Cover

Capitolo 1

 

© 2014 L'Uomo Sirena

Luigi Savagnone

 

Nec cunctatione opus, ubi perniciosior sit quies quam temeritas.“Non bisogna indugiare quando è più pericoloso far nulla che non osare.” (Tacito)

 

 

Capitolo 1

Capitolo 1

Prologo


 

Quando ero piccolo, gli anziani del mio paese mi ripetevano in continuazione che tutti, prima o poi, raggiungono il loro status ideale e riescono a vivere felici, o quantomeno sereni, il resto della loro esistenza prima che sopraggiunga la morte. È con questa consapevolezza e certezza, per il fatto che ho sempre considerato saggi e infallibili i vecchi che mi hanno istruito, che io ho vissuto la mia giovinezza, ma … sino ad ora, in quanto io, dal canto mio, non sono riuscito a realizzare e ad ottenere proprio niente.......!!
     Ho venticinque anni, sì venticinque anni e mi sembra che ben più di un quarto di secolo io abbia vissuto. Tutto il mondo che mi circonda mi è venuto a noia. Mi sembra quasi una sanguisuga gigantesca che succhia giorno dopo giorno tutto ciò che c’è di buono in me: la mia gioventù, la mia spensieratezza, il mio amore. Vedo tutto grigio e squallido, tutto meccanico. Ogni passo nella strada mi sembra un rito, un troppo usuale rito. Dove è finito, penso, quell’estro che ci rende dissimili alle bestie; dove è finito quel gusto di conoscenza che ci ha elevati dallo stato di barbari in cui vivevano i nostri antenati nelle caverne. Tutto mi sembra statico, meccanico, telecomandato. Dove è finita quell’amicizia che ci ha permesso di riunirci nelle città? Dove è quell’amore, così sacro duemila anni fa e tanto profano adesso, che pur ci dava un interesse alla sopravvivenza? Le grosse fabbriche si stagliano all’orizzonte ed i neri comignoli vomitano veleni nell’atmosfera. Che ci ha fatto la natura per ripagarla con siffatta moneta? Le coste sono ormai inquinate dai nefasti detriti puzzolenti che produciamo. Che ci ha fatto quel mare così benigno, che ci pulisce ogni estate dai nostri fetidi sudori, per esser ripagato in tal maniera? Spesso mi avvicino alla gente per ascoltare i loro discorsi: tutti logici ed ideali all’apparenza, ma alzando lo sguardo ed incrociandolo con i loro, mi accorgo della perfidia che sprigionano quegli occhi. Poi mi guardo io stesso e penso: perché questa stupida carne ha bisogno di cibi e di liquidi se poi li espelle tutti! Quindi è inutile dare ad essa se poi non ne fa buon frutto! Ma l’istinto di conservazione prevale su qualsiasi logica. Sembriamo tutti degli automi, degli animali privi di ogni fantasia e intelligenza! E le donne poi, a me solo e abbandonato come sono, mi sembrano degli ufo… talmente io sono incapace di trovarne una! E, conseguenza di questo mio stato d’animo, ogni volta che qualcuna mi sorride con gentilezza, sono convinto che in realtà nasconda un mostro pronto a dilaniarmi! Io ho voglia di sesso, di sesso sfrenato! Ma non ho voglia poi di rimanere intrappolato! So che ad Haiti invocano Erzulia, gli antichi egizi e poi anche i Romani invocavano Iside, la dea del sesso!

 

 

Sono andato molto spesso a prostitute, uniche donne disponibili a voler fare l’amore con me, e mi facevo umiliare, sperando in fondo al mio cuore, che in esse si nascondesse una dea, che finalmente mi concedesse le sue grazie, anche se a pagamento, e non osavo chiedere loro altro se non la possibilità di leccare loro i piedi, anche se alcune di esse volevano un supplemento della tariffa per concedermi la possibilità anche solo di odorarli, puzzolenti com'erano …

 

Capitolo 2

Capitolo 3

Preparativi

 


Per questi ed altri motivi che non sto qui ad elencare, ho dato fondo a tutti i miei sudati risparmi ed ho acquistato una vecchia baracca di pescatori situata su un piccolo molo vicino casa mia. L’ho acquistata per duecentomila lire e devo dire che son proprio contento di aver fatto quest’affare. Per la verità, ho pagato solo un po’ di tranquillità, perché la costruzione non ne vale neanche un quarto di quel denaro: è rettangolare, sei metri per due, tutta di legno, marcio perché corroso dalla salsedine, sporco di muffa perché abbandonato a sé stesso da tempo. Io non ho toccato né pulito niente: mi piace quell’odore di antico! Ho solo portato un tavolino, una lampada a gas, una piccola stufa ed una poltrona per le mie meditazioni. Lì poi, ho passato molto del mio tempo studiando un libro che mi ha prestato un pescatore. Volevo imparare a costruire una barca, una piccola barchetta a remi per poter lasciare la terraferma e guardare da un posto vivo quella città morta. E mentre studiavo il come fasciare il legname, le ore passavano in assoluta tranquillità, rotta soltanto dal rumore delle onde che si infrangevano sul piccolo molo, e dal sottile sibilo del gas che teneva viva la fiammella della lampada. Pensavo ad Hemingway ed al suo “Il vecchio e il mare” e mi immedesimavo in quel fantastico personaggio, mi immaginavo vecchio con una barba copiosa ed incolta, ma con l’animo tranquillo mentre gustavo quel dolce sapore di tabacco aspirando dalla mia pipa di radica.
     Ah! Come sarebbe stata importante per me quella barchetta! A che vale accumulare tesori sulla terra quando poi si è sempre agitati. A che vale avere una famiglia, quando poi sono gli stessi figli, il sangue del tuo sangue, i primi a calpestarti. Ho scelto appositamente di studiare quel libro di barche in quel luogo scomodo ed umido, anziché comodamente in casa mia per una ragione molto semplice: quando sono dentro la città, quel disgusto che mi riempie, anche solo nell’ascoltare un rumore di essa, mi impedisce qualsiasi forma di poesia, qualsiasi bontà d’animo, qualsiasi tranquillità interiore, rendendomi nevrotico e quindi incapace di assimilare quegli insegnamenti pur così semplici. Lì invece, in quella baracca così vicina geograficamente, ma così lontana idealmente, mi trasformo, rinasco!
      Quel pescatore che mi aveva prestato il libro era disposto, dietro lauto compenso naturalmente, a fabbricarmi la barca che desideravo. Io ho rifiutato! La barca per me è sacra, è il mezzo che mi permette di vivere nel vero senso della parola, è il mezzo per essere accolto fra le benefiche braccia del mare.
     E fu così che un giorno, un freddo giorno di Novembre, decisi di mettere in pratica quegli insegnamenti che quel libro mi aveva dato. Acquistai del legname, dei chiodi, un martello, un punteruolo, una sega ed una pialla. Cominciai a tagliare lo scafo e la chiglia in modo che fossero privi di spigoli e ben levigati. In fin dei conti sono la base su cui poggia l’intera costruzione; per questo motivo ci misi ben quindici giorni per terminarli. Successivamente fissai la ruota di prora, che è il punto di unione delle due serie di fasciami.
     Mentre facevo quel lavoro, mi ricordavo di aver letto che i vichinghi consideravano quell’asse di legno come una parte essenziale delle loro barche, anche dal punto di vista estetico e lo abbellivano con decorazioni e con vere e proprie sculture. Ho sempre ammirato i vichinghi: un popolo duro e rozzo, ma giusto. Grandi conquistatori, ma sopratutto grandi esploratori, essendo stato ormai provato che essi scoprirono l’America ben prima del nostro Colombo. Le mie mani lavoravano quasi automaticamente, mentre la mia fantasia vagava senza confini né di tempo né di spazio. Dopo la ruota di prora fu la volta dell’operazione più delicata e difficile: il montaggio del fasciame. Ogni striscia di legname necessitò di ben dieci giorni per tagliarla, piallarla, ammorbidirla, affinché potesse essere fissata. Ci misi circa quattro mesi per completare questa operazione, ma già il più era fatto; avevo infatti montato sia il fasciame interno che quello esterno, e avevo fissato pure le ordinate, che sono il vero e proprio scheletro della barca. Lavoravo con passione, e mi rivedevo piccolo, quando giocavo con le scatole di montaggio che mi regalava mia madre; quanto tempo è passato, quante speranze sono svanite, quanti vizi e capricci sono scomparsi! Ormai sono un uomo, e vecchio per giunta per l’età che ho!
     Dopo il fasciame, mi restava solamente il fissaggio dello specchio di poppa, che è la parte dell’imbarcazione su cui poggia il timone; il timone stesso, la serretta, che è un’asta di legno che circonda tutta la barca, che viene fissata all’interno di essa perpendicolarmente alle ordinate; poi le panche, gli scalmi, che servono per far girare i remi, i remi stessi ed infine le mensolette per tenere fisse le panche. Una bella verniciata era il tocco finale e poi la mia barca era pronta. Ero frenetico, non vedevo l’ora di prendere il mare e per questo motivo lavoravo con gran vena, stando attento ai minimi particolari e facendo collimare alla perfezione le diverse parti, che dovevano essere fissate l’una accanto all’altra per evitare anche la più piccola fessura, che avrebbe potuto successivamente darmi dei guai. Ci misi un altro mese per completare la costruzione. La dipinsi tutta d’azzurro ed ero fiero di me!
     Quel varo mi sembrava un momento storico per la mia vita, rappresentava quel momento in cui riuscivo a separarmi da quella triste e squallida vita sociale.
     Adesso è il 15 di Maggio e ormai sono pronto: le onde sono invitanti e mi sembra che sussurrino: “Vieni, vieni presto, grandi cose ti attendono”. Ma io non voglio prendere il mare adesso che sta arrivando l’estate, troppo traffico di motoscafi, troppa gente felice e ricca che mi guarderebbe dall’alto in basso, a me, povero disperato! Lascio quindi passare l’estate, passando le mie noiose giornate immergendomi nella lettura di romanzi che parlano di pirati, di galeoni, di isole tropicali bellissime e selvagge. Ogni tanto dò uno sguardo alla mia barchetta per sollevarmi il morale e la sera mi addormento tranquillo e sereno. Quest’anno purtroppo anche il mese di ottobre è stato caldo e soleggiato, e quindi il mare è ancora troppo frequentato.
     Ma adesso basta, è ora di salpare, è ora di scappare!
    E' ormai l’inizio di Novembre e qua e là si notano soltanto alcune piccole barche di pescatori. Io faccio leva sulle braccia per allontanarmi il più possibile, per distanziare la costa, per rimanere solo con il mare. La rabbia accumulata e l'ansia di "respirare" mi centuplicano le forze. Il mare è calmo ed il vento che soffia favorevole alla direzione del mio lento incedere mi dona un piccolo aiuto.

