù. Considerò come prova contro la veridicità di queste affermazioni tutti i turbamenti, le prove e le difficoltà piccole e grandi che ostacolavano il progresso del Vangelo. {GN 549.1}

Citava i testi delle Scritture che non avevano nessuna relazione con le verità insegnate da Gesù. Quei testi, staccati dal contesto, rendevano perplessi gli altri discepoli e lo scoraggiamento cresceva. Giuda si comportava così per dimostrare la sua scrupolosità. Gli altri discepoli cercavano ogni prova per confermare le parole del loro grande Maestro, mentre Giuda faceva di tutto per condurli, sia pure impercettibilmente, su un’altra strada. Con un atteggiamento religioso e apparentemente saggio, falsava le dichiarazioni di Gesù, attribuendo loro un significato diverso. I suoi suggerimenti miravano a suscitare desideri ambiziosi di affermazione terrena, distraendo i discepoli dalle realtà importanti che avrebbero dovuto prendere in considerazione. Era stato Giuda a iniziare la discussione su chi di loro dovesse essere considerato il maggiore. {GN 549.2}

Quando Gesù presentò al giovane ricco le condizioni per essere suo discepolo, Giuda ne provò dispiacere. Pensò che Gesù avesse sbagliato; se degli uomini come quel capo si fossero uniti ai credenti, avrebbero potuto offrire un contributo positivo all’opera di Cristo. Giuda si riteneva in grado di dare ottimi consigli per il progresso di quella piccola comunità. È vero che talvolta i suoi princìpi e i suoi metodi differivano da quelli di Gesù, ma egli credeva che i suoi fossero migliori. {GN 549.3}

Giuda non era d’accordo con tutto ciò che Gesù diceva ai discepoli, e per colpa sua si stava diffondendo uno spirito di discordia. I discepoli non vedevano il vero autore di tutto questo, ma Gesù sapeva che Giuda era uno strumento di Satana per indurre in tentazione gli altri discepoli. Già un anno prima del tradimento Gesù aveva detto: “Non ho io scelto voi dodici? Eppure, uno di voi è un diavolo”. Giovanni 6:70. {GN 549.4}

Tuttavia Giuda non opponeva un’aperta critica alle lezioni del Salvatore e non le metteva in dubbio. Solo alla festa in casa di Simone egli espresse chiaramente, per la prima volta, la sua avarizia, quando Maria unse i piedi del Salvatore. Di fronte al rimprovero di Gesù manifestò la sua vera natura. Ferito nel suo orgoglio, provò il desiderio della vendetta, e l’avidità a lungo accarezzata prevalse in lui. Fece l’esperienza di tutti coloro che cedono al peccato. Le incli nazioni malvagie non superate inducono a cedere alle tentazioni di Satana, e l’anima diventa succube della sua volontà. {GN 549.5}

Ma l’animo di Giuda non era ancora completamente indurito. Sebbene si fosse già impegnato per due volte a tradire il Salvatore, aveva ancora la possibilità di pentirsi. Nella cena della Pasqua, Gesù dimostrò ulteriormente la sua divinità rivelando le intenzioni del traditore. Nel suo ministero in favore dei discepoli, Gesù non escluse Giuda; ma quell’ultimo appello d’amore rimase senza risposta. In questo modo si decise il destino di Giuda, e i piedi che Gesù aveva lavato uscirono per tradirlo. {GN 550.1}

Giuda riteneva che se Gesù doveva essere crocifisso, quell’evento sarebbe successo; il suo tradimento non avrebbe cambiato il corso degli eventi. Se invece Gesù non doveva morire, allora quel tradimento lo avrebbe obbligato a liberare se stesso. In ogni caso Giuda avrebbe guadagnato qualcosa con il suo gesto. Riteneva quindi di non sbagliare tradendo il Maestro. {GN 550.2}

Giuda, in realtà, non credeva che Gesù si sarebbe lasciato arrestare. Voleva che il Maestro imparasse una lezione e lo trattasse poi con maggiore rispetto. Non sapeva che in questo modo avrebbe contribuito a far morire Gesù. Tante volte, con i suoi insegnamenti illustrati nelle parabole, Gesù aveva messo in difficoltà scribi e farisei, e li aveva costretti a pronunciare dei giudizi che si erano ritorti contro di loro. Diverse volte, quando la verità era stata presentata con chiarezza, si erano arrabbiati e gli avevano lanciato delle pietre per ucciderlo, ma Gesù era sempre riuscito a sfuggire. Giuda pensava che anche questa volta Gesù non avrebbe permesso che lo catturassero. {GN 550.3}

Voleva fare in modo che se Gesù era realmente il Messia, il popolo, per il quale aveva fatto così tanto, si schierasse dalla sua parte e lo proclamasse re. Questo fatto avrebbe indotto molti, sino a quel momento incerti, a decidersi, ed egli avrebbe avuto il merito di aver posto il Maestro sul trono di Davide. Quell’atto gli avrebbe assicurato il posto d’onore, accanto a Gesù, nel nuovo regno. {GN 550.4}

Quel falso discepolo svolse la sua parte: tradì Gesù. Quando nel giardino disse ai capi della folla: “Quello che bacerò, è lui; prendetelo” (Matteo 26:48), era pienamente convinto che Gesù sarebbe sfuggito alla cattura. Se poi lo avessero rimproverato della sua fuga, Giuda avrebbe sempre potuto rispondere di avere detto loro di prenderlo. {GN 550.5}

Ma alle sue parole Gesù fu preso e legato. Sbalordito, vide il Salvatore che si lasciava condurre via. Ansioso, lo seguì dal giardino sino al tribunale, dove fu condotto davanti ai capi del popolo. Si aspettava da un momento all’altro che sbalordisse i suoi nemici, manifestan dosi come il Figlio di Dio e sventando tutti i loro complotti. Ma via via che passavano le ore, vedendo che Gesù sottostava a tutte le loro violenze, fu preso dal terribile presentimento di aver consegnato il suo Maestro per una morte sicura. {GN 550.6}

Mentre il processo stava per concludersi, Giuda non poté più sopportare la tortura della sua coscienza accusatrice. All’improvviso, una voce rauca echeggiò nella sala e riempì di terrore tutti i cuori: “Egli è innocente, risparmialo, Caiafa!” {GN 551.1}

Si vide l’alta figura di Giuda muoversi tra la folla impaurita. Il suo volto era pallido e stravolto, grandi gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Si spinse fino al seggio del giudice e gettò davanti al sommo sacerdote le monete d’argento, prezzo del tradimento del Signore. Afferrò con forza la ricca veste di Caiafa e lo supplicò di liberare Gesù dicendo che non aveva fatto nulla che fosse degno di morte. Caiafa, sebbene confuso ed esitante, lo respinse adirato. Così si manifestò apertamente la perfidia dei sacerdoti. Era evidente che avevano indotto il discepolo a tradire il suo Maestro. {GN 551.2}

Giuda gridò ancora: “Ho peccato, tradendo il sangue innocente”. Ma il sacerdote, dopo essersi ripreso, gli rispose con disprezzo: “Che c’importa? Pensaci tu”. Matteo 27:4. I sacerdoti erano stati ben contenti di servirsi di Giuda, ma ne avevano disprezzato la viltà. E quando tornò da loro per confessare il suo errore, lo respinsero. {GN 551.3}

Giuda si gettò ai piedi di Gesù, lo riconobbe come Figlio di Dio e lo supplicò di liberarsi. Il Salvatore non rivolse nessuna parola di rimprovero a colui che lo aveva tradito. Sapeva che Giuda non era veramente pentito. La sua confessione era dettata dalla paura per la prospettiva del giudizio e non per il dolore di aver tradito l’innocente Figlio di Dio e aver rinnegato il Santo d’Israele. Tuttavia Gesù non pronunciò nessuna parola di condanna. Guardò Giuda con compassione e disse che era venuto al mondo per vivere quell’esperienza. {GN 551.4}

Fra i presenti ci fu un mormorio di sorpresa. Tutti si stupirono per la pazienza di Gesù nei confronti di colui che lo aveva tradito. Ancora una volta si diffuse la convinzione di trovarsi di fronte a qualcuno che era più che un uomo; si chiedevano come mai, se era il Figlio di Dio, non si liberava e non trionfava sui suoi accusatori. {GN 551.5}

Giuda, vedendo che le sue suppliche erano inutili, si precipitò fuori della sala gridando: È troppo tardi! È troppo tardi! Sentì che non avrebbe potuto resistere alla vista di Gesù crocifisso e, in preda alla disperazione, andò a impiccarsi. {GN 551.6}

Più tardi, in quella stessa giornata, sulla strada che conduceva dal palazzo di Pilato al Calvario, le grida e le beffe di quella folla che accompagnava Gesù alla crocifissione si interruppero. In un luogo appartato, ai piedi di un albero secco, c’era il corpo di Giuda. Era uno spettacolo ripugnante. Il peso del suo corpo aveva spezzato la corda con la quale si era impiccato. Precipitando, il corpo si era orribilmente lacerato e dei cani lo stavano divorando. I suoi resti vennero subito sepolti; gli schernitori si placarono e il pallore di molti volti rivelò i loro pensieri. Sembrava che il giudizio iniziasse già a colpire coloro che erano responsabili della morte di Gesù. {GN 551.7}



Capitolo 77: Davanti a Pilato

Gesù, legato come un prigioniero e circondato da numerosi soldati, fu condotto nella sala del tribunale di Pilato, il governatore romano, che si riempì di spettatori. Davanti all’ingresso attendevano i membri del sinedrio, i sacerdoti, gli anziani e la folla. {GN 553.1}

Subito dopo aver condannato Gesù, il sinedrio si era rivolto a Pilato perché ratificasse quella condanna e la rendesse esecutiva; però quei capi si guardavano bene dall’entrare nell’aula del tribunale romano perché, secondo le loro leggi cerimoniali, entrando in quel luogo si sarebbero contaminati e quindi non avrebbero potuto partecipare alla festa della Pasqua. Ciechi com’erano, non si rendevano conto che i loro cuori erano già stati contaminati da un odio sanguinario, e non comprendevano che rigettando Gesù, il vero Agnello pasquale, quella festa aveva perso per loro ogni valore. {GN 553.2}

Quando il Salvatore fu introdotto nell’aula del tribunale, Pilato lo guardò con diffidenza. Era stato svegliato bruscamente e voleva concludere quella questione il più presto possibile. Era sua intenzione trattare il prigioniero con la massima severità. Con duro cipiglio guardò quell’uomo che doveva esaminare, e per colpa del quale aveva dovuto interrompere il suo riposo. Le autorità giudaiche lo avevano giudicato in fretta, e in fretta volevano la sua condanna. {GN 553.3}

Pilato, dopo aver guardato gli accusatori, scrutò attentamente Gesù. Egli aveva a che fare con ogni specie di criminali, ma mai prima gli era stato condotto davanti un uomo dal cui volto trapelavano tanta bontà e nobiltà. Sul suo viso non c’era nessun indizio di colpevolezza, nessuna espressione di paura, audacia o sfida. Vide un uomo dal portamento calmo e dignitoso, che non aveva l’impronta del crimine ma del cielo. {GN 553.4}

L’aspetto di Gesù produsse un’impressione favorevole su Pilato e destò in lui i suoi migliori sentimenti. Il Governatore aveva sentito parlare di Gesù e delle sue opere; la moglie gli aveva raccontato che quel profeta galileo guariva i malati e risuscitava i morti. Pilato si ricordò di tutto ciò, perciò chiese agli ebrei che gli dessero delle prove contro il prigioniero. {GN 553.5}

Domandò chi fosse quell’uomo, per quale ragione lo avessero portato e quali accuse gli rivolgevano. Gli ebrei, coscienti dell’inconsistenza delle loro accuse, non volevano un interrogatorio o un giudizio pubblico, e perciò si sentirono in imbarazzo. Risposero che si trattava di un impostore chiamato Gesù di Nazaret. {GN 554.1}

Ma Pilato chiese ancora: “Quale accusa portate contro quest’uomo?” Invece di rispondere direttamente, i sacerdoti manifestarono la loro collera con queste parole: “Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani”. Giovanni 18:29, 30. In altre parole gli dissero che se i membri del sinedrio, gli uomini più importanti della nazione, gli portavano un uomo che consideravano degno di morte, non c’era bisogno di chiedere loro di che cosa lo accusavano. Supponevano che Pilato, per riguardo alla carica che rivestivano, accogliesse la loro richiesta senza bisogno di ripresentare tutto il caso. Avevano fretta di ottenere la ratifica della loro sentenza anche perché sapevano che il popolo, testimone delle opere meravigliose di Gesù, avrebbe potuto raccontare una storia molto diversa dalla loro. {GN 554.2}

I sacerdoti pensavano che a causa del carattere debole e incerto di Pilato avrebbero potuto attuare i loro piani senza alcun intralcio. Nel passato, infatti, il Governatore aveva rapidamente ratificato delle condanne a morte, pronunciate da loro su uomini che non meritavano una pena del genere. Egli non teneva in grande considerazione la vita di un prigioniero, e gli era indifferente che fosse innocente o colpevole. I sacerdoti speravano che Pilato ratificasse la loro condanna senza interrogare Gesù, e chiedevano questo anche come un favore in occasione della loro grande festa nazionale. {GN 554.3}

Ma c’era qualcosa nel prigioniero che rendeva perplesso Pilato e gli impediva di rispondere immediatamente alla richiesta del sinedrio. Egli comprese le intenzioni dei sacerdoti e si ricordò che non molto tempo prima Gesù aveva risuscitato Lazzaro, un uomo morto da quattro giorni. Perciò, prima di ratificare la condanna a morte, volle sentire le accuse che gli venivano imputate, e se erano fondate. {GN 554.4}

Chiese loro perché gli avessero condotto il prigioniero, se il loro giudizio era sufficiente. “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge”. Versetto 31. Allora i sacerdoti risposero che lo avevano già giudicato, ma che occorreva la sua decisione per rendere esecutiva la loro condanna. Pilato chiese quale fosse la loro sentenza. Essi risposero: la morte, ma aggiunsero che non era loro lecito far morire alcuno. Chiesero a Pilato di fidarsi delle loro parole sulla colpevolezza di Gesù e di ratificarne la condanna. Essi si sarebbero presi la responsabilità delle conseguenze. {GN 554.5}

Pilato non era un giudice giusto e coscienzioso, ma nonostante ciò si rifiutò di accogliere una richiesta simile. Non era disposto a condannare Gesù senza un’accusa valida. {GN 555.1}

I sacerdoti non sapevano che cosa fare. Cercarono di camuffare i loro moventi facendo ricorso alla peggiore ipocrisia. Non volevano far apparire che Gesù era stato arrestato per motivi religiosi, altrimenti le loro istanze non avrebbero avuto nessun valore per Pilato. Volevano dimostrare, invece, che Gesù agiva contro la legge e che doveva essere condannato come ribelle. Frequentemente sorgevano fra gli ebrei tumulti e insurrezioni contro il dominio romano; i romani reprimevano severamente questi tentativi e vigilavano con cura affinché non scoppiasse nessuna rivolta. {GN 555.2}

Solo pochi giorni prima i farisei avevano cercato di far cadere in trappola Gesù con la domanda: “Ci è lecito, no, pagare il tributo a Cesare?” Ma Gesù aveva smascherato la loro ipocrisia. I romani presenti avevano visto il pieno fallimento di quei complotti e l’imbarazzo dei farisei quando Gesù aveva risposto: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare”. Luca 20:22-25. {GN 555.3}

I sacerdoti, volendo attribuire a Gesù la risposta che avevano sperato di ottenere da lui, ricorsero all’aiuto di falsi testimoni. “E cominciarono ad accusarlo, dicendo: Abbiamo trovato quest’uomo che sovvertiva la nostra nazione, istigava a non pagare i tributi a Cesare e diceva di essere lui il Cristo re”. Luca 23:2. Erano accuse tutte prive di fondamento. I sacerdoti lo sapevano, ma erano disposti allo spergiuro pur di ottenere la condanna di Gesù. {GN 555.4}

Pilato capì le loro intenzioni e comprese che il prigioniero non aveva complottato contro il governo: l’aspetto umile e mansueto di Gesù smentiva quell’accusa. Pilato, rendendosi conto che un grave complotto era stato escogitato per uccidere un innocente che ostacolava i progetti dei capi del popolo, si rivolse a Gesù e gli chiese: “Sei tu il re dei giudei?” Il Salvatore rispose: “Tu lo dici”. Versetto 3. E mentre rispondeva, il suo aspetto risplendette come se un raggio di sole lo avesse illuminato. {GN 555.5}

A quella risposta, Caiafa e quelli che erano con lui dissero che Pilato stesso aveva udito il crimine di cui Gesù era accusato. Scribi, sacerdoti e capi, con grida insistenti, chiedevano la ratifica della condanna a morte. Quelle grida venivano ripetute dalla folla in un baccano assordante. Pilato non sapeva che cosa fare, e vedendo che Gesù non rispondeva nulla ai suoi accusatori, si rivolse a lui e gli disse: “Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano! Ma Gesù non rispose più nulla”. Marco 15:4, 5. {GN 555.6}

In piedi, accanto a Pilato, davanti a tutti, Gesù udì gli insulti e le false accuse, ma non rispose. Il suo atteggiamento testimoniava chiaramente la sua innocenza. Restò immobile in mezzo alla furia dell’uragano che si abbatteva intorno a lui. Pareva che le onde minacciose della collera, sempre più alte, come quelle di un oceano in tempesta, si infrangessero davanti a lui, senza toccarlo. Taceva, ma quel silenzio era eloquente. C’era in lui come una luce che risplendeva dall’intimo e illuminava tutta la persona. {GN 556.1}

Pilato si stupiva per il comportamento di Gesù. Si chiedeva se quell’uomo non rispondeva alle accuse perché non si curava della propria vita. Vedendo che Gesù non reagiva agli insulti e alle offese, si convinse che non era ingiusto e malvagio come pretendevano i sacerdoti. Per conoscere come stavano le cose e per sottrarsi al clamore della folla, prese Gesù in disparte e gli chiese di nuovo: “Sei tu il re dei giudei?” Gesù non rispose direttamente alla domanda. Sapeva che lo Spirito Santo lottava in Pilato, e gli offrì la possibilità di manifestare la sua convinzione chiedendogli: “Dici questo di tuo, oppure altri te l’hanno detto di me?” Giovanni 18:33, 34. In altre parole, Pilato faceva quella domanda per ripetere le accuse dei sacerdoti oppure perché desiderava conoscere il messaggio di Cristo? Pilato capì quello che Gesù voleva dire, ma per orgoglio non volle ammettere quella convinzione che si stava impossessando di lui. “Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani; che cosa hai fatto?” Versetto 35. {GN 556.2}

Pilato si lasciò sfuggire quell’occasione preziosa. Ma Gesù non volle lasciarlo senza dargli un’ulteriore possibilità. Non rispose direttamente alla sua domanda, ma spiegò chiaramente la sua missione e gli fece capire che non cercava un trono terreno. {GN 556.3}

“Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato in man dei giudei; ma ora il mio regno non è di qui. Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”. Versetti 36, 37. {GN 556.4}

Gesù dichiarò che la sua Parola faceva conoscere la verità a coloro che erano pronti a riceverla. Essa aveva in sé la capacità di affermarsi, e il segreto del progresso del suo regno di verità risiedeva nella potenza di questa Parola. Egli desiderava far comprendere a Pilato che la sua vita poteva essere rinnovata e ristabilita solo accettando questa verità. {GN 556.5}

Pilato desiderava conoscere la verità. Aveva idee confuse; a mala pena aveva afferrato le parole del Salvatore, però sentiva nel cuore un grande desiderio di arrivare a comprenderne il significato. Chiese: “Che cos’è verità?”, ma non attese la risposta. Il tumulto esterno lo richiamò alle preoccupazioni del momento: i sacerdoti reclamavano una decisione immediata. Ed egli uscì e davanti al popolo disse solennemente: “Io non trovo colpa in lui”. Giovanni 18:38. {GN 556.6}

Queste parole di un giudice pagano erano uno sferzante rimprovero contro i capi d’Israele che accusavano il Salvatore. Nell’udir-le, la delusione e la collera dei sacerdoti e degli anziani non ebbero più limiti. Essi avevano a lungo complottato per quella condanna e, profilandosi la prospettiva di una liberazione di Gesù, sembravano decisi a farlo a pezzi. Minacciarono ad alta voce Pilato di denunciarlo presso il governo romano, e lo accusarono di non voler condannare Gesù che, a loro giudizio, si era schierato contro Cesare. {GN 557.1}

Voci irritate dicevano che la ribellione di Gesù era nota in tutto il paese. I sacerdoti affermavano: “Egli sobilla il popolo insegnando per tutta la Giudea; ha cominciato dalla Galilea ed è giunto fin qui”. Luca 23:5. {GN 557.2}

Pilato non aveva nessuna intenzione di condannare Gesù. Sapeva che gli ebrei lo accusavano spinti dall’odio e dal pregiudizio, ma conosceva il suo dovere: la giustizia esigeva che Gesù fosse liberato immediatamente. Pilato temeva però il furore del popolo. Se non avesse accondisceso alla condanna di Gesù, sarebbe sorto un tumulto; ed era proprio questo che temeva. Quando udì che Gesù era della Galilea, decise di mandarlo da Erode, sovrano di quella provincia che in quei giorni si trovava a Gerusalemme. Facendo così, sperava di scaricare su Erode la responsabilità di quella condanna. Pensò anche che quella fosse un’ottima occasione per porre fine a una vecchia contesa che esisteva fra lui ed Erode. Così avvenne. Il processo del Salvatore fu l’occasione perché si ristabilisse la loro amicizia. {GN 557.3}

Pilato consegnò Gesù ai soldati, che lo accompagnarono sino al tribunale di Erode, seguiti dalle beffe e dagli insulti della folla. “Erode, come vide Gesù, se ne rallegrò grandemente”. Non si era mai incontrato con il Salvatore, ma “da lungo tempo desiderava vederlo, avendo sentito parlare di lui; e sperava di vedergli fare qualche miracolo”. Versetto 8. Questo Erode si era già macchiato del sangue di Giovanni il battista. Quando sentì parlare per la prima volta di Gesù, ne fu spaventato e disse: “Giovanni, che io ho fatto decapitare, lui è risuscitato!” Marco 6:16. “Agiscono in lui le potenze miracolose”. Matteo 14:2. Tuttavia Erode desiderava vedere Gesù; ora gli veniva offerta l’occasione di salvare la vita di quel profeta, e il re sperava così di cancellare per sempre dalla sua mente il ricordo di quella testa sanguinante che gli era stata portata su un vassoio. Desiderava anche soddisfare la sua curiosità, e pensava che Gesù avrebbe fatto tutto quello che gli sarebbe stato chiesto se avesse avuto una qualsiasi prospettiva di liberazione. Molti sacerdoti e anziani avevano accompagnato Gesù da Erode. Quando Gesù fu introdotto, quei capi del popolo ripeterono con grande eccitazione le loro accuse contro di lui. Ma Erode non li ascoltò. Li fece tacere per poter lui stesso interrogare Gesù. Lo fece slegare e accusò i suoi nemici di averlo trattato tanto crudelmente. Osservando con compassione il volto sereno del Salvatore del mondo, vi lesse soltanto saggezza e purezza. Anch’egli, come Pilato, era convinto che Gesù fosse stato accusato soltanto per invidia e malignità. {GN 557.4}

Erode rivolse a Gesù molte domande, ma egli rimase completamente silenzioso. Per ordine del re furono chiamati degli ammalati e degli storpi affinché Gesù desse una dimostrazione della sua potenza taumaturgica. Erode disse che voleva una prova che la sua fama di guaritore non era infondata. Siccome Gesù non rispondeva, il re insistette: “Se puoi far miracoli in favore di altri, compili adesso per il tuo bene. Dacci un segno dal quale si possa vedere che hai realmente quel potere che ti si attribuisce”. Ma Gesù era come uno che non ode e non vede niente. Il Figlio di Dio aveva rivestito la natura umana e doveva agire come ogni altro uomo in queste circostanze; perciò non avrebbe compiuto nessun miracolo per evitare il dolore e l’umiliazione che ogni uomo deve sopportare quando si trova in una situazione simile. {GN 558.1}

Erode promise a Gesù di liberarlo se avesse compiuto un miracolo in sua presenza. Gli accusatori di Gesù avevano visto con i loro occhi le opere compiute tramite la sua potenza. Lo avevano udito ordinare al sepolcro di restituire il morto che teneva prigioniero; avevano visto i morti ubbidire alla sua voce, e quindi avevano paura che compisse un altro miracolo. Temevano soprattutto una manifestazione della sua potenza: ciò avrebbe sconvolto i loro piani e messo a repentaglio la loro vita. I sacerdoti e i capi insistevano nelle loro accuse. Alzando la voce dissero che era un traditore e un bestemmiatore, e che compiva i miracoli mediante la potenza di Belzebu, principe dei demoni. La sala si riempì di confusione mentre gli uni gridavano una cosa e gli altri un’altra. {GN 558.2}

La coscienza di Erode era ora molto meno sensibile di quando aveva tremato con orrore udendo Erodiade chiedergli la testa di Giovanni il battista. Per un po’ di tempo aveva sentito i pungoli acuti del rimorso per quel terribile crimine; ma la sua vita degradata e licenziosa ne aveva smussato il senso morale. Si era poi così indurito sino al punto di vantarsi di avere punito Giovanni per il suo ardire. E ora minacciava Gesù, e gli ripeteva che aveva il potere di liberarlo e condannarlo. Ma sembrò che Gesù non avesse neppure udito una sua parola. {GN 558.3}

Quel silenzio, che pareva segno di indifferenza per la sua autorità, irritò Erode. Quel sovrano falso e pomposo era offeso più dalla noncuranza che dalle aperte accuse. Minacciò ancora apertamente Gesù, che rimase immobile e silenzioso. {GN 559.1}

Gesù non è venuto nel mondo per soddisfare una vana curiosità, ma per consolare i cuori afflitti. Non taceva certo quando poteva pronunciare parole di conforto per lenire le anime travagliate dal peccato. Ma non aveva parole per coloro che erano pronti a calpestare la verità con i loro piedi profani. {GN 559.2}

Gesù avrebbe potuto, con le sue parole, ferire le orecchie di quel re indurito; avrebbe potuto riempirlo di paura e terrore, presentandogli tutte le malvagità della sua vita e l’orribile sorte che lo attendeva. Ma con il suo silenzio, Gesù gli rivolgeva il rimprovero più severo. Erode aveva respinto il messaggio del più grande dei profeti: non avrebbe ricevuto altri avvertimenti. Il Re del cielo non aveva per lui neppure una parola. Quelle orecchie che erano state sensibilissime ai lamenti umani, non ascoltavano gli ordini di Erode. Quegli occhi che avevano contemplato con amore compassionevole e misericordioso il peccatore penitente, non si soffermavano su Erode. Quelle labbra che avevano espresso le più alte verità, che con profonda tenerezza avevano interceduto per gli esseri più peccatori e degradati, rimanevano chiuse di fronte a quel re orgoglioso che non sentiva il bisogno di un Salvatore. {GN 559.3}

Erode si fece scuro in volto per la collera. Volgendosi verso la folla accusò aspramente il Salvatore di essere un impostore; poi disse a Gesù che se non avesse dato una dimostrazione delle sue pretese, lo avrebbe abbandonato al furore dei soldati e del popolo. Gli disse che se era un impostore si meritava la morte, se invece era il Aglio di Dio si sarebbe salvato compiendo un miracolo. {GN 559.4}

Appena Erode ebbe pronunciato queste parole, la folla si riversò su Gesù e come una bestia selvaggia afferrò la sua preda. Gesù fu trascinato via, ed Erode, per umiliare il Figlio di Dio, si aggiunse alla folla. Se i soldati romani non si fossero opposti e non avessero respinto il popolo imbestialito, il Salvatore sarebbe stato fatto a pezzi. {GN 559.5}

“Erode, con i suoi soldati, dopo averlo vilipeso e schernito, lo vestì di un manto splendido, e lo rimandò da Pilato”. Luca 23:11. I soldati romani si associarono a quell’insulto. Fu riversato sul Salvatore tutto quello che quei soldati malvagi e corrotti poterono escogitare con l’aiuto di Erode. Ma la sua divina pazienza non venne meno. {GN 559.6}

I persecutori di Gesù avevano valutato il Salvatore alla loro stregua e l’avevano immaginato vile come loro. Ma al di là del presente si profilava un’altra scena, una scena che essi un giorno avrebbero contemplato in tutta la sua gloria. Mentre la folla violenta beffeggiava il Salvatore, alcuni che gli si erano avvicinati con lo stesso proposito, tornarono indietro spaventati e ammutoliti. Erode fu scosso. Gli ultimi raggi della luce della misericordia brillavano sul suo cuore indurito. Sentì che Gesù non era un uomo comune perché la divinità trapelava attraverso l’umanità. In Gesù, circondato da quegli uomini peccatori e assassini, Erode ebbe l’impressione di contemplare Dio seduto sul suo trono. {GN 560.1}

Per quanto indurito, Erode non osò ratificare la condanna di Gesù. Volle scaricarsi da quella terribile responsabilità e rimandò Gesù al tribunale romano. {GN 560.2}

Pilato fu deluso e amareggiato quando gli ebrei tornarono con il prigioniero; chiese impazientemente che cosa volevano che facesse, ricordando loro che aveva già esaminato Gesù e che non aveva trovato in lui nessuna colpa; disse inoltre che delle accuse rivolte non ne aveva potuto provare nessuna. Aveva mandato Gesù da Erode, tetrarca della Galilea, uno della loro nazione, ma anche lui non aveva trovato in Gesù nulla degno di morte. “Perciò, dopo averlo castigato, lo libererò”. Versetto 16. {GN 560.3}