 

 

 

Capitolo 3

Capitolo 3

Un altro mondo

 

 

 

È bello osservare la schiuma che si forma intorno alla chiglia e la scia che mi lascio dietro; è bello non avere una meta e un orizzonte da raggiungere: è libertà anche questa! Quando i miei muscoli si saranno stancati, allora mi fermerò e quel posto mi sembrerà un paradiso. Passa mezz'ora e sono già lontano di circa due miglia da terra. Mi fermo, mi sdraio sulla mia barchetta, levo gli occhi al cielo e mi faccio pigramente cullare dalle onde. Penso a quei giorni così gretti e meschini in cui ho lavorato in banca, mi compiaccio della mia scelta e penso con disgusto al momento in cui dovrò ritornare a terra, ai commenti beffardi degli amici per la mia decisione di lasciare quel posto di lavoro, e al mio sempre più difficile inserimento nella società. Ma alla fin fine, io a che servo? Soltanto a farmi schernire dagli altri? Soltanto a soffrire? Perché sono nato? Con quale scopo? Forse quello di essere una persona completamente inutile? Troverò forse il coraggio di farla finita per sempre gettandomi in mare? Oppure, codardo come sono, cercherò di tornare a riva prima di morire d’inedia?
     Ma ad un tratto, vengo distratto da questi miei pensieri lugubri da uno strano sibilo; che sarà mai, penso, cosa può essere!? Il sibilo intanto si fa sempre più forte e ormai le mie orecchie lo sopportano a fatica; mi sembra di impazzire; mi gira la testa, non ricordo più niente, non ricordo né dove sono né chi sono. Il sibilo aumenta ancora di intensità, ma per fortuna diventa intermittente, gli intervalli di tempo fra un impulso e l'altro si fanno sempre più radi, finché cessa qualsiasi rumore; non si ode più neanche quello delle acque; È arrivata la quiete più assoluta. Sono frastornato, ho paura ad aprire gli occhi e perciò li tengo chiusi. Ma ad un tratto, dal nulla mi giunge alle orecchie una voce nitida che mi dice: “Sei stato prescelto per vivere una vita diversa, insieme a noi, come noi, nel nostro mondo fatto di felicità e amore. Vieni dunque e non temere! Giorni lieti ti attendono”. Ma io chi sono, penso, che ci faccio qui, dove sono, chi ha parlato, ancora intontito e mezzo tramortito da quel sibilo infernale. Mi si offre un mondo di felicità, ma cosa troverò, può anche essere un inganno. Arrovellato da tanti pensieri, ma ripresa conoscenza, resto indeciso sul da farsi.
     Ad accettare ho paura, ma se non accetto dovrò continuare a vivere quella vita così schifosa e meschina che ho vissuto fino adesso. Che cosa offre la mia società, la mia città; cosa mi offrono gli amici; essi, non mi potranno mai dire ti voglio fare felice, non potranno mai avere i mezzi per rendermi tale. E poi, come si può essere felici sulla terra. Devo accettare, sia quel che sia; e preso di coraggio apro gli occhi ed intravedo una porta. Riascolto la voce che mi dice suadente: "Bravo, hai scelto la strada migliore, attraversa questa porta e non temere." Possibilmente quello era un canto di una sirena, ammesso che esse esistano, ma perché temere le sirene quando già sono stato scannato dai "lupi"? Come poteva essere un inganno se la porta esisteva ed era ben visibile? Rompendo queste ultime esitazioni mi avvio con passo sicuro, ed emozionato apro la porta.

     Uno spettacolo meraviglioso si presenta ai miei occhi: due colonne d'acqua si erano scisse per formare un lungo corridoio, ed il pavimento formato da miriadi di alghe e sabbia ben amalgamati fra loro, scendeva diagonalmente sino a profondità che l'occhio umano non arriva a percepire. Ciò che fermava le acque, trasformandole in colonne rotanti, era una specie di campo magnetico invisibile, ma di sicura efficacia. Esterrefatto ed incuriosito mi inoltro in quel passaggio. I miei primi passi sono lenti ed appoggio i piedi felpatamente per assicurarmi che quell'ammasso di alghe e sabbia tenga il mio peso; accortomi che quel pavimento poteva reggere anche un carro armato, continuo più spedito e sicuro il mio viaggio. È un pezzo ormai che cammino ed ancora non vedo la mia meta, chissà a che profondità sarà. Ma improvvisamente, si materializza dinanzi a me una immensa porta di cristallo liscio e trasparente tanto da sembrare acqua stessa. Rallento il mio passo e mi fermo a pochi metri di distanza; il cristallo si divide in due parti e l'interno di una vera e propria reggia si presenta ai miei occhi. E' un salone immenso, con pareti di vetro da cui si può ammirare il mondo sottomarino; il tetto è ornato da sculture raffiguranti sirene e mostri acquatici; il pavimento è attraversato da un maestoso tappeto rosso. Lo percorro e mi fermo a metà strada circa, mi guardo attorno e non vedo nessuno; mi soffermo allora a guardare attraverso le pareti le profondità marine e i pesci di ogni forma e dimensione che ivi trovano alloggio. Guardo in alto e quelle sculture mi danno un certo fremito, mi incutono un non so che di timore misto a riverenza. Mi distendo sul tappeto per studiare con più attenzione quei capolavori: sono rappresentate le sirene che con i loro canti tanti marinai catturarono; c'è Nettuno con il suo tridente; poi un delfino, uno squalo, una balena, un cavalluccio marino e tanti altri simpatici amici del mare. In quello stanzone il silenzio è assoluto, la temperatura è fresca, l'aria buona. Quante sensazioni provo in questi momenti: tra le più svariate, tra le più strane; provo anche un po' di paura se devo essere sincero. La curiosità è fortissima e non provo alcuna nostalgia di casa. Osservando poi il mio corpo, mi accorgo che sono completamente nudo; ma in questa situazione, l'ultima sensazione che si può provare è la vergogna. Mi fanno ridere i naturisti che si spogliano unicamente per anticonformismo. Ma è anticonformismo o vanagloria? Vogliono combattere i tabù o la loro timidezza? Che ipocriti, penso. Ma d'altronde, non volevo forse anch'io fare come loro un tempo? E sì, bisogna dire che il gusto di giudicare è radicato purtroppo anche in me. Ma bando ai concetti filosofici, o più semplicemente ai ricordi, è ora di vedere quel che succederà; sono ansioso di scoprire fino a che punto mi si potrà dare quel mondo di felicità promessomi! Ma ecco, che quasi in risposta a questi miei ultimi dubbi, nel tetto si apre una statua di sirena e ne esce una donna bellissima dalla chioma castana cinta da una ghirlanda di variopinte alghe. Ha indosso un abito di seta azzurro che dà splendido risalto alle sue veneree forme. Scende lentamente come se dei razzi frenanti la accompagnassero delicatamente a terra. Che spettacolo! Ma per fortuna non siamo a teatro, non è una messa in scena, è realtà, meravigliosa realtà.

 

 

Poggiati i suoi piedini nudi al suolo, mi guarda negli occhi. I suoi sono azzurri, lucenti, ed emanano un non so che di calore che mi inebria. Mi avvicino un poco e mi chino in segno di omaggio. Essa mi si fa incontro e appoggiatami una mano sulla spalla mi dice con voce suadente: "Eccoti qui finalmente, era da tanto che ti aspettavo. Come già ti ho anticipato, tu sei stato prescelto per vivere in questo mondo fatto di felicità e amore, ma soprattutto di semplicità. Non essere sorpreso! Noi quando siamo in acqua, siamo dalla cintola in giù come pesci, ma fuori dall’acqua la nostra coda, o pinna come vuoi chiamarla, si trasforma immediatamente in gambe e bacino come qualsiasi altra donna terrestre! Ma a contatto dell’acqua ci trasformiamo immediatamente in sirene, grazie ad un organo anfibio sensibilissimo situato nella nostra vulva. Nei nostri uomini invece, e presto anche tu ne sarai fornito, è collocato nel cosiddetto punto G, tra l’uretra e la prostata.Io ed i miei sudditi viviamo liberi nel mare, non lavoriamo, ma giochiamo e non abbiamo problemi: la nostra amica acqua ci fornisce il cibo per nutrirsi e l'aria per respirare; sappiamo comunicare con i pesci e non abbiamo nemici; viviamo in eterno e non conosciamo la parola noia. Ebbene, tutto ciò sarà anche tuo, te lo sei meritato."
     Ogni parola la scandiva con tono delicato e caldo, ogni promessa era formulata con sapienza e calma, cosicché a me sembrava già di essere uno di loro e di vivere come loro. "Vedi"-continua-"il nostro corpo anche se simile a quello dei terrestri è modificato a livello cellulare; il nostro sistema vascolare produce costantemente, quando siamo in acqua, una specie di aura invisibile che ci protegge dalla enorme pressione a cui siamo soggetti, e che altrimenti ci schiaccerebbe all’istante a queste profondità marine; sappi che senza quest’aura, il nostro corpo dovrebbe sopportare l’equivalente di miliardi di chilogrammi! Ed in più siamo stati forniti da madre natura di un organo supplementare in pieno petto, sotto il costato, tra i polmoni ed il cuore, che ci permette contemporaneamente di respirare l'acqua e di ricavare da essa tutta l'energia che ci occorre. Ci nutriamo di plancton e le nostre corde vocali hanno la particolarità di emettere un sibilo ultrasonico con cui possiamo comandare e parlare a tutte le razze di animali marini; riusciamo inoltre a recepire i messaggi di questi ultimi, grazie alla nostra particolare capacità di selezione delle onde telepatiche che ogni goccia del mare ci trasmette ad incredibile velocità. Il tuo ambientamento qui, caro amico terrestre, sarà veloce e senza problemi. Ti trasmetterò la facoltà di parlare ed ascoltare i pesci per mezzo di un preparato a base di fosforo concentrato e di un tipo particolare di plancton che siamo riusciti a selezionare. Con dei raggi laser ti preparerò il costato ed a poco a poco ti introdurrò per via cutanea delle piccole parti di cellula viva che da sola si salderà in un tutt'uno, permettendoti di respirare nell'aria come nell'acqua e trasformerà lentamente ogni atomo del tuo corpo rendendolo simile ad una spugna e che in più farà produrre dal tuo sistema vascolare l’aura che ti proteggerà dall’enorme pressione dell’acqua.” Mentre parlava e mi illustrava queste cose utopiche per ogni essere umano, io non potevo fare a meno di ammirare la sua fulgida bellezza che la rendeva simile ad una dea; non potevo fare a meno di amarla per quel bene che mi voleva dare; non potevo soprattutto fare a meno di stupirmi della sua alta e progredita tecnologia. "Nell'uomo"-continua passandosi una mano sulla fluente chioma-"In ogni atomo, vi è un nucleo, formato a sua volta da protoni, particelle con carica positiva, e neutroni, particelle prive di carica; questi due tipi di particelle, per attrazione nucleare, coesistono all'interno del nucleo stesso; vi sono poi gli elettroni, particelle con carica negativa che ruotano intorno al nucleo. Ora, se questo tipo di atomo venisse bombardato da energia, non sarebbe in grado di scindere quest'ultima in una carica positiva per i protoni, e negativa per gli elettroni; ed anche ammesso che questa scissione si verificasse, giunto al suo livello massimo di sopportazione, questo tipo di atomo non avrebbe la facoltà di sdoppiarsi ricreandone uno nuovo. La nostra particolarità cellulare è proprio questa: grazie al nostro organo pettorale, ogni atomo è modificato, ed è in grado di scindere l'energia che ad esso viene fatta affluire, in cariche positive e negative, ed è inoltre in grado di riprodursi formando in men che non si dica nuove cellule viventi. Ciò ci è di vitale aiuto, allorché veniamo a contatto con squali e pesci carnivori i quali, prima di sottomettersi, spesso si difendono azzannandoci. Il periodo in cui rimaniamo per esempio senza un braccio o una gamba dura poco, pochissimo, perché automaticamente una enorme quantità di energia viene sottratta al mare dal nostro organo e quindi redistribuita a quelle cellule più vicine alla parte asportataci; esse si riproducono, ed in men che non si dica, abbiamo un nuovo braccio o una nuova gamba." Sempre più esterrefatto ascoltavo quella donna tanto colta e saggia, che al suo confronto il nostro Einstein mi pareva proprio un dilettante. "Anche l'invecchiamento"-aggiunge-"in noi è praticamente inesistente per il fenomeno fisico che ti ho appena illustrato. Spesso voi uomini vi lamentate che avete un solo giorno di felicità ogni cinque anni e siete giustamente depressi per questo. Qui ogni giorno è felice e nel nostro tempo un giorno corrisponde appunto a cinque vostri lunghi, noiosi e terribili anni. Semplicemente perché questa interazione e interconnessione di energia, tra quella del mare e quella del nostro corpo, provoca degli scompensi o per meglio dire delle pulsazioni gravitazionali che interagiscono sullo spazio tempo. Ciò ci provocherebbe inevitabilmente la completa cecità, ma grazie al nostro terzo occhio, invisibile ma perfettamente funzionale nella fusione e concretizzazione ai nostri occhi dello spazio tempo alterato, godiamo di una vista perfetta, e non solo. Questo nostro terzo occhio è in realtà la nostra ipersensibile epifisi o ghiandola pineale, la stessa che avete voi esseri umani; ma la nostra, particolarmente funzionale, aumenta nel nostro organismo la produzione di oppiacei endogeni, l’equivalente della vostra melatonina, che ci consente di provare pulsioni simili a orgasmi continuati: è come se i nostri corpi fossero sia un maschio che una femmina che copulano costantemente. Dopo un giorno che sarai qua, sarà trascorso un lustro nella tua città. Ma adesso che ti ho spiegato un po' come siamo fatti, seguimi, ti farò bere quella pozione che ti ho detto e ti opererò immediatamente." Detto fatto, mi prende per mano e senza più dire una parola, mi guida verso una porticina sita sul retro dello stanzone. Le mie dita godono palpando quella carne così fresca e delicata, e la mia mente ripensa a tutto ciò che mi ha spiegato: agli atomi, alle cellule, agli ultrasuoni, alla facoltà di respirare nell'acqua. Cose meravigliose che ogni uomo non sogna neanche lontanamente di poter realizzare; penso a quella donna ed all'amore che da essa promana; alla natura così benigna verso chi le è amico. Giunti alla porticina, la regina dopo averla aperta, mi introduce in una stanzetta dove, una fiala colma di uno strano liquido ed un sottile apparecchio tubolare fanno da unici arredamenti. "Ecco"-mi dice la donna-"questa è la pozione che dovrai bere, e quest'altro l'apparecchio a raggi laser concentrati; bevi dunque e non temere." Per la verità la vista di quel liquido verde mi dà un po' di ribrezzo, anche perché è molto denso e gelatinoso; comunque per la mia felicità questo piccolo sacrificio è ben poco; presa dunque in mano la fiala, la porto alla bocca e lentamente ingurgito la pozione. E' salata ed appiccicosa e l'essenza d'erba è mista a quella di pesce. Mentre bevo, guardo la mia guida che mi sostiene, mi incoraggia, mi sorride bonariamente al fine di rendere queste operazioni una mera formalità. Finito di bere, istantaneamente mi sento la testa girare, gli occhi si fanno pesanti e le orecchie cominciano a ronzare. Mi stendo per terra e respiro profondamente così da compensare con ossigeno questa sopravvenuta carenza circolatoria. Lentamente mi sento pervadere la mente da un calore insopportabile che scende piano piano per tutto il viso sino ad arrestarsi in gola. Tento di parlare ma non ci riesco; mi cingo il collo con una mano e mi sembra di avere un cappio; con un movimento labiale chiedo aiuto, ma un sorriso è la disarmante risposta. Mi giro sul dorso; scuoto la testa e finalmente quell'arsura accenna a diminuire; faccio i primi tentativi di parola e sento la mia voce completamente cambiata; essa ora è calda, tranquilla, quasi da oltretomba, e lo stesso formulare un qualsiasi vocabolo mi dà una sensazione di godimento in tutto il corpo; provo infine a parlare su tonalità alte, ma qualsiasi parola tento di pronunziare esce come un sibilo dalla mia bocca, come un sibilo ad altissima frequenza: ci sono riuscito; adesso anch'io sono capace di emettere ultrasuoni e parlare ai pesci. Che esperienza allucinante, che soddisfazione, che sensazione di grandezza mi dà questa trasformazione da misero essere umano ad essere acquatico.
     Dopo un poco di riposo in cui la bella regina mi ha esposto il modo con cui sono confezionati i suoi abiti (a quanto pare la civetteria è comune anche a quegli esseri), mi sdraio per terra sotto quell'apparecchio tubolare. La donna mi chiede se sono pronto ed io faccio segno affermativo col capo; mi punta quindi sullo sterno il laser ed inizia a bombardarmi con quei raggi che, presto, mi permetteranno l'adattamento definitivo a questo fantastico mondo. La sensazione che provo sulle prime è molto brutta: mi pare di essere trafitto da una spada, la quale mi si contorce e si ferma in pieno petto; il punto direttamente offeso dal laser me lo sento bruciare, ma resisto ed evito di muovermi facendo appello a tutta la mia forza di volontà. A poco a poco a poco questo senso di bruciore lascia il posto ad una nuova sensazione: quella di vuoto, di leggerezza, di perdita di gravità. E' come quando, da bambino, mia madre mi teneva una mano sul petto per non farmi annegare allorché facevo il bagno. Intanto la regina, che aveva terminato l'operazione, mi applicava sulla parte lesa una specie di crema color rossastro, molto densa e puzzolente. "Questa è cellula viva"-mi dice notando la mia espressione un po' disgustata. "Sì lo so"-rispondo io-"ma sai, noi umani tra gli altri vizi, abbiamo anche quello dello stomaco delicato." La bellissima regina a quelle parole, sbotta in una risata, mentre continua imperterrita a massaggiarmi il petto. La crema comincia a fare effetto e a poco a poco quel senso di vuoto viene riempito da qualcosa che non riesco a definire; è quasi una sensazione simile a quando una bolla gastrica si forma in pieno petto evitando la digestione; la differenza però, sta nel fatto che non ho difficoltà respiratorie e che anzi riesco a respirare più profondamente di quanto non avessi mai fatto. Lentamente ogni fibra del mio corpo acquista una inusitata energia e lo stare fermo mi procura un po' di ansia. Lo dico alla donna la quale, ammiccante, risponde: "Vedi, adesso le tue cellule sono vive; un vostro campione dello sport al tuo confronto è un vecchio paralitico." Già, lo sport! Quante volte avevo iniziato a farne uno e quante volte avevo dovuto smettere per la mia massiccia costituzione fisica; quanto avevo invidiato quegli uomini che riuscivano a correre per ore ed ore, e quanti si pavoneggiavano in spiaggia per il loro fisico asciutto ed atletico. Quanto mi sentivo inferiore a loro; ed ora, grazie a questo miracolo, potevo non soltanto competere, ma vincere con chiunque. Che sogno! Ma un momento, penso, se come ha detto la regina la mia vita diverrà eterna, come farò a non provare noia, sfogando la mia energia solo ed esclusivamente nuotando ed esplorando i fondali marini? E preso da questo dubbio, vergognandomi un po' per la mia ingratitudine ed ingordigia, sussurro alla donna: "Ma come fate voi a non annoiarvi? Anche se il vostro mondo è meraviglioso, con il passar del tempo, non diventa esso monotono?" - "Capisco ciò che vuoi dire"-risponde lei-"voi uomini siete incontentabili, ma qui, ogni vostro desiderio ed ogni vostra esigenza è realizzabile, e prima ancora che tu mi chiedessi questo, io ci avevo già pensato. Sono convinta che ti farà piacere sapere che da questo momento tu avrai tre donne: la prima sono io, e le altre due mie compagne te le presenterò presto. Che ne dici?" Ma allora, anche quel popolo conosceva l'amore, penso, anche quel popolo conosceva la gioia del bacio e del rapporto carnale, e proprio io avrò niente meno l'onore di avere come compagna la regina e non solo, ma potrò avere anche altre due compagne; io, che nessuna donna sono mai riuscito a conquistare; io, sempre solo e scansato da tutti. Il pensiero di tanti doni mi rende euforico ed un godimento totale ed intenso mi pervade. Lascio ogni risposta ai fatti ed avvicinatomi alla donna, la abbraccio e delicatamente, chiudendo gli occhi, poggio le mie labbra sulle sue, muovo la lingua per palparle i denti e per unirla alla sua; stringo le braccia intorno a quel corpo sinuoso ed un brivido di piacere mi attraversa la schiena. Quel bacio mi sembra un sogno, quella donna mi sembra un sogno. Che odore inebriante ha la sua pelle, che splendido sapore hanno le sue labbra; come è caldo il suo palato. Preso da impeto irrefrenabile, premo le mie labbra sulle sue e la stretta delle mie mani si fa vigorosa intorno a quell'agile corpicino. È mia e nessuno me la potrà levare; ogni parte del suo corpo mi appartiene. 