Pilato, facendo questa concessione, mostrò la sua debolezza. Aveva affermato che Gesù era innocente, ma aveva accettato di farlo flagellare per accontentare i suoi accusatori. Per giungere a un compromesso con la folla, sacrificava un principio di giustizia. Si poneva così in una situazione svantaggiosa. Approfittando della sua indecisione, la folla reclamò a gran voce la vita del prigioniero. Se Pilato fosse stato fermo sin dall’inizio e si fosse rifiutato di condannare un uomo che trovava senza colpa, avrebbe infranto quella catena fatale che lo avrebbe legato al rimorso per tutta la vita. Se avesse proclamato chiaramente le sue convinzioni intorno alla giustizia, gli ebrei non avrebbero osato imporgli la loro volontà. Certo, Gesù sarebbe stato ugualmente condannato a morte, ma Pilato non ne avrebbe avuto la responsabilità. Invece Pilato, a poco a poco aveva violato la propria coscienza. Aveva trovato pretesti per non giudicare con giustizia ed equità, e ora si trovava in balia dei sacerdoti e dei capi. L’incertezza e l’indecisione provocarono la sua rovina. {GN 560.4}

Ma perfino in quel momento Pilato non fu lasciato nella piena oscurità. Un messaggio da parte di Dio lo mise in guardia contro ciò che stava per compiere. In risposta a una preghiera di Gesù, la moglie di Pilato aveva ricevuto la visita di un angelo: in sogno aveva visto il Salvatore e aveva parlato con lui. La moglie di Pilato non era ebrea; ma appena vide il Salvatore in sogno, non ebbe dubbi sulla natura della sua missione e comprese che era il Principe di Dio. {GN 561.1}

Lo vide mentre veniva interrogato nella sala del tribunale; vide che le sue mani erano legate come quelle di un malfattore; vide il comportamento orribile di Erode e dei suoi soldati. Udì i sacerdoti e i capi pieni di invidia mentre lo accusavano freneticamente; udì le parole: “Noi abbiamo una legge e secondo questa legge egli deve morire”. Giovanni 19:7. Vide anche Pilato che consegnava Gesù a quegli scalmanati dopo aver esclamato: “Non trovo in lui alcuna colpa” (Versetto 6); lo vide anche condannare Cristo e consegnarlo ai suoi accusatori; vide la croce innalzata sul Calvario, la terra immersa nelle tenebre, e udì il grido misterioso: “È compiuto!” Ma un’altra scena ancora si presentò ai suoi occhi: Cristo seduto su una grande nuvola bianca, mentre la terra vacillava e i suoi assassini si nascondevano davanti alla sua gloria. Si svegliò con un grido di orrore e scrisse a Pilato un messaggio di avvertimento. {GN 561.2}

Mentre Pilato esitava su ciò che doveva fare, si fece strada tra la folla un messaggero che gli consegnò una lettera da parte della moglie: “Non aver nulla a che fare con quel giusto, perché oggi ho sofferto molto in sogno per causa sua”. Matteo 27:19. {GN 561.3}

Pilato impallidì. In preda a emozioni contrastanti non sapeva che cosa fare. Ma nel frattempo i sacerdoti e i capi eccitavano sempre di più gli animi. Pilato fu costretto ad agire. Per poter liberare Gesù, fece ricorso a una consuetudine. Era tradizione, in occasione della festa, concedere la grazia a un prigioniero scelto dal popolo. Si trattava di un’usanza di origine pagana, pienamente ingiusta in quanto si decideva senza alcun riferimento alla colpa; ma al popolo piaceva molto. I romani tenevano in prigione un uomo di nome Barabba, già condannato a morte. Costui aveva preteso di essere il Messia e asseriva di avere il potere di cambiare le cose e instaurare la giustizia. {GN 561.4}

Sotto l’influsso demoniaco affermava che tutto quello che era frutto di furto e violenza gli apparteneva. Aveva compiuto segni prodigiosi per intervento dei demoni, si era fatto molti discepoli e aveva fomentato la rivolta contro il governo romano. Sotto l’apparenza dell’entusiasmo religioso aveva un animo duro e scellerato, incline alla ribellione e alla crudeltà. Pilato, offrendo una possibilità di scelta tra

quell’uomo e il Salvatore innocente, pensava di far appello al senso di giustizia del popolo. Sperò che sorgesse, in opposizione ai sacerdoti e ai capi, un sentimento generale di simpatia per Gesù. Si volse verso la folla e chiese con impeto: “Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù detto Cristo?” Versetto 17. {GN 561.5}

La risposta della folla fu come il ruggito di un animale selvaggio: “Liberaci Barabba!” Luca 23:18. Sempre più insistente e forte si fece il grido: Barabba! Barabba! Temendo che il popolo non avesse compreso la sua domanda, Pilato la ripeté: “Volete che io vi liberi il re dei giudei?” Marco 15:9. Ma essi gridarono di nuovo: “Fa’ morire costui e liberaci Barabba!” Luca 23:18. Pilato chiese: “Che farò dunque di Gesù detto Cristo?” Matteo 27:22. La folla agitata gridava in maniera demoniaca. Dei demoni in forma umana erano tra la folla, e quale risposta ci si poteva aspettare se non questa: “Sia crocifisso!”? {GN 562.1}

Pilato era turbato. Non aveva pensato che si potesse giungere sino a quel punto. Non voleva consegnare un innocente alla morte più ignominiosa e crudele. Quando il frastuono si fu calmato, chiese ancora alla folla: “Ma che male ha fatto?” Luca 23:22. Non era più il caso di ricorrere agli argomenti, perché non volevano prove dell’innocenza di Gesù, ma la sua condanna. {GN 562.2}

Pilato cercò ancora di salvarlo. “E per la terza volta egli disse loro: Ma che male ha egli fatto? Io non ho trovato nulla in lui, che meriti la morte. Io dunque, dopo averlo castigato, lo libererò”. Queste parole non fecero che accrescere il furore della folla, che gridò: “Crocifiggilo, crocifiggilo!” La tempesta scatenata dall’indecisione di Pilato si faceva sempre più terribile. {GN 562.3}

Gesù, estenuato dalla stanchezza e ricoperto di ferite, fu flagellato alla vista di tutti. “Allora i soldati lo condussero nel cortile interno, cioè dentro il pretorio, e radunarono tutta la coorte. Lo vestirono di porpora e, dopo aver intrecciata una corona di spine, gliela misero intorno al capo, e cominciarono a salutarlo: Salve, Re de’ giudei!E gli percotevano l capo con una canna, gli sputavano addosso e, mettendosi in ginocchio, si prostravano davanti a lui”. Marco 15:16-19. Talvolta alcuni afferravano la canna che gli era stata messa tra le mani e ne colpivano la corona che gli era stata sistemata intorno al capo, facendo penetrare le spine nella carne e sgorgare il sangue, che inondava il volto. {GN 562.4}

Trasalite o cieli e si stupisca la terra davanti agli oppressori e all’oppresso! Una folla furiosa circonda il Salvatore del mondo. Beffe e sarcasmo si intrecciano con le maledizioni e le imprecazioni. La folla insensibile commenta con sarcasmo l’umile nascita e la vita modesta di Gesù, e prende in giro la sua pretesa di essere Figlio di Dio; lo scherno volgare e le risa beffarde passano di bocca in bocca. {GN 562.5}

Satana era alla testa di quella folla crudele che insultava il Salvatore. Egli mirava a provocare in Gesù una reazione, a spingerlo a compiere un miracolo per se stesso, per infrangere così il piano della salvezza. Se la sua umanità avesse vacillato ed egli non fosse riuscito a sopportare la terribile prova, l’Agnello di Dio sarebbe stato un’offerta imperfetta: la redenzione dell’uomo sarebbe fallita. Ma colui che avrebbe potuto chiamare l’esercito del cielo in suo aiuto, colui che avrebbe potuto suscitare terrore nella folla manifestando la sua divina maestà, si sottomise con perfetta calma agli insulti più vili e crudeli. {GN 563.1}

I nemici di Gesù avevano chiesto un miracolo come prova della sua divinità, ma davanti a sé avevano una prova più grande. Mentre la crudeltà abbassava i suoi aguzzini al livello demoniaco, la mansuetudine e la dolcezza del Salvatore lo esaltavano al di sopra dell’umanità e attestavano la sua parentela con Dio. L’umiliazione era la garanzia della sua esaltazione. Le gocce di sangue che dalle tempie ferite scendevano sul suo volto, annunciavano che sarebbe stato unto “d’olio di letizia” (Ebrei 1:9), come nostro Sommo Sacerdote. {GN 563.2}

Satana era furioso perché tutti i tormenti inflitti al Salvatore non avevano fatto uscire neppure un lamento dalle sue labbra. Sebbene Cristo rivestisse la natura umana, era sostenuto da una forza simile a quella di Dio, e non si allontanò per nulla dalla volontà del Padre. {GN 563.3}

Quando Pilato permise che Gesù venisse flagellato e insultato, pensò di suscitare la compassione della folla. Sperava che questa si accontentasse di quella punizione, e si placasse così anche l’odio dei sacerdoti. Ma essi compresero che lasciar punire un uomo ritenuto innocente era un segno di debolezza. Si resero conto che Pilato cercava di salvare la vita di quel prigioniero ed erano decisi a non permetterlo. Era chiaro che Pilato l’aveva fatto flagellare per dare loro una certa soddisfazione, ma erano decisi a opporsi perché Gesù fosse rilasciato. {GN 563.4}

Pilato ordinò che Barabba fosse condotto nella corte. Presentò alla folla i due prigionieri, l’uno accanto all’altro, e indicando il Salvatore disse con voce supplichevole e solenne: “Ecco l’uomo!” Giovanni 19:5. “Ve lo conduco fuori, affinché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa”. Versetto 4. {GN 563.5}

II Aglio di Dio era là, con addosso gli abiti dello scherno e la corona di spine. Nudo Ano alla vita, la sua schiena mostrava le piaghe delle crudeli sferzate dalle quali colava abbondante il sangue. Anche il suo volto era macchiato di sangue e vi si leggevano i segni della stanchezza e del dolore, ma mai aveva avuto un’espressione tanto bella. Il volto del Salvatore non era sfigurato, ed esprimeva rassegnazione e benevolenza per i suoi crudeli nemici. Nel suo atteggiamento non vi era nessun segno di debolezza, ma solo la forza e la dignità di un animo paziente. Il prigioniero che era al suo fianco aveva un aspetto del tutto diverso, quello dell’uomo scellerato. Il contrasto fra i due era evidente agli occhi di tutti. Alcuni degli astanti non poterono trattenere le lacrime, e i loro cuori si riempirono di simpatia per Gesù. Perfino i sacerdoti e i capi si convinsero che egli era veramente colui che diceva di essere. {GN 563.6}

Non tutti i soldati romani che stavano intorno a Gesù avevano l’animo indurito; alcuni cercavano invano sul suo volto la prova che fosse un criminale o un rivoluzionario, poi volgevano lo sguardo su Barabba: non ci voleva molta perspicacia per giudicare. Poi i loro occhi tornavano a posarsi su colui che veniva processato, e consideravano quell’essere sofferente con sentimenti di profonda pietà. La sottomissione silenziosa di Gesù fece imprimere indelebilmente nella loro mente quella scena; un giorno lo avrebbero riconosciuto come Messia o lo avrebbero respinto, decidendo così il loro destino. {GN 564.1}

Pilato ammirava la pazienza del Salvatore, dalla cui bocca non usciva un lamento. Era sicuro che vedendo quell’uomo così diverso da Barabba, gli ebrei avrebbero provato compassione. Ma egli non conosceva bene l’odio fanatico dei sacerdoti per colui che era la luce del mondo e che era venuto per smascherare le loro tenebre e i loro errori. Essi avevano eccitato il furore della folla, e di nuovo sacerdoti, capi e popolo facevano echeggiare il loro lugubre grido: “Crocifiggilo, crocifiggilo!” Alla fine, spazientito per la loro irragionevole crudeltà, Pilato gridò: “Prendetelo voi e crocifiggetelo; perché io non trovo in lui alcuna colpa”. Giovanni 19:6. {GN 564.2}

Il governatore romano, sebbene abituato a scene di crudeltà, era commosso di fronte alle sofferenze di quel prigioniero che, condannato e flagellato, con la fronte sanguinante e lacerata, conservava ancora l’aspetto di un re seduto sul suo trono. Ma i sacerdoti dichiararono: “Noi abbiamo una legge, e secondo questa legge egli deve morire, perché egli si è fatto Figlio di Dio”. Versetto 7. {GN 564.3}

Pilato fremeva di orrore. Non conosceva esattamente né Gesù né la sua missione, ma aveva una fede generica in Dio e negli esseri sovrumani. Prese maggiore consistenza in lui il pensiero che già prima era passato per la mente. Si chiedeva se colui che portava le vesti d ello scherno e sul capo una corona di spine, non fosse realmente un essere divino. {GN 564.4}

Tornò nell’aula del tribunale e chiese a Gesù: “Di dove sei tu?” Giovanni 19:9. Ma Gesù non gli rispose nulla. Il Salvatore aveva già parlato ampiamente a Pilato e gli aveva spiegato la sua missione come testimone della verità. Pilato non si era curato di quelle parole e aveva abusato del suo alto ufficio di giudice subordinando i princìpi e l’autorità ai capricci della folla. Gesù non aveva più nulla da dirgli. Offeso per il suo silenzio, Pilato gli disse con superbia: “Non mi parli? Non sai che ho il potere di liberarti e il potere di crocifiggerti? Gesù gli rispose: Tu non avresti alcun’autorità su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto; perciò chi mi ha dato nelle tue mani, ha maggior colpa”. Versetti 10, 11. {GN 565.1}

Il Salvatore misericordioso, anche in mezzo alla più intensa sofferenza e al più grande dolore, scusava il più possibile l’azione del governatore romano, che lo abbandonava alla crocifissione. Era una scena importante anche per i secoli futuri. Era un dato importante relativo al carattere di colui che è Giudice di tutta la terra. {GN 565.2}

Gesù aveva detto: “Chi m’ha dato nelle tue mani, ha maggior colpa”. Gesù alludeva a Caiafa, che in qualità di sommo sacerdote rappresentava la nazione ebraica. Gli ebrei conoscevano a quali princìpi si ispiravano le autorità romane. {GN 565.3}

Essi conoscevano le profezie che rendevano testimonianza al Messia, ai suoi insegnamenti e anche ai suoi miracoli. I giudici ebrei avevano avuto prove irrefutabili della divinità di colui che condannavano a morte, e sarebbero stati giudicati secondo la conoscenza ricevuta. {GN 565.4}

I più grandi colpevoli e i maggiori responsabili erano i capi della nazione, depositari delle sacre verità che stavano calpestando. Pilato, Erode e i soldati romani conoscevano assai meno Gesù, e maltrattandolo, pensavano di far piacere ai sacerdoti; essi non avevano ricevuto la luce che era stata concessa alla nazione ebraica. Se quei soldati avessero posseduto una così grande luce, certamente non avrebbero agito con tanta crudeltà. {GN 565.5}

Pilato propose ancora una volta di liberare il Salvatore. “Ma i giudei gridavano, dicendo: Se liberi costui, non sei amico di Cesare”. Versetto 12. Quegli ipocriti fingevano di avere a cuore l’autorità di Cesare; ma gli ebrei erano i più decisi oppositori del potere romano. Quando non correvano alcun pericolo, imponevano le loro idee nazionalistiche e religiose; ma quando volevano attuare un loro progetto crudele, allora esaltavano la potenza di Cesare. Pur di ottenere la condanna di Gesù, giungevano a dichiararsi sudditi leali di un odiato governo straniero. {GN 565.6}

Essi continuarono: “Chiunque si fa re, si oppone a Cesare”. Questa dichiarazione colpiva Pilato in un punto debole. Il governo romano aveva dei sospetti sul suo conto, ed egli sapeva che un rapporto del genere avrebbe causato la sua rovina. Si rendeva conto che se si fosse opposto agli ebrei, essi avrebbero rivolto le loro accuse contro di lui e non avrebbero lasciato nulla di intentato pur di vendicarsi. Ne aveva la prova nella tenacia che dimostravano nel chiedere la morte di un essere che odiavano senza che avesse alcuna colpa. Pilato riprese il suo posto in tribunale e presentò ancora Gesù al popolo, dicendo: “Ecco il vostro Re!” E di nuovo quella folla ipocrita gridò: “Toglilo, toglilo di mezzo, crocifiggilo!” Con una voce che si udì ovunque, Pilato chiese: “Crocifiggerò il vostro Re?” Ma da quelle labbra profane e blasfeme uscirono queste parole: “Noi non abbiamo altro re che Cesare”. Versetti 14, 15. {GN 566.1}

Scegliendo un re terreno, la nazione ebraica aveva rigettato la teocrazia. Avendo rigettato Dio come re, non aveva più nessun Salvatore. Non aveva altro re che Cesare. Ecco fino a che punto i sacerdoti e i dottori avevano spinto il popolo! Erano responsabili di questo e di tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate. I capi religiosi erano gli autori della rovina di tutta la nazione. {GN 566.2}

“Pilato, vedendo che non otteneva nulla, ma che si sollevava un tumulto, prese dell’acqua e si lavò le mani in presenza della folla, dicendo: Io sono innocente del sangue di questo giusto; pensateci voi”. Matteo 27:24. Angosciato e confuso, Pilato guardò il Salvatore. In quella frenesia generale, solo il suo volto era sereno. Pareva che intorno al suo capo risplendesse una dolce luce. Pilato si convinse della sua divinità. Volgendosi verso la folla, disse: “Io sono innocente del suo sangue. Prendetelo e crocifiggetelo, ma ricordatevi, o sacerdoti e capi, che io dichiaro che egli è giusto. Colui che egli chiama suo Padre condanni voi e non me per ciò che è successo in questo giorno”. Poi volgendosi a Gesù gli disse: “Perdonami per questo atto. Io non posso salvarti”. E dopo averlo fatto flagellare di nuovo, lo consegnò perché fosse crocifisso. {GN 566.3}

Pilato voleva liberare Gesù, ma non poteva farlo senza mettere a repentaglio la sua posizione e il suo onore. Piuttosto che perdere la sua potenza terrena, preferì sacrificare una vita innocente. Quante persone, per evitare perdite o sofferenze, sacrificano i princìpi nello stesso modo. La coscienza e il dovere indicano una strada, mentre l’interesse personale ne indica un’altra. La corrente spinge nella direzione sbagliata, e chi scende a compromessi con il male, precipita nelle Atte tenebre della colpa. {GN 566.4}

Pilato cedette ai capricci della folla, e piuttosto che correre il rischio di perdere il suo posto, consegnò Gesù perché fosse crocifisso. Nonostante tutte le sue precauzioni, gli capitò in seguito proprio quello che temeva: gli onori gli vennero tolti; perse il suo alto incarico e, ferito nell’orgoglio e tormentato dai rimorsi, morì non molto tempo dopo la crocifissione di Cristo. {GN 567.1}

Nella stessa maniera, tutti coloro che scendono a compromessi con il peccato, ne ricaveranno soltanto dolore e rovina. “C’è una via che all’uomo sembra diritta, ma essa conduce alla morte”. Proverbi 14:12. {GN 567.2}

Quando Pilato si proclamò innocente del sangue di Gesù, Caiafa disse con spavalderia: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. Matteo 27:25. Quelle terribili parole furono ripetute prima dai sacerdoti e dai capi, poi dalla folla in un urlo terribile che parve un ruggito inumano. Tutti risposero e dissero: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. {GN 567.3}

Il popolo d’Israele aveva fatto la sua scelta. Rivolgendosi a Gesù aveva detto: “Non costui, ma Barabba”. Barabba, ladro e assassino, era il rappresentante di Satana. Gesù era il rappresentante di Dio. Gesù era stato rigettato, Barabba era stato scelto. Ed essi avrebbero avuto Barabba. Con la loro scelta avevano accettato colui che sin dal principio era stato bugiardo e assassino. Satana era il loro capo, ed essi ne avrebbero seguito il dominio, compiendo le sue opere ed eseguendo la sua volontà. Quel popolo che aveva scelto Barabba al posto di Cristo, ne avrebbe provata la crudeltà per tutto il tempo della sua esistenza. {GN 567.4}

Guardando l’Agnello di Dio ferito e umiliato, gli ebrei avevano gridato: “Il suo sangue sia sopra noi e sopra i nostri figli”. Quella dichiarazione terribile giunse fino al trono di Dio; quella sentenza che le loro labbra avevano pronunciato fu scritta in cielo; quella richiesta venne esaudita: il sangue del figlio di Dio fu sui loro figli, sui figli dei loro figli, come una maledizione perpetua. {GN 567.5}

In maniera terribile essa si attuò nella distruzione di Gerusalemme; e nei secoli successivi la condizione della nazione ebraica non sarebbe stata meno spaventosa: un tralcio separato dalla vite, un ramo morto e senza frutti, destinato a essere raccolto e bruciato. Da un paese all’altro, per tutto il mondo, nel corso dei secoli, morto per i propri errori e i propri peccati. {GN 567.6}

In modo ancora più terribile quella richiesta si adempirà nel gran giorno del giudizio. Allora Cristo apparirà di nuovo sulla terra, e gli uomini lo vedranno, non più come un prigioniero circondato da una folla rabbiosa, ma come il Re dei cieli. Cristo verrà nella sua gloria, nella gloria di suo Padre e dei santi angeli. Miriadi e miriadi di angeli, figli di Dio, belli e trionfanti, splendenti di benevolenza e gloria, saranno al suo seguito. Si siederà sul trono della sua gloria e davanti a lui si riuniranno tutte le nazioni. Allora ogni occhio lo vedrà, anche coloro che lo hanno trafitto. Al posto della corona di spine porterà una corona di gloria e indosserà vesti bianchissime di “un tal candore che nessun lavandaio di panni sulla terra può dare”. Marco 9:3. “E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: Re dei Re e Signore dei {GN 567.7}

Signori”. Apocalisse 19:16. {GN 568.1}

Saranno presenti coloro che lo beffeggiarono e lo ferirono. I sacerdoti e i capi rivedranno la scena del tribunale, e ogni particolare si ripresenterà alla loro mente come scritto in caratteri di fuoco. Allora coloro che dissero: “Il suo sangue sia sopra noi e sopra i nostri figliuoli”, vedranno esaudita la loro preghiera. Allora tutto il mondo se ne renderà conto e capirà. Sapranno contro chi, come esseri deboli e finiti, hanno combattuto. Nella loro agonia e nel loro spavento grideranno alle montagne e alle rocce: “Cadeteci addosso, nascondeteci dalla presenza di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello; perché è venuto il gran giorno della sua ira. Chi può resistere?” Apocalisse 6:16, 17. {GN 568.2}



Capitolo 78: Calvario

“Quando furono giunti al luogo detto il ‘Teschio’, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra”. Luca 23:33. {GN 569.1}

“Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, soffrì fuor della porta della città”. Ebrei 13:12. Adamo ed Eva furono esclusi dall’Eden per avere trasgredito la legge di Dio. Gesù, il nostro sostituto, doveva essere immolato fuori di Gerusalemme. Egli morì fuori della porta, nel luogo in cui venivano giustiziati i delinquenti e gli assassini. Ricche di profondo significato sono le seguenti parole: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi”. Galati 3:13. {GN 569.2}

Una gran folla seguì Gesù dal tribunale al Calvario. La notizia della sua condanna si era diffusa in tutta Gerusalemme, e persone di ogni classe sociale accorrevano verso il luogo della crocifissione. I sacerdoti e i capi avevano promesso che non avrebbero infierito sui discepoli di Gesù, se egli fosse stato consegnato loro; perciò numerosi discepoli e credenti della città e dei dintorni si unirono alla folla che accompagnava il Salvatore. {GN 569.3}

Mentre Gesù usciva dal cortile del palazzo di Pilato, gli venne posta sulle spalle ferite e sanguinanti la croce preparata per Barabba. Altre due croci vennero poste sui due compagni di Barabba che sarebbero stati crocifissi insieme con Gesù. Ma il Salvatore, debole e sofferente, non poteva portare quel peso. Da quando aveva celebrato con i discepoli la cena di Pasqua, non aveva né mangiato né bevuto. {GN 569.4}

Durante la lunga agonia del Getsemani Gesù aveva lottato contro le forze sataniche. Aveva provato l’angoscia del tradimento e aveva visto i discepoli abbandonarlo e fuggire. Era stato condotto da Anna e da Caiafa, poi da Pilato. Era stato mandato da Erode, e infine rimandato da Pilato. Era passato da un insulto a un altro, da una beffa a un’altra; per due volte era stato flagellato, e tutto il tormento della notte lo aveva ridotto all’estremo delle forze. Ma Cristo non aveva perso la sua presenza di spirito e non aveva pronunciato nessuna parola che non fosse di gloria a Dio. Durante tutta l’infelice farsa del processo, aveva avuto un atteggiamento di dignitosa fermezza. Ma quando, dopo la seconda flagellazione, gli venne posta addosso la croce, la sua natura umana non poté sopportarla e perse l’equilibrio sotto quel peso. La folla lo vide incerto e vacillante ma, anziché provare compassione, lo ingiuriava e lo scherniva per la sua debolezza. La croce gli venne posta nuovamente sulle spalle, ma nuovamente Gesù cadde. I suoi persecutori si resero conto che non poteva portare quel peso, ma si chiedevano chi avrebbe acconsentito a prendere quel fardello infamante. Gli ebrei che lo avessero fatto, si sarebbero contaminati e non avrebbero potuto celebrare la Pasqua. Nessuno tra quella folla avrebbe accettato quell’incarico. {GN 569.5}

Ma ecco uno straniero, Simone cireneo, che veniva dai campi, incontrò il corteo. Udì gli insulti e le beffe della folla; udì il grido sprezzante: “Fate largo al re dei giudei”. Si stupì, e mentre esprimeva la sua compassione, lo afferrarono e gli misero addosso la croce. {GN 570.1}

Simone cireneo aveva sentito parlare di Gesù. I suoi Agli credevano nel Salvatore, ma lui non era un discepolo. Quel servizio a cui lo costrinsero fu una benedizione per lui, e ne fu sempre grato alla Provvidenza. Quell’atto lo indusse ad accettare in seguito, spontaneamente, la croce di Cristo e a portarla sempre volentieri. {GN 570.2}

Tra la folla che seguiva quell’innocente verso la morte crudele vi erano numerose donne, la cui attenzione era fissa su Gesù. Alcune di loro lo avevano già visto prima e gli avevano anche portato i loro malati e i loro sofferenti. Alcune erano state guarite. La gente raccontava tutto quello che era accaduto precedentemente, ed esse si stupivano nel veder l’odio della folla per colui verso il quale esse provavano tanta gratitudine. Ma il furore della gente e le parole piene d’ira dei sacerdoti e dei capi non impedirono a quelle donne di esprimere al Salvatore la loro simpatia. E mentre egli cadeva sotto la croce, esse esprimevano lugubri lamenti. {GN 570.3}

Questa fu l’unica cosa che attrasse l’attenzione di Gesù. Sebbene soffrisse per il peso dei peccati del mondo, non era indifferente all’espressione di dolore e guardò quelle donne con tenera compassione. Esse non credevano in lui e non piangevano su di lui come sull’inviato di Dio, ma erano mosse da sentimenti di pietà umana. Gesù non rimase indifferente, provò per loro una profonda simpatia, e disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli”. Luca 23:28. Sollevando lo sguardo da quella scena di dolore, Gesù lo volse verso la distruzione di Gerusalemme, quando molte di coloro che ora piangevano per lui sarebbero morte insieme con i loro Agli. {GN 570.4}

Dalla caduta di Gerusalemme il pensiero di Gesù passò a un giudi zio più vasto. Nella distruzione di quella città egli vide un simbolo della distruzione finale del mondo, e disse: “Allora cominceranno a dire ai monti: Cadeteci addosso; e ai colli: Copriteci. Perché se fanno questo al legno verde, che cosa sarà fatto al secco?” Luca 23:30, 31. Il legno verde rappresentava Gesù stesso, il Salvatore innocente. Dio permise che la condanna del peccato ricadesse sul suo amato Figlio: Gesù doveva essere crocifisso per i peccati degli uomini. Ma quale grave punizione si sarebbe abbattuta sui peccatori? Certamente un dolore e una sventura che le parole umane erano incapaci di esprimere. {GN 570.5}

Molti che seguivano il Salvatore al Calvario, alcuni giorni prima avevano partecipato ai gioiosi festeggiamenti e avevano agitato le palme quando era entrato trionfalmente in Gerusalemme. Ma non pochi di coloro che si erano uniti alle lodi per l’entusiasmo popolare, ripetevano ora il grido: “Crocifiggilo, crocifiggilo!” Quando Cristo era entrato in Gerusalemme, sembrava che le più grandi speranze dei discepoli si compissero. Si erano accostati al loro Maestro fieri del privilegio di appartenergli. Ora, nel momento della umiliazione, lo seguivano da lontano, profondamente addolorati e abbattuti per le speranze deluse. Si dimostravano vere le parole di Gesù: “Questa notte voi tutti avrete in me un’occasione di caduta; perché è scritto: Io perco-terò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse”. Matteo 26:31. {GN 571.1}

Giunti sul luogo del supplizio, i prigionieri vennero legati agli strumenti di tortura. I due ladroni si dibattevano fra le mani dei crocifissori; ma Gesù non oppose resistenza. La madre di Gesù, sostenuta da Giovanni, aveva seguito il figlio fino al Calvario. Lo aveva visto cadere sotto il peso della croce; avrebbe voluto sostenergli il capo ferito e tergere quella fronte che una volta si appoggiava sul suo seno. Ma non le fu permesso di appagare quel suo desiderio. Insieme con i discepoli accarezzava ancora la speranza che Gesù manifestasse la sua potenza e si liberasse dai nemici. Ma il suo cuore soffriva nel ricordare le parole con cui Gesù aveva predetto ciò che stava accadendo, e lo guardava con attesa spasmodica mentre i ladroni venivano appesi alla croce. Colui che aveva reso la vita ai morti, avrebbe permesso che lo crocifiggessero? Il Figlio di Dio si sarebbe lasciato uccidere in un modo così crudele? Doveva rinunciare a credere che Gesù fosse il Messia? Doveva partecipare a una simile infamia e a un tale dolore senza poterlo aiutare nella sua sofferenza? Vide le sue mani stese sulla croce; vide il martello e i chiodi, ma quando le loro punte cominciarono a penetrare in quelle tenere carni, i discepoli affranti portarono via da quella scena crudele il corpo vacillante della madre di Gesù. {GN 571.2}

Dalla bocca del Salvatore non uscì nessun lamento. Il suo volto rimase calmo e sereno, ma grandi gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Nessuna mano pietosa tergeva quel volto, nessuna parola di simpatia e di fedeltà consolava quel cuore. Mentre i soldati compivano la loro opera tremenda, Gesù pregava per i suoi nemici: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Luca 23:34. Il suo animo si volse dalle sue sofferenze verso il peccato dei suoi persecutori e a quella che sarebbe stata la loro terribile punizione. Gesù non espresse nessuna parola di condanna per i soldati che lo trattavano con tanta durezza; non invocò nessuna vendetta sui sacerdoti e sui capi che erano contenti per l’attuazione del loro piano. Gesù ebbe compassione della loro ignoranza e della loro colpa, e pronunciò soltanto una preghiera di intercessione: chiedeva per loro il perdono, perché non sapevano quello che facevano. {GN 571.3}

Se avessero saputo che torturavano e uccidevano colui che era venuto per salvare dalla rovina eterna gli uomini peccatori, avrebbero provato un profondo rimorso e un grande orrore. Tuttavia la loro ignoranza non ne giustificava la colpa, perché avrebbero potuto conoscere e accettare Gesù come loro Salvatore. Alcuni di loro in seguito avrebbero riconosciuto il loro peccato, si sarebbero pentiti e convertiti; altri invece, per la durezza del loro cuore, avrebbero impedito l’esaudimento della preghiera di Gesù. Tuttavia il piano di Dio si sarebbe adempiuto. Gesù acquistava il diritto di diventare l’avvocato degli uomini presso il Padre. {GN 572.1}

La preghiera di Gesù per i suoi nemici si estendeva a tutto il mondo, e abbracciava ogni peccatore dal principio sino alla fine dei tempi. Tutti sono responsabili della crocifissione del Figlio di Dio, e tutti possono ottenere liberamente il perdono. Chiunque vuole può riconciliarsi con Dio e avere la vita eterna. Appena Gesù fu inchiodato, uomini robusti sollevarono brutalmente quello strumento di tortura e lo conficcarono nel terreno, provocando un dolore atroce nel figlio di Dio. Pilato aveva redatto un’iscrizione in ebraico, in greco e in latino, e l’aveva fatta porre sulla croce, proprio sul capo di Gesù. In essa si leggeva: “Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei”. Giovanni 19:19. I giudei si irritarono per quella iscrizione. Nel tribunale di Pilato avevano gridato: “Toglilo, toglilo di mezzo, crocifiggilo! Noi non abbiamo altro re che Cesare” (Giovanni 19:15), dichiarando così che chiunque riconosceva un altro re era un traditore. Quella iscrizione, fatta apporre da Pilato, era conforme ai loro sentimenti; in essa non era espressa alcuna accusa, se non che Gesù era il re dei giudei. Quella iscrizione era il riconoscimento della fedeltà che gli ebrei dovevano al potere romano: chiunque si attribuiva il titolo di re dei giudei veniva giudicato e con dannato a morte. I sacerdoti avevano fatto torto a se stessi. Quando complottavano contro Gesù, Caiafa aveva esplicitamente dichiarato che era bene che uno solo morisse per salvare tutto il popolo. Adesso la loro ipocrisia si manifestava. Pur di sopprimere Gesù, erano pronti a sacrificare perfino la loro esistenza come nazione. {GN 572.2}

I sacerdoti si resero conto della gravità di quello che avevano dichiarato e chiesero a Pilato di cambiare quell’iscrizione. “Non lasciare scritto: Il Re dei giudei; ma che egli ha detto: Io sono il Re dei giudei”. Giovanni 19:21. Ma Pilato, arrabbiato con se stesso per la sua precedente debolezza, e sprezzando la gelosia e l’invidia di quegli astuti sacerdoti e capi, rispose con freddezza: “Quello che ho scritto, ho scritto”. Versetto 22. {GN 573.1}

Una potenza superiore a quella di Pilato e dei giudei aveva disposto che fosse collocata quell’iscrizione sul capo di Gesù. Dio voleva far riflettere gli uomini e indurli a investigare le Scritture. Il luogo della crocifissione era vicino alla città. Migliaia di pellegrini si trovavano a Gerusalemme, ed essi sarebbero venuti a sapere di quella iscrizione che attestava che Gesù di Nazaret era il Messia. Si trattava di una verità vivente, scritta da una mano guidata da Dio. {GN 573.2}

Con le sofferenze di Gesù sulla croce si adempivano le profezie. Secoli prima della crocifissione, il Salvatore aveva predetto come sarebbe stato trattato. Egli aveva detto: “Poiché cani mi hanno circondato; una folla di malfattori m’ha attorniato; m’hanno forato le mani e i piedi. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e mi osservano: spartiscon fra loro le mie vesti e tirano a sorte la mia tunica”. Salmi 22:16-18. La profezia relativa alle vesti si adempì senza l’intervento di amici o nemici del crocifisso. Infatti, le sue vesti furono date ai soldati che lo avevano messo sulla croce. Gesù li udì mentre discutevano sul modo con cui dividersele. La sua tunica era senza cuciture, ed essi dissero: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocchi”. Giovanni 19:24. {GN 573.3}

In un’altra profezia il Salvatore aveva dichiarato: “L’oltraggio m’ha spezzato il cuore e son tutto dolente; ho aspettato chi mi confortasse, ma invano; ho atteso dei consolatori, ma non ne ho trovati. Hanno messo fiele nel mio cibo, e mi hanno dato da bere aceto pewr dissetarmi”. Salmi 69:20, 21. Si concedeva un narcotico a coloro che morivano sulla croce, per attenuare le sofferenze. Esso fu offerto anche a Gesù, ma egli, dopo averlo assaggiato, lo rifiutò. Non voleva prendere nulla che gli offuscasse la mente. La sua fede in Dio doveva rimanere ferma: era la sua unica forza. Se i suoi sensi fossero stati offuscati, Satana ne avrebbe avuto un vantaggio. {GN 573.4}

I nemici di Gesù sfogavano la loro collera mentre egli era sul la croce. Sacerdoti, capi e scribi si univano alla folla per insultare il Salvatore morente. Al battesimo e alla trasfigurazione, la voce di Dio aveva proclamato che Gesù era il suo amato Figlio. Anche poco prima del tradimento il Padre aveva dato un’ulteriore testimonianza della sua divinità. Ma in quel momento la voce del cielo taceva. Non si udiva nessuna testimonianza in favore di Gesù. Era solo, abbandonato alla violenza e agli insulti di uomini malvagi. {GN 573.5}

Questi dissero: “Se tu sei Figlio di Dio... scendi giù dalla croce!” Matteo 27:40. “Salvi se stesso, se è Cristo, l’Eletto di Dio!” Luca 23:35. Nel deserto Satana aveva tentato Gesù: “Se tu sei il Figlio di Dio, ordina che queste pietre diventino pani. Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù”. Matteo 4:3, 6. Satana e i suoi demoni, in veste umana, erano presenti alla crocifissione; il capo e i suoi accoliti collaboravano con i sacerdoti e con i capi. I rabbini avevano spinto la folla ignorante a pronunciare parole di condanna contro qualcuno che molti di loro non avevano mai visto, e a presentare false testimonianze. Sacerdoti, capi, farisei, mossi da una frenesia satanica, si erano alleati. I capi religiosi si unirono a Satana e ai suoi seguaci, disposti ad adempiere la sua volontà. {GN 574.1}

Gesù agonizzante udiva tutte le parole dei sacerdoti. “Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Se lui è il re d’Israele, scenda ora giù dalla croce, e noi crederemo in lui”. Matteo 27:42. Egli sarebbe potuto scendere dalla croce; ma proprio perché non lo fece, i peccatori hanno ottenuto la speranza del perdono di Dio. {GN 574.2}

Facendosi beffe del Salvatore, quegli uomini che si professavano interpreti della profezia ripetevano proprio le stesse parole che le Scritture avevano previsto che avrebbero pronunciato. Nella loro cecità non si resero conto che stavano adempiendo quella profezia. Coloro che con derisione dicevano: “Si è confidato in Dio: lo liberi ora, se lo gradisce, poiché ha detto: Sono Figlio di Dio” (Versetto 43), non pensavano che la loro dichiarazione sarebbe riecheggiata attraverso i secoli. Ma sebbene pronunciate con scherno, quelle parole indussero gli uomini a studiare le Scritture con maggiore impegno. Uomini saggi ascoltarono, approfondirono, ricercarono e pregarono. Alcuni non si dettero pace finché, dopo un esame attento dei passi, non ebbero compreso il significato della missione di Cristo. Mai prima Gesù era stato tanto celebre come nel momento in cui si trovava sulla croce. La luce della verità risplendeva nei cuori di molti che contemplavano la scena della crocifissione e udivano le parole di Gesù. {GN 574.3}

Una luce di consolazione giunse a Gesù agonizzante: la preghiera del buon ladrone. I due uomini che erano crocifissi con Gesù lo avevano dapprima schernito. Via via che le sofferenze aumentavano, uno di loro si fece più disperato e insolente; ma non così l’altro. Egli non era un criminale incallito, era stato traviato da cattive compagnie, ma era meno colpevole di molti che ai piedi della croce stavano oltraggiando il Salvatore. Nel passato aveva visto e udito Gesù, e si era anche convinto della verità dei suoi insegnamenti; ma i sacerdoti e i capi lo avevano distolto. Per soffocare le sue convinzioni, si era abbandonato sempre di più al peccato, finché era stato arrestato, riconosciuto colpevole e condannato alla morte della croce. Si era trovato insieme con Gesù nella sala del tribunale e lungo la strada sino al Calvario. Aveva udito la dichiarazione di Pilato: “Non trovo in lui alcuna colpa”. Giovanni 19:4. Ne aveva notato il comportamento divino e il perdono per i suoi accusatori. {GN 574.4}

Dalla croce aveva visto molti uomini religiosi scuotere la testa con disprezzo e con scherno. Aveva udito il rimprovero del suo compagno di pena: “Non sei tu Cristo? Salva te stesso e noi!” Luca 23:39. Aveva sentito che tra i passanti molti difendevano Gesù, ripetevano i suoi insegnamenti e raccontavano le sue opere. Si convinse che era Cristo. Si volse al suo compagno di pena e gli disse: “Non hai tu nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio?” Versetto 40. I malfattori morenti non avevano più nulla da temere dagli uomini, ma uno di loro era convinto che ci fosse un Dio da temere e un futuro terribile. E in quel momento in cui la sua vita di peccato stava per concludersi, disse sospirando: “Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma questi non ha fatto nulla di male”. Versetto 41. {GN 575.1}

Cessarono le domande, i dubbi, i rimproveri. Al momento della condanna quel ladro era disperato, ma ora nascevano in lui nuovi e consolanti pensieri. Si ricordò delle parole di Gesù, della guarigione dei malati, del perdono dei peccati. Aveva udito le parole di coloro che credevano in Gesù e che lo avevano seguito in lacrime; aveva visto e letto l’iscrizione posta sul capo del Salvatore; aveva udito i passanti che la ripetevano, alcuni con labbra tremanti, altri con disprezzo e scherno. Lo Spirito Santo illuminava la sua mente e a poco a poco lo convinceva. In Gesù ferito, insultato, appeso al legno della croce, vide l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Con una voce mista di angoscia e disperazione, quel moribondo gridò al Salvatore morente: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!” Versetto 42. {GN 575.2}

Immediatamente giunse la risposta con parole potenti, melodiose e compassionevoli: “In verità, in verità, io ti dico oggi, che sarai con me in paradiso”. Durante le lunghe ore di agonia, Gesù aveva udito ingiurie, insulti e imprecazioni. Mentre era appeso alla croce, giungeva alle sue orecchie il suono delle beffe e delle maledizioni. Aveva desiderato intensamente udire alcune espressioni di fede da parte dei suoi discepoli, ma aveva sentito soltanto queste amare parole: “Or noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele”. Luca 24:21. Le espressioni di fede e amore del ladrone pentito consolarono il suo cuore. Mentre i capi lo rinnegavano e perfino i suoi discepoli dubitavano della sua divinità, quel povero ladrone, sulla soglia dell’eternità, riconosceva Gesù come suo Signore. Molti erano pronti a chiamarlo Signore quando compiva dei miracoli e quando risuscitava i morti; ma nessuno, eccetto quel ladrone salvato nell’ultima ora, lo riconosceva mentre agonizzava là sulla croce. {GN 575.3}

Gli astanti udirono le parole che il ladrone rivolse a Gesù, e rimasero colpiti dal tono della sua voce. I suoi crocifissori, che discutevano sulle sue vesti e che le tiravano a sorte, si fermarono per ascoltare. Le loro voci adirate tacquero, e con il fiato sospeso guardarono Gesù per udire la risposta che sarebbe uscita da quelle labbra morenti. {GN 576.1}

Mentre egli rivolgeva al ladrone la sua promessa, le fitte tenebre che parevano circondare la croce furono attraversate da una luce brillante e fulgida. Il ladrone pentito, sentendosi accettato da Dio, provò una pace perfetta. Cristo fu glorificato nella sua umiliazione. Colui che agli occhi di tutti sembrava vinto, in realtà era il vincitore ed era riconosciuto come Redentore. Gli uomini potevano maltrattare il suo corpo, ferire le sue tempie con una corona di spine, strappargli le vesti e poi dividersele, ma non potevano togliergli il potere di perdonare i peccati. Morendo, egli testimoniò della propria divinità e della gloria del Padre. Il suo orecchio non è troppo duro per non poter udire, né la sua mano troppo corta per non poter salvare. È suo diritto reale salvare tutti coloro che si accostano a Dio tramite lui. {GN 576.2}

Gesù disse al ladrone: “Io ti dico, oggi, che sarai con me in paradiso”. Gesù non gli promise che sarebbe stato in paradiso con lui in quel giorno, perché egli stesso non vi andò in quel giorno. Si riposò nella tomba, e nel mattino della risurrezione disse: “Non sono ancora salito al Padre”. Giovanni 20:17. La promessa veniva fatta proprio nel giorno della crocifissione, giorno che sembrava quello del trionfo delle tenebre e della sconfitta. “Oggi”, mentre moriva sulla croce come un malfattore, Cristo assicurava al povero peccatore che sarebbe stato con lui in paradiso. {GN 576.3}

I ladroni crocifissi con Gesù erano stati posti “uno di qua, l’altro di là, e Gesù nel mezzo”. Giovanni 19:18. I sacerdoti e i capi avevano stabilito quella disposizione per mostrare che Gesù era il più colpevole dei tre. In questo modo si adempivano le Scritture: “Ed è stato contato fra i malfattori”. Isaia 53:12. Ma i sacerdoti non compresero il significato di quello che avevano fatto. Come Gesù fu messo in croce in mezzo a due ladroni, così la sua croce sarebbe stata posta in mezzo a un mondo morente nel peccato. Le parole di perdono rivolte al ladrone penitente accendevano una luce che avrebbe illuminato anche gli estremi limiti della terra. Gli angeli stupiti contemplavano l’amore infinito di Gesù che, sebbene nella tremenda agonia dello spirito e del corpo, pensava solo agli altri e incoraggiava quel penitente a credere. Nella sua umiliazione aveva rivolto parole profetiche alle figlie di Gerusalemme, come sacerdote e avvocato aveva interceduto presso il Padre in favore dei suoi crocifissori; come Salvatore aveva perdonato i peccati del ladrone penitente. {GN 576.4}

Mentre Gesù guardava la folla, il suo sguardo si posò su una figura ai piedi della croce. Era sua madre, sostenuta dal discepolo Giovanni. Ella non poteva stare lontana dal figlio e Giovanni, sapendo che la fine era vicina, l’aveva ricondotta presso la croce. Nel momento della morte Gesù si ricordò di lei. Guardando il suo volto sconvolto dal dolore, e poi quello di Giovanni, le disse: “Donna, ecco tuo figlio!” Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!” Giovanni 19:26, 27. {GN 577.1}

Giovanni comprese le parole di Gesù e accettò quel compito; da quel momento prese Maria in casa sua e ne ebbe tenera cura. Il Salvatore amorevole e compassionevole, pur in mezzo alla sofferenza fisica e al tormento morale, pensò premurosamente a sua madre. Non aveva denaro da lasciarle; ma aveva avvinto a sé il cuore di Giovanni, e a lui ora affidava sua madre come un prezioso deposito. Così assicurò a Maria ciò di cui aveva bisogno: la tenera simpatia di qualcuno che l’amava perché ella amava Gesù. Accogliendola come se avesse un compito sacro da assolvere, Giovanni riceveva una grande benedizione: Maria gli avrebbe sempre ricordato il suo amato Maestro. {GN 577.2}

L’esempio perfetto dell’amore filiale di Cristo brilla di fulgido splendore attraverso tutte le epoche. Per circa trent’anni Gesù, lavorando ogni giorno con le proprie mani, aveva aiutato la madre a portare il peso della responsabilità della casa. E ora, perfino nell’estrema agonia, pensava alle necessità della madre, addolorata e sola. Tutti i discepoli del Signore devono essere animati dallo stesso spirito. Chi segue Gesù deve sentire che è parte integrante della religione rispettare i propri genitori e provvedere alle loro necessità. Chi custodisce nel proprio cuore l’amore di Cristo non rifiuterà mai ai genitori la simpatia e la tenerezza a cui hanno diritto. {GN 577.3}

E ora il Signore della gloria moriva per riscattare l’umanità. Men tre abbandonava la sua vita preziosa, Gesù non era sostenuto da una gioia trionfante, ma circondato dalla tristezza. Non lo angustiava la paura della morte. Non erano il dolore e la vergogna della croce che causavano la sua straziante agonia. Gesù era il primo dei martiri; ma la sua sofferenza scaturiva dal peso del peccato di cui l’uomo non avvertiva più la gravità perché vi si era familiarizzato. Cristo vide quanto fosse profondamente radicato il peccato nel cuore dell’uomo e come soltanto pochi fossero disposti a liberarsene. Egli sapeva che senza l’aiuto di Dio l’umanità sarebbe morta e vide che, nonostante questo aiuto, intere folle si sarebbero ugualmente perdute. {GN 577.4}

Cristo, il nostro sostituto e la nostra salvezza, prese su di sé la malvagità di noi tutti. Per poterci redimere dalla condanna della legge, fu annoverato tra i peccatori. I peccati di tutti i discendenti di Adamo gravavano sul suo cuore; la collera di Dio contro il peccato, terribile manifestazione della sua disapprovazione, riempiva di costernazione il cuore di Gesù. Durante la sua vita, Cristo aveva fatto conoscere al mondo decaduto il buon annuncio della misericordia del Padre e del suo amore che perdona. Egli voleva salvare anche i più grandi peccatori. Ma in quel momento, portando sulle spalle il peso del male, non poteva godere della comunione con il Padre. Il distacco dal Padre in quell’ora suprema di angoscia straziava il cuore del Salvatore con un dolore che nessun uomo può comprendere pienamente. La sua sofferenza morale era tanto grande da non fargli quasi avvertire quella fisica. {GN 578.1}

Satana rivolse contro Gesù le sue tremende tentazioni. Il Salvatore non riusciva a scorgere nulla al di là della tomba. La speranza della sua vittoria sul sepolcro vacillava, e non era più sicuro che il suo sacrificio fosse gradito al Padre. Sapendo che il peccato è odioso agli occhi di Dio, temeva che la separazione fosse eterna. Cristo avvertì l’angoscia che ogni peccatore prova quando la misericordia cessa di intercedere in suo favore. Furono la consapevolezza del peccato e della disapprovazione divina a rendere tanto amaro il calice e a spezzare il cuore del Figlio di Dio. {GN 578.2}

Gli angeli assistevano attoniti alla disperata agonia del Salvatore e si velavano il volto di fronte a quel terribile spettacolo. La natura stessa esprimeva simpatia per il suo Creatore insultato e morente. Il sole si rifiutò di illuminare quella scena orrenda. I raggi splendenti di mezzogiorno sparirono all’improvviso e fitte tenebre, simili a un drappo funebre, avvolsero la croce. “Si fecero tenebre per tutto il paese fino all’ora nona”. Luca 23:44. Nessuna eclisse, nessuna causa naturale produsse quella oscurità, fitta come quella di una notte senza luna e senza stelle. Era una testimonianza miracolosa che Dio dava per confermare la fede delle generazioni future. Quelle fitte tenebre nascosero la faccia di Dio. Egli aveva fatto delle tenebre la sua dimora e nascondeva la sua gloria alla vista degli uomini. Dio e i suoi angeli erano accanto alla croce. Il Padre era insieme con il Figlio, ma la sua presenza non era visibile; nessun uomo avrebbe potuto resistere se la sua gloria si fosse rivelata pienamente. In quell’ora di prova terribile, Gesù non doveva essere confortato dalla presenza del Padre. Doveva essere solo, nella prova, a “calcare il torchio”; nessuno si doveva trovare accanto a lui. {GN 578.3}

L’ultima agonia del figlio di Dio fu velata da quelle fitte tenebre. Tutti quelli che videro Gesù nella sua sofferenza si convinsero della sua divinità. Non era possibile dimenticare quel volto. Come la faccia di Caino esprimeva la sua colpa di assassino, così quella di Gesù manifestava l’innocenza, la serenità, la benevolenza, l’immagine di Dio. Ma i suoi accusatori non si resero conto di quella testimonianza. Durante la lunga agonia Gesù era stato oggetto della curiosità di una folla che lo insultava; ora Dio lo copriva misericordiosamente. {GN 579.1}

Sembrava che un silenzio di morte fosse caduto sul Calvario. La folla accalcata intorno alla croce fu colta da un terrore incontenibile. Le maledizioni e le beffe cessarono all’improvviso: uomini, donne e bambini caddero a terra. Lampi sfolgoranti squarciarono le nuvole e illuminarono il Redentore crocifisso. Sacerdoti, capi, scribi, carnefici e tutta la folla pensarono che fosse giunto il tempo della loro condanna. Alcuni mormoravano che Gesù sarebbe sceso dalla croce; altri cercavano a tastoni di allontanarsi verso la città e si battevano il petto gemendo. {GN 579.2}

Verso l’ora nona le tenebre diminuirono, ma rimasero solo intorno al Salvatore: erano simbolo dell’agonia e dell’orrore che gravavano sul suo cuore. Nessun occhio poteva penetrare l’oscurità che circondava la croce, e ancor meno quella più fitta dell’anima sofferente di Cristo. Dei lampi sfolgoravano intorno a lui; appeso al legno. Allora “Gesù gridò con gran voce: Elì, Elì, lamà sabactanì? cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Matteo 27:46. Vedendo l’oscurità che circondava il Salvatore, molti dicevano che era scesa su di lui la vendetta del cielo, e che la collera di Dio lo colpiva per la sua pretesa di essere il Figlio di Dio. Molti di coloro che credevano in lui udirono il suo grido disperato ed ebbero paura. Se Dio aveva dimenticato Gesù, in chi avrebbero dovuto confidare i suoi discepoli? {GN 579.3}

Quando le tenebre che avvolgevano Gesù si furono allontanate, egli avvertì la sofferenza fisica, e disse: “Ho sete”. Giovanni 19:28. Un soldato romano, impietosito, mise in cima a un ramo di issopo una spugna inzuppata di aceto e l’accostò alle labbra aride di Gesù. Ma i sacerdoti si beffavano della sua agonia. Si erano impauriti nel vedere le tenebre che coprivano la terra; ma, tornata la luce, temettero che Gesù sfuggisse loro. Fraintesero le sue parole “Eli, Eli, lamà sa-bactanì?”, e con disprezzo dicevano: “Costui chiama Elia”; respinsero l’ultima occasione di lenire le sue sofferenze, e aggiunsero: “Lascia, vediamo se Elia viene a salvarlo”. Matteo 27:47, 49. {GN 579.4}

L’innocente Figlio di Dio era là, appeso alla croce; la sua carne era lacerata dalle ferite; le sue mani, che si erano tanto prodigate per benedire, erano inchiodate; anche i suoi piedi, instancabili nel servizio, erano stati fissati al legno; la testa regale era trafitta da una corona di spine; quelle labbra tremanti esprimevano gemiti di dolore. Tutto quello che egli ha sopportato, le gocce di sangue che scendevano dal suo capo, dalle sue mani e dai suoi piedi, l’agonia del suo corpo e l’inesprimibile angoscia della sua anima per la separazione dal Padre, annunciano a ogni uomo questo messaggio: è per te che il Figlio di Dio ha acconsentito a portare il peso del peccato, e per te ha strappato alla morte il suo dominio e ha aperto le porte del cielo. Colui che placò le onde agitate, che fece tremare e fuggire i demoni e le malattie, che aprì gli occhi ai ciechi e chiamò alla vita i morti, si offre sulla croce in sacrificio perché ti ama. Egli prende su di sé il peccato, subisce la collera della giustizia divina e diviene egli stesso peccato, per amor tuo. {GN 580.1}

I presenti, in silenzio, osservavano la fine di quella scena terribile. Il sole risplendeva, ma la croce restava avvolta nelle tenebre. Sacerdoti e capi guardavano verso Gerusalemme: una densa nuvola si stendeva sulla città e sulla pianura della Giudea. Il Sole di giustizia, la Luce del mondo ritraeva i suoi raggi da quella città, che una volta aveva goduto di tanti privilegi. I lampi minacciosi della collera di Dio erano diretti verso Gerusalemme, la città destinata alla distruzione. {GN 580.2}

All’improvviso si dissipò anche l’oscurità che avvolgeva la croce, e Gesù, con voce chiara e risonante che parve riecheggiare attraverso tutto il creato, gridò: “È compiuto! Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio”. Giovanni 19:30; Luca 23:46. Una luce avvolgeva la croce e il volto del Salvatore risplendeva di una gloria simile a quella del sole. Allora piegò il capo sul petto e spirò. {GN 580.3}

In mezzo alle tenebre orrende, apparentemente abbandonato da Dio, Cristo aveva bevuto sino in fondo la coppa del dolore umano. In quelle ore terribili aveva confidato nella benevola accettazione del suo sacrificio, di cui il Padre aveva testimoniato nel passato. Egli conosceva il carattere del Padre, ne comprendeva la giustizia, la mise ricordia e il grande amore; e poneva la sua piena fiducia in colui alla cui volontà aveva sempre ubbidito con gioia. Affidandosi al Padre, in piena sottomissione, superò il senso del suo distacco. Per fede Cristo riportò la vittoria. Mai prima la terra era stata testimone di un evento simile. La folla restò a contemplare il Salvatore come paralizzata e con il fiato sospeso. Riapparvero le tenebre, si udì un rimbombo simile a quello di tanti tuoni e vi fu un violento terremoto. I presenti furono scaraventati gli uni addosso agli altri: era una scena terribile di confusione e spavento. Grossi massi si staccarono dalle montagne vicine e precipitarono nella pianura. Alcuni sepolcri si aprirono e i morti uscirono dalle tombe. Sembrava che il creato si dissolvesse. Sacerdoti, capi, soldati, carnefici e tutta la folla, muti di terrore, giacevano a terra. {GN 580.4}

Nel momento in cui Gesù esclamò: “È compiuto!”, dei sacerdoti officiavano nel tempio. Era l’ora del sacrificio della sera. L’agnello, simbolo di Cristo, stava per essere immolato. Il sacerdote, con i sontuosi paramenti sacerdotali, aveva il coltello in mano, come Abramo quando stava per uccidere il proprio figlio. La folla contemplava attenta la scena. Ma in quello stesso momento la terra fu scossa perché il Signore stesso si avvicinava. Con un rumore lacerante la cortina interna del tempio fu strappata in due, da cima a fondo, da una mano invisibile e svelò agli occhi della folla il luogo in cui si manifestava la presenza di Dio. Lì, sul propiziatorio, il Signore esprimeva la sua gloria. Soltanto il sommo sacerdote sollevava la cortina che separava il luogo santissimo dall’altra parte del santuario, una volta l’anno, per fare l’espiazione dei peccati del popolo. Ma adesso quella cortina era strappata in due. Il luogo santissimo del santuario terreno aveva perso il suo carattere sacro. {GN 581.1}

Ovunque regnavano terrore e confusione. Il sacerdote stava per immolare la vittima, ma il coltello gli cadde dalla mano tremante e l’agnello fuggì. Il simbolo si era incontrato con la sua realtà nel momento della morte del figlio di Dio. Il grande sacrificio era compiuto. La via che dà accesso al santuario è aperta, una via nuova e vivente, accessibile a tutti; l’umanità peccatrice e sofferente non ha più bisogno di aspettare la venuta del sommo sacerdote. Da quel momento in poi il Salvatore avrebbe officiato in cielo come sacerdote e avvocato. Fu come se una voce dicesse agli adoratori: “Sono cessati tutti i sacrifici e tutte le offerte per il peccato. Il Figlio di Dio è venuto secondo la sua Parola”. “Ecco, vengo (nel rotolo del libro è scritto di me) per fare, o Dio, la tua volontà”. Ed “è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo... Così ci ha acquistato una redenzione eterna”. Ebrei 10:7; 9:12. {GN 581.2}



Capitolo 79: “È compiuto!”