 

 

"Vieni"-mi dice-"fai provare alle altre ciò che hai fatto provare a me. E tenendomi un braccio intorno al collo, mi accompagna in una stanza attigua dove due bellissime fanciulle si tengono per mano e mi guardano sprizzando gioia dai loro occhi. Una è bionda, alta circa un metro e settanta centimetri, occhi verdi e grandi; l'altra ha i capelli vermigli, un corpo più sinuoso ed un'espressione più intensa. "Delle due"-mi dice la regina-"la fanciulla dai capelli biondi soddisferà il tuo spirito, mentre quella con i capelli rossi la tua carne, ed io, sia l'uno che l'altra. Noi tre saremo a tua disposizione e sarà un onore per noi l'averti vicino senza alcuna gelosia l'una per l'altra; non concepiamo infatti tale emozione." Estasiato da tanta bellezza, mi avvicino alla ragazza bionda, fisso quegli occhioni verdi, avvicino il mio viso al suo e godo nello sfiorarle le labbra, nel portare i suoi capelli sul mio viso, nell'annusare l'odore salmastro e fresco della sua pelle; la prendo per mano staccandola dalla sua compagna e le mormoro: "Sono contento di averti trovata, la tua delicatezza sarà un piacere raffinato per me, e l'amore che mi saprai dare mi renderà felice." Ero sincero e ne ero sicuro. Spesso avevo sentito parlare dell'amore platonico, pur tanto sconosciuto sulla terra, ed ogni volta avevo sempre desiderato provarlo, quasi per isolare il puro sentimento dell'amore dal rapporto carnale. Un altro mio sogno sino ad ieri irrealizzabile diviene realtà. Ed è appunto con gli occhi lucidi di gioia e commozione che mi avvicino alla terza donna, la quale mi si accosta, mi terge le lacrime e con voce provocante esclama: "Era da tanto tempo che desideravo conoscere un uomo come te, forte e vigoroso. Ti insegnerò ogni tecnica amatoria, ogni raffinatezza erotica che possa darmi e darti un completo orgasmo dei sensi. "Bene"-rispondo un po' indurito-"saprò essere all'altezza della situazione ed ogni nostro atto ci sporcherà talmente che solamente la purezza del mare potrà poi mondare. Mentre dicevo quelle parole una forte eccitazione cominciava a prendere il sopravvento sul sentimentalismo pur così forte pochi minuti fa. Eh già! Troppa ipocrisia fra la mia gente perché una coppia possa veramente liberarsi e sfogare tutti gli istinti più depravati al momento dell'atto sessuale; istinti che ognuno di noi ha radicati nel suo inconscio. Abbraccio quindi la donna e la bacio con voluttà, mentre la mia mano scivola sul suo petto.
     Ci interrompe la regina che nel frattempo ci aveva guardarti compiaciuta; essa mi porge la mano dicendo: "Adesso devi provare a nuotare e respirare nell'acqua; devi divenire definitivamente uno di noi". E portatomi in una piccola cameretta stagna, apre con un comando a muro una porta di ferro comunicante col mare aperto. Subito l'acqua irrompe con violenza e riempie la stanza trascinandoci fuori. Provo a respirare, tossisco un po', ma infine ci riesco: respiro! Sono diventato un abitante del mare.
     Ho voglia di nuotare in lungo ed in largo per miglia e miglia senza fermarmi mai. Il vigore che mi trasmette quell'organo pettorale è enorme ed il desiderio di sfogarlo è irrefrenabile. Nuoto a delfino muovendo insieme le gambe, diventate al contatto dell'acqua una enorme pinna grazie al mio nuovo organo situato nel mio punto G, e le braccia. La mia velocità è incredibile e non soffro minimamente della enorme pressione idrostatica presente a quella profondità ed anzi trafiggo come un cuneo quella massa d'acqua; e dire che sino a poco tempo fa avevo paura ad immergermi, perché già a due metri di profondità accusavo disturbi alle orecchie. Tutto intorno una leggera penombra rende un po' difficoltoso l'orientamento e non riesco a capire come quegli esseri possano orientarsi; limito la mia velocità per non incappare in qualche roccia appuntita, ma mi si fa incontro la regina e telepaticamente mi comunica che il sibilo che possono emettere le mie corde vocali funge anche da sonar e che con l'allenamento sarei riuscito a modularlo secondo ogni mia esigenza. Provo quindi ad emetterlo, concentrandomi affinché avesse la funzione di sonar. E come i lugubri pipistrelli che volano sicuri nei bui più assoluti, nuoto sicuro fra quegli abissi. Qualsiasi essere umano a quel ritmo, sarebbe caduto a pezzi dopo pochi minuti; io, non solo non soffrivo la fatica, ma anzi più nuotavo e più energia incameravo; i dolori muscolari ed i crampi, grazie a quel continuo rinnovamento cellulare, erano praticamente inesistenti. Oltre a tutte queste meraviglie, un'altra cosa mi aveva colpito del mio nuovo fisico: il fatto che i pensieri, le riflessioni, le congetture, cominciavano a sparire dalla mia mente per dar posto alla semplicità ed al coraggio. La natura pensa per me, riflette e stabilisce ciò che è giusto e ciò che non lo è. Ed il lasciarsi trasportare da questo vento impalpabile ed incommensurabile, senza opporre la minima resistenza, incute un enorme senso di leggerezza e di amore.
     Parecchie miglia mi separano ormai dalla splendida costruzione da cui ero partito, quando il mio sonar avverte qualcosa di anormale in fondo al mare. Un impulso più intenso ed irregolare mi colpisce; è una specie di piccola spina nel cervello, che gli ultrasuoni formano, allorché rimbalzando sull'ostacolo, ritornano amplificati dall'acqua stessa. Rallento la mia corsa e mi dirigo lentamente verso il fondo. Sono ormai a qualche decina di metri da esso, quando scorgo un vecchio galeone spagnolo semi sommerso dalle alghe ed incastrato fra due enormi rocce. Mi avvicino a poppa, mi armo di un fusto arboreo e scrosto dai crostacei la targhetta recante il nome della nave.
     E' la "Nuestra senhora de Pilar". Salgo a bordo e cerco un passaggio per arrivare alla cabina di comando. Il legno è lavorato in stile barocco, così come si usava in Spagna nel 1700. E pensare che mentre sulla terra sono trascorsi 300 anni, qui, a questa profondità, sono passati soltanto 60 giorni da quando il galeone vi ha trovato dimora. È incredibile questa sfasatura di tempo! Formazioni di crostacei bloccano la porta d'ingresso alle cabine. Trovo per fortuna del metallo, proveniente possibilmente da un cannone, e lo uso come leva. Dopo non pochi sforzi, riesco a forzare la porta e mi introduco in una grande cabina, dove, attraverso una scaletta, si scende agli alloggi del capitano.
     Non fidandomi troppo della resistenza dei pioli, faccio forza sulle braccia puntandole contro la parete; appoggio delicatamente i piedi e percorrendo uno scalino dietro l'altro, arrivo in una grande sala dove resti di lampade e sculture davano una eloquente testimonianza della lussuosa bellezza e raffinatezza che dovevano un tempo contraddistinguere quell'imbarcazione. Mi muovo lentamente stando attento a non sfondare il legno marcio del pavimento; mi avvicino ad un grande tavolo rettangolare che soltanto due gambe reggono a malapena ed apro i cassetti alla ricerca di qualche documento. Trovato il diario di bordo, mi affretto a leggerlo per saperne di più. Era un galeone in servizio dal Messico alla Spagna ed era stato colto da una tempesta in pieno oceano. Ma allora mi trovo nell'Atlantico! Ho nuotato così tanto da uscire dal Mediterraneo! Fantastico! Fantastico soprattutto perché un sesto senso mi rende sicuro della strada da percorrere per il ritorno, quasi come se un fluido misterioso mi unisse idealmente a quella costruzione: un invisibile filo di Arianna! Tranquillizzatomi quindi, proseguo a leggere il diario. La Nuestra señora de Pilar aveva il compito di trasportare in Spagna un carico d'oro razziato agli aztechi, dopo che, si narra, essi furono decimati dalle truppe del comandante Sanchez. Un tesoro! Dove sarà, esclamo non riuscendo a trattenere la mia eccitazione; sarà forse nella stiva!? Cerco quindi il modo per raggiungerla ed arrivo sino in coperta dove di solito c'è sempre una scaletta che porta alle stive. Essa è poco lontana da prua; muschio ed alghe rendono problematico il passaggio ed il farmi largo in quella folta vegetazione non è davvero impresa da poco. Dopo numerosi tentativi, riesco finalmente a crearmi un varco e stando sempre attento a non forzare troppo i pioli della scala, mi calo nella stiva dove una nauseabonda puzza di muffa regna sovrana. Scorgo in un angolo il forziere e con l'asta di metallo che avevo portato con me, riesco a profanare quel tesoro che tante vite umane era costato. Sono tutti lingotti d'oro massiccio con l'effigie del dio sole, la divinità azteca. Se un qualsiasi terrestre avesse trovato tutto quell'oro, avrebbe potuto vivere di rendita per tutta la sua vita dandosi ai bagordi più sfrenati. Sinceramente a me l'idea di ritornare a vivere come uno di loro, pur se con quella enorme ricchezza, non mi allettava completamente; ed infatti, il mio primo desiderio è quello di trovare un modo di trasportare il forziere e farlo vedere alla regina, così che lei possa decidere sul giusto modo di utilizzarlo.
     Risalgo quindi in coperta, e cerco una rete che sia abbastanza robusta da sopportare il peso del forziere. Niente, ci sono soltanto corde, ma niente rete; mi armo di pazienza e, ridisceso nella stiva, annodo quelle corde intorno al forziere assicurandomi di stringere bene i nodi. Con un'ascia attaccata alla parete piena di muffa e crostacei, apro un varco in maniera tale da potervi passare sia io che il forziere; mi lego quindi i terminali delle corde intorno alla vita e mi avvio oberato da quel peso sulla via del ritorno. Il mio organo pettorale mi trasmette una enorme quantità di energia e riesco così a muovermi abbastanza speditamente.
     Nuoto ormai instancabilmente da cinque giorni. Ho fatto soltanto delle brevi soste per controllare i nodi ed il bilanciamento del forziere. Avverto finalmente che sono vicino alla meta; affretto il ritmo cercando di non farmi distrarre da quelle bellezze naturali che incontro; attraverso un grande banco corallino dove trovano dimora piccoli pesciolini variopinti, che spaventati al mio passaggio, si intrufolano veloci nelle loro minuscole tane. Vedo in lontananza la costruzione. Ci sono riuscito! Faccio le ultime bracciate e sono già a ridosso dell'ingresso alla cameretta stagna. Vi entro, appoggio per terra il forziere, chiudo la porta; aspetto che l'acqua defluisca attraverso un apposito foro sito nel pavimento, ed attraversando porte e stanze mi accingo a raggiungere la reggia. Mi accorgo di quanto pesa realmente il forziere e farlo passare in modo che non tocchi le ante delle porte è davvero difficile e faticoso. Sono ormai dentro la reggia, e trascinato il tesoro in mezzo alla sala, lo slego dalle corde, lo apro in maniera che l'oro sia in meraviglioso risalto. La reggia è vuota, ma mi concentro e chiamo telepaticamente la regina. Essa arriva dalla solita apertura che scinde in due parti la statuetta di sirena sita sul soffitto. Guarda il tesoro stranamente rattristata e non apre bocca. "Questo è un mio regalo per voi"-le dico facendomi bello-"che ne dici?" - "Mi accorgo purtroppo"-mi risponde accigliata-"che non hai dimenticato di essere stato un essere umano; per voi dare ricchezza è dare felicità; per noi invece, la ricchezza è inutile e insignificante, ma se proprio vuoi regalarci questo tesoro, fallo. Noi lo utilizzeremo per dare un po' di effimera ed illusoria felicità a quanti del tuo mondo darebbero l'anima per un po' di soldi. Divideremo questi lingotti e li depositeremo sulle spiagge, in maniera che, in ognuna di esse, vi sia un po' di quest'oro. Provvederà poi madre natura a farlo trovare a chi essa vuole. Ma adesso vieni tra le mie braccia e baciami; ho voglia di darti il mio corpo, giusto premio per tanta fatica." Accetto di buon grado ed abbracciatala, la stendo per terra e comincio a baciarla dappertutto. Terminato l'atto, che mi ha deliziosamente e totalmente appagato, decido di riprendere la via del mare verso nuove avventure.