Gesù depose la sua vita solo dopo aver completato l’opera che era venuto a compiere, e con il suo ultimo respiro esclamò: “È compiuto!” Giovanni 19:30. La battaglia era stata vinta. Con la sua santità Gesù aveva conseguito la vittoria e come un conquistatore poteva piantare la sua bandiera sulle cime eterne. Gli angeli esultavano, e tutto il cielo trionfava per la vittoria del Salvatore. Satana, sconfitto, si rese conto che il suo regno era perduto. {GN 582.1}

Le parole di Gesù: “È compiuto!” avevano un profondo significato per gli angeli e per gli abitanti degli altri mondi non caduti nel peccato. Volevano dire che la grande opera della redenzione era stata compiuta non solo per noi ma anche per loro. Anch’essi partecipavano ai frutti della vittoria di Cristo. {GN 582.2}

La morte di Cristo svelò completamente il carattere di Satana agli angeli e agli abitanti degli altri mondi. Il grande apostata aveva dissimulato le sue intenzioni a tal punto che neppure gli angeli le avevano comprese. Era sfuggita loro la vera natura della sua ribellione. {GN 582.3}

L’essere che si era rivolto contro Dio era straordinariamente potente e glorioso. Parlando di Lucifero, il Signore aveva detto: “Tu mettevi il sigillo alla perfezione, eri pieno di saggzza, di una bellezza perfetta”. Ezechiele 28:12. Lucifero era stato un cherubino protettore alla presenza di Dio. Aveva occupato il posto più elevato fra tutti gli esseri creati, ed era stato il primo a rivelare all’universo il piano di Dio. Dopo la rivolta, usò la sua capacità di convinzione per sedurre, ed era difficile smascherarlo per l’altissima posizione che occupava in cielo. {GN 582.4}

Dio avrebbe potuto distruggere Satana e i suoi seguaci con la stessa facilità con cui noi tiriamo un sasso, ma non lo fece perché la ribellione non doveva essere vinta con la forza. Solo Satana ricorre alla costrizione. I princìpi del Signore sono diversi; la sua autorità si basa sulla bontà, sulla misericordia e sull’amore, e il solo mezzo di cui si serve è far conoscere agli uomini le sue vie. Nel governo di Dio la verità e l’amore sono i princìpi dominanti. {GN 582.5}

Il Signore voleva che l’universo si ristabilisse su una base eterna di sicurezza; nel consiglio del cielo fu deciso di consentire a Satana di attuare i princìpi che stavano alla base del suo sistema di governo, perché egli pretendeva che essi fossero migliori di quelli di Dio. Fu quindi concesso a Satana di attuare il suo progetto perché tutto il cielo potesse valutarli. {GN 582.6}

Mentre Satana induceva gli uomini a peccare, venne attuato il piano della redenzione. Per quattromila anni Gesù aveva operato in vista della redenzione dell’umanità, mentre Satana la faceva precipitare nella degradazione e nella rovina. L’universo intero aveva osservato tutto ciò. {GN 583.1}

Quando Gesù venne nel mondo, tutto il potere di Satana si volse contro di lui. Sin dalla sua nascita a Betlemme, l’usurpatore si impegnò per farlo morire. Con tutti i mezzi possibili cercò di impedire a Gesù di vivere un’infanzia e una gioventù perfette, una piena maturità, un santo ministero e un sacrificio senza riserve. Ma venne sconfitto, perché non poté indurre Gesù né a peccare, né a scoraggiarsi, né a distrarsi dall’opera che era venuto a compiere sulla terra. Dal deserto sino al Calvario, la collera di Satana si abbatté su di lui; ma più egli infieriva, più il Figlio di Dio afferrava saldamente la mano del Padre e avanzava nel sentiero dell’estremo sacrificio. Tutti i tentativi di Satana di opprimerlo e vincerlo ebbero come risultato quello di mostrare, nella luce migliore, il suo carattere irreprensibile. {GN 583.2}

Tutto il cielo e gli abitanti degli altri mondi erano stati testimoni di quel conflitto e con grandissimo interesse ne seguirono le scene finali. Videro il Salvatore entrare nel giardino del Getsemani e la sua anima prostrata nell’orrore di quelle Atte tenebre. Udirono il suo grido amaro: “Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice!” Matteo 26:39. Quando il Padre si era ritirato da lui, lo avevano visto in preda a una sofferenza ancora più atroce di quella della sua ultima lotta contro la morte: gocce di sudore misto a sangue uscirono dai suoi pori e caddero sul terreno. Per tre volte la richiesta della liberazione uscì dalle sue labbra. Non potendo sopportare quella scena, il cielo inviò presso il Figlio di Dio un messaggero per consolarlo. {GN 583.3}

Lo avevano visto poi nelle mani di una folla sanguinaria che lo trascinava con violenza da un tribunale all’altro. Avevano udito le beffe dei suoi persecutori a proposito della sue umili origini, il rinnegamento, i giuramenti e le maledizioni di un suo amato discepolo. Avevano visto Satana all’opera per travolgere i cuori degli uomini. Quale scena orrenda! Il Salvatore arrestato a mezzanotte nel Getsemani, trascinato dal palazzo al tribunale, condotto due volte davanti ai sacerdoti, due volte davanti al sinedrio, due volte davanti a Pilato, una volta davanti a Erode, schernito, offeso, condannato, spinto alla crocifissione sotto il peso della croce, tra il lamento delle figlie di Gerusalemme e gli insulti della plebaglia. {GN 583.4}

Il cielo osservò con orrore e stupore Cristo appeso al legno, mentre il sangue sgorgava dalle sue tempie ferite e la fronte era coperta di un sudore misto a sangue. Dalle mani e dai piedi il sangue scendeva goccia a goccia sul terreno su cui si ergeva la croce. Le ferite dei chiodi si allargavano per il peso del corpo. Il suo respiro si faceva più rapido e profondo, mentre il suo spirito soffriva per il peso dei peccati del mondo. Tutto il cielo restò attonito per lo stupore quando in mezzo a quelle terribili sofferenze, Gesù pronunciò la preghiera: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Luca 23:34. C’erano degli uomini, creati a immagine di Dio, che volevano togliere la vita al suo unico Figlio. Quale scena orrenda per l’intero universo! {GN 584.1}

Le potenze delle tenebre erano riunite intorno alla croce e proiettavano sui cuori degli uomini un’ombra diabolica di sfiducia. Quando il Signore li aveva creati, perché stessero intorno al suo trono, erano magnifici e gloriosi; la loro santità e amabilità erano adeguate alla loro elevata posizione. Arricchiti dalla sapienza divina e rivestiti della sua dignità, erano i collaboratori di Yahweh. Ma chi avrebbe potuto riconoscere in quegli angeli decaduti i gloriosi serafini che officiavano un tempo in cielo? {GN 584.2}

Esseri diabolici si erano alleati con uomini malvagi per provocare nel popolo l’odio contro Gesù e convincerlo che egli era il più grande dei peccatori. Coloro che si facevano beffe di Gesù sulla croce erano animati dallo stesso spirito del primo grande ribelle. Satana suggeriva loro discorsi abietti e ripugnanti, ispirava i loro scherni, ma senza che da tutto ciò ne potesse ricavare qualche vantaggio. {GN 584.3}

Il nemico di Dio e degli uomini avrebbe trionfato anche se un solo peccato si fosse trovato in Cristo e se avesse ceduto a Satana per sfuggire alle sofferenze. Cristo reclinò il capo e morì; ma sino alla fine preservò la sua fede e rimase sottomesso a Dio. “Allora udii una gran voce nel cielo, che diceva: Ora è venuta la salvezza e la potenza, il regno del nostro Dio, e il potere del suo Cristo, perché è stato gettato giù l’accusatore dei nostri fratelli, colui che giorno e notte li accusava davanti al nostro Dio”. Apocalisse 12:10. {GN 584.4}

Satana si vide smascherato. I suoi reali moventi erano svelati agli angeli fedeli e a tutto l’universo. Egli si era manifestato come un assassino. Versando il sangue del Figlio di Dio aveva definitivamente perduto la simpatia delle creature del cielo. Da quel momento il suo campo di azione sarebbe stato ridotto; davanti agli angeli non avreb be più potuto accusare i discepoli di Gesù di debolezza e di peccato. L’ultimo legame di simpatia tra Satana e gli altri mondi era stato infranto. Tuttavia Satana non fu distrutto in quel momento. Neppure allora gli angeli avevano ancora compreso completamente tutti i princìpi implicati in quel grande conflitto. Questi princìpi dovevano essere completamente manifestati. Per amore degli uomini l’esistenza di Satana doveva essere prolungata perché diventasse evidente la differenza radicale tra il Principe della luce e quello delle tenebre. In questo modo ognuno serve colui che si è scelto. {GN 584.5}

All’inizio del gran conflitto, Satana aveva affermato che non era possibile osservare la legge di Dio, che la giustizia non era conciliabile con la misericordia e che, una volta trasgredita la legge, il peccatore non avrebbe più potuto essere perdonato. Satana insisteva nel dire che ogni peccato deve essere punito, e che se Dio non lo avesse fatto, non sarebbe stato un Dio di verità e giustizia. Satana esultò quando gli uomini infransero la legge di Dio, ribellandosi alla sua volontà. Affermava quindi che non era possibile osservare la legge e che non c’era perdono per l’umanità. Siccome dopo la sua ribellione era stato bandito dal cielo, pretendeva che la razza umana fosse per sempre esclusa dalla grazia divina. Sosteneva che Dio non poteva essere giusto e nello stesso tempo mostrare misericordia verso i peccatori. {GN 585.1}

Ma l’uomo, sebbene peccatore, era in una posizione diversa da quella di Satana. Lucifero in cielo aveva peccato pur vivendo nella luce della gloria di Dio. L’amore di Dio gli era stato rivelato come a nessun’altra creatura. Pur conoscendo il carattere di Dio e la sua bontà, Satana scelse di seguire la sua volontà egoistica e indipendente. Quella scelta fu definitiva, e Dio non avrebbe potuto fare più nulla per salvarlo. L’uomo, invece, fu ingannato e la sua mente venne offuscata dalle menzogne di Satana. Egli non conosceva ancora l’altezza e la profondità dell’amore di Dio; c’era quindi la speranza che se ne rendesse conto e, dopo avere contemplato il carattere di Dio, tornasse a lui. {GN 585.2}

La grazia di Dio fu manifestata agli uomini tramite Gesù. Ma la grazia non annulla la giustizia. La legge rivela gli attributi del carattere di Dio, e neppure un iota o un apice di questa legge può essere mutato per scusare i peccati degli uomini. Il Signore non ha cambiato la sua legge, ma si è offerto in sacrificio, nella persona di Cristo, per la redenzione dell’uomo. “Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo”. 2 Corinzi 5:19. {GN 585.3}

La legge esige la giustizia, una vita giusta, un carattere perfetto; ma l’uomo non è in grado di conformarsi alle richieste della santa legge di Dio. Però Gesù, venendo sulla terra come uomo, ha vissuto una vita santa e ha sviluppato un carattere perfetto. Egli offre tutto questo in dono a coloro che vogliono riceverlo. La sua vita si è sostituita a quella degli uomini, che in tal modo ottengono il perdono dei peccati compiuti durante il tempo della misericordia di Dio. Inoltre, Gesù infonde negli uomini gli attributi di Dio; egli plasma il loro carattere a sua somiglianza e ne fa un capolavoro di forza e bellezza spirituali. In questa maniera la giustizia della legge si adempie in colui che crede in Cristo. “Affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù”. Romani 3:26. {GN 585.4}

L’amore di Dio si manifesta sia nella sua giustizia sia nella sua misericordia. La giustizia è la base del suo trono e il frutto del suo amore. Satana mirava a dividere la misericordia dalla verità e dalla giustizia. Fece di tutto per provare che la giustizia della legge divina è contraria alla pace. Ma Gesù ha dimostrato che nel piano di Dio esse sono indissolubilmente unite, e che l’una non può esistere senza l’altra. “La bontà e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si son baciate”. Salmi 85:10. Con la sua vita e la sua morte, Gesù ha dimostrato che la giustizia di Dio non esclude la sua misericordia, che il peccato può essere perdonato, che la legge è giusta e che può essere pienamente osservata. Le accuse di Satana sono state confutate e Dio ha fornito una prova irrefutabile del suo amore. {GN 586.1}

Satana, inoltre, aveva affermato che la misericordia distruggeva la giustizia, e che la morte di Gesù abrogava la legge del Padre. Se fosse stato possibile modificare o annullare la legge, non ci sarebbe stato bisogno che Gesù morisse. Ma abrogando la legge, si sarebbe perpetuata la trasgressione e il mondo sarebbe rimasto sotto il controllo di Satana. Gesù fu innalzato sulla croce proprio perché la legge era immutabile, e perché l’unica salvezza per l’uomo consisteva nell’osservanza dei suoi precetti. Satana additò come mezzi di distruzione della legge proprio quelli di cui Gesù si era servito per stabilirla. E su questo si combatterà l’ultima battaglia del gran conflitto tra Cristo e Satana. {GN 586.2}

Satana ripete ancora oggi che la legge pronunciata dalla bocca di Dio non è perfetta, e che in alcune parti ha dovuto essere modifl-cata. È questo l’ultimo grande inganno che sarà presentato al mondo. Per conseguire il suo scopo, Satana non ha bisogno di attaccare tutta la legge; gli basta indurre gli uomini a trasgredirne un precetto. “Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti”. Giacomo 2:10. Gli uomini che acconsentono a infrangere anche un solo comandamento della legge si pongono sotto il dominio di Satana. Satana cercherà di assumere il controllo del mondo sostituendo una legge umana a quella divina. Questa sua opera è preannunciata nella profezia. A proposito del grande potere apostata che rappresenta Satana nel mondo, viene detto: “Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi i e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani”. Daniele 7:25. {GN 586.3}

Gli uomini faranno di tutto per promulgare le loro leggi in contrapposizione con quelle di Dio; cercheranno di costringere le coscienze degli altri, e nel loro zelo per imporre queste leggi opprimeranno i loro simili. {GN 587.1}

La guerra contro la legge di Dio, iniziata nel cielo, continuerà sino alla fine dei tempi. Ogni uomo sarà messo alla prova e dovrà scegliere tra l’ubbidienza e la disubbidienza. In questo modo le persone saranno divise in due gruppi. Ogni carattere dovrà manifestarsi in un senso o nell’altro; si vedrà così chi ha scelto la lealtà e chi invece la ribellione. {GN 587.2}

Allora verrà la fine. Il Signore rivendicherà la sua legge e libererà il suo popolo. Satana e tutti coloro che lo avranno seguito saranno eliminati. Il peccato e i peccatori saranno distrutti, radice e rami. Cfr. Malachia 4:1. Satana è la radice e i suoi seguaci sono i rami. Si adempiranno allora le seguenti parole pronunciate sul principe del male: “Poiché tu ti sei fatto un cuore come un cuore di Dio. Ti farò sparire, o cherubino protettore, di mezzo alle pietre di fuoco. Tu sei diventato oggetto di terrore e non esisterai mai più”. Cfr. Ezechiele 28:6-19. “Ancora un po’ e l’empio scomparirà; tu osserverai il luogo dove si trovava, ed egli non ci sarà più”. Salmi 37:10. Le nazioni empie “saranno come se non fossero mai state”. Abdia 16. {GN 587.3}

Quella distruzione non sarà un atto arbitrario della potenza di Dio. Coloro che respingono la sua grazia, raccoglieranno quello che avranno seminato. Dio è la fonte della vita e coloro che scelgono il peccato si separano da Dio, quindi dalla vita. Diventano così “estranei alla vita di Dio”. Efesini 4:18. Gesù dice: “Tutti quelli che mi odiano, amano la morte”. Proverbi 8:36. Dio concede agli uomini la vita per un tempo limitato, affinché possano sviluppare il loro carattere e confermare i loro princìpi. Gli uomini raccolgono poi i frutti della loro scelta. Con una vita di ribellione, Satana e i suoi seguaci si allontanano da Dio e la sola presenza divina è per loro un fuoco consumante. La gloria di colui che è amore li distruggerà. {GN 587.4}

All’inizio del gran conflitto gli angeli non compresero questo. Se Satana e i suoi seguaci avessero dovuto subire tutte le conseguenze dei loro peccati, sarebbero morti subito, e gli angeli non avrebbero conosciuto le vere conseguenze del peccato. Nella loro mente sarebbe sempre rimasto un dubbio sulla bontà di Dio, e questo dubbio, come un cattivo seme, avrebbe potuto produrre frutti mortali di peccato e dolore. Questo pericolo non ci sarà più quando il gran conflitto sarà concluso. Compiuto il piano della redenzione, il carattere di Dio sarà pienamente manifestato a tutte le creature intelligenti. Si vedrà che i comandamenti della legge sono perfetti e immutabili. Il peccato apparirà nella sua vera natura e Satana nel suo vero carattere. La distruzione del peccato attesterà l’amore di Dio e ristabilirà il suo onore davanti a un universo di creature che desiderano fare la sua volontà e nei cui cuori è scritta la sua legge. {GN 587.5}

Gli angeli avevano motivo di rallegrarsi nel contemplare la croce del Salvatore. Sebbene non comprendessero tutto, sapevano che la distruzione del peccato e di Satana era assicurata per sempre, che la redenzione dell’uomo era un fatto compiuto e che l’equilibrio dell’universo era ristabilito per sempre. Cristo stesso comprese pienamente i risultati del sacrificio compiuto sul Calvario. Egli pensava a tutte queste cose quando esclamò sulla croce: “È compiuto!” {GN 588.1}

Capitolo 80: Nella tomba di Giuseppe

Finalmente Gesù riposava. Il lungo giorno di sofferenza era finito. Mentre gli ultimi raggi del sole annunciavano il sabato, il Figlio di Dio giaceva in pace nella tomba di Giuseppe. La sua missione era compiuta e, con le mani composte, si riposava nelle sacre ore del sabato. {GN 589.1}

Nel principio, dopo avere creato il mondo, il Padre e il Figlio si erano riposati nel giorno del sabato. Quando “furono compiuti i cieli e la terra e tutto l’esercito loro” (Genesi 2:1), il Creatore e gli angeli si rallegrarono contemplando quella scena gloriosa, “quando le stelle del mattino cantavano tutte assieme e tutti i figli di Dio alzavano grida di gioia”. Giobbe 38:7. Ora Gesù riposava dopo aver compiuto l’opera della redenzione. I suoi discepoli erano addolorati, ma nel cielo vi era gioia. Davanti agli occhi degli angeli si schiudeva la prospettiva di un futuro glorioso. Dio e le creature del cielo vedevano il frutto dell’opera di Cristo: una creazione restaurata, l’umanità redenta per sempre con la vittoria sul peccato. {GN 589.2}

Questa visione resterà collegata al giorno in cui Gesù si riposò. Perché “l’opera sua è perfetta”, e “tutto quel che Dio fa è per sempre”. Deuteronomio 32:4; Ecclesiaste 3:14. Quando avverrà la “restaurazione di tutte le cose; di cui Dio ha parlato fin dall’antichità per bocca dei suoi santi profeti” (Atti 3:21), il sabato della creazione, il giorno in cui Gesù si riposò nella tomba di Giuseppe, sarà ancora un giorno di riposo e di esultanza. Il cielo e la terra si uniranno nella lode quando “di sabato in sabato” (Isaia 66:23) tutte le nazioni dei redenti si prostreranno nella gioiosa adorazione di Dio e dell’Agnello. {GN 589.3}

Gli ultimi avvenimenti del giorno della crocifissione portarono nuove prove dell’adempimento delle profezie e resero una nuova testimonianza alla divinità di Gesù. Quando le tenebre si furono allontanate dalla croce e il Salvatore morente ebbe espresso il suo ultimo grido, si udì un’altra voce che disse: “Veramente, costui era Figlio di {GN 589.4}

Dio”. Matteo 27:54. {GN 589.5}

Quelle parole furono pronunciate ad alta voce, e tutti gli occhi si volsero per vedere chi le avesse dette. Era stato il centurione romano. Quel pagano era rimasto profondamente colpito dalla divina pazienza del Salvatore, dalla sua morte improvvisa e dal suo grido di vittoria, e in quel corpo ferito e spezzato, appeso alla croce, aveva riconosciuto il Figlio di Dio. Non poté trattenersi dall’esprimere la sua fede. Il Redentore iniziava a vedere il frutto della sua sofferenza. Nel giorno della sua morte, tre uomini, molto diversi l’uno dall’altro, avevano confessato la loro fede: il comandante della guardia romana, Simone cireneo che aveva portato la croce del Salvatore, e colui che, al suo fianco, moriva sulla croce. {GN 589.6}

Mentre calava la sera, la pace del cielo avvolse il Calvario. La folla si era dispersa, e molti erano ritornati a Gerusalemme trasformati nell’animo per quanto avevano visto in quella giornata. Tanti avevano assistito alla crocifissione spinti più dalla curiosità che dall’odio; tuttavia avevano creduto alle accuse dei sacerdoti e consideravano Gesù come un malfattore. Sotto l’influsso dell’eccitazione generale, si erano uniti alla plebaglia infuriata; ma quando le tenebre avvolsero la terra, sentirono il rimorso della loro coscienza e si riconobbero colpevoli. Non si udivano più né beffe né risa in quella terribile oscurità; e quando si dissipò, essi ritornarono a casa, immersi in un profondo silenzio: erano convinti che le accuse dei sacerdoti erano false e che Gesù non era un impostore. Poche settimane più tardi, nel giorno della Pentecoste, quando Pietro pronunciò il suo discorso, facevano parte di quelle migliaia di persone che si convertirono a Cristo. {GN 590.1}

Ma i capi del popolo, nonostante gli eventi di cui erano stati testimoni, continuarono nella loro ostinazione. Il loro odio per Gesù non diminuì. Le tenebre che avevano avvolto la terra nel momento della crocifissione non erano meno fitte di quelle che avvolgevano ancora la mente dei sacerdoti e dei capi. Al momento della nascita una stella aveva riconosciuto Gesù e aveva guidato i magi d’Oriente alla mangiatoia dove giaceva il bambino. Le schiere degli angeli lo avevano onorato e avevano cantato le sue lodi nelle pianure di Betlemme. {GN 590.2}

Il mare aveva riconosciuto la sua voce e aveva ubbidito. La malattia e la morte avevano riconosciuto la sua autorità e gli avevano reso le loro prede. Il sole lo aveva riconosciuto e aveva nascosto la sua faccia per non vedere la sua angoscia mortale. Le rocce lo avevano riconosciuto e si erano frantumate al momento del suo grido. La natura inanimata aveva riconosciuto Gesù e aveva testimoniato della sua divinità. Invece i sacerdoti e i capi d’Israele non riconobbero il Figlio {GN 590.3}

di Dio. {GN 590.4}

Però non erano tranquilli. Avevano attuato il loro piano facendo morire Gesù, ma non riuscivano a provare la soddisfazione della vittoria. Perfino nel momento del loro apparente trionfo erano preoccupati per quello che sarebbe potuto accadere. Avevano udito il grido di Gesù: “È compiuto!” (Giovanni 19:30); “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio”. Luca 23:46. Erano inquieti e turbati perché avevano visto le rocce sgretolarsi e la terra scuotersi per un possente terremoto. {GN 590.5}

Mentre Gesù era in vita, erano gelosi dell’ascendente che egli aveva sul popolo; ed erano gelosi di lui anche dopo la morte. Temevano Gesù da morto ancora più che da vivo; avevano paura che l’attenzione del popolo si soffermasse troppo su quello che era successo alla crocifissione e temevano le conseguenze di ciò che era accaduto in quel giorno. Non volevano in nessun modo che il suo corpo rimanesse sulla croce durante il sabato: il giorno di riposo si avvicinava e i corpi appesi alla croce lo avrebbero profanato. Ricorrendo a questo pretesto, i capi chiesero a Pilato che la morte delle vittime venisse affrettata e i corpi fossero sepolti prima del tramonto del sole. {GN 591.1}

Pilato, che era dello stesso parere, accolse la loro richiesta. Le gambe dei due ladroni furono spezzate per affrettarne il decesso, ma Gesù era già morto. Quei rudi soldati, impressionati per quello che avevano visto e udito, non gli spezzarono le gambe. Così, nell’immolazione dell’Agnello di Dio si adempì la legge della Pasqua: “Non ne lasceranno nulla di avanzo fino al mattino e non ne spezzeranno nessun osso. La celebreranno secondo tutte le leggi della Pasqua”. Numeri 9:12. {GN 591.2}

I sacerdoti e i capi furono sorpresi per la rapida morte di Gesù. La morte sulla croce era molto lunga, ed era difficile stabilire il momento del decesso. Non accadeva mai che qualcuno morisse appena sei ore dopo la crocifissione. I sacerdoti volevano essere certi della morte di Gesù, e insistettero perché un soldato gli conficcasse la lancia nel costato. Dalla ferita aperta sgorgarono due copiosi fiotti distinti: uno di sangue e l’altro di acqua. Questo fu osservato da tutti i presenti, e Giovanni ne dette una relazione precisa: “Ma uno dei soldati gli forò il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua. Colui che lo ha visto, ne ha reso testimonianza, e la sua testimonianza è vera; ed egli sa che dice il vero, affinché anche voi crediate. Poiché questo è avvenuto affinché si adempiesse la Scrittura: Nessun osso di lui sarà spezzato. E un’altra Scrittura dice: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”. Giovanni 19:34-37. {GN 591.3}

Dopo la risurrezione, i sacerdoti e i capi misero in giro la voce secondo cui Gesù non era morto ma solo svenuto, e che più tardi si era ripreso. Un’altra voce riferiva che nella tomba non era stato deposto un corpo in carne e ossa, ma un simulacro. Ma l’atto del soldato romano confutò quelle false voci. Non gli ruppero le gambe perché era già morto, ma per l’insistenza dei sacerdoti gli trafissero il costato. Se {GN 591.4}

Gesù fosse stato ancora in vita, quella ferita ne avrebbe provocato la morte immediata. {GN 592.1}

Ma non furono né il colpo di lancia né il dolore della croce a causare la morte di Gesù. Il gran grido al momento della morte (cfr. Matteo 27:50; Luca 23:46), il fiotto di sangue e di acqua che sgorgavano dal suo fianco, attestavano che Gesù era morto di crepacuore. L’angoscia morale aveva spezzato il suo cuore. Egli fu ucciso dal peccato del mondo. {GN 592.2}

Con la morte di Gesù svanirono le speranze dei discepoli. Provavano un’angoscia inesprimibile guardandone le palpebre chiuse, il capo chino, i capelli insanguinati, le mani e i piedi trafitti. Sino all’ultimo momento avevano sperato che non sarebbe morto, e non potevano credere che lo fosse realmente. Sopraffatti dal dolore, non si ricordarono delle parole con cui egli aveva preannunciato quell’evento. Nulla di tutto ciò che Gesù aveva detto loro li consolava: vedevano solo la croce e la sua vittima insanguinata. Il futuro sembrava loro disperatamente oscuro. La loro fede in Gesù si affievoliva, ma mai come in quel momento essi sentivano di amare il loro Signore, e mai prima di allora avevano compreso così intensamente il suo valore e sentito quanto la sua presenza fosse loro necessaria. {GN 592.3}

I discepoli avevano un grande rispetto per il corpo di Gesù e volevano dargli una sepoltura onorevole; ma non sapevano come fare. Gesù era stato condannato per tradimento contro il governo romano, e tutti i condannati per questo crimine venivano sepolti in un campo apposito. Giovanni era rimasto accanto alla croce insieme con le donne della Galilea. Esse non volevano che il corpo del loro Signore restasse nelle mani di quei rudi soldati e ricevesse una sepoltura infamante, ma non avevano i mezzi per impedirlo; non avrebbero certo potuto ottenere niente dalle autorità ebraiche né aspettarsi nessuna protezione da Pilato. {GN 592.4}

Mentre i discepoli erano in grande imbarazzo per questa situazione vennero loro in aiuto Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Entrambi erano membri del sinedrio, avevano buone relazioni con Pilato, erano ricchi e influenti ed erano decisi a dare un’onorevole sepoltura al corpo di Gesù. {GN 592.5}

Giuseppe andò deciso dal governatore romano per chiedergli il corpo di Gesù. Pilato volle prima essere sicuro della sua morte. Gli erano giunti rapporti contrastanti sugli ultimi eventi della crocifissione, e di proposito non gli era stata comunicata la notizia della morte di Gesù. I sacerdoti e i capi lo avevano messo in guardia contro l’intenzione dei discepoli di sottrarne il corpo. Dopo aver udito la richiesta di Giuseppe, Pilato chiamò il centurione che era stato presso la croce e lo interrogò sulla morte di Gesù. Volle una sua testimonianza per accertare quello che Giuseppe gli aveva riferito. {GN 592.6}

La richiesta di Giuseppe fu accolta. Mentre Giovanni era preoccupato per il seppellimento del suo Signore, Giuseppe tornò con l’ordine di Pilato. Venne anche Nicodemo con una preziosa mistura di mirra e aloe del peso di circa trenta chili: aveva pensato all’imbalsamazione del Salvatore. La persona più onorata di tutta Gerusalemme non avrebbe potuto ricevere maggiori onori alla sua morte. I discepoli si meravigliarono vedendo questi uomini ricchi e potenti interessarsi così tanto del seppellimento del loro Signore. {GN 593.1}

Né Giuseppe né Nicodemo avevano accettato apertamente il Salvatore mentre era in vita. Temevano che un tale atto li escludesse dal sinedrio, e speravano piuttosto di poterlo aiutare con la loro presenza in quel concilio. Per un po’ di tempo pensarono di esservi riusciti; ma i sacerdoti, invidiosi, vedendo la loro simpatia per Gesù, ne avevano contrastato i piani; e durante la loro assenza, Gesù era stato condannato alla crocifissione. Ora che il Salvatore era morto non c’era più ragione di nascondere il loro affetto per lui; e mentre i discepoli avevano paura di farsi riconoscere in quanto tali, Giuseppe e Nicodemo vennero coraggiosamente in loro aiuto. L’intervento di quei due uomini ricchi e onorati fu molto utile. Essi potevano fare per il loro Maestro morto quello che i poveri discepoli non sarebbero riusciti a fare; il loro influsso e la loro ricchezza li proteggevano dalla collera dei sacerdoti e dei capi. {GN 593.2}

Delicatamente e rispettosamente deposero con le loro stesse mani il corpo di Gesù dalla croce. Lacrime di commozione scendevano dai loro occhi mentre guardavano il suo corpo ferito e straziato. Giuseppe possedeva una tomba nuova, scavata nella roccia, vicino al Calvario. L’aveva fatta preparare per sé, ma la mise a disposizione di Gesù. Il corpo del Redentore fu amorevolmente avvolto in un lenzuolo di lino, insieme con gli aromi portati da Nicodemo, e adagiato nella tomba. I tre discepoli composero le membra straziate di Gesù e congiunsero le sue mani sul petto inerte. Le donne galilee vennero per assicurarsi che fosse stato fatto tutto ciò che era possibile per le spoglie mortali del loro amato Maestro. Videro anche che una pesante pietra era stata posta all’ingresso del sepolcro, e il Salvatore fu lasciato al suo riposo. {GN 593.3}

Le donne furono le ultime a restare presso la croce, e rimasero anche per ultime vicino alla tomba di Cristo. Scendevano già le ombre della sera quando Maria Maddalena e le altre si attardavano ancora accanto al sepolcro del Signore e versavano le loro lacrime pensando alla sorte di colui che tanto amavano. “Poi tornarono indietro... Duran te il sabato si riposarono, secondo il comandamento”. Luca 23:56. {GN 593.4}

Iniziava un sabato che né i discepoli disperati, né i sacerdoti, i capi, gli scribi e tutto il popolo avrebbero mai più dimenticato. Al tramonto del sole, la sera della preparazione le trombe suonavano per annunciare l’inizio del sabato. La Pasqua veniva osservata secondo l’usanza tramandata da secoli, mentre colui che essa preannunciava era stato ucciso da mani malvagie e giaceva nella tomba di Giuseppe. Nel giorno del sabato i cortili del tempio si riempivano di adoratori. Il sommo sacerdote, dopo essere stato al Golgota, si trovava là, splendente nei suoi paramenti sacerdotali. I sacerdoti, con i capi avvolti in bianchi turbanti, svolgevano con attenzione i loro doveri. {GN 594.1}

Tuttavia alcuni dei presenti non si sentivano tranquilli mentre il sangue dei tori e dei capri veniva versato in remissione dei peccati. Non si rendevano conto che il simbolo si incontrava con la realtà e che un sacrificio infinito era stato compiuto per i peccati del mondo. Non sapevano che i servizi cerimoniali non avevano più alcun valore. Mai prima si era assistito a questo sacrificio con sentimenti così contrastanti. Le trombe, gli strumenti musicali e le voci dei cantori si elevavano alti e chiari come sempre, ma c’era una sensazione strana. Tutti parlavano di uno straordinario evento che era successo. Fino a quel momento il luogo santissimo era stato nascosto a ogni sguardo profano, ma ora era aperto a tutti perché la pesante cortina di puro lino e intessuta d’oro, di scarlatto e porpora era lacerata da cima a fondo. Il luogo in cui Yahweh si incontrava con il sommo sacerdote per rivelare la sua gloria, il luogo che serviva a Dio come sala di udienza era accessibile a tutti gli sguardi e non era più sacro al Signore. Con l’animo pieno di oscuri presentimenti, i sacerdoti officiavano di fronte all’altare. La rivelazione del mistero sacro che era contenuto in quel luogo santo faceva loro temere le peggiori calamità. {GN 594.2}

Nella mente di molti erano rimaste profondamente impresse le scene del Calvario. Nell’intervallo di tempo fra la crocifissione e la risurrezione, essi cercarono di approfondire il messaggio delle profezie. Alcuni volevano capire il vero significato della festa che stavano celebrando; altri cercavano la prova per confutare le pretese di Gesù; altri ancora, con animo pentito, cercavano le prove della sua messianicità. Sebbene studiassero con motivazioni diverse, tutti si convinsero della stessa verità: la profezia si era adempiuta nei fatti di quegli ultimi giorni e colui che era stato crocifisso era veramente il Redentore del mondo. Molti dei presenti non avrebbero mai più partecipato al rito pasquale. Anche un buon numero di sacerdoti riconoscevano la vera natura di Gesù. Il loro studio delle profezie non era stato inutile; dopo la sua ri surrezione lo riconobbero come Figlio di Dio. Nicodemo, quando vide Gesù innalzato sulla croce, si ricordò delle parole che il Maestro gli aveva detto quella notte sul monte degli Ulivi: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna”. Giovanni 3:14, 15. Durante il sabato che Gesù passò nel sepolcro, Nicodemo ebbe modo di riflettere. Una luce chiara illuminò la sua mente, ed egli comprese le parole che Gesù gli aveva detto. Si rese conto di quanto aveva perduto non seguendo pienamente il Salvatore mentre era in vita. Ripensò a tutti gli avvenimenti del Calvario. La preghiera di Gesù per i suoi crocifissori, la sua risposta alla richiesta del ladrone morente parlarono al cuore di quel dotto membro del sinedrio. Rivide il Salvatore nella sua agonia e riudì il suo ultimo grido: “È compiuto!”, simile a quello di un conquistatore. Rivide la terra scossa dal terremoto, il cielo oscurato, la cortina lacerata, le pietre che si schiantavano, e la sua fede trionfò per sempre. Gli eventi che avevano fatto svanire le speranze dei discepoli, convinsero Giuseppe e Nicodemo della divinità di Gesù. I loro timori furono vinti dal coraggio di una fede ferma e incrollabile. {GN 594.3}

Mai come ora, mentre giaceva nella tomba, Gesù aveva attratto l’attenzione della folla. Come nel passato, le persone continuavano a portare i malati e i sofferenti nel cortile del tempio, e chiedevano notizie di Gesù di Nazaret. Molti erano venuti da lontano per cercare colui che aveva guarito i malati e risuscitato i morti. La folla reclamava Cristo, colui che compiva potenti miracoli. In questa occasione, coloro che presentavano i sintomi della lebbra venivano esaminati dai sacerdoti. Molti erano disperati sentendo dichiarare lebbroso il marito, la moglie o il figlio. Questi disgraziati erano condannati a vivere lontani dalle loro case e dai loro amici, e dovevano mettere in guardia gli estranei con il triste grido: “Impuro! Impuro!” {GN 595.1}

Le amorevoli mani di Gesù di Nazaret, che non si erano mai rifiutate di toccare con la loro potenza di guarigione il corpo ripugnante dei lebbrosi, erano congiunte sul suo petto. Quelle labbra che avevano risposto alle preghiere con le parole consolanti: “Lo voglio, sii purificato” (Matteo 8:3), erano ormai silenziose. Molti chiedevano al sommo sacerdote e ai capi comprensione e aiuto, ma invano. Sembrava che le persone volessero di nuovo Gesù vivente fra loro; insistentemente lo invocavano, decisi a non desistere. Ma vennero allontanate dai cortili, e alcuni soldati alle porte impedirono che esse ritornassero con gli ammalati e con i morenti. {GN 595.2}

I sofferenti che erano venuti per essere accolti dal Salvatore si abbandonarono allo sconforto. Le strade si riempirono di lamenti. Alcuni malati morivano per la mancanza del tocco guaritore di Gesù. Invano si ricorse ai medici; nessuno possedeva la potenza di colui che giaceva nella tomba di Giuseppe. {GN 595.3}

Udendo il gemito di tanti sofferenti, migliaia di persone compresero che una grande luce si era spenta nel mondo. Senza Cristo la terra era oscura e tenebrosa. Molti di coloro che avevano gridato: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”, ora si rendevano conto della sventura che era caduta su loro. Se Gesù fosse stato ancora vivo, avrebbero volentieri gridato che venisse loro restituito. Quando la folla venne a sapere che Gesù era stato condannato a morte dai sacerdoti, si informò di questa morte. Gli atti del processo erano stati tenuti segreti, ma mentre egli era nella tomba, il suo nome riecheggiava su migliaia di labbra, e ovunque circolavano le notizie del suo processo farsesco e della crudeltà dei sacerdoti e dei capi. Uomini intelligenti chiesero ai sacerdoti e ai capi di spiegare loro le profezie messianiche dell’Antico Testamento; ma essi, nel tentativo di rispondere con delle falsità, sembravano usciti di senno e non furono capaci di spiegare le profezie sulle sofferenze e sulla morte di Cristo; così molti si convinsero che le Scritture si erano adempiute. {GN 596.1}

La vendetta che i sacerdoti avevano tanto atteso, si era trasformata in una sconfitta. Si resero conto che il popolo li condannava severamente, e che coloro che essi avevano incitato contro Gesù, adesso provavano orrore per la loro terribile opera. Quei sacerdoti avevano inutilmente cercato di dimostrare che Gesù era un seduttore. Alcuni di loro erano stati testimoni della risurrezione di Lazzaro, e tremavano al pensiero che Cristo risuscitasse dai morti e apparisse loro. Si ricordavano che egli aveva detto di possedere la potenza di deporre la sua vita e riprenderla. Si ricordavano delle sue parole: “Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere”. Giovanni 2:19. Giuda aveva riferito loro le parole dette da Gesù ai discepoli in occasione dell’ultimo loro viaggio a Gerusalemme: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei capi sacerdoti e degli scribi; essi lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito, flagellato e crocifisso; e il terzo giorno risusciterà”. Matteo 20:18, 19. {GN 596.2}

Nell’udire quelle parole, i sacerdoti si erano fatti beffe di lui. Ma poi si ricordarono che le predizioni di Cristo fino allora si erano sempre adempiute. Chi avrebbe potuto garantire che egli non sarebbe risuscitato il terzo giorno, come aveva dichiarato? Non riuscivano ad allontanare dalla loro mente questi pensieri. Come il loro padre, il diavolo, essi credevano e tremavano. {GN 596.3}

Cessata la frenesia dell’eccitazione, l’immagine di Cristo si presen tò di nuovo alle loro menti. Lo rividero davanti ai suoi nemici sereno, senza un lamento, mentre sopportava i loro scherni e le loro violenze. Ritornarono alla loro mente tutti i momenti del processo e della crocifissione e si convinsero che colui che avevano crocifisso era il Figlio di Dio. Sentivano che in ogni momento egli avrebbe potuto presentarsi davanti a loro; da accusato diventare accusatore, da condannato giudice, ed esigere la morte dei suoi crocifissori. {GN 596.4}

Riposarono poco in quel giorno di sabato. Sebbene non osassero varcare la soglia della casa di un Gentile per non essere contaminati, tuttavia si riunirono per decidere del corpo di Cristo. La morte e il sepolcro dovevano trattenere colui che avevano crocifisso. “I capi sacerdoti e i farisei si riunirono da Pilato, dicendo: Signore, ci siamo ricordati che quel seduttore, mentre viveva ancora, disse: Dopo tre giorni, risusciterò. Ordina dunque che il sepolcro sia sicuramente custodito fino al terzo giorno; perché i suoi discepoli non vengano a rubarlo e dicano al popolo: È risuscitato dai morti; così l’ultimo inganno sarebbe peggiore del primo. Pilato disse loro: Avete delle guardie. Andate, assicurate la sorveglianza come credete”. Matteo 27:62-65. {GN 597.1}

I sacerdoti dettero disposizioni perché il sepolcro fosse sorvegliato. Una grande pietra fu posta sulla sua apertura. Legarono la pietra con grosse corde, ne fissarono le estremità alla roccia, e vi apposero il suggello romano. La pietra non poteva essere rimossa senza che il suggello venisse rotto. Un corpo di guardia di cento soldati fu messo intorno al sepolcro per prevenire qualsiasi inganno. I sacerdoti fecero tutto quello che potevano perché il corpo di Cristo rimanesse dove era stato posto. Gesù era stato rinchiuso nella tomba come se dovesse restarvi per sempre. {GN 597.2}

Questi piani vennero architettati da uomini deboli che non si rendevano conto dell’inutilità delle loro precauzioni. Ma la loro azione doveva dare maggiore gloria a Dio. I numerosi tentativi compiuti per impedire la risurrezione di Gesù, avrebbero costituito una grande prova in suo favore. Maggiore era il numero dei soldati posti intorno al sepolcro, più efficace sarebbe stata la testimonianza della sua risurrezione. Centinaia di anni prima della morte di Cristo, lo Spirito Santo aveva dichiarato attraverso il salmista: “Perché questo tumulto fra le nazioni, e perché meditano i popoli cose vane? I re della terra si danno convegno e i prìncipi conhiurano insieme contro il Signore e contro il suo Unto... Colui che siede nei cieli ne riderà”. Salmi 2:1-4. Le guardie romane e l’esercito romano non potevano trattenere nella tomba il Signore della vita. L’ora della liberazione si avvicinava. {GN 597.3}

Capitolo 81: “Il Signore è risorto!”

La notte del primo giorno della settimana stava per concludersi. Era l’ora più buia, quella che precede l’alba. Gesù era prigioniero nella sua tomba angusta; la grande pietra era ancora al suo posto e il suggello romano era intatto; i soldati romani vegliavano. Erano presenti anche schiere invisibili di angeli malvagi. Il principe delle tenebre, insieme con il suo esercito apostata, avrebbe voluto trattenere per sempre il Figlio di Dio nella tomba sigillata. Ma anche una schiera divina circondava il sepolcro; quegli angeli, eccelsi in potenza, custodivano la tomba ed erano ansiosi di salutare il Principe della vita. {GN 598.1}

“Ed ecco si fece un gran terremoto; perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra, e vi sedette sopra”. Matteo 28:2. Quell’angelo aveva lasciato il cielo rivestito dell’armatura di Dio. I raggi splendenti della gloria di Dio lo precedevano e illuminavano il suo sentiero. “Il suo aspetto era come di folgore; e la sua veste bianca come neve. E, per lo spavento che ne ebbero, le guardie tremarono e rimasero come morte”. Versetti 3, 4. {GN 598.2}

Sacerdoti e capi d’Israele, dov’è la potenza del vostro corpo di guardia? Quei soldati valorosi che non hanno mai temuto la potenza umana sono prigionieri, catturati senza spade e senza lance. Essi vedono un volto che non è quello di un guerriero mortale, ma dell’essere più potente dell’esercito del Signore. È l’angelo che occupa il posto di Satana dopo la sua caduta. È l’angelo che sulle colline di Betlemme ha annunciato la nascita di Cristo. Al suo avvicinarsi la terra trema, i demoni fuggono; e mentre egli fa rotolare la pietra, sembra che il cielo sia sceso sulla terra. I soldati lo scorgono mentre rimuove la pietra come se fosse un ciottolo e odono il suo grido: “Figlio di Dio, vieni fuori. Tuo Padre ti chiama”. Vedono Gesù uscire dal sepolcro aperto e sentono che proclama: “Io sono la risurrezione e la vita”. Giovanni 11:25. Mentre esce nella maestà e nella gloria, gli angeli divini si prostrano in adorazione davanti al Redentore, e lo salutano con canti di lode. {GN 598.3}

Un terremoto aveva indicato l’ora della morte di Cristo, e un altro terremoto ne segnalò il momento del trionfo. Colui che aveva vinto la morte e il sepolcro uscì dalla tomba come un conquistatore, tra il sussultare della terra, il bagliore dei lampi e lo scoppio dei fulmini. Quando verrà la seconda volta, scuoterà “non solo la terra, ma anche il cielo” (Ebrei 12:26); “La terra barcollerà come un ubriaco, vacillerà come una capanna”. Isaia 24:20. “I cieli sono arrotolati come un libro”. Isaia 34:4. “Gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa saranno bruciate”. 2 Pietro 3:10. “Ma il Signore sarà un rifugio per il suo popolo, una fortezza per i figli di Israele”. Gioele 3:16. {GN 598.4}

Al momento della morte di Gesù, i soldati avevano visto la terra avvolta dalle tenebre di mezzanotte; al momento della risurrezione videro lo splendore degli angeli illuminare la notte e udirono gli esseri del cielo cantare con gioia trionfante: “Tu sei il vincitore di Satana e delle potenze delle tenebre. Tu hai sommerso la morte nella vittoria!” {GN 599.1}

Cristo uscì dalla tomba glorificato e i soldati romani lo videro. I loro occhi si fissarono sul volto di colui che, poco prima, avevano beffeggiato e deriso, e in quell’Essere glorificato riconobbero il prigioniero che avevano visto nell’aula del tribunale e sul cui capo avevano posto una corona di spine. Era colui che non aveva reagito davanti a Pilato e a Erode e il cui corpo era stato lacerato dalle frustate; era colui che era stato inchiodato sulla croce, di fronte al quale i sacerdoti e i capi, pieni di superbia, avevano detto: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso!” Matteo 27:42. Era colui che era stato deposto nel sepolcro nuovo di Giuseppe. Il cielo aveva liberato quel prigioniero. Neppure delle montagne accumulate sul suo sepolcro avrebbero potuto impedirgli di uscirne. {GN 599.2}

Alla vista degli angeli e del Salvatore risorto, i soldati romani erano caduti come morti. Si rialzarono quando il corteo divino era ormai scomparso, e uscirono tremanti dal giardino. Barcollando come ubriachi, si diressero verso la città e raccontarono il fatto straordinario a tutti quelli che incontrarono. Stavano dirigendosi da Pilato, quando le autorità ebraiche, i sacerdoti e i capi, alle cui orecchie era già giunta la notizia, li chiamarono in loro presenza. {GN 599.3}

Quei soldati avevano uno strano aspetto. Tremanti e pallidi di terrore, affermarono la risurrezione di Gesù. I soldati raccontarono tutto quello che avevano visto; non avevano avuto tempo di pensare a qualcosa di diverso dalla verità. Con voce accorata dissero che colui che era stato crocifisso era il Figlio di Dio, e che avevano udito un angelo dichiarare che egli era la Maestà del cielo, il Re della gloria. {GN 599.4}

I volti dei sacerdoti si fecero bianchi come cadaveri. Caiafa cercò di parlare, le sue labbra si mossero, ma senza emettere nessun suono. I soldati stavano per lasciare l’aula del consiglio, quando una voce li fece fermare. Caiafa finalmente era riuscito a parlare. Disse: “Aspettate, aspettate. Non raccontate a nessuno ciò che avete visto”. {GN 599.5}

Fu imposto ai soldati di fornire un rapporto falso. I sacerdoti dettero loro questo suggerimento. Voi direte: “I suoi discepoli sono venuti di notte e lo hanno rubato mentre dormivamo”. Matteo 28:13. Ma i sacerdoti non si accorsero di cadere in una grave contraddizione. Come potevano, infatti, i soldati dire che i discepoli avevano rubato il corpo mentre essi dormivano? Se stavano dormendo, come potevano saperlo? E se fosse stato provato che i discepoli avevano trafugato il corpo di Cristo, non sarebbero stati i sacerdoti i primi a condannare le sentinelle? Se esse si fossero addormentate accanto al sepolcro, non sarebbero stati i sacerdoti stessi ad accusarle di fronte a Pilato? {GN 600.1}

I soldati non volevano accusarsi di essersi addormentati al posto di guardia, tanto più che questa era una colpa passibile di morte. Dovevano forse dare una falsa testimonianza, ingannando il popolo e mettendo a repentaglio la propria vita? Non avevano assolto il loro compito vigilando ininterrottamente? Come avrebbero potuto giurare il falso per amore del denaro? {GN 600.2}

Per mettere a tacere la testimonianza di cui avevano paura, i sacerdoti dettero loro la garanzia dell’impunità, dicendo che nemmeno Pilato avrebbe certo voluto la diffusione di un rapporto simile. I soldati romani si fecero corrompere dal denaro. Si erano presentati ai sacerdoti con uno straordinario messaggio di verità; se ne andarono con un gruzzolo di denaro e un rapporto bugiardo, inventato dai sacerdoti. {GN 600.3}

Nel frattempo, era giunta alle orecchie di Pilato la notizia della risurrezione di Gesù. Sebbene fosse responsabile della sua crocifissione, aveva trattato la questione con un certo distacco. Nonostante avesse condannato il Salvatore contro la propria volontà e provando per lui pietà, non aveva ancora maturato un vero pentimento. {GN 600.4}

Ma, udendo quella notizia, si spaventò e si chiuse nel suo palazzo deciso a non vedere nessuno. I sacerdoti riuscirono però a farsi ricevere, gli raccontarono la storia che avevano inventato e lo esortarono a fare arrestare le sentinelle che avevano trascurato il loro dovere. Prima di farlo, Pilato volle parlare privatamente con i soldati. Essi, temendo per la loro vita, non osarono nascondere nulla, e Pilato conobbe direttamente dalla loro bocca quello che era successo. Non proseguì le indagini, ma da quel momento perdette la serenità. {GN 600.5}

Satana aveva trionfato quando Gesù era stato posto nel sepolcro. Egli aveva osato sperare che il Salvatore non sarebbe stato restituito alla vita. Reclamò il corpo del Signore come sua proprietà e dispose i suoi seguaci intorno alla tomba affinché Cristo vi fosse trattenuto come prigioniero. Si infuriò quando i suoi angeli fuggirono all’avvicinarsi del messaggero divino; ma quando vide che Cristo usciva dal sepolcro trionfante, si rese conto dell’imminenza della fine del suo regno e della sua morte. {GN 600.6}

I sacerdoti, condannando Cristo a morte, diventarono strumenti di Satana, e caddero completamente sotto il suo dominio, presi in una trappola dalla quale non potevano più uscire. Non restava loro che continuare la lotta contro Cristo. Nell’apprendere la notizia della sua risurrezione, temettero l’ira del popolo e si videro in pericolo. Ricorsero a uno stratagemma: negare la risurrezione di Gesù, dimostrando che era un impostore. Pensarono di corrompere i soldati e, ottenuto il silenzio di Pilato, fecero circolare un falso rapporto. Ma c’erano dei testimoni che non era possibile ridurre al silenzio: molti avevano ascoltato la testimonianza dei soldati sulla risurrezione di Gesù; inoltre, alcuni dei morti che erano usciti dal sepolcro insieme con Cristo, apparvero a molti, e ne annunciarono la risurrezione. {GN 601.1}

Fu riferito ai sacerdoti che delle persone avevano visto questi risuscitati e avevano udito la loro testimonianza. I sacerdoti e i capi vivevano nel timore di trovarsi a faccia a faccia con Cristo, sia lungo le strade sia nelle loro case. Non si sentivano sicuri in nessun posto. Serrature e catenacci rappresentavano una scarsa protezione contro il Figlio di Dio. Giorno e notte avevano davanti agli occhi quella tremenda scena dell’aula del giudizio, quando avevano esclamato: “Il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli”. Matteo 27:25. Quell’episodio non si sarebbe mai più cancellato dalla loro mente; mai più avrebbero potuto dormire sonni tranquilli. {GN 601.2}

Quando l’angelo fece udire la sua voce potente accanto alla tomba di Cristo: “Tuo Padre ti chiama!”, il Salvatore uscì dal sepolcro in virtù della vita che aveva in se stesso. Fu così dimostrata la verità delle sue parole: “Io depongo la mia vita per riprenderla poi. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla”. In quel momento si adempieva la profezia che aveva annunciato ai sacerdoti e ai capi: “Disgruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!” Giovanni 10:17, 18; 2:19. {GN 601.3}

Sul sepolcro aperto di Giuseppe, Gesù aveva proclamato trionfalmente: “Io sono la risurrezione e la vita”. Giovanni 11:25. Solo Dio poteva pronunciare quelle parole. Tutti gli esseri creati vivono per la volontà e la potenza di Dio: sono depositari della vita di Dio. Dal più importante serafino al più umile essere animato, tutti sono alimentati dalla Fonte della vita. Solo colui che è uno con Dio poteva dire di avere in sé la vita e la facoltà di deporla e riprenderla. Nella sua divinità, Cri sto possedeva la potenza di infrangere i legami della morte. {GN 601.4}

Gesù risorse dai morti come primizia di coloro che dormono. Egli era raffigurato dal covone che veniva agitato nel tempio e la sua risurrezione avvenne proprio nel giorno in cui i covoni erano presentati davanti al Signore. Per più di mille anni quella cerimonia simbolica era stata ripetuta. Si raccoglievano le prime spighe mature nei campi di grano e quando il popolo saliva a Gerusalemme, in occasione della Pasqua, il covone delle primizie veniva agitato davanti al Signore come offerta di riconoscenza; solo dopo questa cerimonia si poteva mietere e raccogliere il grano. Il covone consacrato a Dio era un simbolo del raccolto. Nello stesso modo Cristo, la primizia, raffigurava il grande raccolto spirituale che doveva essere introdotto nel regno di Dio. La sua risurrezione è un simbolo e una garanzia di quella di tutti i giusti. “Infatti, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, crediamo pure che Dio, per mezzo di Gesù, ricondurrà con lui quelli che si sono addormentati”. 1 Tessalonicesi 4:14. {GN 602.1}

Quando Cristo risuscitò, portò con sé una folla di prigionieri. Alla sua morte, il terremoto aveva fatto aprire delle tombe; quando risuscitò fece uscire dai sepolcri quei giusti che erano stati collaboratori di Dio e che, a costo della loro vita, avevano reso testimonianza della verità. Da quel momento diventavano testimoni di colui che li aveva risuscitati dai morti. {GN 602.2}

Durante il suo ministero Gesù aveva chiamato dei morti alla vita. Aveva risuscitato il figlio della vedova di Nain, la figlia di un capo d’Israele e Lazzaro. Ma quei risorti non erano stati rivestiti di immortalità. Essi restarono, dopo essere ritornati in vita, soggetti alla morte; mentre coloro che uscirono dalla tomba al momento della risurrezione di Cristo, ne uscirono per la vita eterna. Ascesero al cielo con lui, come trofei della sua vittoria sulla morte e sul sepolcro, non più prigionieri di Satana, ma redenti di Cristo. Gesù li aveva strappati alla tomba come primizie della sua potenza, per essere sempre con lui, senza più morte né dolore. {GN 602.3}

Quei risorti entrarono in città e apparvero a molti, dicendo che Cristo era risuscitato dai morti, ed essi con lui. Da queste testimonianze fu confermata la verità della risurrezione. Resi alla vita, quei santi testimoniarono la verità di queste parole: “Rivivano i tuoi morti! Risorgano i miei cadaveri!” Con la loro risurrezione cominciava ad adempiersi la profezia: “Svegliatevi ed esultate, o voi che abitate nella polvere! Poiché la tua rugiada è rugiada di luce, e la terra ridarà alla vita le ombre”. Isaia 26:19. {GN 602.4}

Per il credente, Cristo è la risurrezione e la vita. Attraverso il Sal vatore viene ritrovata quella vita persa a causa del peccato, perché egli ha la vita in se stesso e può risuscitare chi vuole. Egli ha il diritto di conferire l’immortalità; egli riprende possesso di quella vita che come uomo ha deposto e la comunica all’umanità: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Giovanni 10:10); “Ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò, diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna” (Giovanni 4:14); “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Giovanni 6:54. {GN 602.5}

Per il credente la morte è un’esperienza marginale; Cristo ne parla come di un fatto momentaneo: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte”. Giovanni 8:51. Per il cristiano la morte è soltanto un sonno, un riposo nel silenzio e nell’oscurità. La sua vita è nascosta con Cristo in Dio, e “quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria”. Colossesi 3:4. {GN 603.1}

La voce che esclamò sulla croce: “È compiuto!”, fu udita anche dai morti. Attraversò i muri del sepolcro e invitò coloro che dormivano ad alzarsi. Lo stesso avverrà quando la voce di Cristo si farà udire dal cielo. Quella voce penetrerà nei sepolcri, li spalancherà, e i morti in Cristo risusciteranno. Al momento della risurrezione del Salvatore si aprirono solo poche tombe; ma al suo ritorno, tutti i giusti morti ascolteranno la sua voce e usciranno per una vita gloriosa e immortale. La stessa potenza che ha risuscitato Cristo dai morti farà risuscitare la sua chiesa, la glorificherà con lui al di sopra di ogni principato, di ogni potestà e di ogni nome che si può nominare non solo in questa vita, ma anche in quella futura. {GN 603.2}

Capitolo 82: “Perché piangi?”