     Mi trovo in acqua da ore. Ormai il nuotare è diventato per me una necessità. Il muovere gambe e braccia simultaneamente mi porta a flessioni del tronco tanto più brusche, quanto maggiore è la velocità che imprimo ai miei arti. La mancanza di fatica fa sì che quel movimento ondulatorio mi dia una sensazione simile a quando, nel grande luna park della mia città, salivo sulle montagne russe, desideroso di provare quel senso di vuoto nelle discese, subito compensato dalle repentine salite. Guardo il mondo che mi circonda: nel fondo, spugne e banchi corallini ornano quel prato mai arido; sopra di me nuotano piccoli pesci di color azzurro metallico sul dorso, argenteo ed iridescente sui fianchi e bianco sul ventre. Essi hanno la testa molto compressa e gli occhi molto grandi; intorno a me, ci sono solo rocce, sulla cui superficie trovano terreno fertile una sorta di fiori sbocciati che, strano a dirsi, appartengono alla fauna anziché, come sarebbe logico a prima vista, alla flora.
     Sono le attinie, che hanno la forma di piccoli cilindretti slargati alla base ed aperti in decine di tentacoli nella parte terminale. Voglio provare a toccare questi animaletti così tanto scansati dall'uomo per il loro liquido urticante; sono curioso di sapere quale sarà la mia reazione epidermica a tale contatto. Sfioro appena questo finto fiore, e subito un gran bruciore mi fa ritirare la mano; la agito un po' e riesco, grazie alle mie acquisite facoltà, ad annullare l'effetto dei pericolosi tentacoli. Continuo quindi l'esplorazione di quelle rocce, cercando con gli occhi, ogni possibile apertura, ogni anfratto, che possa far da dimora a qualche pesce interessante. Soltanto qualche piccolo pesciolino appaga la mia ricerca. Decido quindi di rivolgere la mia attenzione sul fondale, che, oltre ai coralli ed alle spugne, folte posidonie colorano di verde. La sabbia è mista alle rocce e fa da vestito a parecchi esseri più o meno grandi che, senza dubbio, amano la privacy. Tra questi, scorgo una bellissima torpedine ocellata: ha il dorso bruno e cinque grandi macchie tonde, scure ed azzurrate; esse sono circondate da un alone chiaro e conferiscono all'animale una bellezza quasi mistica. La torpedine, è caratterizzata da un disco anteriore ovale, dalla coda sottile nettamente separata dalle pinne pettorali, dagli occhi piccoli, dalla bocca ridotta e naturalmente dalla famosa elettricità che essa è in grado di generare.
     E' giunto il momento di utilizzare la mia capacità di dialogare con i pesci, di esser loro amico, e, se necessario, loro padrone. Non temo le scariche elettriche perché anzi esse non possono che generare in me altra energia. Emetto quindi il sibilo, ed essa mi si avvicina lentamente. Mi concentro ed arrivo a percepire la sua richiesta di dialogo; le chiedo quindi, sempre telepaticamente, come essa può produrre elettricità. Mi spiega che possiede organi elettrici siti sul disco e che sono sotto il diretto controllo del sistema nervoso centrale.
     Ricordo ora di avere letto a questo proposito che le sue fibre muscolari sono state trasformate da madre natura in lamine sovrapposte a formare prismi; queste lamine si alternano a strati di tessuto connettivo ed ogni lamina è piena di terminazioni nervose che eccitandosi, come una pila di Volta, determinano una carica elettrica negativa da un lato e positiva dall'altro. Continuo quindi il mio dialogo cercando di farmi raccontare la sua routine quotidiana e il motivo che la spinge ad essere aggressiva. "Noi non facciamo del male a nessuno", mi fa percepire, "e quando tramortiamo qualche pesciolino, lo facciamo esclusivamente per nutrirci. Spesso alcuni di essi li risparmiamo e ci limitiamo solamente a spaventarli per preservare la nostra intimità. Siamo fatte così e viviamo tranquille aspettando il periodo della riproduzione." Ma questi pesciolini, penso, perché pur sapendo della pericolosità delle torpedini, gli girano spesso intorno sacrificando la loro paura alla più forte curiosità? Devo parlare ad uno di essi, devo sapere. Ne passa uno proprio in questo momento, lo voglio chiamare e chiedergli spiegazioni. Mi risponde semplicemente che in loro la paura della morte non esiste e che, quando possono sembrare spaventati a chi li osserva, in realtà non lo sono affatto. Dandomi prova di una insospettabile saggezza me ne spiega il motivo; le onde cerebrali che capto si tramutano in parole di contenuto altamente filosofico per le mie orecchie: "Vedi, il mare è una massa d'acqua enorme, ma nello stesso punto in millenni vi è passata tutta l'acqua che compone questo nostro meraviglioso continente; noi, quando fingiamo di scappare, non facciamo altro che seguire l'acqua, nostra inesauribile fonte di vita e di cibo. Per cui, come possiamo avere paura ed addirittura opporci se un giorno nostra madre decide di non accoglierci più fra le sue braccia per dare il nostro posto ad altri?" Un amore spirituale intenso, a quelle parole, riempie il mio cuore. Di riflesso mi avvicino ulteriormente a quell'essere così piccolo fisicamente, ma così grande spiritualmente, per accarezzarlo. "Cos'è la carezza?"-mi dice- "essa è soltanto una dimostrazione di una benevola superiorità di un essere rispetto ad un altro. Ma noi non abbiamo bisogno delle vostre carezze, della vostra superiorità, della vostra grandezza, pur infima rispetto a quella del mare." Non provo rancore, lo capisco ed anzi mi vergogno della mia stupidità umana. Mi allontano nuotando il più velocemente possibile, provando rabbia, rabbia verso me stesso ed il mio stupido orgoglio. Sulla terra sono convinti che la vita del pesce sia breve. Ciò è pur vero per quelle razze che vivono a piccole profondità dove la relazione di tempo è pressocché simile, ma a queste profondità un anno di vita corrisponde a ben 1825 anni sulla terra. Ma tutto è relativo ed i paragoni sono del tutto fittizi in pratica.
     Adesso però, mi è venuta voglia di carne, di sesso, e non vedo l'ora di stringere tra le braccia la mia stupenda compagna dai capelli rossi. L'ho chiamata, ed essa dopo pochi secondi è arrivata più bella e provocante del solito. 
     Nuotiamo velocemente mano nella mano per arrivare alla stanza che la regina ci ha riservato per i nostri amplessi. Un soffice lettino con l'anima di giunco e ricoperto di un soffice manto di muschio è l'unico mobile di quella piccola stanzetta quadrata, complice compiacente dei nostri piaceri. La stendo delicatamente e inizio a baciarla con passione mordicchiandole le labbra e stringendo tra le mie, la sua lingua sinuosa. Le mie mani stringono il suo seno, dove i capezzoli turgidi per l'eccitazione, risaltano in tutta la loro bellezza sul vestito di seta trasparente. La mia lingua è infuocata come tutto il mio corpo ed ogni lembo del suo morbido faccino viene da me gustato e lavato con la saliva, copiosamente prodotta dalle apposite ghiandole, anch'esse attivate da quel mio stupendo organo pettorale. Le sue orecchie sono fresche e pulite e l'insinuare la lingua in esse, mi procura un enorme piacere. Sento il suo corpo fremente fra le mie braccia e l'ondeggiare del suo ventre si fa sempre più ritmato. Le abbasso con studiata lentezza la spallina del vestito e mi fermo allorché soltanto la durezza dei suoi capezzoli fa da freno all'elegante abito; Appoggio quindi tutte e due le mani sul suo ventre e le premo roteandole come in un vero e proprio massaggio. La mia lingua nel frattempo, continua la sua opera di degustazione sul naso, sulle sopracciglia, sulla testa; ritorna quindi su quei teneri lobi, per poi scendere verso il collo. La denudo quindi completamente, e lei fa altrettanto con me togliendomi il costume che mi aveva confezionato la regina. Porto la bocca sul suo seno e cingo, con tutta la forza labiale che possiedo, l'eccitante alone rosa, splendido basamento a quelle piccole colonnine brunite. Sono già trascorse due ore e questa donna meravigliosa è riuscita a farmi provare ogni possibile tipo di eccitamento. I miei orgasmi sono stati numerosi ed anche i suoi; una perfetta rispondenza dei nostri sensi ha fatto sì che non ci siano stati scompensi tra la mia e la sua passione. Mi sento completamente soddisfatto, e la mammella su cui ha trovato un soffice cuscino il mio capo, rende delizioso il relax che ci siamo concessi. "Noi"-mi dice- "come hai potuto notare, non abbiamo la minima vergogna ed anzi cerchiamo sempre nuove posizioni amatorie, per far sì che i nostri orgasmi risultino sempre più appaganti. È un punto essenziale questo, per la nostra sopravvivenza. È quella parte del nostro tempo che fa sì che ogni nostro istinto più basso venga esaudito, in maniera tale, da poter essere poi liberi e puri quando ci inoltriamo per mare." - "Capisco il tuo discorso"-rispondo- "ma l'altra mia compagna che mi è stata data per soddisfare il mio spirito come fa allora a liberarsi dei suoi istinti carnali?" - "Semplice"-sussurra con un sorriso malizioso- "lei ha altri istinti; a lei non interessa il rapporto sessuale; essa anzi gode nel non farlo. Ognuno di noi ha le sue manie che da voi sulla terra sono nascoste persino a coloro stessi che le hanno; da noi invece, ciò è naturale e come ti dicevo, non troviamo la minima vergogna ad esternarle; la mia amica e tua donna dai capelli biondi, predilige il masochismo e sfoga tali suoi istinti facendosi frustare da chi, tra noi, sente invece il bisogno di violenza. E così si soddisfano l'uno e l'altra." - "Grazie di avermelo detto" -le dico- "è bello sapere tutto della persona che ti sta accanto. Ma dimmi, fino ad ora, non ho saputo come ti chiami, come si chiama la regina e come si chiama la ragazza dai capelli biondi; voi non sapete neppure come mi chiamo io. Non usate forse anche voi dei nomi per chiamarvi?" - "No" -mi risponde accennando una risata- "non ne abbiamo bisogno. Ognuno di noi ha una sua funzione ben precisa e prestabilita nella comunità, ed ognuno serve a tutti gli altri e tutti gli altri servono ad ognuno; per cui, quando abbiamo bisogno o semplicemente vogliamo parlare con qualcuno, ci concentriamo su chi è più adatto ai nostri discorsi ed ai nostri bisogni e telepaticamente lo raggiungiamo ovunque sia e qualunque cosa stia facendo. All’istante questo nostro richiamo telepatico si materializza in un’alga che si manifesta ai suoi occhi e dalla specie e colore dell’alga egli capisce con chiarezza chi lo sta chiamando. Questa, che agli occhi di un profano può sembrare una robotizzazione in realtà è la proprietà che ci ha reso superiori a qualsiasi civiltà. Siamo funzionali e ne siamo fieri. Non conosciamo l'emarginazione, perché, come già ti ho detto, riusciamo ad accontentare tutti, a soddisfare qualsiasi richiesta o esigenza carnale." Adesso ne so di più su quel popolo così affiatato e felice, ed ora capisco perché sono stato prescelto: possibilmente, ci sarà qualcuno di loro che gode sentendosi superiore o che gode provando orgoglio per sé e per il suo popolo; e chi, meglio di me, col mio radicato disgusto per il mondo in cui vivevo, poteva esporgli i lati negativi della mia società e quindi, di riflesso, soddisfarlo completamente?!
     "Adesso andiamo" -mi dice alzandosi in piedi- "desidera vederci la regina, dobbiamo affrettarci." Indosso nuovamente il costume e seguo la mia amante sino alla reggia. La regina è lì immobile, maestosa nella sua venerea bellezza. Mi avvicino e mi porge leggiadramente tutte e due le mani. "Vuoi venire con me?" -mi dice- "sto per andare ad esplorare una antica vostra città sommersa, poco distante da qui." - "Certo" - rispondo-"Sono sempre pronto quando c'è da curiosare ed apprendere." Mi abbraccia quindi,e, sollevati da un raggio traente proveniente dal soffitto, usciamo in mare aperto attraverso la solita statuetta di sirena. "Questa uscita" -mi dice- "è concessa solo alla regina e a colui che essa vuole; è un forte campo magnetico che avvolge il corpo e lo trascina in alto per la forza di un particolare e sofisticato elettromagnete applicato alla statuina, il quale, contemporaneamente, nella sua parte esterna funge da barriera alle acque, impedendo così, che esse irrompano nella sala." Mi soddisfa di questa mia curiosità che avevo inutilmente celata, mentre nuota velocemente facendomi da guida a quei resti, testimonianza di chissà quale antica civiltà.