Le donne che si erano trattenute accanto alla croce di Cristo, attesero impazienti la fine del sabato. Il primo giorno della settimana, molto presto, s’incamminarono verso la tomba portando con sé gli aromi preziosi per ungere il corpo del Salvatore. L’idea della risurrezione non sfiorava neppure la loro mente. Le loro speranze erano svanite e la notte era scesa nei loro cuori. Lungo il cammino parlavano delle opere di misericordia di Cristo e delle sue parole di consolazione, ma non si ricordavano che aveva detto: “Io vi vedrò di {GN 604.1}

nuovo”. Giovanni 16:22. {GN 604.2}

Ignorando ciò che accadeva in quel momento, si chiedevano: “Chi ci rotolerà la pietra dall’apertura del sepolcro?” Sapevano che non sarebbero riuscite a farlo da sole, ma continuarono la loro strada. All’improvviso, in cielo brillò una luce più fulgida di quella del sole nascente, la terra tremò, ed esse videro la pietra rotolata e il sepolcro vuoto. {GN 604.3}

Le donne non erano giunte al sepolcro provenendo tutte dalla stessa direzione. Maria Maddalena arrivò per prima, e avendo visto che la pietra era stata rotolata, si allontanò di corsa per avvertire i discepoli. Nel frattempo sopraggiunsero le altre donne. Una luce illuminava la tomba, ma il corpo di Gesù non c’era più. Mentre erano lì immobili per lo stupore, improvvisamente si resero conto di non essere sole. Un giovane, vestito di abiti bianchi e splendenti sedeva sulla pietra: era l’angelo che l’aveva fatta rotolare. Aveva assunto un aspetto umano per non suscitare timore; una luce divina risplendeva ancora intorno a lui, e le donne si spaventarono. Si voltarono per fuggire, ma le parole dell’angelo le fecero fermare: “Voi, non temete; perché io so che cercate Gesù, che è stato crocifisso. Egli non è qui, poiché è risuscitato come avea detto; venite a vedere il luogo dove giaceva. E andate presto a dire ai suoi discepoli: Egli è risuscitato dai morti”. Matteo 28:5-7. Le donne guardarono nuovamente il sepolcro e udirono ancora una volta quel meraviglioso annuncio. Un altro angelo, in forma umana era lì, e disse loro: “Perché cercate il vivente tra i morti? Egli non è qui, ma è risuscitato; ricordate come egli vi parlò quand’era ancora in Galilea, dicendo che il Figlio dell’uomo doveva essere dato nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso, e il terzo giorno risuscitare?” Luca 24:5-7. {GN 604.4}

Egli è risorto! Egli è risorto! Le donne non si stancavano di ripetere quelle parole. Non c’era più bisogno di aromi e unguenti. Il Salvatore non era morto, era vivo. Allora si ricordarono che quando Gesù aveva parlato della sua morte, aveva anche citato la sua risurrezione. Che giorno stupendo per il mondo! Le donne si allontanarono dal sepolcro “con spavento e grande gioia, corsero ad annunziarlo ai suoi discepoli”. Matteo 28:8. {GN 605.1}

Maria non aveva udito quello splendido annuncio. Era andata da Pietro e da Giovanni con questo triste messaggio: “Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’abbiano messo”. Giovanni 20:2. I due apostoli accorsero al sepolcro e trovarono che le cose stavano come Maria aveva detto. Videro le lenzuola e i panni, ma il loro Signore non c’era più. Anche quella era una prova della sua risurrezione: i panni non erano in disordine, ma ognuno al suo posto, piegati con cura. Giovanni “vide, e credette”. Versetto 8. Egli non comprendeva ancora quello che le Scritture dicevano sulla risurrezione di Cristo, ma si ricordò delle parole con cui Gesù aveva annunciato la sua risurrezione. {GN 605.2}

Era stato Gesù stesso a riporre i panni con tanta cura. Quando l’angelo potente si era avvicinato alla tomba, c’era ancora l’altro angelo che con la sua schiera aveva vegliato sul corpo del Signore. L’angelo sceso dal cielo rotolò la pietra, mentre l’altro entrò nella tomba e tolse le bende dal corpo del Signore. Il Salvatore con le sue stesse mani le raccolse e le mise al loro posto. Per colui che guida le stelle e gli atomi, nulla è privo di importanza. L’ordine e la perfezione caratterizzano tutta la sua opera. {GN 605.3}

Maria aveva seguito Giovanni e Pietro alla tomba e vi era rimasta anche quando essi ritornarono a Gerusalemme. Una grave tristezza pesava sul suo cuore mentre guardava la tomba vuota: avvicinatasi, scorse due angeli, uno al capo e l’altro ai piedi del luogo dove Gesù era stato posto. Questi le chiesero: “Donna, perché piangi?” Maria rispose loro: “Perché hanno tolto il mio Signore, e non so dove l’abbiano deposto”. Poi si allontanò per cercare qualcuno che potesse dirle che cosa era accaduto al corpo di Gesù. Udì allora un’altra voce: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?” Con gli occhi velati di lacrime Maria intravide la forma di un uomo e, pensando che fosse il giardiniere, gli chiese: “Signore, se tu l’hai portato via, dimmi dove l’hai deposto, e io lo prenderò”. Giovanni 20:13-15. Se quella tomba era stata considerata troppo onorevole per Gesù, ella gli avrebbe procurato un altro posto. Vi era un sepolcro che la stessa voce di Cristo aveva vuotato: quello dove Lazzaro aveva riposato. Non poteva seppellirvi il suo Maestro? Per Maria era un motivo di grande consolazione occuparsi del corpo del suo prezioso Salvatore. Gesù con la sua voce familiare, le disse: “Maria”. Ella si rese subito conto che chi le parlava non era un estraneo. Si girò e si ritrovò davanti a Cristo vivente. Per la gioia si dimenticò che era stato crocifisso; si gettò verso di lui per abbracciarne i piedi, ed esclamò: “Rabbunì!” Ma Cristo alzò la mano e le disse: “Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli, e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro”. Versetti 16, 17. E Maria andò a portare ai discepoli questa buona notizia. {GN 605.4}

Gesù rifiutò l’omaggio dei suoi fino a quando non ebbe la certezza che il suo sacrificio era stato accettato dal Padre. Ascese al cielo e ricevette da Dio la garanzia che il suo sacrificio per i peccati degli uomini era sufficiente, e che tramite il suo sangue tutti avrebbero potuto avere la vita eterna. Il Padre confermò il patto che aveva fatto con Cristo: avrebbe accolto gli uomini pentiti e ubbidienti e li avrebbe amati come amava suo Figlio. Cristo doveva compiere la sua opera e assolvere il suo impegno di rendere gli uomini più preziosi dell’oro di Ofir. Cfr. Isaia 13:12. Il dominio del cielo e della terra fu dato al Principe della vita ed egli tornò fra i suoi discepoli, nel mondo del peccato, per infondere loro la sua potenza e la sua gloria. {GN 606.1}

Mentre il Salvatore si trovava in presenza di Dio e riceveva i doni per la sua chiesa, i discepoli riflettevano sulla sua tomba vuota, tristi e in lacrime. In quel giorno di gioia per tutto il cielo, i discepoli erano incerti, confusi e perplessi. L’incredulità con cui avevano accolto la testimonianza delle donne dimostrava a quale livello fosse giunta la loro fede. L’annuncio della risurrezione di Cristo era così lontano dai loro pensieri che essi non riuscivano a crederci. Era troppo bello per essere vero. Avevano ascoltato le dottrine pseudo-scientifiche dei sadducei per così tanto tempo da avere un concetto molto vago della risurrezione. Sapevano ben poco sulla risurrezione dei morti e non potevano comprendere quel grande annuncio. {GN 606.2}

Gli angeli avevano detto alle donne: “Andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea; là lo vedrete, come vi ha detto”. Marco 16:7. Quegli angeli avevano accompagnato Gesù durante tutta la sua esperienza terrena, erano stati testimoni del suo processo e della sua crocifissione, e avevano udito le parole che aveva detto ai discepoli. E tutto questo traspariva nel messaggio che annunciavano e che recava i segni della sua autenticità. Queste parole potevano provenire soltanto dai messaggeri del loro Signore risorto. Gli angeli avevano detto: “Andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro”. {GN 606.3}

Fin dalla morte di Cristo, Pietro era tormentato dal rimorso. Non poteva dimenticare il modo vergognoso con cui aveva rinnegato il Maestro e il triste e compassionevole sguardo del suo Salvatore. Fra tutti i discepoli, egli era quello che aveva sofferto di più. Ora è chiamato per nome: gli viene comunicata la certezza che il suo pentimento è accettato, e che il suo peccato è perdonato. {GN 607.1}

“Ma andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro, ch’egli vi precede in Galilea; quivi lo vedrete”. Tutti i discepoli avevano abbandonato Gesù e tutti furono invitati a incontrarlo ancora. Il Maestro non li aveva rigettati. Quando Maria Maddalena raccontò loro che aveva visto il Signore, ripeté l’invito a recarsi in Galilea. Questo invito fu rivolto per la terza volta. Dopo la visita al Padre, Gesù apparve alle altre donne e disse loro: “Vi saluto!Ed esse, avvicinatesi, gli strinsero i piedi e l’adorarono. Allora Gesù disse loro: Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno”. Matteo 28:9, 10. {GN 607.2}

Dopo la sua risurrezione, Gesù volle innanzi tutto assicurare i discepoli che il suo amore e la sua premura per loro non erano mutati. Egli apparve loro più volte per convincerli che era il loro Salvatore vivente, che aveva infranto i legami della morte e non poteva più essere trattenuto dal sepolcro, e per rivelare loro che li amava con lo stesso affetto di quando era il loro amato Maestro. Egli avrebbe rinsaldato sempre più questi legami, e fece annunciare ai suoi fratelli che lo avrebbero incontrato in Galilea. {GN 607.3}

Questo appuntamento così preciso ricordò ai discepoli le parole con cui Cristo aveva annunciato loro la sua risurrezione. Ma non potevano ancora essere pienamente felici a causa del dubbio e delle perplessità che li tormentavano. Non riuscivano a credere neppure alle donne che dicevano di aver visto il Signore. Pensavano che fossero vittime di un’allucinazione. Sembrava che le difficoltà si fossero moltiplicate. Il sesto giorno della settimana era morto il loro Salvatore; il primo giorno della settimana successiva il suo corpo era sparito, ed essi erano stati accusati di averlo sottratto per ingannare il popolo. Pensavano di non poter modificare la falsa opinione che si diffondeva sul loro conto. Temevano l’odio dei sacerdoti e la collera del popolo e desideravano la presenza di Gesù che li aveva aiutati in ogni difficoltà. {GN 607.4}

Spesso ripetevano: “Noi speravamo che fosse lui che avrebbe ri scattato Israele”. Luca 24:21. Soli e tristi, ricordavano le sue parole: “Perché se fanno queste cose al legno verde, che sarà fatto al secco?” Luca 23:31. Allora si riunirono in quella stanza al piano superiore in cui avevano celebrato la Cena; chiusero e sbarrarono le porte, temendo di subire lo stesso destino del loro amato Maestro. {GN 607.5}

E dire che per tutto quel tempo avrebbero potuto rallegrarsi, perché avevano un Salvatore risorto! Nel giardino Maria piangeva, mentre Gesù le era accanto. I suoi occhi erano così velati di lacrime che non riusciva a riconoscerlo. Il cuore dei discepoli era così pieno di dolore che non credevano al messaggio dell’angelo e alle parole di Cristo stesso. {GN 608.1}

Anche oggi molti si comportano come quei discepoli. Quanti fanno eco al grido disperato di Maria: “Han tolto il mio Signore, e non so dove l’abbiano posto!” A molti si potrebbero ripetere le parole del Salvatore: “Perché piangi? Chi cerchi?” Egli è accanto a loro, ma i loro occhi colmi di lacrime non lo scorgono. Egli parla loro, ma essi non capiscono. {GN 608.2}

Le teste chine si sollevino, gli occhi si aprano per contemplarlo, e le orecchie odano la sua voce: “Andate presto a dire ai suoi discepoli: Egli è risuscitato dai morti”. Matteo 28:7. Dite loro di non guardare la tomba di Giuseppe, chiusa con una grande pietra e suggellata con il sigillo romano. Cristo non è più là. Non guardino il sepolcro vuoto. Non piangano come derelitti e disperati. Gesù vive; e poiché vive, anche noi vivremo. Dai cuori grati e dalle labbra purificate con il fuoco sacro erompa il canto gioioso che Cristo è risorto. Egli vive e intercede per noi. Aggrappatevi a questa speranza come a un’ancora ferma e sicura. Credete, e vedrete la gloria di Dio. {GN 608.3}

Capitolo 83: Sulla via di Emmaus

Nel tardo pomeriggio del giorno della risurrezione, due discepoli si dirigevano verso Emmaus, una cittadina a circa dodici chilometri da Gerusalemme. Quei discepoli, sebbene non avessero avuto un ruolo di primo piano nell’opera di Cristo, erano credenti ferventi. Erano saliti a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, e se ne tornavano angosciati per tutto ciò che era accaduto. Al mattino avevano appreso la notizia della sparizione del corpo di Cristo dalla tomba e udito il rapporto delle donne sulla visione degli angeli e sull’incontro con Gesù. Adesso tornavano a casa per meditare e pregare. Erano tristi, e parlavano del processo e della crocifissione. Mai fino a quel momento avevano provato uno scoraggiamento così profondo. Privi di speranza e sfiduciati, essi camminavano all’ombra della croce. {GN 609.1}

Non avevano percorso ancora molta strada quando un altro viandante si accostò a loro. Immersi nella tristezza e della delusione, non lo guardarono attentamente e continuarono a parlare dell’argomento che stava loro a cuore. Conversavano sull’insegnamento di Gesù senza riuscire a comprenderlo pienamente. Ma proprio in quel momento Gesù era accanto a loro e voleva consolarli. Aveva visto il loro tormento e compreso le loro perplessità che li inducevano a dubitare che quell’uomo, che avevano visto tanto umiliato, fosse realmente il Messia. Non riuscivano a contenere il dolore, e le lacrime scendevano dai loro occhi. Gesù sapeva che lo amavano, e aspettava con impazienza il momento per asciugare le loro lacrime e riempire i loro cuori di consolazione e di gioia. Ma prima volle presentare loro un insegnamento che non avrebbero più dimenticato. {GN 609.2}

“Egli domandò loro: Di che discorrete fra di voi luno il cammino? Ed essi si fermarono tutti tristi. E uno dei due, che si chiamava Cleopa, gli rispose: Tu solo, tra i forestieri, stando in Gerusalemme, non hai saputo le cose che sono in essa avvenute in questi giorni?” Luca 24:17, 18. Gli dissero di essere amareggiati per il loro Maestro, “ilfatto di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e in parole davani a Dio e a tutto il popolo”. E aggiunsero: “I capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno fatto condannare a morte e lo hanno crocifisso”. E con labbra tremanti espressero la loro incontenibile delusione: “Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste”. Versetti 19-21. {GN 609.3}

Era strano che quei discepoli avessero dimenticato le parole di Cristo che preannunciavano gli eventi che poi si erano verificati. Non comprendevano che l’ultima parte delle sue predizioni si sarebbe adempiuta come la prima e che al terzo giorno sarebbe risuscitato. Avrebbero dovuto ricordarsi anche di quest’ultima che i sacerdoti e i capi non avevano dimenticato. “L’indomani, che era il giorno successivo alla Preparazione, i capi dei sacerdoti e i farisei si riunirono da Pilato, dicendo: Signore, ci siamo ricordati che quel seduttore, mentre viveva ancora, disse: Dopo tre giorni, risusciterò”. Matteo 27:62, 63. Ma i discepoli non pensavano più a quelle parole. {GN 610.1}

“Allora Gesù disse loro: O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette! Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?” Luca 24:25, 26. I discepoli si chiedevano chi potesse mai essere quel viandante che riusciva a penetrare nel loro animo, a parlare con tanto affetto, simpatia, tenerezza e a riempire i loro cuori di speranza. Per la prima volta, dopo il tradimento, ricominciarono a sperare. Davano ogni tanto uno sguardo al loro compagno e pensavano che Cristo avrebbe parlato proprio come lui. Si stupivano e i loro cuori trasalivano di gioia. {GN 610.2}

Cominciando da Mosè, proprio dagli inizi della storia biblica, Gesù espose tutto ciò che, nelle Scritture, lo riguardava. Se si fosse fatto riconoscere subito, i discepoli avrebbero provato una gioia così grande che non sarebbero più stati in grado di ascoltarlo. Era necessario, per rafforzare la loro fede, che prima comprendessero i simboli e le profezie messianiche dell’Antico Testamento. Cristo non fece nessun miracolo per convincerli, ma spiegò loro le Scritture. Avevano considerato la sua morte come la fine di tutte le loro speranze. Ora egli dimostrava, mediante i profeti, che questa morte doveva costituire la base della loro fede. {GN 610.3}

Istruendo i discepoli, Gesù sottolineò l’importanza della testimonianza che l’Antico Testamento ha reso alla sua missione. Oggi molti cristiani lo trascurano perché sostengono che non ha più valore. Ma questo non è l’insegnamento di Gesù. Egli aveva una stima così alta di quegli antichi scritti che una volta disse: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita”. Luca 16:31. {GN 610.4}

Cristo ci parla tramite i patriarchi e i profeti, dai tempi di Adamo sino agli eventi finali della storia. Il Salvatore è rivelato chiaramente sia nell’Antico Testamento sia nel Nuovo. Il messaggio delle profezie passate ci fa comprendere meglio la vita di Cristo e gli insegnamenti del Nuovo Testamento. I miracoli di Gesù sono una dimostrazione della sua divinità; ma una prova ancora più evidente della sua missione di Redentore del mondo la si trova nel confrontare le profezie dell’Antico Testamento con la storia del Nuovo. {GN 610.5}

Basandosi sulle profezie, Gesù fornì ai discepoli un’idea corretta della sua missione in favore dell’umanità. La loro concezione di un Messia che, secondo il concetto generale, sarebbe salito su un trono terreno, era del tutto sbagliata. Quest’idea aveva impedito loro di ammettere che egli doveva lasciare la sua posizione in cielo per occupare quella più umile sulla terra e bere dalla coppa della sofferenza che gli era destinata. Indicò loro che quel terribile e incomprensibile conflitto era l’adempimento di un piano stabilito prima della fondazione del mondo. Cristo doveva morire, come deve morire ogni trasgressore che persiste nel peccato. Tutto questo era inevitabile, ma non era il segno della sconfitta, bensì della vittoria gloriosa ed eterna. Gesù disse loro che avrebbero dovuto fare di tutto per salvare il mondo dal peccato. I suoi discepoli dovevano vivere come egli era vissuto e operare come egli aveva operato, con impegno intenso e continuo. {GN 611.1}

Così Gesù parlò ai suoi discepoli e aprì le loro menti perché comprendessero le Scritture. Sebbene essi fossero stanchi, la conversazione non languiva. Parole di fiducia e di vita sgorgavano dalle labbra del Salvatore, ma i loro occhi erano ancora chiusi. Quando egli parlò della distruzione di Gerusalemme, essi guardarono con gli occhi pieni di lacrime la città condannata. Non immaginavano minimamente chi potesse essere il loro compagno di viaggio. Non pensavano che colui che era il soggetto della loro conversazione camminasse accanto a loro; Gesù parlava di se stesso come se si trattasse di un’altra persona. I discepoli credevano che quel viandante fosse uno che aveva partecipato alla Pasqua e che ora tornava a casa. Come loro camminava sulle pietre ruvide e di tanto in tanto si fermava per riposarsi. Essi avanzavano lungo quella strada di montagna, insieme con colui che presto si sarebbe seduto alla destra del trono di Dio e che poteva dire: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra”. Matteo 28:18. {GN 611.2}

Il sole era sceso all’orizzonte; prima che essi giungessero a destinazione, i lavoratori dei campi avevano già lasciato la loro opera. Quando i discepoli arrivarono a casa, il loro compagno di viaggio voleva continuare il cammino. Ma essi gli si erano affezionati e desideravano udirlo ancora; perciò gli dissero: “Rimani con noi”. Siccome sembrava che non volesse accettare l’invito, insistettero: “Si fa sera e il giorno sta per finire”. Cristo cedette alle loro preghiere ed “entrò per rimanere con loro”. Luca 24:29. {GN 611.3}

Se i discepoli non avessero insistito, non avrebbero saputo che il loro compagno era il Signore risorto. Cristo non impone mai a nessuno la sua compagnia, ma si interessa di coloro che hanno bisogno di lui. Entra volentieri nelle case più umili e consola i cuori abbattuti; ma prosegue il suo cammino se gli uomini sono troppo indaffarati per pensare all’ospite divino o chiedergli di restare con loro. Molti perdono una grande occasione non riconoscendo Gesù, come non lo riconobbero i discepoli quando camminava con loro lungo la strada di Emmaus. {GN 612.1}

Il pasto frugale della sera fu subito preparato e venne posto davanti all’ospite che stava seduto a capo tavola. Egli alzò le mani per benedire il cibo. I discepoli rimasero sbalorditi. Il loro compagno di viaggio stendeva le mani proprio come faceva il Maestro; lo guardarono nuovamente e videro sulle sue mani il segno dei chiodi. Insieme gridarono: “È il Signor Gesù! È risuscitato dai morti!” Si alzarono per gettarsi ai suoi piedi e adorarlo, ma egli sparì davanti a loro. Guardando il posto lasciato vuoto dal loro Maestro, il cui corpo era stato posto nella tomba, e si dicono: “Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentr’egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?” Versetto 32. Hanno fretta di comunicare questa grande notizia e quindi non possono rimanere seduti a parlare. Non avvertono più né la stanchezza né la fame. Senza mangiare, e pieni di gioia, rifanno la strada che hanno appena percorso: vogliono dare l’annuncio ai discepoli che sono in città. In alcuni tratti la strada non è sicura, ma essi si arrampicano per tratti scoscesi, su ciottoli lisci e sdrucciolevoli. Non vedono e non sanno di essere sotto la protezione di colui che prima aveva fatto il viaggio con loro. Con il bastone in mano si affrettano, per giungere a Gerusalemme il più presto possibile. Smarriscono la strada, ma la ritrovano: corrono, inciampano, ma avanzano. Il loro compagno invisibile è accanto a loro lungo tutto il percorso. {GN 612.2}

La notte è buia, ma il Sole di giustizia risplende su di loro. I loro cuori esultano di gioia. Credono di essere in un nuovo mondo: Cristo è un Salvatore vivente. Non piangono più per lui come se fosse morto; ripetono e ripetono che Cristo è risuscitato. È questo il messaggio che vogliono portare agli altri che piangono. Racconteranno loro la meravigliosa storia della via di Emmaus. Diranno che il Maestro li ha accompagnati durante il loro viaggio. Porteranno il più grande messaggio mai affidato al mondo, un messaggio sul quale si fondano le speranze dell’umanità per il presente e per l’eternità. {GN 612.3}

Capitolo 84: “Pace a voi!”

I due discepoli entrarono a Gerusalemme attraverso la porta orientale che, in occasione delle feste, rimaneva aperta la notte. Le abitazioni erano immerse nell’oscurità e nel silenzio, e i pellegrini percorsero le strade strette alla luce della luna nascente. Si recarono verso la casa dove Gesù aveva trascorso l’ultima sera, prima della morte. Sapevano che, nonostante fosse tardi, vi avrebbero trovato gli altri discepoli; questi ultimi non sarebbero andati a dormire prima di essersi accertati di ciò che era successo al corpo del loro Signore. La porta della casa era scrupolosamente sbarrata. Bussarono, ma nessuno rispose. Tutto taceva. Dissero i loro nomi, e allora la porta si aprì lentamente. Entrarono, e insieme con loro entrò qualcuno, invisibile. La porta fu subito richiusa per paura delle spie. {GN 613.1}

Trovarono i discepoli molto eccitati; lodavano e ringraziavano Dio dicendo: “Il Signore è veramente risuscitato ed è apparso a Simone”. Luca 24:34. I due pellegrini, ancora ansimanti per la corsa che avevano fatto, raccontarono la storia meravigliosa del loro incontro con Gesù. Appena tacquero, mentre alcuni esprimevano i loro dubbi perché il racconto era troppo bello per essere vero, un’altra persona apparve loro. Tutti gli occhi si volsero verso quello straniero. Nessuno aveva bussato alla porta per farsi aprire; non si era udito nessun rumore di passi. I discepoli trasalirono di spavento. Allora udirono una voce che non poteva essere che quella del loro Maestro. Dalle sue labbra uscirono queste parole chiare e distinte: “Pace a voi!” {GN 613.2}

“Ma essi, sconvolti e atterriti, pensavano di vedere un fantasma. Ed egli disse loro: Perché siete turbati? E perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi, perché sono proprio io; toccatemi e guardate; perché un fantasma non ha carne e ossa come vedete che ho io. E, detto questo, mostrò loro le mani e i piedi”. Versetti 37-40. {GN 613.3}

Videro nelle sue mani e nei suoi piedi i terribili segni dei chiodi. Riconobbero la sua voce inconfondibile. “Ma siccome per la gioia non credevano ancora e si stupivano, disse loro: Avete qui qualcosa da mangiare? Essi gli porsero un pezzo di pesce arrostito; egli lo prese, e mangiò in loro presenza”. Versetti 41, 42. “I discepoli dunque, com’ebbero veduto il Signore, si rallegrarono”. Giovanni 20:20. La fede e la gioia presero il posto del dubbio, e con il cuore traboccante di questi sentimenti, riconobbero il loro Salvatore risorto. {GN 613.4}

Quando Gesù nacque, gli angeli annunciarono pace sulla terra fra gli uomini graditi dal Signore. Nel momento della sua prima apparizione ai discepoli, dopo la risurrezione, il Salvatore rivolse loro queste parole consolanti: “Pace a voi!” Gesù è sempre pronto a parlare di pace agli animi tormentati dal dubbio e dalla paura. Aspetta solo che gli apriamo la porta del cuore e lo invitiamo a restare con noi. Egli dice: “Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno acolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me”. Apocalisse 3:20. {GN 614.1}

La risurrezione di Gesù è simbolo della risurrezione finale di tutti coloro che dormono in lui. I discepoli riconobbero Gesù risorto, i suoi gesti, il suo modo di parlare. Come Gesù è risuscitato dai morti, così risusciteranno coloro che dormono in lui. Noi riconosceremo i nostri amici, come i discepoli riconobbero Gesù. Se nella loro vita sono stati malati, deformi o sfigurati, risusciteranno in piena salute e perfezione, ma nel loro corpo glorificato manterranno perfettamente l’identità della loro persona. Allora conosceremo come siamo stati conosciuti. Cfr. 1 Corinzi 13:12. Sul volto splendente della luce che emana da Gesù, riconosceremo i lineamenti di coloro che amiamo. {GN 614.2}

Rivedendo i discepoli, Gesù ricordò le parole pronunciate prima della sua morte, secondo cui si sarebbe adempiuto tutto ciò che di lui era stato scritto nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi. “Allora aprì loro la mente per capire le Scritture e disse loro: Così è scritto, che Cristo avrebbe sofferto e sarebbe risorto dai morti il terzo giorno, e che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme. Voi siete testimoni di queste cose”. Luca 24:45-48. I discepoli cominciavano a comprendere la natura e l’ampiezza della loro missione. Dovevano annunciare al mondo le meravigliose verità di Cristo. Dovevano testimoniare e far conoscere il loro Maestro, la sua morte, la sua risurrezione, le profezie che avevano preannunciato questi eventi, la sacralità della legge di Dio, i misteri del piano della salvezza e la potenza di Cristo per la remissione dei peccati. Dovevano annunciare il Vangelo della pace e della salvezza che si può ottenere solo tramite la potenza del Salvatore. {GN 614.3}

“Detto questo, soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti”. Giovanni 20:22, 23. Lo Spirito Santo non si era ancora manifestato nella sua pienezza, perché Cristo non era stato ancora glorificato. L’effusione più abbondante dello Spirito si verificò solo dopo l’ascen sione di Cristo. Finché i discepoli non l’avessero ricevuto, non avrebbero potuto predicare il Vangelo al mondo. Ma in quel momento Cristo alitò sui discepoli il suo Spirito per permettere loro di adempiere le funzioni ufficiali nella chiesa. Siccome affidava loro un compito sacro, desiderava imprimere bene nella loro mente il pensiero che quest’opera non poteva essere compiuta senza l’aiuto dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il soffio della vita spirituale nell’animo. La trasmissione dello Spirito è la trasmissione della vita di Cristo. Colui che lo riceve entra in possesso degli attributi di Cristo. Solo coloro che sono istruiti da Dio, coloro in cui lo Spirito opera e che manifestano nella propria vita Cristo, sono degni di rappresentare la chiesa ed esercitare un ministero in suo favore. {GN 614.4}

“A chi rimetterete i peccati” Cristo disse “saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti”. Con queste parole nessuno deve credersi autorizzato a giudicare i propri simili. Nel sermone sulla montagna Gesù ha proibito di farlo. Solo Dio può perdonare i peccati. Ma Gesù conferisce alla chiesa, come organizzazione, un’autorità nei confronti dei singoli membri. La chiesa ha il dovere di rimproverare, istruire e, se possibile, risollevare coloro che cadono nel peccato. Il Signore dice: “Predica la Parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza”. 2 Timoteo 4:2. Trattate con dolcezza ogni persona che sbaglia, avvertite ogni anima che è in pericolo, non permettete che nessuno si inganni, chiamate il peccato con il suo vero nome, ripetete quello che Dio ha detto dei bugiardi, di coloro che trasgrediscono il sabato, che rubano, che sono idolatri o commettono altri peccati. “Circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio”. Galati 5:21. Se queste persone persistono nel peccato, il giudizio che avrete comunicato loro sulla base della Parola di Dio, sarà convalidato in cielo. Peccando, quegli uomini rinnegano Cristo. Se la chiesa approvasse questo comportamento, disonorerebbe il suo Signore. Essa deve dire del peccato ciò che Dio stesso ha detto. Se vuole che la sua azione sia convalidata in cielo, deve considerare il peccato conformandosi alle direttive divine. Colui che disprezza l’autorità della chiesa disprezza l’autorità di Cristo stesso. {GN 615.1}

Ma questo quadro ha anche un lato luminoso. “A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati”. Questo pensiero deve avere il primo posto. Quando si lavora in favore di un peccatore, tutta l’attenzione deve essere rivolta verso Cristo. I pastori devono vegliare con tenera sollecitudine sul gregge del Signore; devono parlare, a coloro che sbagliano, della misericordia e del perdono del Salvatore; devono in coraggiarli a pentirsi e a credere in colui che può perdonare; devono annunciare loro, sulla base dell’autorità della Parola di Dio: “Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità”. Giovanni 1:9. A tutti coloro che si pentono è presentata questa certezza: “Egli tornerà ad avere pietà di noi, metterà sotto i suoi piedi le nostre colpe e getterà in fondo al mare tutti i nostri peccati”. Michea 7:19. {GN 615.2}

La chiesa deve accogliere con cuore riconoscente il peccatore pentito; deve condurlo fuori dalle tenebre dell’incredulità per introdurlo nella luce della fede e della giustizia. La sua mano tremante deve essere posta in quella amorevole di Gesù. Un perdono simile viene sancito nel cielo. In questo senso la chiesa ha l’autorità di rimettere i peccati. Il perdono lo si può ricevere soltanto grazie ai meriti di Cristo. Nessun uomo e nessuna organizzazione umana ha ricevuto l’autorità di perdonare i peccati. Gesù ha ordinato ai suoi discepoli di predicare, nel suo nome, la remissione dei peccati a tutte le nazioni; ma essi non hanno ricevuto il potere di rimettere un solo peccato. Il nome di Gesù è il solo “nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati”. Atti 4:12. {GN 616.1}

Quando Gesù incontrò per la prima volta i discepoli nella camera alta, Tommaso non era presente. Egli udì la testimonianza degli altri ed ebbe numerose prove della risurrezione di Gesù; ma il suo cuore rimase pieno di dubbi e amarezza. Udendo i discepoli raccontare la meravigliosa apparizione del Salvatore risorto, cadde in preda a una disperazione ancora più profonda. Se Gesù era realmente risuscitato dai morti, non restava più nessuna speranza di un regno terreno. Inoltre, egli si sentiva ferito nel suo orgoglio perché il Maestro si era manifestato agli altri discepoli e non a lui. Era deciso a non credere, e per tutta una settimana rimuginò sulla sua disgrazia, in oscuro contrasto con la speranza e la fede dei suoi fratelli. Durante quei giorni si ripeteva spesso: “Se io non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, io non crederò”. Giovanni 20:25. Non voleva vedere attraverso gli occhi dei suoi fratelli, né credere in base alla loro testimonianza. Sebbene amasse ardentemente il suo Signore, aveva permesso alla gelosia e alla sfiducia di impossessarsi della sua mente e del suo cuore. {GN 616.2}

Un certo numero di discepoli cominciarono a incontrarsi regolarmente la sera nella camera alta, ma Tommaso di solito non vi andava. Una sera decise di incontrarsi anch’egli con gli altri. Nonostante la sua incredulità, in fondo all’animo sperava che quelle buone notizie fossero vere. I discepoli cenavano, discorrevano delle prove che Cristo aveva dato mediante le profezie. “Gesù venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: Pace a voi!” Giovanni 20:26. {GN 616.3}

Poi il Maestro si rivolse direttamente a Tommaso e gli disse: “Porgi qua il dito e vedi le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente”. Versetto 27. Queste parole indicavano che Gesù era a conoscenza dei pensieri e delle osservazioni di Tommaso. Il discepolo dubbioso sapeva che nessuno dei suoi compagni aveva visto Gesù durante la settimana e che quindi non avevano potuto parlargli della sua incredulità. Allora Tommaso riconobbe che colui che gli stava davanti era il suo Signore. Non aveva più bisogno di altre prove. Il suo cuore trasalì di gioia, e gettandosi ai piedi di Gesù esclamò: “Signor mio e Dio mio!” Versetto 28. {GN 617.1}

Gesù accolse quell’omaggio, ma dolcemente lo rimproverò per la sua incredulità: “Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” Versetto 29. Gesù avrebbe voluto che Tommaso avesse creduto sulla base della testimonianza dei suoi fratelli. Se gli uomini di oggi volessero imitare l’esempio di Tommaso, nessuno sarebbe salvato per fede, perché tutti coloro che accettano Cristo lo fanno sulla base della testimonianza di altri. {GN 617.2}

Molti di coloro che dubitano si scusano dicendo che se avessero le prove che hanno avuto Tommaso e i suoi compagni, allora crederebbero. Non si rendono conto che non solo hanno le stesse prove, ma anche maggiori. Molti che, come Tommaso, desiderano rimuovere dal loro cuore ogni dubbio, non vedranno mai esauditi i loro desideri, ma si radicheranno sempre più nell’incredulità. Coloro che si abituano a non considerare che il lato negativo delle cose, che mormorano e si lamentano, non si rendono conto di ciò che fanno: spargono il seme del dubbio e raccolgono solo incredulità. Nella nostra epoca, in cui la fede e la fiducia hanno un’importanza essenziale, molti si ritroveranno incapaci di credere e sperare. {GN 617.3}

Il modo in cui Gesù agì nei confronti di Tommaso contiene una lezione per tutti i suoi discepoli. Il suo esempio indica come dovremmo comportarci nei confronti di coloro che sono deboli nella fede e coltivano i loro dubbi. Gesù non investì Tommaso di rimproveri e neppure polemizzò con lui, ma gli si manifestò. Tommaso era stato irragionevole imponendo le condizioni della sua fede; ma Gesù, con il suo amore generoso e la sua stima, abbatté tutte le barriere. Raramente la polemica vince l’incredulità; al contrario, si mette sulla difensiva e suscita nuovi pretesti e nuove scuse. Ma se Gesù si rivela come il Salvatore crocifisso, pieno di amore e misericordia, allora molte labbra si lasceranno sfuggire involontariamente la confessione di Tommaso: “Signor mio e Dio mio!” {GN 617.4}

Capitolo 85: Di nuovo sulle rive del lago

Gesù aveva detto ai discepoli di andare in Galilea, ed essi vi si recarono appena finita la settimana di Pasqua. Non vollero assentarsi da Gerusalemme durante la festa per non correre il rischio di essere accusati di indifferenza o eresia. Ma subito dopo se ne tornarono a casa per incontrare il Signore nel luogo da lui indicato. {GN 618.1}

Si ritrovarono in sette, vestiti semplicemente con gli abiti modesti dei pescatori, poveri di beni terreni, ma ricchi di conoscenza ed esperienza della verità, veri maestri agli occhi del cielo. Non avevano studiato alle scuole dei profeti, ma per tre anni avevano ascoltato gli insegnamenti del più grande educatore. Si erano sviluppati e formati alla sua scuola per condurre altri alla conoscenza della verità. {GN 618.2}

La maggior parte del ministero di Cristo si era svolto lungo le rive del mar di Galilea, e i discepoli, fermatisi in un luogo tranquillo dove speravano di non essere disturbati, si sentirono circondati da tutto ciò che ricordava loro Gesù e le sue opere potenti. Un giorno, su quel mare, mentre tremavano di paura per la tempesta, Gesù era andato in loro soccorso sulle onde scatenate, e alla sua parola l’uragano si era calmato. Scorgevano la spiaggia sulla quale diecimila persone erano state sfamate con alcuni pani e pochi pesci. Non lontano scorgevano Capernaum, palcoscenico di tanti miracoli. Ovunque i discepoli guardassero, venivano loro in mente le parole e le opere potenti del Salvatore. {GN 618.3}

Era una bella serata e Pietro, che amava sempre le barche e la pesca, propose di andare in mare e gettare le reti. Furono tutti d’accordo. Avevano bisogno di cibo e vestiti, e una nottata di buona pesca avrebbe supplito alle loro necessità immediate. Misero dunque le barche in mare, ma gettarono inutilmente le reti per tutta la notte. In quelle ore parlarono del loro Signore assente e rievocarono le opere meravigliose del suo ministero di cui erano stati testimoni lungo le rive di quel mare. Ma parlando del futuro, i loro cuori si rattristavano. {GN 618.4}

Nel frattempo, lungo la riva qualcuno li guardava senza essere visto. Quando giunse l’alba, la barca si trovava a poca distanza dalla riva, e i discepoli videro uno straniero in piedi sulla spiaggia, che ri volse loro questa domanda: “Figlioli, avete del pesce?” Alla loro risposta negativa, egli replicò: “Gettate la rete dal lato destro della barca, e ne troverete. Essi dunque la gettarono, e non potevano più tirarla su per il gran numero dei pesci”. Giovanni 21:5, 6. {GN 618.5}

Giovanni riconobbe lo straniero, e disse a Pietro: “È il Signore!” Versetto 7. Pietro, fuori di sé dalla gioia, si gettò istintivamente nell’acqua per raggiungere subito il suo Maestro. Gli altri discepoli si accostarono con la barca, trascinando la rete colma di pesci. “Appena scesero a terra, videro là della brace e del pesce messovi su, e del pane”. Versetto 9. {GN 619.1}

Erano troppo stupiti per chiedersi chi avesse acceso quel fuoco e procurato quel cibo. “Gesù disse loro: Portate qua dei pesci che avete preso ora”. Versetto 10. Pietro corse verso la rete e aiutò i suoi fratelli a trarla a riva. Quando tutto fu pronto, Gesù li invitò a mangiare. Ruppe il cibo, lo distribuì: fu riconosciuto da tutti e sette i discepoli. Si ricordarono di quando cinquemila persone erano state miracolosamente sfamate sul monte; ma erano come avvinti da una paura misteriosa e guardavano in silenzio il loro Salvatore risorto. {GN 619.2}

Vivida si ripresentò alla loro memoria quella scena lungo il mare, quando Gesù aveva ordinato loro di seguirlo. Si ricordarono che alla sua parola erano andati al largo, avevano gettato le reti e le avevano ritirate così piene che quasi si rompevano. Allora Gesù li aveva invitati a lasciare le barche e le reti, e aveva promesso loro che li avrebbe fatti pescatori di uomini. Adesso egli ripeteva lo stesso miracolo per ricordare loro quella scena e imprimerla più profondamente nei loro cuori. Fu come se Gesù avesse rinnovato il suo mandato e indicato che la sua morte non li aveva affatto esentati dal compiere l’opera affidata loro. {GN 619.3}

Sebbene fossero ormai privi della sua compagnia e dei mezzi di sostentamento del loro antico mestiere, il Salvatore risorto avrebbe avuto sempre cura di loro. Per tutto il tempo che avrebbero svolto quest’opera, il Salvatore avrebbe provveduto alle loro necessità. Di proposito Gesù aveva ordinato loro di gettare la rete a destra della barca; Egli si trovava sulla spiaggia da quel lato: era il lato della fede. Lavorando in collaborazione con lui — la sua potenza divina si sarebbe unita alla loro opera umana — il successo sarebbe stato immancabile. {GN 619.4}

Gesù voleva dare, soprattutto a Pietro, un’altra lezione. Rinnegando il Maestro, Pietro si era messo in contraddizione con le sue precedenti professioni di fedeltà. Aveva disonorato Cristo e aveva perso la fiducia dei suoi fratelli. Essi pensavano che non sarebbe stato più reintegrato nella sua posizione primitiva, ed egli stesso sentiva di aver tradito il suo mandato. Prima di essere richiamato al ministero apostolico, doveva dimostrare il suo pentimento. Se non lo avesse fatto, avrebbe distrutto la sua autorità come apostolo di Cristo. Il Salvatore gli offrì un’occasione per riconquistare la fiducia dei suoi fratelli ed eliminare così il più possibile l’ombra che aveva gettato sul messaggio del Vangelo. {GN 619.5}

In questo modo Gesù offriva una lezione a tutti i suoi discepoli. Il Vangelo non giunge a nessun compromesso con il peccato e non lo scusa. I peccati segreti devono essere confessati in segreto a Dio, ma i peccati commessi in pubblico esigono una confessione pubblica. Il biasimo per il peccato di un discepolo ricade sul Cristo, fa trionfare Satana ed è un’occasione d’intoppo per i più deboli. Il discepolo che si pente deve fare tutto quello che sta in lui per cancellare questa vergogna. {GN 620.1}

Mentre i discepoli mangiavano con Gesù lungo la riva del lago, il Salvatore disse a Pietro, indicando i suoi fratelli: “Simone di Giovanni, mi ami più di questi?” Pietro, che una volta aveva affermato: “Quand’anche tu fossi per tutti un’occasione di caduta, non lo sarai mai per me” (Matteo 26:33), ora che conosceva meglio se stesso, rispose: “Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene”. Giovanni 21:15. Non pretende che il suo amore sia più grande di quello dei suoi fratelli, e non esprime un giudizio personale sulla profondità del suo attaccamento. Rimette il giudizio sulla sua sincerità a colui che può leggere tutti i moventi del cuore. “Tu sai che ti boglio bene”, e Gesù gli dice: “Pasci i miei agnelli”. {GN 620.2}

Di nuovo Gesù rivolse la domanda a Pietro, ripetendo le sue prime parole: “Simone di Giovanni, mi ami tu?” Questa volta non gli chiese se lo amava più dei suoi fratelli. La seconda risposta fu simile alla prima, priva di ogni vanto. “Sì, Signore; tu sai che ti voglio bene”. Gesù gli disse: “Pastura le mie pecore”. Versetto 16. Ancora una volta il Salvatore lo mise alla prova con la domanda: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?” Pietro si turbò pensando che Gesù dubitasse del suo amore. Sapeva che il Maestro avrebbe avuto ragione di dubitare di lui, e con il cuore profondamente rattristato rispose: “Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che ti voglio bene”. Gesù gli disse ancora: “Pasci le mie pecore”. Versetto 17. {GN 620.3}

Per tre volte Pietro aveva apertamente rinnegato il suo Signore e per tre volte Gesù volle che il discepolo dichiarasse il suo amore e la sua lealtà, affinché quella domanda penetrasse profondamente nel suo cuore ferito. Così, davanti ai discepoli, fu manifestata la profondità del pentimento di Pietro e la piena umiltà di quel discepolo, un tempo tanto spavaldo. {GN 620.4}

Per natura Pietro era impulsivo, e Satana ne aveva approfittato per dominarlo. Poco prima del rinnegamento, Gesù aveva detto a Pietro: “Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli”. Luca 22:31, 32. Quel momento era giunto, e la trasformazione di Pietro era evidente. Le precise domande del Signore non avevano provocato una risposta dettata da presunzione; e Pietro, dopo il pentimento e l’umiliazione, era pronto più di prima a esercitare le funzioni di pastore del gregge. {GN 621.1}

Il primo compito che Gesù affidò a Pietro, dopo averlo reintegrato nel suo ruolo, fu quello di pascere gli agnelli. Pietro aveva poca esperienza di quel lavoro che richiedeva grande cura e delicatezza, molta pazienza e perseveranza. Doveva occuparsi dei giovani nella fede, istruire gli ignoranti, spiegare loro le Scritture ed educarli a diventare utili per il servizio di Cristo. Fino a quel momento Pietro non si era preparato per questo compito e non ne aveva neppure compresa l’importanza; ma Cristo adesso lo chiamava per quest’opera, a cui lo aveva preparato la sua esperienza di sofferenza e di pentimento. {GN 621.2}

Prima del suo errore, Pietro aveva sempre parlato senza riflettere, seguendo l’impulso del momento. Era sempre pronto a rimproverare gli altri ed esprimere la propria opinione prima ancora di vedere chiaro in sé e sapere ciò che voleva dire. Ma dopo la conversione, Pietro diventò un altro. Mantenne il suo fervore di sempre, ma guidato dalla grazia di Cristo. Non era più impulsivo, pieno di fiducia in sé e superbo, ma calmo, padrone di sé e docile. Ora poteva pascere gli agnelli e le pecore del gregge del Signore. {GN 621.3}

Il modo in cui il Salvatore si comportò con Pietro rappresentava una lezione per lui e per i suoi fratelli: i peccatori devono essere trattati con pazienza, simpatia e comprensione. Sebbene Pietro avesse rinnegato il Signore, l’amore di Gesù per lui non si era mai affievolito. Come collaboratore del pastore, avrebbe dovuto nutrire lo stesso suo amore per le pecore e per gli agnelli affidati alle sue cure. Ricordandosi delle sue debolezze e del suo errore, Pietro doveva dimostrare, nei loro confronti, la stessa tenerezza con cui il Signore lo aveva trattato. {GN 621.4}

La domanda di Cristo rivolta a Pietro aveva un significato profondo. Essa menzionava l’unica condizione di discepolato e di servizio. Gesù chiese: “Mi ami tu?” Questa è l’unica qualifica essenziale senza la quale, pur possedendo tutte le altre, Pietro non avrebbe mai potuto essere un fedele pastore del gregge del Signore. La conoscenza, la benignità, l’eloquenza, la gratitudine e lo zelo sono ausili preziosi nell’adempimento dell’opera del Signore; ma senza l’amore di Dio nel cuore, il ministero cristiano diventa un fallimento. {GN 621.5}

Gesù camminava da solo con Pietro, perché aveva qualcosa da dirgli. Prima di morire, Gesù gli aveva detto: “Dove vado io, non puoi per ora seguirmi; ma mi seguirai più tardi”. Pietro aveva replicato: “Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!” Giovanni 13:36, 37. Parlando in questo modo, era ben lontano dall’immaginare a quale altezza e profondità lo avrebbe condotto Cristo. Pietro era caduto davanti alla prova, ma gli fu offerta nuovamente la possibilità di dimostrare il suo amore per Cristo. {GN 622.1}

Volendo rafforzare la sua fede in vista della prova finale, il Salvatore gli svelò il futuro. Gli disse che dopo una vita proficua, quando le forze sarebbero diminuite con l’età, sarebbe stato certamente chiamato a seguire il suo Signore. “Quand’eri più giovane, ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti. Disse questo per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio”. Giovanni 21:18, 19. {GN 622.2}

Gesù rivelava così a Pietro il modo in cui sarebbe morto. Gli predisse perfino che le sue mani sarebbero state distese sulla croce. Ri-peté poi al suo discepolo l’invito a seguirlo. Questa rivelazione non scoraggiò Pietro: era disposto a soffrire e a morire per il suo Signore. {GN 622.3}

Come molti altri, fino a quel momento, Pietro aveva conosciuto Cristo solo secondo la carne; ma da allora in poi la sua conoscenza si approfondì, e vide Gesù non più solo collegato con l’umanità. Prima lo aveva amato come uomo, come un maestro inviato dal cielo; ora lo amava come Dio. Aveva imparato per esperienza che Cristo era tutto in tutti, e ora era pronto a partecipare alla missione di sacrificio del suo Signore. Al momento del martirio volle essere crocifisso con la testa in giù, perché reputava un onore troppo grande soffrire nello stesso modo del suo Maestro. {GN 622.4}

L’invito fatto a Pietro: “Seguimi”, era ricco di profondi insegnamenti, validi non solo per la sua morte, ma anche per ogni momento della sua vita. Fino a quel momento Pietro aveva agito con molta indipendenza. Invece di seguire il piano di Dio, aveva cercato di elaborarne uno suo. Ma non poteva guadagnare nulla anticipando il Signore. Gesù gli ordinò di seguirlo e non di precederlo per non correre il rischio di affrontare da solo le schiere di Satana. Gli disse di seguirlo per non essere vinto dal nemico. {GN 622.5}

Pietro, mentre camminava accanto a Gesù, vide che Giovanni li seguiva. Sentì il desiderio di conoscere qualcosa sul futuro di quel discepolo e “disse a Gesù: Signore, e di lui che sarà? Gesù gli rispose: Se voglio che rimanga finché io venga, che t’importa? Tu, seguimi”. Giovanni 21:21, 22. Pietro avrebbe dovuto considerare che il suo Signore gli rivelava solo ciò che poteva essergli utile. Ognuno ha il dovere di seguire Cristo, senza preoccuparsi del compito assegnato agli altri. Dicendo: “Se voglio che rimanga finch’io venga”, Gesù non promise che il suo discepolo sarebbe vissuto fino al suo ritorno. Riaffermò semplicemente la sua autorità e fece notare che le sue intenzioni nei confronti di Giovanni non lo riguardavano in nessun modo. Il futuro di Giovanni e quello di Pietro erano nelle mani del Signore. Entrambi avevano il dovere di seguirlo, ubbidendogli. {GN 622.6}

Molti assomigliano a Pietro. Si interessano degli affari e dei doveri altrui, e così corrono il rischio di trascurare il proprio dovere. Il nostro compito consiste nel seguire l’esempio di Gesù. Noi scorgiamo gli errori e i difetti di carattere degli altri perché l’umanità è imperfetta. Ma in Cristo possiamo trovare la perfezione; contemplandolo, saremo trasformati. Giovanni visse sino a tarda età. Vide la distruzione di Gerusalemme e la rovina del tempio, simbolo di quella del mondo. Fino ai suoi ultimi giorni, Giovanni seguì da vicino il suo Signore. La sua continua raccomandazione alle chiese era questa: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri... Chi rimane nell’amore, rimane in Dio e Dio rimane in lui”. Giovanni 4:7, 16. {GN 623.1}

Pietro era stato reintegrato nell’apostolato, ma l’onore e l’autorità ricevute da Cristo non gli avevano conferito la supremazia sopra i suoi fratelli. Gesù lo espresse chiaramente quando alla domanda di Pietro: “E di lui, che sarà?”, rispose: “Che t’importa? Tu, seguimi”. Pietro non fu costituito capo della chiesa. I suoi fratelli ebbero fiducia in lui sia perché Cristo lo aveva perdonato della sua colpa e gli aveva affidato il compito di pascere il gregge sia perché era stato fedele nel seguire Cristo. Grande fu l’influsso di Pietro sulla chiesa. Non dimenticò mai la lezione che Gesù gli insegnò lungo il mar di Galilea. Scrivendo alle chiese, sotto la guida dello Spirito, disse: {GN 623.2}

“Esorto dunque gli anziani che sono tra di voi, io che sono anziano con loro e testimone delle sofferenze di Cristo e che sarò pure partecipe della gloria che deve essere manifestata: pascete il gregge di Dio che è tra di voi, non per obbligo, ma volenterosamente secondo Dio; non per un vile guadagno, ma di buon animo; non come dominatori di quelli che vi sono affidati, ma come esempi del gregge. E quando apparirà il supremo pastore, riceverete la corona della gloria che non appassisce”. 1 Pietro 5:1-4. {GN 623.3}

Capitolo 86: “Ammaestrate tutti i popoli”

Poco prima di salire in cielo, Gesù dette questo mandato ai discepoli: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli”. Matteo 28:18, 19. “Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo ad ogni creatura”. Marco 16:15. Queste parole furono ripetute più volte affinché i discepoli ne afferrassero il significato. La luce del cielo doveva risplendere con i suoi raggi forti e luminosi su tutti gli uomini, umili e potenti, ricchi e poveri. I discepoli erano chiamati a collaborare con il loro Redentore per la salvezza del mondo. {GN 624.1}

Gesù affidò questo mandato ai dodici quando li incontrò nella camera alta, e lo ripeté poi a un numero più ampio di credenti. Su una montagna della Galilea ci fu un grande incontro a cui parteciparono tutti i credenti; Gesù stesso, prima di morire, aveva fissato il tempo e il luogo dell’incontro. L’angelo al sepolcro aveva ricordato ai discepoli che Gesù aveva promesso di ritrovarsi con loro in Galilea. Quella promessa fu ripetuta ai credenti riuniti a Gerusalemme durante la settimana di Pasqua, e tramite loro fu trasmessa anche ai fedeli isolati che piangevano per la morte del loro Signore. Tutti attendevano con grande impazienza quell’incontro. Percorrendo strade secondarie, giunsero in Galilea da varie direzioni per non suscitare i sospetti dei capi del popolo. I loro cuori vibravano mentre lungo il cammino parlavano delle voci che erano giunte loro a proposito di Cristo. {GN 624.2}

Nel momento stabilito, circa cinquecento credenti si trovarono riuniti, a piccoli gruppi, sul fianco della montagna, pronti ad ascoltare la testimonianza di coloro che avevano visto Cristo dopo la sua risurrezione. I discepoli andavano da un gruppo all’altro, raccontando ciò che avevano udito su Gesù, e spiegavano le Scritture come il Maestro le aveva spiegate loro. Tommaso parlava dei suoi dubbi e di come erano stati fugati. All’improvviso Gesù apparve fra loro. Nessuno avrebbe saputo dire da dove e come era venuto. Molti dei presenti non lo avevano mai visto prima, ma le sue mani e i suoi piedi recavano i segni della crocifissione; aveva un aspetto divino, e appena lo videro lo adorarono. Alcuni, come accade sempre, dubitavano. Erano coloro che non riuscivano ad abbandonarsi completamente alla fede e rimanevano dalla parte del dubbio. {GN 624.3}

Fu quella l’unica volta in cui Gesù dopo la risurrezione si incontrò con un gran numero di credenti. Disse loro: “Ogni potestà m’è stata data in cielo e sulla terra”. Prima che egli parlasse, i discepoli l’avevano già adorato; ma quelle parole che sgorgavano da labbra che erano state chiuse dalla morte, infusero in loro una particolare potenza. Egli era il Salvatore risorto. Molti dei presenti lo avevano visto quando aveva manifestato la sua potenza nella guarigione dei malati e nella liberazione degli indemoniati. Credevano che avesse il potere di instaurare il suo regno in Gerusalemme, vincere ogni opposizione e dominare tutti gli elementi della natura. Aveva calmato le acque infuriate, aveva camminato sulle onde agitate, aveva richiamato i morti alla vita. In quel momento egli affermava che “ogni potestà” gli era stata data. Le sue parole fecero volgere l’attenzione dei suoi ascoltatori dalle cose terrene e temporali a quelle divine ed eterne e furono testimoni così della più alta manifestazione della sua dignità e della sua gloria. {GN 625.1}

Cristo, sul pendio del monte, annunciò che il suo sacrificio era stato totale, che le condizioni della redenzione erano state adempiute, che l’opera che era venuto a compiere nel mondo era conclusa. Egli stava per dirigersi verso il trono di Dio, dove sarebbe stato onorato dagli angeli, dai principati e dalle potestà. Avendo iniziato l’opera di mediazione ed essendo rivestito di un’autorità immensa, dette ai discepoli questo mandato: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”. Matteo 28:19, 20. {GN 625.2}

Il popolo ebraico aveva ricevuto un patrimonio di verità sacre, ma a causa dei farisei era diventato il più esclusivista e fanatico di tutti i popoli. I sacerdoti, in tutte le loro cose — nei vestiti, nelle abitudini, nelle cerimonie, nelle tradizioni — erano indegni di essere la luce del mondo. Nella loro grettezza pensavano che il mondo si limitasse alla loro nazione. Ma Cristo disse ai suoi discepoli di proclamare una fede e un culto privi di ogni ombra di nazionalismo od orgoglio di casta, una fede e un culto adatti a tutti i popoli, a tutte le nazioni, a tutte le classi. {GN 625.3}

Prima di lasciare i discepoli, Gesù parlò chiaramente della natura del suo regno; ricordò loro i suoi insegnamenti precedenti e disse che non era venuto per fondare un regno temporale, ma per stabilirne uno spirituale. Egli non avrebbe regnato come un re terreno sul trono di Davide. Spiegò ancora le Scritture, dimostrando che tutto ciò che era accaduto era stato previsto in cielo, in accordo con il Padre. Tutto era stato predetto da uomini ispirati dallo Spirito Santo. Disse loro: Avete visto che, secondo quanto vi avevo predetto, sono stato rigettato come Messia. Tutto quello che ho predetto sulla mia umiliazione e sulla mia morte si è attuato. Il terzo giorno sono risuscitato. Studiate con più cura le Scritture e vedrete che tutto quello che le profezie hanno detto su di me, si è adempiuto. {GN 625.4}

Gesù disse ai discepoli di iniziare a Gerusalemme l’opera che era stata loro affidata. Gerusalemme era stata testimone della sua umiliazione vittoriosa in favore degli uomini. Era nato nella terra di Giuda, in quella terra aveva sofferto ed era stato rifiutato e condannato. Là, in veste umana, era vissuto con gli uomini, sebbene pochi si fossero accorti della vicinanza del cielo mentre era in mezzo a loro. L’attività dei discepoli doveva iniziare proprio a Gerusalemme. {GN 626.1}

Pensando a tutto ciò che Cristo aveva sofferto in quel luogo e all’ingratitudine che gli era stata manifestata, i discepoli avrebbero potuto chiedere di iniziare altrove la loro opera. Ma non lo fecero. Essi accettarono di coltivare il terreno dove Gesù aveva sparso il seme della verità; quel seme sarebbe germogliato e avrebbe prodotto un raccolto abbondante. Nella loro missione i discepoli avrebbero dovuto affrontare persecuzioni per la gelosia e l’odio degli ebrei; ma non dovevano evitare di passare attraverso le prove che il loro Maestro aveva sopportato. Era necessario rivolgere il primo invito della misericordia a coloro che erano stati gli assassini del Salvatore. {GN 626.2}

In Gerusalemme molti credevano in Gesù di nascosto e altri erano stati ingannati dai sacerdoti e dai capi. Il Vangelo doveva essere presentato proprio a loro per invitarli al pentimento. Bisognava diffondere la meravigliosa verità della remissione dei peccati tramite Cristo. In Gerusalemme, ancora tutta eccitata per gli straordinari avvenimenti delle ultime settimane, la proclamazione del messaggio del Vangelo avrebbe prodotto una profonda impressione. {GN 626.3}

L’opera però non doveva fermarsi a Gerusalemme, ma estendersi fino alle estremità della terra. Gesù disse ai discepoli: Voi siete stati testimoni della mia vita di rinuncia in favore del mondo. Avete visto le mie fatiche per Israele. Sebbene non siano voluti venire a me per avere la vita, sebbene i sacerdoti e i capi abbiano fatto come hanno voluto e mi abbiano rigettato, adempiendo in questo le Scritture, sarà offerta loro ancora un’occasione per accettare il Figlio di Dio. Avete visto che io liberamente accolgo tutti quelli che vengono a me per confessare i loro peccati. Io non rigetterò chi viene a me. Tutti coloro che lo vorranno, potranno essere riconciliati con Dio e ricevere la vita eterna. Affido a voi, miei discepoli, questo messaggio di misericordia. Sarà prima annunciato a Israele e poi a tutte le nazioni, lingue e popoli. Deve essere trasmesso agli ebrei e ai gentili. Tutti coloro che credono saranno riuniti in una sola chiesa. {GN 626.4}

Attraverso il dono dello Spirito Santo i discepoli avrebbero ricevuto una potenza straordinaria. La loro testimonianza sarebbe stata confermata da segni e prodigi. I miracoli sarebbero stati compiuti non soltanto dagli apostoli, ma anche da coloro che avrebbero ricevuto il messaggio. Gesù ha detto: “Questi sono i segni che accompagneranno coloro che avranno creduto: nel nome mio scacceranno i demòni; parleranno in lingue nuove; prenderanno in mano dei serpenti; anche se berranno qualche veleno, non ne avranno alcun male; imporranno le mani agli ammalati ed essi guariranno”. Marco 16:17, 18. {GN 627.1}

In quell’epoca si usava spesso avvelenare la gente. Uomini privi di scrupoli non esitavano a eliminare con questi mezzi quanti ostacolavano le loro ambizioni. Gesù sapeva che la vita dei discepoli era in pericolo. Molti avrebbero pensato di rendere un servizio a Dio condannando a morte i suoi testimoni. Perciò promise di proteggerli da questo pericolo. {GN 627.2}

I discepoli avrebbero ricevuto la stessa potenza di cui disponeva Gesù per sanare “ogni malattia e ogni infermità fra il popolo”. Guarendo nel suo nome coloro che erano colpiti dal male, avrebbero testimoniato che egli ha il potere di guarire l’anima. Cfr. Matteo 4:23; 9:6. Fu promessa loro una nuova effusione di Spirito. Dovendo predicare tra le altre nazioni, i discepoli avrebbero ricevuto la capacità di parlare in altre lingue. Sebbene gli apostoli e gli altri discepoli fossero uomini senza istruzione, per l’effusione dello Spirito che avvenne nel giorno della Pentecoste, impararono a parlare un linguaggio puro, semplice e corretto, sia che si esprimessero nel proprio idioma sia in una lingua straniera. {GN 627.3}

Gesù affidò ai discepoli quel mandato. Fece tutto ciò che era necessario per assicurare il proseguimento della sua opera e garantirne il successo. I suoi discepoli, se ubbidiscono alla sua parola e collaborano con lui, non subiranno sconfitte. Egli ha ordinato loro di andare da tutti i popoli, sino alle estremità della terra, e ha promesso la sua costante presenza. Li ha invitati a lavorare con fiducia, perché egli non li dimentica mai. {GN 627.4}

II mandato del Salvatore si estende a tutti i credenti, sino alla fine dei tempi. È un grave errore pensare che il ministero della salvezza degli uomini spetti soltanto ai pastori. {GN 627.5}