     Ci troviamo ormai sopra ad un insieme di costruzioni semi diroccate dove il bianco giallastro delle pietre è sostituito a tratti dal verde del muschio e delle alghe che ivi trovano terreno adatto al loro espandersi. La regina mi indica la via delle cripte, distraendomi da tutte quelle antiche bellezze architettoniche. Spesso infatti quei popoli, attraverso affreschi murali e tombali, illustravano la genesi della loro civiltà, i loro dei, le loro tradizioni e spesso anche la planimetria delle loro città. Fa buona guardia all'angusto passaggio, una enorme medusa, animale composto per il 95% da acqua e caratterizzato da un sacco che presenta un solo orifizio, la bocca, che si apre sulla cavità gastrovascolare. Senza alcun timore per quei tentacoli ondeggianti minacciosamente, la regina si fa avanti ed un potentissimo sibilo squarcia la calma del mare. La medusa capisce ed avvicinatasi, poggia lentamente l'estremità di un suo tentacolo sulla spalla nuda di quella splendida donna sirena. Preoccupato per essa, mi avvicino anch'io, e soltanto un suo sguardo rilassato, mi rassicura. E dopo un po' di moine fra i due esseri acquatici, l'ingresso alle tombe si libera. Vi entriamo velocemente e siamo subito colpiti dagli splendidi affreschi murali che si esprimono con motivi essenzialmente ornamentali e geometrici, oppure con scene figurate. La particolarità e stranezza, a mio avviso, è costituita dalla direzione del susseguirsi delle scene; normalmente le raffigurazioni si snodano lungo la parete seguendo la sua direzione architettonica; qui invece, partono dal basso e terminano in alto tagliando il corridoio in tante parti ideali. Mi soffermo per esempio, su una processione di coppieri e portatori d'offerte, improntata alla solennità di un ambiente aulico, possibilmente una reggia. Un altro, rappresenta un ondulante guizzare di pesci volanti, sovrapposti l'uno all'altro sino al raggiungimento di una non ben precisata divinità. Andando avanti lungo il corridoio, una squisita raffigurazione di un rapporto carnale, attrae la mia attenzione; qui il susseguirsi delle scene è direttamente proporzionale alla frequenza normale che ogni coppia ha nel compiere l'atto amatorio lungo tutto il corso della sua vita; un piccolo sole nascente fa da basamento a tali scene, che si susseguono freneticamente in un primo stadio, e si diradano man mano che si sale; un sole dietro una collina, fa tramontare tali vitalità e costituisce il limite estremo dell'affresco. La regina intanto, era andata avanti e possibilmente era già giunta alle tombe. Affretto il passo per raggiungerla, ma non posso fare a meno di fermarmi alla vista di un altro meraviglioso dipinto: è rappresentata la vita in tutte le sue fasi; l'alternarsi qui delle scene è pacato, scontato ed ineluttabile; si passa dalla nascita, dove la madre è rappresentata partoriente, alla sepoltura, dove paggi ed ancelle colmano di doni l'ultima dimora del defunto. Sono arrivato alle tombe, site in un piano superiore completamente protetto ed asciutto, attraverso una scaletta di marmo terminante in un foro ostruito da una rudimentale botola; la regina intanto, sfogliava antichi manoscritti trovati all'interno di alcune tombe, dove simboli e figure prendono il posto delle parole; e, mentre essa tenta di decifrarli, io dò un'occhiata da vicino alle casse, collocate in duplice fila a formare un macabro corridoio; sono di bronzo lavorato e decorato con archi, linee ondeggianti, cerchi, rilievi ed infossamenti in un tanto discontinuo susseguirsi, da dare allo spettatore un senso di agitazione, vietandogli appunto, ogni qualsiasi logica di continuità. Ritorno quindi accanto alla mia donna e la interrogo su quella civiltà, essendo sicuro che, con la sua enorme cultura, ha già decifrato quei libri tanto sacri e misteriosi. "Si accenna" -mi comunica- "ad una civiltà che, secondo il tempo terrestre, doveva essere sorta circa 10.000 anni fa e che strane ed inspiegate inondazioni stavano a poco a poco distruggendo. Non si legge altro sulla loro storia, ma è abbastanza interessante il motivo architettonico che contraddistingue le loro città: essi costruivano le loro case preferibilmente su delle alture dominanti il mare, ed il loro governo doveva essere senza dubbio accentratore e caratterizzato da una unica, complicata amministrazione. Grandi magazzini, laboratori ed officine cintavano le case convergenti verso una costruzione centrale, dove sicuramente abitava il regnante. Cintavano la grande reggia con un fossato a cui si accedeva attraverso una serie di gradini: possibilmente, era quella l'arena della città, dove, giochi all'aperto allietavano i cittadini." Lasciamo quindi pensierosi quei lugubri posti di morte ed usciti all'aperto, ci inoltriamo in un edificio per ammirarne la bellezza interna. Piccole sculture all'ingresso, ci danno il benvenuto; sono piccole statuette di avorio, sicuramente uniche nel loro genere. Ampi stanzoni sorretti da colonnati lisci e semplicisticamente funzionali, costituiscono l'atrio di rappresentanza. Soltanto piccole ceramiche rompono la monotonia delle stanze; sono vasi decorati con vivacissima policromia. I motivi ornamentali a cui si dà il maggior spazio, sono spirali e volute che si avvolgono elegantemente sulla superficie del vaso, con intense tonalità di rosso, azzurro e viola, ben alternate e contrapposte, tali da suggerire un effetto cromatico superiore al numero dei colori impiegati. Sono curioso di sapere il motivo per cui quei saloni così importanti per la vita sociale del proprietario della casa, erano lasciati spogli da ogni ornamento sulle pareti e sul soffitto; la regina, captato il mio pensiero, mi comunica che a suo avviso, quei popoli, moto superstiziosi, volessero in questa maniera, non offrire spunti per rancori e maledizioni da parte degli occasionali visitatori. Capisco ciò che voleva dire; infatti, ricordo, studiai che gli antichi filosofi definivano il male come una sfera della realtà, quella del molteplice e del sensibile riconducibile ad una più generale essenza: la materia. Secondo sant'Agostino per esempio, vi sono tre forme di male: quello metafisico, che si affianca alla contingenza di ogni essere creato; quello morale, che si manifesta allorché vi è una deviazione della volontà umana dalla retta norma morale e che quindi trova maggior campo quando è concessa maggiore libertà all'individuo; ed infine quello fisico, che comprende ogni deficienza del corpo, ed è effetto della volontà divina. Quindi è chiaro che, tanto più ci si presenta con semplicità attraverso l'ambiente in cui si vive, tanto maggiore è la fiducia che si ispira, soprattutto a chi, fa della sua stessa vita una superstizione. Cambiano i tempi, ma da sempre è la semplicità che fa l'uomo buono!
     Siamo ritornati adesso alle nostre abitazioni ed un po' di riposo e di meditazione, mi rende piacevole il resto di quella interessantissima giornata. Improvvisamente vedo aprire la porta, e la mia deliziosa compagna dagli occhi verdi appare sull'uscio. Si siede per terra accanto a me e comincia a parlare con voce tenue, quasi volesse, come una madre affettuosa, conciliare il mio pensiero ed il mio riposo. "Ricordo una volta" -mi dice- "quando, desiderosa di nuove scoperte ed emozioni, mi allontanai per mesi interi, spingendomi verso acque sconosciute ben distanti da qui; erano settimane che nuotavo e la mia velocità mi aveva condotta all'altro capo del mondo, dove il fondale si squarcia a formare profondissimi abissi, in cui il buio più totale regna incontrastato. Decisa ad andare sino in fondo, e per niente preoccupata, mi inoltrai in uno stretto corridoio lungo decine di chilometri, dove neppure la più piccola e semplice forma di vita, riusciva a profanarne la solitudine. Enormi sforzi dovetti fare per vincere la pressione idrostatica, incredibilmente forte a quelle profondità; e fu dopo circa due ore di nuoto frenetico, che riuscii a trovare una spaccatura nel terreno; la galleria correva orizzontalmente in un primo tratto, per poi risalire e sfociare in uno strano ambiente; avevo trovato una terra, che a causa di inspiegabili fenomeni naturali, era protetta dal flusso delle acque; più che una enorme caverna, mi sembrò un vero e proprio mondo; le volte rocciose che ne costituivano, nello stesso tempo, il tetto ed il riparo dalle acque degli oceani, erano alte parecchi chilometri; sicuramente attaccate a quelle rocce, dovevano esserci delle pietre fosforescenti, talmente luminose, che riuscivano a rischiarare a giorno quella terra sconosciuta. E proprio mentre mi guardavo attorno, scrutando con attenzione tutto ciò che mi circondava, un umanoide dal corpo peloso mi si avvicinò con aria minacciosa. Una clava era tutto ciò di cui era vestito; e brandendola a mo' di spada urlava in un sillabario a me sconosciuto. Emisi, per evitare spiacevoli sorprese, un forte sibilo che stordì all'istante quell'essere primitivo; provai allora a mettermi telepaticamente in contatto con lui, associando le idee alle immagini, anziché alle parole: tutto inutile; la sua struttura cranica non poteva assorbire le mie onde mentali che venivano respinte da un sedimento osseo; l'unica possibilità che mi restava per renderlo mansueto al dialogo, era quello di asservirlo; sospingendolo quindi con sibili leggeri in una caverna poco distante affinché non scappasse, emisi un forte ultrasuono che lo tramortì; attesi il suo risveglio e fu con vera sorpresa che notai la sua riverenza: una dea o un mostro invincibile doveva essere sicuramente l'idea che si era fatto di me. Meglio così, pensai, avrebbe sicuramente risposto a tutte le mie domande. Iniziai quindi col chiedergli, servendomi di disegni, se altri esseri come lui vivevano in quel mondo. Fece segno affermativo col capo e mi pregò di seguirlo. Infilatici in una caverna, dopo aver attraversato dedali, fatti da passaggi e gallerie, giungemmo in vista di un piccolo villaggio che grandi palafitte proteggevano dall'umidità del suolo. Maestose stalattiti scendevano dalla volta puntando minacciose quelle povere capanne come spade di Damocle. L'umanoide, giunti che fummo alle prime case, si allontanò e si diresse correndo in direzione della capanna più grande. Poco dopo, il tetro silenzio che fino ad allora aveva contraddistinto il villaggio, fu rotto dal suono di un gong; subito, tanti umanoidi uscirono dalle loro dimore e si riversarono nel viottolo. Camminavo lentamente, pronta a difendermi in caso di pericolo; ma mi ferma, dopo pochi passi, la vista di un vecchio che mi si fece incontro. Egli, giunto dinanzi a me, si inginocchiò abbassando il capo sino a toccare terra e subito fu imitato da tutti gli altri. Commossa, mi avvicinai a quell'uomo e lo feci rialzare tenendolo per un braccio, mentre lo rassicuravo con un sorriso. Si rialzarono tutti e si affrettarono a trovare doni per rendermi omaggio. Il sentirmi una dea fu una sensazione veramente piacevole e non feci nulla per dimostrare il contrario. Ai miei piedi, frutta e pietre preziose si mischiavano in un grande e rudimentale vassoio a formare un saporitissimo cocktail. I miei istinti più bassi cominciavano ad affiorare ed eccitata più che mai, ordinai loro di colpire le mie carni con le clavi. Essi, dapprima titubanti, poi convinti che io considerassi quel gesto come un omaggio, obbedirono con entusiasmo. Li feci smettere due ore dopo circa, completamente appagata. Ci sono stata cinque giorni in quel posto, riverita ed accontentata in ogni mio più piccolo desiderio. Visitai le loro miniere ed imparai le loro usanze: mi piaceva essere una prima inter pares; mi piaceva sentirmi una dea ed essere ossequiata ad ogni mio più piccolo passo. Fu con vero rammarico che al sesto giorno imboccai la strada del ritorno. Bene, che te ne pare di questa mia avventura? Vorresti andarci anche tu? Vorresti provare quel senso di grandezza che provai io? Vorresti anche tu provare il gusto di comandare così come lo provai io?" - "Certamente" -rispondo senza alcun indugio- "sono pronto" - "Male mio caro" -mi comunica sorridendo- "è un male farsi più grandi di quello che si è; è pericoloso sfidare la natura! Io, nel mio racconto vero in ogni sua parte, ho premeditatamente tralasciato di narrarti ciò che mi successe durante il viaggio di ritorno. Ebbene, per non so quale fenomeno chimico, l'aria che avevo respirato in quel posto danneggiò le mie corde vocali, tanto da non permettermi l'emissione di alcun suono o ultrasuono; in pratica, rimasi priva di difese, in balia di tutti quei pesci carnivori che popolano le acque. Ebbi persino la sfortuna di incappare in uno squalo, il quale, a differenza degli altri suoi simili, si era adattato a vivere alle nostre profondità. Egli dilaniò la mia carne e soltanto dopo essersi abbondantemente rimpinzato, si allontanò.