Tutti coloro che hanno ricevuto la grazia divina hanno anche il compito di diffondere il messaggio del Vangelo. Chi accetta Cristo deve operare per la salvezza del prossimo. La chiesa è stata fondata per questa ragione, e coloro che entrano a farne parte diventano collaboratori di Cristo. {GN 628.1}

“Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni. E chi ode, dica: Vieni”. Apocalisse 22:17. Chiunque ode l’invito deve ripeterlo. Il credente, qualunque sia la sua occupazione terrena, deve innanzi tutto conquistare uomini per il regno di Cristo. Anche se non è capace di parlare a un grande pubblico, può lavorare per i singoli, trasmettendo loro le istruzioni ricevute dal Signore. Il ministero non consiste unicamente nella predicazione. Esercitano un ministero anche coloro che hanno cura dei malati e dei sofferenti, che aiutano i bisognosi, che pronunciano parole di consolazione agli scoraggiati e ai dubbiosi. Vicino e lontano vi sono anime che languono sotto il peso delle loro colpe. Non sono le difficoltà, le fatiche o la povertà che degradano l’umanità, ma il peccato e il male. Il senso di colpa produce inquietudine e scontentezza. Cristo vuole che i suoi discepoli offrano soccorso agli uomini che soffrono per il peccato. {GN 628.2}

I discepoli dovevano iniziare la loro opera nei luoghi stessi in cui si trovavano, senza tralasciare quelli più difficili e meno promettenti. Così ogni collaboratore di Cristo deve iniziare a testimoniare là dove vive. Nella sua stessa famiglia possono esservi persone che hanno bisogno di simpatia e desiderano il pane della vita; possono esservi bambini da educare per Cristo. Vi possono essere dei pagani che abitano anche nella porta accanto alla nostra. Compiamo fedelmente l’opera nei luoghi più vicini, fino a estenderla là dove ci guiderà la mano del Signore. Ad alcuni il lavoro potrà sembrare circoscritto e limitato ma, se compiuto con fede e con cura, si manifesteranno i suoi effetti fino agli estremi limiti del mondo. Quando Gesù era sulla terra, il suo ministero sembrava confinato a un piccolo paese; ma grandi folle nel mondo hanno udito il suo messaggio. Spesso Dio utilizza mezzi semplici per ottenere grandi risultati. Egli vuole che tutte le parti della sua opera siano collegate fra loro, come in un ingranaggio in cui tutto il meccanismo funziona in armonia. Anche il più umile testimone, se guidato dallo Spirito Santo, saprà toccare delle corde invisibili, le cui vibrazioni si ripercuoteranno fino alle estremità della terra e nell’eternità. {GN 628.3}

Ma non si deve dimenticare l’ordine che ci è stato dato di andare in tutta la terra. Ci viene rivolto l’invito a volgere lo sguardo verso i paesi lontani. Cristo ha abbattuto il muro di separazione, i pregiudizi nazionalistici e ci ha insegnato ad amare tutta la famiglia umana. Egli è venuto per liberare gli uomini dall’angusto cerchio del loro egoismo, e per abolire tutte le frontiere e le distinzioni di classe. Egli non fa nessuna differenza tra connazionali e stranieri, tra amici e nemici. Ci insegna a riconoscere come nostro fratello chiunque è in difficoltà e a considerare il mondo come il nostro campo di attività. {GN 628.4}

Dopo che il Salvatore ebbe detto: “Andate, dunque, ammaestrate tutti popoli” aggiunse: “Or questi sono i segni che accompagneranno coloro che avranno creduto: nel nome mio cacceranno i demoni; parleranno in lingue nuove; prenderanno in mano dei serpenti; e se pur bevessero alcunché di mortifero, non ne avranno alcun male; imporranno le mani agl’infermi ed essi guariranno”. Questa promessa ha una portata tanto ampia quanto lo è il mandato. Non tutti i doni vengono concessi a ogni credente; lo Spirito distribuisce “i doni a ciascuno in particolare come vuole”. 1 Corinzi 12:11. Ma i doni dello Spirito sono promessi a ogni credente, secondo ciò che è necessario per adempiere l’opera del Signore. Quella promessa è valida oggi quanto lo era ai tempi degli apostoli. “Or questi sono i segni che accompagneranno coloro che avranno creduto”. Questo è il privilegio dei figli di Dio e la fede dovrebbe impossessarsi di tutto ciò che le è accessibile. {GN 629.1}

“Imporranno le mani agl’infermi ed essi guariranno”. Questo mondo è come un grande ospedale, ma Gesù è venuto per guarire gli ammalati e per liberare i prigionieri di Satana. Egli era sano e forte; infondeva la sua vita agli ammalati, agli afflitti e agli indemoniati, e non scacciava nessuno di tutti coloro che si rivolgevano a lui per beneficiare della sua potenza di guarigione. Sapeva che quanti gli chiedevano aiuto soffrivano per le loro colpe; ma non per questo si rifiutava di aiutarli. Quando la potenza di Cristo penetrava in quelle povere anime, esse si convincevano di peccato e molte venivano guarite sia dalle malattie spirituali sia da quelle fisiche. Il Vangelo ha sempre la stessa potenza; perché oggi non dovremmo ottenere gli stessi risultati? {GN 629.2}

Cristo ode i lamenti di ogni sofferente. Quando uno spirito malvagio tormenta un corpo umano, egli ne sente lo strazio. Quando la febbre inaridisce la corrente di vita, egli ne avverte l’agonia. Gesù ora è disposto a guarire gli ammalati come quando lo era quando viveva sulla terra. I suoi discepoli sono i suoi rappresentanti e i suoi strumenti di lavoro; tramite loro desidera esercitare la sua potenza di guarigione. {GN 629.3}

Il modo in cui Gesù guariva gli ammalati conteneva delle lezioni per i discepoli. Una volta sparse del fango sugli occhi di un cieco, e gli disse: “Va’, làvati nella vasca di Siloe. Egli dunque andò, si lavò, e tornò che ci vedeva”. Giovanni 9:7. Soltanto la potenza del gran Medico poteva guarire; ma Gesù si servì ugualmente di semplici mezzi naturali. Pur non raccomandando l’uso di medicine, Gesù sanzionò l’impiego di rimedi semplici e naturali. A molti che erano stati guariti, Gesù diceva: “Non peccare più, che non ti accada di peggio”. Giovanni 5:14. Insegnava così che la malattia è il risultato della violazione delle leggi di Dio, sia di quelle della natura sia di quelle dello spirito. Non ci sarebbe tanta sofferenza nel mondo se gli uomini vivessero secondo la legge del Creatore. {GN 629.4}

Cristo è stato la guida e il maestro dell’antico Israele e ha insegnato che la salute è il frutto dell’ubbidienza alle leggi di Dio. Il gran Medico che guariva gli ammalati in Palestina, aveva parlato al suo popolo dalla colonna di nuvola, per dir loro che cosa dovevano fare e ciò che Dio avrebbe fatto per loro. “Se ascolti attentamente la voce del Signore che è il tuo Dio, e fai ciò che è giusto agli occhi suoi, porgi orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutte le sue leggi, io non ti infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce”. Esodo 15:26. Cristo dette a Israele istruzioni dettagliate sul modo di vivere e gli fece questa promessa: “il Signore allontanerà da te ogni malattia”. Deuteronomio 7:15. Fino a quando il popolo rispettò le condizioni prescritte, questa promessa si adempì. “E nessuno vacillò nelle sue tribù”. Salmi 105:37. {GN 630.1}

Queste lezioni valgono anche per noi. Tutti coloro che vogliono mantenersi in buona salute devono conoscere e osservare queste condizioni. Il Signore non vuole che ignoriamo le sue leggi, sia naturali sia spirituali. Noi dobbiamo collaborare con Dio per ristabilire la salute del corpo e quella dello spirito. {GN 630.2}

È nostro dovere insegnare come si può preservare e recuperare la salute. Dovremmo usare i rimedi che la natura ci offre e indicare ai malati colui che può dare la guarigione. È nostro compito presentare con fede a Cristo gli ammalati e i sofferenti; insegnare loro a credere nel gran Medico, ad aver fiducia nelle sue promesse e a pregare per ottenere la manifestazione del suo potere. L’essenza del Vangelo è la guarigione, e il Salvatore vuole che invitiamo gli ammalati, gli scoraggiati e i sofferenti ad attingere alla sua potenza. {GN 630.3}

La potenza dell’amore si manifestava in tutte le guarigioni di Cristo; solo partecipando per fede a quell’amore, noi possiamo diventare strumenti nella sua opera. Se trascuriamo la comunione vivente con Cristo, non potremo trasmettere al mondo la corrente di vita che infonde potenza. In alcune occasioni il Salvatore non poté compiere dei miracoli a causa dell’incredulità. Anche oggi l’incredulità separa la chiesa dal suo Medico divino. La fede della chiesa nelle realtà eterne è troppo debole; Dio è addolorato per questa mancanza di fede, e la sua gloria viene sminuita. {GN 630.4}

La chiesa, quando compie l’opera di Cristo, può contare sulla sua presenza. Gesù ha detto: “Andate dunque, ammaestrate tutti i popoli... Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”. Prendere su di sé il giogo di Cristo è una delle prime condizioni per ricevere la sua potenza. La vita della chiesa dipende dalla fedeltà con cui adempie il mandato del Signore. Trascurare quest’opera significa creare debolezza e decadenza spirituali. Dove non c’è un lavoro attivo in favore degli altri, l’amore diminuisce e la fede si indebolisce. {GN 631.1}

Cristo vuole che i suoi pastori educhino la chiesa a testimoniare del Vangelo. I membri devono apprendere a cercare e salvare chi è perduto. Ma è questa l’opera che ora essi svolgono? Purtroppo sono pochi coloro che cercano di accendere una scintilla di vita in una chiesa che sta per morire. Quante chiese vengono curate come se fossero agnelli ammalati, mentre si dovrebbero ricercare le pecore perdute. Nel frattempo, milioni e milioni di persone muoiono senza conoscere Cristo. {GN 631.2}

Dio ama profondamente gli uomini; gli angeli si stupiscono nel vedere la scarsa gratitudine di coloro che sono oggetto di tanto amore e l’indifferenza degli uomini di fronte all’amore di Dio. Il cielo si indigna nel vedere come viene trascurata la salvezza degli uomini. Cristo prova ciò che un padre e una madre sentirebbero sapendo che il loro figlio smarrito nel freddo e nella neve non è stato soccorso da persone che gli sono passate accanto. Quei genitori non si sentirebbero profondamente addolorati e indignati? Non denuncerebbero quegli assassini con uno sdegno ardente come le loro lacrime e intenso come il loro amore? Le sofferenze di ogni uomo sono quelle di un figlio di Dio, e coloro che non stendono la mano per soccorrere i loro simili che muoiono spiritualmente, provocano la giusta collera dell’Agnello. A coloro che si dichiarano discepoli di Cristo, ma sono indifferenti verso i loro fratelli bisognosi, egli dirà nel gran giorno del giudizio: “Non so da dove venite. Allontanetevi da me, voi tutti, malfattori”. Luca 13:27. {GN 631.3}

Nel suo mandato Gesù non ha solo tracciato il compito dei discepoli, ma ha anche dato un messaggio: “Insegnando loro d’osservar tutte quante le cose che vi ho comandate”. Essi dovevano insegnare non solo tutto quello che egli aveva detto personalmente, ma anche gli avvertimenti che aveva dato attraverso i profeti e i maestri dell’Antico Testamento. Gli insegnamenti umani erano esclusi; non c’era posto né per le tradizioni, né per le teorie o le conclusioni umane, né per il diritto canonico. In questo mandato non erano comprese le leggi ordinate dall’autorità ecclesiastica, non vincolanti per i servitori di Cristo. Il tesoro affidato ai discepoli per essere trasmesso al mondo comprende “la legge e i profeti”, insieme con il racconto del suo insegnamento e delle sue opere. Il nome di Cristo è la loro parola d’ordine, il loro segno di riconoscimento, il vincolo della loro unione, il principio della loro condotta, la fonte del loro successo. Solo ciò che ha la sua approvazione sarà riconosciuto nel suo regno. {GN 631.4}

Il Vangelo deve essere presentato non come una teoria priva di vitalità, ma come una forza capace di trasformare la vita. Dio desidera che coloro che sono oggetto della sua grazia diventino testimoni della sua potenza. Egli accoglie volentieri coloro che lo hanno maggiormente offeso con la loro condotta; quando si pentono infonde in loro il suo Spirito divino, affida loro incarichi di fiducia e li invia dagli altri uomini a proclamare la sua misericordia infinita. Egli vorrebbe che i suoi collaboratori testimoniassero che gli uomini, attraverso la sua grazia, possono acquisire un carattere simile a quello di Cristo e rallegrarsi nella certezza del suo grande amore. Vorrebbe che annunciassimo che Gesù non avrà pace finché la razza umana non sarà ristabilita e restaurata nella sacra posizione di figli e figlie di Dio. {GN 632.1}

In Cristo c’è la tenerezza di un pastore, l’affetto di un padre e la grazia di un Salvatore compassionevole. Egli non si accontenta di pronunciare con affabilità le sue benedizioni; le offre nella maniera più persuasiva per far sorgere nei cuori il desiderio di riceverlo. Nello stesso modo i suoi discepoli devono presentare le ricchezze della gloria del suo dono ineffabile. La semplice ripetizione delle dottrine è inefficace, perché solo il meraviglioso amore di Cristo può toccare e consolare i cuori. “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Tu che porti la buona notizia a Sion, sali sopra un alto monte! Tu che porti la buona notizia a Gerusalemme, alza forte la voce! Alzala, non temere! Di’ alle città di Giuda: Ecco il vostro Dio! Come un pastore, egli pascerà il suo gregge; raccoglierà gli agnelli in braccio, li porterà sul petto”. Isaia 40:1, 9, 11. Parlate alle persone di colui che “si distingue fra diecimila”, e la cui “persona è un incanto”. Cantico die cantici 5:10. {GN 632.2}

Le parole da sole non possono dare questo messaggio che si deve riflettere nel carattere e manifestare nella vita. Cristo vuole che il suo ritratto sia riprodotto nei suoi discepoli, in coloro che Dio ha prede stinati “a essere conformi all’immagine del Figlio suo”. Romani 8:29. In ogni fedele si deve manifestare l’amore di Cristo, la sua santità, la sua dolcezza, la sua misericordia e la sua verità. {GN 632.3}

I primi discepoli andarono a predicare la Parola e manifestarono il messaggio di Cristo nella loro vita. Il Signore operava con loro “confermando la Parola con i segni che l’accompagnavano”. Marco 16:20. Essi iniziarono a prepararsi per il loro ministero. Nei giorni che precedettero la Pentecoste si riunirono e superarono tutte le divisioni; erano di pari consentimento. Credevano nella promessa di Cristo e pregavano fiduciosi. Non chiedevano una benedizione soltanto per sé, perché sentivano la responsabilità della salvezza degli uomini. Il messaggio del Vangelo doveva essere annunciato sino alle estremità della terra ed essi reclamavano la potenza promessa da Cristo. Allora lo Spirito Santo scese su loro, e migliaia di persone si convertirono in un giorno solo. {GN 633.1}

Lo stesso può accadere ora. È necessario predicare la Parola di Dio e non le speculazioni umane. È necessario che i cristiani mettano da parte ciò che è causa di divisione e si consacrino all’opera della salvezza. Che essi chiedano con fede la benedizione di Dio, ed essa sarà loro concessa. La discesa dello Spirito Santo ai giorni degli apostoli fu la pioggia della prima stagione, e i suoi risultati sono stati gloriosi. Ma quando cadrà la pioggia dell’ultima stagione, i risultati saranno ancora più abbondanti. Cfr. Gioele 2:23. {GN 633.2}

Tutti coloro che consacrano a Dio corpo, anima e spirito, riceveranno un’abbondante misura di forza fisica e mentale. Le inesauribili ricchezze del cielo saranno a loro disposizione. Cristo concede loro il soffio del suo spirito, la sua propria vita. Lo Spirito Santo con le sue possenti risorse opera nel cuore e nella mente. La grazia di Dio rafforza e sviluppa le facoltà, e tutte le perfezioni della natura divina contribuiscono all’opera della salvezza degli uomini. Mediante la collaborazione con Cristo, esse diventano perfette in lui e capaci — nonostante l’umana debolezza — di compiere l’opera dell’Onnipotente. {GN 633.3}

II Salvatore desidera manifestare la sua grazia e imprimere il suo carattere in tutti gli uomini. Egli ha acquistato gli uomini con il suo sangue e desidera renderli liberi, puri e santi. Sebbene Satana tenti di ostacolare l’opera di Dio, tramite il sangue di Cristo sparso per il mondo, gli uomini possono essere redenti alla gloria di Dio e dell’Agnello. Cristo non sarà soddisfatto fino a quando la vittoria non sarà conseguita in modo definitivo. Allora “Dopo il tormento dell’anima sua vedrà la luce, e sarà soddisfatto”. Isaia 53:11. Tutte le nazioni della terra udranno il messaggio del Vangelo della sua grazia. Non tutte accoglieranno questa grazia, ma una “discendenza lo servirà; si parlerà del Signore alla generazione futura”. Salmi 22:30. “Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno” (Daniele 7:27) poiché “la conoscenza del Signore riempirà la terra, come le acque coprono il fondo del mare. Si temerà il nome del Signore dall’occidente, e la sua gloria dall’oriente”. Isaia 11:9; 59:19. {GN 633.4}

“Quanto sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone notizie, che annunzia la pace, che è araldo di notizie liete, che annunzia la salvezza, che dice a Sion: Il tuo Dio regna! Prorompete assieme in gridi di gioia, rovine di Gerusalemme! Il Signore ha rilevato il suo braccio santo agli occhi di tutte le nazioni; tutte le estremità della terra vedranno la salvezza del nostro Dio”. Isaia 52:7, 9, 10. {GN 634.1}

Capitolo 87: “Al Padre mio e Padre vostro”

Era giunto per Gesù il momento di salire al Padre. Come un conquistatore divino, stava per tornare nelle corti del cielo con i trofei della vittoria. Prima di morire aveva detto al Padre: “Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai data a fare”. Giovanni 17:4. Dopo la risurrezione rimase ancora un po’ sulla terra affinché i discepoli si familiarizzassero con il loro Salvatore risuscitato e glorificato. Ora era pronto per la partenza. Aveva dimostrato di essere un Salvatore vivente. I discepoli non dovevano più collegarlo al pensiero della tomba, ma vederlo glorificato di fronte all’universo. {GN 635.1}

Per l’ascensione Gesù scelse un luogo che aveva spesso santificato con la sua presenza. Non scelse il monte di Sion dove sorgeva la città di Davide, non il monte Moriah dove sorgeva il tempio. In quei luoghi Cristo era stato beffeggiato e respinto, e tutte le manifestazioni della sua misericordia avevano urtato contro cuori duri come la roccia. Di là Gesù, stanco e addolorato, si era recato sul monte degli Ulivi per trovarvi riposo. Come la santa Shekinah, allontanandosi dal primo tempio si era fermata sul monte a oriente, quasi esitasse ad abbandonare la città eletta, così Cristo si era fermato sul monte degli Ulivi, e con animo addolorato aveva guardato Gerusalemme. I boschi e le valli della montagna erano stati consacrati dalle sue preghiere e dalle sue lacrime, e avevano riecheggiato dei canti di trionfo della moltitudine che lo proclamava re. Sui suoi pendii, a Betania, vi era la casa di Lazzaro. Ai suoi piedi, nel giardino del Getsemani, Gesù aveva pregato e lottato da solo. Da quel monte egli doveva ascendere al cielo. Su quello stesso monte i suoi piedi si poseranno quando tornerà. Egli apparirà allora non come uomo di dolore, ma come re glorioso e trionfante, si ergerà sul monte degli Ulivi, mentre gli alleluia degli ebrei e gli osanna dei gentili formeranno un concerto di lodi, e le voci della folla dei redenti esclameranno: “Incoronate il Signore di tutti!” {GN 635.2}

Gesù si diresse con gli undici verso la montagna. Molti si stupivano scorgendo quel piccolo gruppo di persone che usciva dalla porta di Gerusalemme, guidato da colui che poche settimane prima i capi avevano condannato e crocifisso. I discepoli non sapevano che quello sarebbe stato l’ultimo incontro con il Maestro. Gesù ripeté loro i suoi ultimi insegnamenti. Quando si avvicinarono al Getsemani egli tacque, affinché potessero ricordarsi delle ultime lezioni che aveva impartito loro nella notte della sua grande agonia. Guardò ancora una volta la vite di cui si era servito per illustrare l’unione della chiesa con se stesso e con il Padre, e ripeté ancora quelle verità che aveva rivelato loro. Tutto, intorno a lui, ricordava il suo amore e la loro ingratitudine. Persino i discepoli, così cari al suo cuore, nell’ora dell’umiliazione lo avevano disonorato e abbandonato. {GN 635.3}

Gesù aveva trascorso trentatré anni in questo mondo; vi aveva sopportato beffe, insulti e inganni; era stato rigettato e crocifisso. Ora, mentre stava per ascendere al trono della sua gloria, riconsiderando l’ingratitudine del popolo che era venuto a salvare, lo avrebbe forse privato della sua simpatia e del suo amore? Avrebbe concentrato tutto il suo affetto unicamente su quel regno dove è apprezzato e dove gli angeli senza peccato sono pronti a fare la sua volontà? No, a coloro che ama e che lascia sulla terra fa questa promessa: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”. Matteo 28:20. {GN 636.1}

Giunto sul monte degli Ulivi, Gesù condusse i suoi discepoli oltre la cima, vicino a Betania. Là si fermò, e i discepoli gli si strinsero attorno. Sembrava che dei raggi di luce si sprigionassero dalla sua persona mentre egli li guardava con affetto. Le ultime parole che uscirono dalle sue labbra non furono di rimprovero per le loro colpe e i loro difetti, ma espressero il suo amore più tenero. Con le mani tese, come per benedirli e assicurarli della sua cura e della sua protezione, lentamente si staccò da loro, assunto in cielo da una potenza più forte dell’attrazione terrestre. Mentre spariva ai loro sguardi, i discepoli intimoriti videro per l’ultima volta, con occhi pieni di stupore, il loro Signore che ascendeva al cielo. Una nuvola lo nascondeva al loro sguardo e mentre una schiera di angeli lo accoglieva, giungevano alle loro orecchie le sue parole: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”. Nello stesso istante udirono la melodia dolce e gioiosa del coro degli angeli. {GN 636.2}

Mentre i discepoli guardavano ancora stupiti verso il cielo, udirono delle voci melodiose. Scorsero due angeli che rivolsero loro questo messaggio: “Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che è stato tolto, ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo”. Atti 1:11. {GN 636.3}

Quegli angeli facevano parte della schiera che in una nuvola splendente aveva scortato Gesù fino alla dimora celeste. Erano i due angeli più potenti della schiera angelica; erano stati accanto alla tomba di Cristo al momento della sua risurrezione, e lo avevano seguito durante la sua vita terrena. Tutto il cielo aveva atteso impaziente la fine della sua permanenza in un mondo contaminato dal peccato. Era giunto il tempo in cui l’universo avrebbe accolto il suo Re. I due angeli certamente desideravano unirsi alla schiera che accolse Gesù, ma spinti da simpatia e amore per coloro che erano rimasti, si trattennero per confortarli. “Essi non sono tutti spiriti al servizio di Dio, mandati a servire in favore di quelli che devono ereditare la salvezza?” Ebrei 1:14. {GN 636.4}

Cristo è asceso al cielo in forma umana. I discepoli lo hanno visto mentre la nuvola lo accoglieva. Quello stesso Gesù che aveva camminato, conversato, pregato con loro; che aveva spezzato il pane con loro; che era stato in barca con loro sul lago; che proprio quel giorno era salito con loro sul monte degli Ulivi: quello stesso Gesù era asceso per sedersi sul trono del Padre. Gli angeli avevano assicurato che colui che avevano visto salire in cielo, sarebbe ritornato nello stesso modo. Egli verrà “con le nuvole e ogni occhio lo vedrà”. Apocalisse 1:7. “Perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo”. 1 Tessalonicesi 4:16. “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso”. Matteo 25:31. Così si adempirà la promessa fatta dal Signore ai suoi discepoli: “Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi”. Giovanni 14:3. I discepoli possono dunque rallegrarsi nella speranza del ritorno del loro Signore! {GN 637.1}

Quando i discepoli tornarono a Gerusalemme, la gente li guardava con stupore. Si riteneva che dopo il processo e la crocifissione di Cristo, sarebbero apparsi abbattuti e vergognosi. I loro nemici si aspettavano di vedere sui loro volti un’espressione di amarezza e sconfitta; invece v’era in loro solo gioia e trionfo. I loro volti risplendevano di una felicità non terrena. Anziché rammaricarsi delle speranze deluse, non facevano che lodare e ringraziare Dio, raccontavano con gioia la storia meravigliosa della risurrezione di Cristo e della sua ascesa al cielo e molti accettarono quella testimonianza. {GN 637.2}

I discepoli non avevano più nessun timore per l’avvenire. Sapevano che Gesù era in cielo e che potevano contare sul suo amore. Sicuri di avere un amico sul trono di Dio, presentavano le loro richieste al Padre nel nome di Gesù. Con rispetto si inginocchiavano in preghiera ripetendo la promessa: “Qualsiasi cosa domanderete al Padre nel nome mio, egli ve la darà. Fino ad ora non avete chiesto nulla nel nome mio; chiedete e riceverete, affinché la vostra gioia sia completa”. Giovanni 16:23, 24. Stesero sempre più in alto la mano della fede, confidando su questa promessa: “Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi”. Romani 8:34. La Pentecoste portò loro la pienezza della gioia con la presenza del Consolatore, proprio come Cristo aveva promesso. {GN 637.3}

Tutto il cielo attende il Salvatore per dargli il benvenuto in cielo. Egli sale per primo, seguito dalla folla dei prigionieri liberati con la sua risurrezione. Le schiere celesti attendono quel lieto corteo con grida, esclamazioni di gioia e canti. {GN 638.1}

Mentre si avvicina alla città di Dio, la scorta degli angeli rivolge questo invito: “O porte, alzate i vostri frontoni; e voi, porte eterne, alzatevi; e il Re di gloria entrerà”. Liete le sentinelle rispondono: “Chi è questo Re di gloria?” Non lo ignorano, ma vogliono ascoltare la risposta traboccante di lode: “È il Signore, forte e potente, il Signore potente in battaglia. O porte, alzate i vostri frontoni; alzatevi, o porte eterne, e il Re di gloria entrerà”. {GN 638.2}

Gli angeli chiedono ancora una volta: “Chi è questo Re di gloria?”, perché non si stancano mai di udire la lode del suo nome. Gli angeli di scorta ripetono: “È il Signore degli eserciti; egli è il Re di gloria”. Salmi 24:7-10. Allora la porta della città di Dio si apre e le schiere angeliche entrano in mezzo a un’esplosione di armonie trionfanti. {GN 638.3}

C’è il trono circondato dall’arco della promessa. Ci sono i cherubini e i serafini. Sono tutti riuniti: i capi delle schiere angeliche, i figli di Dio, i rappresentanti dei mondi non caduti. Il consiglio del cielo, di fronte al quale Satana aveva accusato Dio e suo Figlio, i rappresentanti di quei regni incontaminati sui quali Satana aveva sperato di stabilire il suo dominio, tutti acclamano il Redentore. Sono ansiosi di celebrare il suo trionfo e glorificare il loro Re. {GN 638.4}

Gesù fa cenno di aspettare; non può ancora ricevere la corona della gloria e l’abito regale. Si avvicina al Padre, mostra il capo ferito, il fianco trafitto, i piedi forati, le mani che portano i segni dei chiodi. Presenta anche le prove del suo trionfo, il covone delle primizie, coloro che sono risuscitati con lui e che rappresentano la grande folla che uscirà dalla tomba al suo ritorno. Si accosta al Padre, che si rallegra ed esulta ogni volta che un peccatore si ravvede. Prima della fondazione del mondo, il Padre e il Figlio avevano concepito un piano di salvezza per redimere l’uomo qualora fosse diventato vittima di Satana. Cristo sarebbe stato il Salvatore dell’umanità: Gesù aveva adempiuto il suo impegno. Sulla croce, rivolgendosi al Padre aveva esclamato: “È compiuto!” Il piano della salvezza era stato pienamente realizzato. Gesù ora può dichiarare: “Padre, tutto è compiuto! Io ho fatto la tua volontà, ho completato l’opera della redenzione”. Se la tua giustizia ha ottenuto soddisfazione, “io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati”. Giovanni 17:24. {GN 638.5}

Allora la voce di Dio proclama che la giustizia ha ottenuto soddisfazione. Satana è stato vinto. Coloro che sulla terra si affaticano e lottano sono accettati “nel suo amato Figlio”. Efesini 1:6. Essi vengono dichiarati giusti di fronte agli angeli e ai rappresentanti dei mondi non caduti. Dov’è Cristo, là sarà anche la sua chiesa. “La bontà e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si sono baciate”. Salmi 85:10. {GN 639.1}

Il Padre accoglie il Figlio e viene dato l’ordine: “Tutti gli angeli di Dio lo adorino!” Ebrei 1:6. {GN 639.2}

Con gioia indicibile, signorie, principati e potestà riconoscono la supremazia del Principe della vita. Le schiere angeliche gli si prostrano davanti, mentre nelle corti del cielo risuona il lieto canto: “Degno è l’Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la lode”. Apocalisse 5:12. {GN 639.3}

Canti di trionfo si intrecciano con la musica delle arpe: tutto il cielo freme di esultanza e lode. L’amore ha vinto. Colui che era perduto è stato ritrovato. Il cielo proclama con accenti entusiasti: “A colui che siede sul trono, e all’Agnello, siano la lode, l’onore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli”. Versetto 13. {GN 639.4}

Lo spettacolo della gioia del cielo fa scendere fino a noi sulla terra l’eco delle meravigliose parole di Cristo: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro”. Giovanni 20:17. La famiglia del cielo e quella della terra ne formano ora una sola. Il Signore è asceso per noi e vive per noi. “Perciò egli può anche salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro”. Ebrei 7:25. {GN 639.5}

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Tag der Veröffentlichung: 30.03.2023

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