 

 

Fui costretta all'immobilità sino a quando non si rigenerarono le parti mancanti del mio corpo; e solamente allora ritornò la voce e quindi la possibilità di difendermi." "Capisco la lezione"- le comunico col capo chino per la vergogna-. Scosso da tale racconto, mi alzo dal mio giaciglio e, dopo averla salutata con un bacio, mi avvio verso il mare. Ho voglia di una bella nuotata.
     Nuoto ormai da parecchio tempo e nulla di insolito ha destato la mia curiosità. Quei piccoli e piatti pesci che ho incontrato, tutti indaffarati nella loro giornaliera ricerca di cibo, sono stati gli unici esseri viventi che ho incontrato. Buio e desolazione sono gli ingredienti principali di quel tratto di mare. Rilevo col mio sonar una piccola collinetta ad un centinaio di metri; spero che quell'altura sia la fine di quel tratto così brullo e certamente inadatto a chi, come me, si nutre di novità e scoperte. Giunto alla sommità dell'altura, una diversa colorazione delle acque attrae la mia attenzione. Esse sono chiare, di un colore azzurro rossastro come se, una vicina fonte d'energia, le illuminasse. Riesco a captare uno strano oggetto di forma ovoidale adagiato sul fondo sabbioso. Mi avvicino prudentemente e sono già ad una distanza tale da poter vedere ad occhio nudo. È una nave spaziale dalla forma discoidale, illuminata all'interno da una luce verde, visibile attraverso piccoli oblò posti sulla parte superiore del mezzo. Sono cinque in tutto e si intersecano al centro con precisione geometrica.
     Ma ecco che a un certo punto l’astronave si mette in movimento e un forte fascio luminoso, proveniente da una fiancata dello scafo, mi abbaglia e mi attrae irresistibilmente, mentre il mezzo comincia a salire vertiginosamente verso la superficie. In stato di quasi incoscienza mi ritrovo su una spiaggia, ma all'interno del mezzo, in una piccola saletta romboidale dalle pareti completamente lisce e di colore rosso vermiglio. Il mio primo impulso è quello di strofinarmi gli occhi, ancora offesi da quell'intensa luce. E' solo dopo un po' che riesco a distinguere bene i contorni di quell'ambiente. Non vi è niente. Noto soltanto che le pareti, ad impulsi regolari, cambiano tonalità di colore, passando da un rosso amaranto sino ad un rosa pallido.

 

 

Ad un tratto, capto un leggero fruscio proveniente dal centro della saletta: qualcosa o qualcuno si sta materializzando davanti a me; sono un po' spaventato, ma mi faccio forza e continuo a guardare. Un essere dal tronco tozzo sorretto da tre zampe che un uncino avvinghia al pavimento, e dalla testa a forma di teschio, alto circa un metro e trenta centimetri, che due palle infuocate e roteanti nelle cavità orbitali rendono ancora più mostruoso, mi abbaglia con la sua luminosità. Anche se mi condiziono mentalmente a non avere paura, tremiti e brividi percorrono tutto il mio corpo. "Vieni e non temere" -mi dice telepaticamente rassicurandomi alquanto- "scusa se ti ho spaventato; capisco benissimo che ciò che è insolito, fa paura, a voi che soffrite di emozioni".
      Così dicendo, si avvia lungo un corridoio a cui permette l'accesso l'apertura di una parete della sala. Le pareti sono sempre di quel colore, cangiante ad impulsi, che si susseguono ad intervalli regolari, tanto da sembrare che scandiscano il tempo. Siamo giunti a quella che deve essere la sala di comando: sofisticate apparecchiature e stranissime macchine ne cingono le pareti. "Vedi" -mi dice- "da qui manovro il mio mezzo e questi" -continua indicandomi gli apparati meccanici- "sono gli strumenti di cui mi servo per le mie ricerche. Ognuno di questi pulsanti che vedi, mette in moto sistemi elaboratissimi che mi permettono una perfetta simbiosi col mezzo. Ho già esplorato il mondo dei terrestri e le loro tecnologie nel loro anno 2100. E' veramente strano per esempio" -continua- “che essi non abbiano imparato a smaterializzarsi per poter velocemente attraversare grandi spazi. Eppure vi fu uno scienziato, un certo Einstein, che scoprì la relatività della materia." E mentre capto questi discorsi, mi accorgo che l’astronave si è rimessa in movimento e scende nuovamente verso gli abissi. Io intanto cerco di selezionare ciò che voglio chiedergli per apprendere il più possibile su civiltà e tecnologie spaziali. "A queste profondità" -continua- "trovo piacevole vivere anche se, grazie ai miei strumenti, non vi è nulla di nuovo che mi possa interessare." Noto che l'essere in cui mi sono imbattuto, fa a bella mostra sfoggio della sua cultura, quasi volesse farmi pesare la sua superiorità. Ciò mi rende nevrotico. Mi ricorda tutti quei sapientoni dei miei amici che parlavano, parlavano, come se fossero stati tanti Dei scesi dal cielo. Voglio provare a mettere in difficoltà quell'essere; interrottolo quindi, gli chiedo se trova giusto curiosare in mondi altrui e soprattutto se ritiene civile l'avermi attirato con la forza ed abbagliato con quel suo raggio diabolico. "Per me" -mi risponde impassibile- "non esiste la concezione del bene e del male che tanto fa soffrire gli abitanti di questo mondo, piccolo granello dell'universo. Per chi come me, abituato a solcare gli spazi siderali, dove l'essere è solo con sé stesso, piccolo puntino in quella quiete assoluta, non esiste il relativo. Ho curiosato a lungo sul modo di vita dei terrestri: per esempio essi identificano il male col trasgredire ad una determinata morale, la loro; lo identificano col recare danno ai loro simili; lo identificano infine, quando si va oltre determinati tabù e concezioni consuetudinarie, affermatesi e consolidatesi col tempo. Ma, anch'essi sono animali, un po' più evoluti, ma sempre animali. Ed è forse un assassino il lupo che ghermisce l'agnello per sopravvivere o lo squalo che divora i pesciolini per poter soddisfare le sue esigenze? È forse un ladro un piccione che ruba ad un suo simile degli insetti? È un adultero forse il cavallo che si accoppia non sempre con la stessa compagna per poter dare al mondo tanti puledri? È forse immorale la scimmia che mette a bella mostra le sue nudità, senza preoccuparsi minimamente di celarle con costumi ed altri inutili indumenti? E nelle società stesse, gli uomini non si imbrogliano forse tra di loro per guadagnare più possibile? È forse un male questo? No, tutto ciò è lotta per la sopravvivenza, dove i deboli periscono perché devono perire ed i forti vincono perché devono vincere." - "Ciò che dici è giusto"-replico-"ma non è forse giusto aiutare chi è oppresso ed oberare il debole il meno possibile?" - "No" -mi risponde- "se tu aiuti il debole esso diventa forte e ti uccide; e se tu combatti chi è più forte di te non puoi vincere." La realtà che tanto a lungo avevo cercato, durante tanti anni di vita passati tra pianti e disperazioni, mi viene presentata ora in tutta la sua durezza e veridicità da un essere che non appartiene a questo mondo. "Ti ringrazio per ciò che mi hai detto e insegnato"-gli comunico- "ma adesso lasciami andare e stai tranquillo che nessuno saprà della tua esistenza" - "Non importa che tu tenga celata la mia presenza" -replica sempre fermo sulle sue tre zampe- "chi non voglio non può vedere né me né il mio disco, e ricorda: perché tu possa raggiungere la felicità e liberarti dall’infelicità, devi riconoscere che i tre veleni, ossia le emozioni perturbatrici del desiderio, dell’odio e dell’ignoranza, sono tuoi nemici. L’ignoranza, ovvero il ritenere che le cose siano come appaiono, indipendentemente e autonomamente, senza alcuna causa, è la radice di tali illusioni. Per combattere questo pensiero errato e sé-centrico, devi generare l’amorevole attenzione, la compassione, l’altruismo e la saggezza derivante dalla comprensione della vacuità.Praticamente ti verrà spontaneo imparare a considerare te stesso molto prezioso, per poi estendere questa considerazione agli altri esseri, umani e non, apprezzando la loro preziosità. Io e gli esseri come me, possiamo viaggiare nello spazio colmando distanze, che voi misurereste in milioni di anni luce, proprio perché avendo ben assimilato il concetto di vacuità, sappiamo integrarci con le nostre navi e raggiungere velocità di curvature spazio temporali per voi umani ancora inimmaginabili." E così dicendo, preme un pulsante ed immediatamente si aziona una paratia che permette il passaggio verso il mare aperto, e dopo essere uscito, noto che l'astronave scompare totalmente alla vista, forse, penso, perché avvolta damateria oscura.

     Sono passati alcuni mesi ormai. Mesi in cui, al gusto delle avventure, ho preferito quello delle meditazioni. Ho passato molto tempo a dialogare con le mie compagne ed a filosofeggiare più o meno giustamente. La noia comincia a pesarmi e la sua ferrea mano mi cinge il capo in una morsa sempre più dolorosa. La natura, che mi contraddistingue da quegli esseri acquatici, si prende la sua rivincita alzando la mano lì, dove ogni essere nato uomo, è più debole. Il gusto dell'insulso ed ipocrita parlare della mia gente, comincia a mancarmi. La mancanza di quella stupida gelosia che rende schiavi due amanti, ma nello stesso tempo così caldi, mi rende insensibile alle cure ed alle affettuosità delle mie tre donne. Il non poter guadagnare e spendere, e soprattutto il non vedere il frusciante denaro, smorza ogni mio entusiasmo. L'impossibilità di inveire contro qualcuno, così come tanto bene facevo un tempo, mi fa sentire amorfo e privo di emozioni. L'idea della immortalità a quelle condizioni mi spaventa. L'idea di essere fisicamente superiore non mi inebria più, anzi mi priva di quel gusto alla sicurezza che provavo quando, sfiancato e demoralizzato, mi accucciavo, protetto dalle soffici coperte del mio letto. Eh sì, purtroppo la mia carne è inadatta totalmente a quel perfezionismo comunitario a cui era stata adattata. E' con stanchezza e delusione che mi avvio verso il mare: questo grande ammasso d'acqua a cui sempre avevo guardato con amore, mi pare ora una galera dorata. Nuoto stancamente, senza più guardarmi attorno per scoprire e curiosare. Sono stanco, proprio stanco.
     Non so come, forse attraverso un anfratto, sono arrivato ad un laghetto sotterraneo colmo di acqua dolce. Distoglie la mia mente così presa da ricordi e nostalgie, un branco di terribili pesci piranha. Pesci che avrebbero terrorizzato chiunque, capaci come sono, di scarnificare un bue in pochi minuti.
     Li metto immediatamente in guardia con un forte ultrasuono; arrestatili quindi, cerco di mettermi in comunicazione telepatica: "Siamo affamati" -mi rispondono- "dacci un po' della tua carne". Privo ormai di qualsiasi interesse per essa, consento loro di cibarsi. Il dolore che provo è forte, ma il masochismo lo è ancora di più. Sono passati alcuni minuti e già gambe e braccia sono svaniti. "Smettetela immediatamente"-ordino loro con un acuto sibilo- "adesso basta!" Essi, obbedienti e spaventati, arretrano compatti. Ad un tratto, uno di loro si stacca dal gruppo ed avvicinatosi boccheggiando lentamente, mi comunica: "Grazie, te ne siamo grati e per ricompensarti ti offriamo queste pietre" e nuota veloce verso un lato della parete che cinge il laghetto; fa forza col musetto su un punto, e, aiutato dai suoi compagni, riesce a scrostare il muschio superficiale. Mi avvicino anch'io, mentre lentamente nuove gambe e braccia vengono formate dalle mie cellule; tanti enormi zaffiri attraggono la mia cupida vista. Mi affretto a raccoglierli e, salutati i piranha, mi avvio a ripercorrere lo stretto cunicolo che conduce al mare. Mentre nuoto, mi vien da pensare a tutto ciò che potrei fare sulla terra vendendo quelle pietre preziose. Sarei ricco e felice; rispettato e amato da tutti; sarei qualcuno! E perché no, perché non ritornare in superficie, riprendere la mia vita che adesso, grazie a quelle pietre, sarebbe senz'altro migliore. Questa idea mi infonde un nuovo entusiasmo e nuoto verso l'alto mentre la mia fantasia naviga verso ricchezze, donne e banchetti. Vengo interrotto dall'apparizione della regina che mi sibila disperata: "E' la fine!! I ghiacci si stanno impadronendo di tutto l'oceano, è la fine del mondo..." e fugge subito dopo velocemente.
     Ma io non ci voglio credere. Proprio adesso che sono ricco! Continuo a nuotare serbando un barlume di speranza, ma noto verso l’orizzonte a Nord una striscia bianca contornata da bande luminose di colore rosso, azzurro e verde dall’aspetto stupefacente; intanto il resto del cielo era plumbeo, ma ciononostante le nuvole non riuscivano a oscurare quella strana striscia bianca simile ad una aurora boreale; penso alle equazioni di Maxwell e mi convinco che molto probabilmente un forte squilibrio elettromagnetico abbia sconvolto i poli terrestri. Mi appaiono adesso blocchi di ghiaccio più considerevoli la cui luminosità muta secondo i capricci della nebbia o per meglio dire delle nubi; ognuno di questi blocchi potrebbe da solo essere sufficiente alla costruzione di un’intera città. Mi giro dall’altro lato, verso Sud, e anche da lì queste montagne bianche mi si avvicinano minacciose; adesso sono completamente circondato... Schiacciato! La mia consapevolezza, terribilmente distorta e violentemente turbata, diventa nera...nera come la pece...nera come l'abisso! E'...la...fine...

 

 

La luce del giorno fa capolino dalle fessure della serranda della finestra della mia stanza ed io mi desto. Sento come un buco in pancia, come se qualcuno avesse scavato dentro di me. Ma lo stesso, porca miseria, devo andare a lavorare come ogni giorno..Forse provo rimorso per gli errori che ho commesso nella mia vita.. anche se indotti dalla società! Vedo il mio domani tutto nero e fallace. Quanti anni della mia gioventù ho sprecato! E chissà quanti ancora ne sprecherò... Mi accendo una sigaretta...
     Come è freddo il mese di Novembre! Devo sfogarmi! Devo liberarmi dalla mia rabbia! Mi sento come un leone in gabbia! Non so neanche con chi prendermela! Non so neanche chi imprecare! Mi guardo allo specchio e sferro un pugno...col solo risultato di tagliarmi a causa del vetro in frantumi. Non ho altra alternativa che stordirmi facendo pesi nella stanza attigua... mancandomi purtroppo qualcuno da prendere a bastonate… devo avere pazienza, molta pazienza, devo riuscire ad avere molta pazienza, anche se per la società conto quanto un granello di sabbia, o anche meno. Penso alle teorie di Bohm che sostiene che tutto il mondo è solo un ologramma, e mi tranquillizzo un po', pensando che tutto è relativo e, come in uno specchio, troverò quella parte di me, prima o poi, forse dopo morto, che essendo dall’altra parte vive felice. Devo riuscire a meditare, cercando, con tutte le mie forze, di meditare su come mettere in pratica gli insegnamenti dell’alieno, senza farmi distrarre dal pensiero che domani andrò, come ogni giorno, all’odiato lavoro!

 

 

 

Glossario

Glossario


Bohm
Bohm ha apportato significativi contributi alla neuropsicologia e allo sviluppo del modello olonomico del funzionamento del cervello. In collaborazione con il neuroscienziato di Stanford Karl Pribram, Bohm contribuì a elaborare il modello olonomico di Pribram secondo la quale il cervello opera in modo simile a un ologramma, in conformità ai principi della matematica quantica e alle caratteristiche dei modelli delle onde d'interferenza.


Equazioni di Maxwell  

 
Le equazioni di Maxwell raggruppano ed estendono le leggi dell'elettromagnetismo mostrando come il campo elettrico ed il campo magnetico siano due manifestazioni di una stessa entità, il campo elettromagnetico. Con questo risultato si evidenzia come i campi elettrici dinamici, cioè variabili nel tempo, sono in grado di generare campi magnetici, e come lo stesso accada per campi magnetici variabili nel tempo, sorgenti di un campo elettrico.


Materia oscura
L’ipotetica componente di materia che non è direttamente osservabile, in quanto, diversamente dalla materia conosciuta, non emette radiazione elettromagnetica e si manifesta unicamente attraverso gli effetti gravitazionali.


Vacuità
Per definizione, la vacuità è l’assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni, intendendo qui per fenomeni sia la realtà sensibile sia i diversi aspetti dell’Io umano.

 

Impressum

Tag der Veröffentlichung: 25.04.2017

Alle Rechte vorbehalten

Widmung:
La vita disagiata indubbiamente arreca malesseri e disgusto. Ciò aumenta in maniera esponenziale la voglia di evadere e cambiare totalmente modo di vivere. Ma a volte ciò si sogna soltanto...

Nächste Seite
Seite 1 /